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sabato 6 giugno 2020

Il vescovo Schneider, confutando l'assunto vaticansecondista, afferma che non esiste nessuna volontà divina certa e nessun diritto naturale che giustifichi il diritto alla diversità delle religioni

Nella nostra traduzione da LifeSiteNews un importante saggio in cui mons. Athanasius Schneider riconosce l’origine vaticansecondista dell’apostasia di Abu Dhabi [approfondimenti qui]; vale a dire la presenza di chiari errori nei “documenti conciliari”. Oltre a Mons. Viganò è l'unico, tra i nostri solidi punti di riferimento, a chiamare in causa il Vaticano II quando si analizzano le radici della crisi oggi giunta al suo culmine, rompendo finalmente l'argine fino ad ora mai oltrepassato dai prelati di rango a causa del rifiuto totale di ogni discussione sul concilio in ambito ecclesiale. Giova ricordare la sua posizione sul Concilio, già assunta pubblicamente nel 2010, tra le proposte [qui] per una corretta lettura del Vaticano II: Il primato del culto di Dio come fondamento di ogni vera teologia pastorale [qui]. Ed anche la sua posizione sulla collegialità in risposta a miei interrogativi [qui].
Mons. Schneider analizza ora con puntuale efficacia il problema della libertà religiosa, citando Dignitatis Humanae (che già il giovane Ratzinger definì l'antisillabo). Resta tuttavia il neo del substistit in... nella citazione: "La Dignitatis Humanae riafferma la dottrina tradizionale della Chiesa: “Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica”.
La versione modernista è che la sostituzione del “subsistit in” con l’“est” adoperato dall’Enciclica Mystici Corporis di Pio XII, intende affrontare il problema ecumenico in modo più diretto ed esplicito di quanto si era fatto in passato. Ammette che la Chiesa sia soltanto una e si trovi in un unico soggetto; ma che, al di fuori di questo soggetto, esistono elementi ecclesiali veri e reali che, tuttavia, essendo propri della Chiesa cattolica, spingono all’unità cattolica.
Nella realtà, però, in questo modo non viene più previsto il reditus dei separati; ma un falso ecumenismo rappresentato da un cammino comune verso la verità che non è più appannaggio esclusivo de La Catholica... Secondo Romano Amerio uno dei punti in cui c’è stata "un'abissale rottura di continuità" tra il Vaticano II e il precedente magistero è proprio là dove il Concilio afferma che la Chiesa di Cristo "sussiste nella" Chiesa cattolica invece di dire che "è" la Chiesa cattolica. Non è altro che una nozione spuria di chiesa allargata. Sarebbe dunque necessario abbandonare anche quelle residue ambiguità di discorso che sono la cifra espressiva caratteristica degli ultimi 60 anni.  (M.G.)

Il Vescovo Schneider afferma che non esiste nessuna volontà divina certa e nessun diritto naturale che giustifichi il diritto alla diversità delle religioni
“Altri concili ecumenici hanno formulato dichiarazioni che sono diventate obsolete e sono state dimenticate o sono state addirittura corrette dal Magistero successivo”
Vi sono sufficienti ragioni per dedurre che esiste una relazione di causa ed effetto tra la Dichiarazione sulla Libertà Religiosa del Concilio Vaticano Secondo — la Dignitatis Humanae — e il Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune [qui - qui] firmato il 4 febbraio 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dallo sceicco Ahmed el-Tayeb. Durante il suo volo di ritorno a Roma dagli Emirati Arabi Uniti, lo stesso Papa Francesco ha dichiarato ai giornalisti: “C’è una cosa [...] che vorrei dire. Affermo di nuovo apertamente che dal punto di vista cattolico il Documento non si spinge nemmeno un millimetro al di là del Concilio Vaticano II, che viene citato molte volte. Il Documento è stato concepito nello spirito del Concilio Vaticano II”.

