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martedì 5 gennaio 2021

Al 117mo Congresso preghiera 'inclusiva': un orante ignorante o inquietante?

Vedi, in calce, la nostra nota con approfondimenti sull'Amen.

Il 117mo Congresso si apre con una preghiera “inclusiva”
Da sempre, tutte le sessioni del Congresso si aprono con una preghiera. Perché la concezione americana di libertà religiosa è diversa dalla nostra. In effetti, sebbene anche da noi le due Camere abbiano cappellani, non ho mai avuto sentore di una simile preghiera “ufficiale” di apertura delle legislature o delle sedute, neppure quando l’Italia era, formalmente, uno Stato confessionale. E chissà che non sia anche questo uno dei motivi per cui non lo è più.
In ambito statunitense, quella che era in origine una preghiera interconfessionale cristiana è divenuta interreligiosa. E chissà che, a questo punto, non sia davvero preferibile il nostrano silenzio: una libertà religiosa “diversa” non è necessariamente “migliore”.
Ma se fin qui siamo al “tutto normale” o quasi, la seduta del 3 gennaio 2021, destinata al giuramento e all’insediamento della nuova Camera dei Rappresentanti, è stata inaugurata da una preghiera veramente particolare perfino per quelle latitudini.

L’orante è un deputato, tale Emanuel Cleaver, che a quanto pare è stato un pastore metodista per trentasette anni (1972-2009) a Kansas City. Ma è soprattutto un Democratico, come mostra il testo da lui partorito.
“Eterno Iddio, … ci inginocchiamo dinanzi al Tuo Trono di Grazia mentre ci lasciamo alle spalle l’anno 2020, turbolento sul piano politico e sociale. Adesso ci riuniamo, in quest’aula importante, per aprire un altro capitolo del nostro governo rappresentativo da montagne russe. I membri di quest’augusto Corpo riconoscono la Tua supremazia e perciò ammettono che senza il Tuo aiuto e la Tua pazienza noi entriamo in questo nuovo anno confidando in modo pericoloso nella nostra natura fallibile. O Dio, in un momento in cui molti credono che la luce splendente della democrazia abbia cominciato a indebolirsi, donaci un sovrappiù di impegno e fedeltà ai suoi princìpi; che oi, membri del 117.mo Congresso, possiamo dare nuovo alimento alla lampada della libertà, in modo che generazioni non ancora nate siano testimoni della sua fiamma immortale. E che noi, piccola comunità che sta guarendo, possiamo tenere a freno le nostre tendenze tribali e rendere più pronti i nostri spiriti, in modo da avvertire la Tua Presenza sacerdotale perfino in momenti di disaccordo acceso. Che possiamo sentire la Tua presenza a tal punto che il nostro servizio qui non venga contaminato da consorterie o atti indegni di quest’alto ufficio; e che i nostri spiriti si risveglino in una luce così fulgida che possiamo vedere noi stessi e la nostra attività politica come realmente siamo: contaminati dall’egoismo, pervertiti dal pregiudizio e invasi dall’ideologia. Ora possa il Dio che ha creato il mondo e tutto ciò che è in esso benedirci e custodirci, possa mostrarci lo splendore del suo volto e mostrarsi misericordioso verso di noi, possa sollevare dinanzi a noi la luce del Suo aspetto a donarci pace: pace nelle nostre famiglie, pace da un capo all’altro del Paese e – se posso osare chiederlo, o Signore – pace perfino in quest’aula. Ora e per sempre. Lo chiediamo nel nome del Dio dei monoteisti, di Brahma e del dio conosciuto con molti nomi da molte fedi diverse. A-men and a-woman”.
Chiusura intraducibile, perché intende il classico “amen”* come “un uomo”, sottintende il sesso maschile e quindi si affretta ad aggiungere “e una donna”.

Giustamente è stato fatto notare che la figura divina descritta in quest’orazione è prettamente cristiana: a parte la benedizione deprecativa che impiega, in sostanza, la formula mosaica e a tacer d’altro ancora, né il Dio degli Ebrei né quello dei Musulmani sono anche sacerdoti (anzi…!).

Ma proprio per questo la conclusione suona così esilarante... e pure inquietante.

Da un pastore, di qualsivoglia denominazione cristiana, con un minimo di studi biblici alle spalle, ci si potrebbe aspettare che sappia che “Amen”, nonostante l’omofonia con “a man” è un termine ebraico e non significa “un uomo”, quindi non ha senso piegarlo alle contorsioni del c.d. linguaggio inclusivo. E fin qui siamo alla satira di costume, ancora poco male. Il problema è la vera e propria blasfemia. Che presumo involontaria, ma debbo credere consapevole.