La Dignitatis Humanae riafferma la dottrina tradizionale della Chiesa: “Questa unica vera religione crediamo che sussista nella Chiesa cattolica e apostolica” e nel “dovere morale dei singoli e delle società verso la vera religione e l’unica Chiesa di Cristo” (n. 1). Purtroppo, solo poche linee più in basso, il Concilio mina questa verità introducendo una teoria mai insegnata precedentemente dal Magistero costante della Chiesa, vale a dire che l’uomo avrebbe il diritto — basato sulla sua stessa natura — “[di non essere] forzato ad agire contro la sua coscienza [e di non essere] impedito, entro debiti limiti, di agire in conformità ad essa: privatamente o pubblicamente, in forma individuale o associata” (ut in re religiosa neque impediatur, quominus iuxta suam conscientiam agat privatim et publice, vel solus vel aliis consociatus, intra debitos limites, n. 2). Secondo questa dichiarazione, l’uomo avrebbe il diritto — basato sulla natura stessa (e quindi voluto in modo certo da Dio) — di non essere impedito di scegliere, praticare e diffondere — in modo individuale o collettivo — il culto di un idolo o persino di Satana, dato che esistono realmente religioni che venerano il diavolo, per esempio la “Chiesa di Satana”, a cui in alcuni Stati viene riconosciuto lo stesso statuto legale di tutte le altre religioni.

L’unica condizione posta dalla Dignitatis Humanae alla libertà religiosa è il rispetto dell’“ordine pubblico” (n. 2). Per cui una religione che si chiama “Chiesa di Satana” avrebbe il diritto di venerare il Padre della Menzogna purché rispetti l’“ordine pubblico”. Dunque la libertà di non essere impedito di scegliere, praticare e diffondere il culto di Satana — in modo individuale o collettivo — sarebbe un diritto basato sulla natura umana e sarebbe pertanto voluto in modo certo da Dio.

La pericolosa ambiguità di questa dichiarazione è celata dal fatto che fa parte di una sola frase la cui prima parte è ovviamente conforme alla dottrina tradizionale e costante della Chiesa. La prima parte infatti afferma: “in materia religiosa nessuno [può essere] forzato ad agire contro la sua coscienza” (ut in re religiosa neque aliquis cogatur ad agendum contra suam conscientiam, n. 2), ossia, nessuno può essere costretto contro la propria volontà a credere in Dio e ad accettare una religione — nemmeno l’unica vera religione, quella cristiana.

Nella stessa frase — si potrebbe dire, di un solo fiato — vengono asseriti la verità e l’errore. L’esistenza e l’esercizio della libera volontà e quindi la libertà da coercizioni esterne si fondano sulla natura umana stessa, e pertanto sono voluti da Dio. La facoltà di scegliere tra il bene e il male, tra la verità e l’errore, tra l’unica vera religione e le altre false religioni si basa sulla natura umana. Ma non è legittimo dedurre che l’esistenza della facoltà di scegliere tra il bene e il male, tra la verità e l’errore implichi quella del diritto naturale a scegliere, praticare e diffondere l’errore, vale a dire una falsa religione.

L’immunità da coercizioni esterne ad accettare l’unica vera fede è un diritto naturale. Ed è un diritto naturale anche quello di non essere forzato a praticare il male (peccato) o l’errore (falsa religione). Ma da ciò non segue che Dio voglia in modo certo (diritto naturale) che all’uomo non sia impedito di scegliere, praticare e diffondere il male (peccato) o l’errore (falsa religione). È importante tenere ben presente la distinzione fondamentale tra la facoltà di scegliere e di fare il male e il diritto di scegliere e di fare il male. Dio tollera il male, l’errore e le false religioni; Egli tollera persino il culto della cosiddetta “Chiesa di Satana”. Tuttavia, la tolleranza o l’indulgenza (volontà permissiva) di Dio nei confronti del male e dell’errore non creano nell’uomo il diritto naturale di sceglierli, praticarli e diffonderli, ossia tale diritto non è ammesso dalla volontà certa di Dio. Gli apologeti cristiani dei primi secoli rispondevano alle accuse delle autorità civili pagane che se i cristiani avessero praticato una falsa religione, lo Stato avrebbe avuto il diritto di proibirla. Il punto chiave dell’apologetica cristiana del primo secolo fu proprio questo: per provare la verità della religione cristiana e la falsità delle religioni pagane, Tertulliano affermò che tutti i pagani — ossia tutte le religioni non cristiane — “venerano una menzogna e commettono il crimine di praticare un culto irreligioso e contro la verità” (Apologeticum, 24). Come è mai concepibile che l’immunità dalla coercizione nello scegliere e nel commettere un crimine contro la verità sia un diritto basato sulla natura stessa dell’uomo e che pertanto sia voluto da Dio in modo certo? San Melitone di Sardi, un santo vescovo e apologeta del secondo secolo, ha dichiarato: “L’errore più grande di tutti è il seguente: il fatto che l’uomo non conosca Dio e veneri al Suo posto ciò che non è Dio” (Eusebio, Historia Ecclesiastica, 4, 26).

Esistono due realtà ben distinte. Una cosa è forzare qualcuno ad accettare una religione e a praticare atti religiosi contro la propria coscienza; un’altra cosa è proclamare come diritto naturale voluto da Dio in modo certo la scelta, la pratica e la diffusione dell’errore e delle false religioni, come sarebbe in tal caso, per esempio, quello di scegliere, praticare e diffondere la religione della “Chiesa di Satana”.

A qualsiasi persona intellettualmente onesta che non cerchi di trovare la quadratura del cerchio risulta evidente che l’affermazione della Dignitatis Humanae secondo la quale ogni uomo avrebbe il diritto — basato sulla sua stessa natura e quindi voluto da Dio in modo certo — di praticare e diffondere una religione in conformità con la propria coscienza non differisce sostanzialmente dall’affermazione presente nella Dichiarazione di Abu Dhabi, che sostiene: “Il pluralismo e le diversità di religione, di colore, di sesso, di razza e di lingua sono una sapiente volontà divina, con la quale Dio ha creato gli esseri umani. Questa Sapienza divina è l’origine da cui deriva il diritto alla libertà di credo e alla libertà di essere diversi”.

Come si può spiegare il fatto che la summenzionata affermazione problematica presente all’interno della Dignitatis Humanae sia stata fatta da un concilio ecumenico? Il primo elemento fondamentale da prendere in considerazione è il fatto che entrambi i papi del Concilio — Giovanni XXIII e Paolo VI — e lo stesso Vaticano II hanno affermato chiaramente che quest’ultimo — contrariamente a tutti i concili precedenti — non aveva né lo scopo né l’intenzione di proporre la propria dottrina in modo definitivo e infallibile. Così, nel suo discorso in occasione della solenne apertura del Concilio, Papa Giovanni XXIII ha affermato: “Il proposito principale di questo concilio non è pertanto quello di dibattere su temi della dottrina fondamentale della Chiesa”, e ha poi aggiunto che il carattere del magistero conciliare sarebbe stato “prevalentemente pastorale” (11 ottobre 1962). Da parte sua, nel suo discorso in occasione dell’ultima sessione pubblica del Concilio, Papa Paolo VI ha dichiarato che il Vaticano II “formula il suo programma” a partire dal suo “carattere pastorale” (7 dicembre 1965). Inoltre, in una nota redatta dal Segretario Generale del Concilio il 16 novembre del 1964 si legge: “Considerando la prassi dei concili e anche il proposito particolare di quello presente, il sacro Concilio definisce vincolanti per la Chiesa solamente quegli elementi che esso dichiari apertamente essere vincolanti in materia di fede e morale”.

Altri concili ecumenici hanno formulato dichiarazioni che sono diventate obsolete e sono state dimenticate o sono state addirittura corrette dal Magistero successivo.

Esaminiamo alcune delle dichiarazioni obsolete ed erronee espresse dai precedenti concili ecumenici, in modo da non sentirci scandalizzati dal fatto che un’affermazione non infallibile contenuta da una Dichiarazione conciliare (che non è dunque nemmeno una Costituzione o un Decreto) come la Dignitatis Humanae possa essere corretta in futuro dal Magistero.

Il Quarto Concilio Ecumenico di Costantinopoli (870), nel Canone 4, condannò in termini molto aspri il Patriarca di Costantinopoli Fozio, dichiarando che egli era un “lupo pericoloso all’interno del gregge di Cristo”, che riempiva “il mondo intero con migliaia di rivolte e sedizioni”, che non era “mai stato un vescovo” e che “tutte le chiese e gli altari consacrati da lui” avrebbero dovuto “essere riconsacrati”. Eppure la Chiesa Ortodossa Bizantina venera lo stesso Fozio col titolo di “San Fozio, Gran Patriarca Ecumenico di Costantinopoli” e celebra la sua festa liturgica il 6 febbraio. Una futura unione tra la Chiesa Ortodossa Bizantina e la Santa Sede provocherebbe sicuramente l’abolizione del Canone 4 del Quarto Concilio di Costantinopoli.

Il Terzo Concilio Ecumenico Laterano (1179) ha stipulato nel suo Canone 26 che né gli ebrei né i musulmani possono impiegare cristiani come lavoratori nelle loro case, ed ha affermato anche che i cristiani che osino vivere nelle case di ebrei o di musulmani sono passibili di scomunica. La Chiesa Cattolica attuale può sostenere ancora un’affermazione del genere emanata da un concilio ecumenico?