Perché per un cristiano – di qualunque sfumatura, denominazione o adulterazione – l’Amen è Cristo (Ap III,14).

Che una qualunque preghiera ad una qualunque divinità possa chiudersi, non con un appello finale a questa divinità, ma con la centralità dell’uomo (e della donna, mi raccomando!), è un’assurdità rispetto alla stessa religione naturale e si spiega soltanto con l’inversione luciferina che domina incontrastata sulla nostra epoca.

Che poi un cristiano riduca il proprio Dio al “dio monoteistico”, vi aggiunga Brahma, peraltro scordandosi Shiva e Visnù, e per buona misura postuli che la stessa divinità sia conosciuta da tutte le credenze… incredibile ma vero, ancora non basta. Perché, a suggello di un simile coacervo, non poteva restare l’Amen.

Il Cleaver avrà voluto “soltanto” essere alla moda, non dubito.[1] Ma già solo per questo, come poteva percepire il valore della Roccia evocata dalla parola “amen”? Non poteva. Non doveva. E forse, ahilui, nemmeno voleva.

Quindi, ecco la nuova garanzia di avveramento della preghiera: l’uomo e la donna. Come nel Giardino dell’Eden, verrebbe da dire… beninteso, a frutto già mangiato, ma le orecchie ancora piene della promessa “diventerete come Dio”.

Indipendentemente dalle intenzioni di chicchessia – che lascio al Dio vivo e vero scrutare, a Cristo unico Signore giudicare – la sostituzione dell’uomo al Dio Incarnato è il marchio di fabbrica di colui che si fa adorare come “Grande Architetto dell’Universo”. E dunque il pur ridicolo “a-man and a-woman” non può essere soltanto irriso, purtroppo: esso obiettivamente funge, per così dire, da sacramentale satanico: auspica che si compia il sommo desiderio del Ribelle e pone sotto il suo influsso – già più di quanto non sia… – l’intera Camera.
Guido Ferro Canale - stralcio da Radio Spada
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[1] Solo al momento di chiudere scopro una sua dichiarazione al Kansas City Star, secondo cui si trattava di una battuta che intendeva alludere al numero record di deputatesse e alla prima donna cappellano nella storia della Camera. Il che, a mio avviso, è quasi peggio: da nessuna parte l’umorismo stona quanto al termine di una preghiera… e se le battute sono così sottili che vengono fraintese da tutti, o non erano affatto battute (come mi permetto di pensare, dato che il tono sembrava serissimo) o il loro autore deve ricalibrare la propria ironia per tener conto almeno del fatto che, in contemporanea, i Democratici stavano proponendo di adottare un regolamento parlamentare riscritto appunto in maniera “inclusiva”.
* Nota di Chiesa e post-concilio. Per saperne di più sull'Amen
Gli ebrei hanno dato un valore profondo a questa parola, formando un acrostico, cioè altre parole le cui iniziali sono riprese dalle consonanti della parola aramaica/ebraica "amen". In ebraico le iniziali sono: lettera alef  א lettera mem מ lettera nun נ . Queste tre consonanti formano tre parole: lettera alef = "el" (si legge: El) significa Dio lettera mem = "melek" (si legge: Melek) significa re lettera nun = "naaman" (si legge: Naaman) significa fedele.
I maestri ebrei solevano dire: quando non hai assolutamente tempo per pregare come prescrive la legge, pronuncia la parola "amèn" che racchiude tutta la preghiera e la fede.
Nella preghiera ufficiale pubblica si usava la lingua ebraica. "Amèn", il cui riferimento ad emunà verità, certezza, deriva dal verbo "aman" che nel significato fondamentale significa "essere fermo/stabile".
In aramaico come in ebraico esiste una forma del verbo che si chiama "causativo" e si traduce "fare essere / far sì che ancorato alla corrispondente radice verbale". La forma causativa del verbo "aman" significa "fare stabile, rendere sicuro, rendere fermo" da cui deriva il senso finale di "prestar fede, credere", nel senso di aderire radicarsi stabilizzarsi. Amen.
Da qui deriva il senso profondo che la fede è una iniziativa di Dio il quale causativamente "fa stabile, rende fermo/sicuro" e di conseguenza "Gli si presta fede", in una parola "Gli si crede". Pertanto ogni qualvolta un credente dice "amèn", deve avere la consapevolezza che non recita una formula di chiusura di preghiera, ma fa un'autentica, completa professione di fede. In quella parolina è racchiusa tutta la densità e intensità del "Credo".

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