Il Quarto Concilio Laterano (1215) ha intitolato un’intera costituzione (la quarta): “Sulla superbia dei greci contro i latini” (De superbia Graecorum contra Latinos). Un’affermazione del genere è sicuramente offensiva per i nostri fratelli separati.

Lo stesso concilio ha intitolato un’altra costituzione (la ventiseiesima): “Gli ebrei devono poter essere distinti dai cristiani in base al loro vestuario”. E la Costituzione 27 afferma che gli ebrei non devono esercitare uffici pubblici.

Il Concilio Ecumenico di Costanza (1415), nella sua tredicesima sessione, scomunica i sacerdoti che amministrano la Santa Comunione sotto le due specie.

Prendiamo in esame un altro esempio. Il Concilio Ecumenico di Firenze (1439) ha affermato che l’elemento materiale (materia) che interviene nell’ordinazione sacerdotale è la consegna del calice, omettendo completamente ogni menzione dell’imposizione delle mani da parte del vescovo. Esso dichiara: “Il sesto sacramento è quello dell’Ordine. L’elemento materiale di questo sacramento è ciò che conferisce l’ordine stesso. Dunque, il presbiterato viene conferito con la consegna del calice contenente il vino e della patena su cui vi è il pane” (Bolla dell’unione con gli armeni Exultate Deo, 22 novembre 1439).

Nel 1947, Papa Pio XII ha corretto questo errore riaffermando la dottrina perenne cattolica, che corrispondeva già anche alla pratica liturgica della Chiesa universale tanto in Oriente come in Occidente. Egli ha proposto un insegnamento definitivo usando le seguenti espressioni: “Dopo aver invocato la divina luce, Noi, per mezzo della Nostra Autorità Apostolica e di una certa conoscenza dichiariamo”, e: “Al fine di rimuovere ogni controversia e di evitare ogni dubbio di coscienza”. Questa è la dichiarazione decisiva: “Lo dichiariamo per mezzo della Nostra Autorità Apostolica, e se mai alcuna disposizione legittima avesse affermato il contrario, Noi dichiariamo ora che almeno in futuro la traditio instrumentorum non è necessaria per la validità dei Sacri Ordini del Diaconato, del Sacerdozio e del Vescovato” (Costituzione Apostolica Sacramentum Ordinis, 30 novembre 1947).

Si può legittimamente sperare e credere che un futuro papa o concilio ecumenico corregga le affermazioni erronee pronunciate dalla Dichiarazione del Concilio Vaticano II Dignitatis Humanae, che hanno generato una serie di dottrine e di pratiche disastrose, come l’incontro di preghiera interreligiosa svoltosi ad Assisi nel 1986 e come il Documento di Abu Dhabi del 2019. Tali pratiche e dottrine hanno contribuito in modo molto grave alla relativizzazione teoretica e pratica della verità rivelata da Dio secondo la quale la religione che nasce dalla fede in Gesù Cristo, Figlio Incarnato di Dio e unico Salvatore dell’umanità, è l’unica religione certamente voluta da Dio.

In conformità col Magistero perenne, Papa Paolo VI ha insegnato che “la religione cristiana stabilisce realmente una relazione autentica e viva con Dio che le altre religioni non sono in grado di realizzare, pur avendo le braccia tese verso il cielo” (Paolo VI, Esortazione Apostolica Evangelii nuntiandi, 53).
Si deve evitare ogni affermazione che possa anche solo remotamente indebolire od offuscare la verità rivelata da Dio secondo la quale la religione che nasce dalla fede in Gesù Cristo, Figlio Incarnato di Dio e unico Salvatore dell’umanità, è l’unica religione certamente voluta da Dio. Un giorno, l’asserzione della Dignitatis Humanae secondo la quale l’uomo avrebbe il diritto naturale (voluto da Dio in modo certo) di non essere impedito di scegliere, praticare e diffondere, anche pubblicamente, qualsiasi forma di religione che si addica alla sua coscienza, e l’asserzione del Documento di Abu Dhabi secondo la quale Dio vorrebbe la diversità delle religioni allo stesso modo che Egli vuole la diversità dei sessi (basata sulla natura umana), saranno sicuramente corrette dal Magistero Pontificio della Cattedra di San Pietro — la cathedra veritatis. Davvero la Chiesa cattolica è e rimarrà nel tempo (semper), nello spazio (ubique) e nel consenso perenne (ab omnibus) “il pilastro e il baluardo della verità” (1 Tim 3, 15).
31 maggio 2020, Festa di Pentecoste
[Traduzione per Chiesa e post-concilio di Antonio Marcantonio]

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