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mercoledì 13 gennaio 2021

Mons. Viganò sul Giuramento Antimodernistico, la sua abolizione e le colpe di Ratzinger

Grata a Mons. Viganò per la condivisione, pubblico la sua puntuale dichiarazione in risposta ad alcune domande postegli da LifeSiteNews per integrare precedenti affermazioni sul Concilio Vaticano II. Trovate qui l'indice di numerosi articoli precedenti e correlati.

Dopo il mio smarrimento, mi sono pentito;
quando me lo hai fatto capire, mi sono battuto il petto,
mi sono vergognato e ne provo confusione,
perché porto l’infamia della mia giovinezza.

Ger 31, 19

In un articolo apparso su LifeSiteNews lo scorso 28 Settembre[1], la dottoressa Maike Hickson mi ha rivolto alcune domande per integrare le mie dichiarazioni concernenti il Concilio Vaticano II riportate da Marco Tosatti. [pubblicate qui][2] 

IL GIURAMENTO ANTIMODERNISTICO

I punti sui quali verte questa analisi fanno riferimento al Giuramento Antimodernistico, che San Pio X promulgò con il Motu Proprio Sacrorum Antistitum del 1° Settembre 1910[3], tre anni dopo la pubblicazione del Decreto Lamentabili[4] dell’Enciclica Pascendi Dominici gregis.[5] L’art. VI della Pascendi stabiliva l’istituzione, «quanto prima», del Consiglio di vigilanza in tutte le Diocesi, mentre l’art. VII intimava l’invio «alla Santa Sede» entro un anno e poi ogni triennio di quella «diligente e giurata esposizione» sull’attuazione delle prescrizioni dell’Enciclica e «sulle dottrine che corrono in mezzo al clero», poi semplicemente denominata “relazione Pascendi”.[6] Si noterà la differenza di approccio della Santa Sede dinanzi alla gravissima crisi dottrinale di quegli anni, rispetto a quello di segno totalmente opposto adottato dopo la fine del Pontificato di Pio XII. 

I Novatori ebbero a lamentarsi di quello che essi definirono “un clima di caccia alle streghe”, ma che ebbe incontestabilmente il merito di stanare i nemici della Chiesa che si annidavano al suo interno, tramite un’azione di controllo e prevenzione. Se si considera l’eresia come una pestilenza che affligge il corpo ecclesiale, si dovrà riconoscere a San Pio X di aver agito con la saggezza del medico nell’estirpare la malattia e nell’isolare quanti contribuivano a diffonderla.

L’ABOLIZIONE DEL GIURAMENTO E DELL’INDICE

Nel riprendere il legame ideologico che avevo evidenziato tra il Concilio e la Dichiarazione di Land O’Lakes del 23 luglio 1967, Maike e Robert Hickson hanno opportunamente segnalato un’altra interessante “coincidenza”: l’abolizione, il 17 Luglio 1967, dell’obbligo per tutti i chierici di prestare il Giuramento Antimodernista fino ad allora prescritto. Un’abolizione passata quasi sotto silenzio, tramite il ricorso alla sostituzione della formula precedente – che prevedeva la Professio fidei e lo Jusjurandum antimodernisticum – con il Simbolo Apostolico e questa brevissima frase:
«Firmiter quoque amplector et retineo omnia et singula quae circa doctrinam de fide et moribus ab Ecclesia, sive solemni iudicio definita sive ordinario magisterio adserta ac declarata sunt, prout ab ipsa proponuntur, praesertim ea quae respiciunt mysterium sanctae Ecclesiae Christi, eiusque Sacramenta et Missae Sacrificium atque Primatum Romani Pontificis».
[Inoltre, abbraccio e tengo fermamente ogni cosa che è stata stabilita e dichiarata dalla Chiesa riguardo alla dottrina della fede e della morale, sia da un giudizio solennemente definito o dal magistero ordinario, specialmente quelle cose che hanno riferimento alla santa Chiesa di Cristo, i suoi Sacramenti e il Sacrificio della Messa e il Primato del Romano Pontefice.]
La nota della Sacra Congregazione per la Dottrina della Fede indicava: «Formula deinceps adhibenda in casibus in quibus iure praescribitur Professio Fidei, loco formulae Tridentinae et iuramenti antimodernistici»[D'ora in poi questa formula deve essere usata nei casi in cui la legge prescrive il Professione di fede, al posto della formula tridentina e del giuramento contro il Modernismo]. [7]

È da notare che questa innovazione seguì l’abolizione dell’Index librorum prohibitorum, avvenuta il 4 Febbraio 1966, dopo che il 7 Dicembre 1965 Paolo VI ridefinì le competenze e la struttura della Congregazione e ne mutò l’antico nome di Sant’Uffizio in quello attuale, con il Motu Proprio Integrae servandae:
«Ma, poiché la carità esclude il timore (1Gv 4, 18), alla difesa della fede ora si provvede meglio col promuovere la dottrina, in modo che, mentre si correggono gli errori e soavemente si richiamano al bene gli erranti, gli araldi del vangelo riprendono nuove forze. Inoltre il progresso della cultura umana, la cui importanza nel campo religioso non dev’essere trascurata, fa sì che i fedeli seguano con maggiore adesione ed amore le direttive della Chiesa, se, per quanto è possibile in materia di fede e di costumi, vengono fatti loro intendere con chiarezza i motivi delle definizioni e delle leggi».[8]
L’abolizione dello Jusjurandum antimodernisticum fu parte di un progetto di smantellamento dell’assetto disciplinare della Chiesa, proprio nel momento in cui maggiore era la minaccia di adulterazione della Fede e della Morale da parte dei Novatori. Questa operazione conferma l’intenzione di chi, dinanzi all’attacco ultra-progressista iniziato al Concilio, non solo lasciava libertà di azione al nemico, ma anzi privava la Gerarchia dei mezzi disciplinari con cui premunirsi e difendersi. E fu una diserzione, un tradimento di gravità inaudita, specialmente in quegli anni tremendi: come se in pieno combattimento il comandante in capo ordinasse di deporre le armi dinanzi al nemico, mentre questi si appresta ad invadere la Cittadella. 

INADEGUATEZZA DELLA NUOVA FORMULA

L’inadeguatezza della formula del 1967 è ammessa anche da padre Umberto Betti o.f.m. nelle Considerazioni dottrinali apparse nel 1989, dopo la promulgazione della nuova formula della Professione di Fede:
«Questa affermazione onnicomprensiva, se si raccomandava per la sua brevità, non era immune da un doppio svantaggio: quello di non ben distinguere le verità proposte a credere come divinamente rivelate da quelle proposte in modo definitivo sebbene non divinamente rivelate; e quello di passare sotto silenzio gli insegnamenti del supremo magistero senza la connotazione del divinamente rivelato o della proposizione definitiva».[9]
Par di comprendere che la sollecitudine della Congregazione fosse motivata dalla necessità di includere nel Giuramento di fedeltà anche lo stesso Concilio e il magistero che non hanno «la connotazione del divinamente rivelato o della proposizione definitiva», dopo che con leggerezza – sull’onda dello smantellamento conciliare – la prima formula aveva sostanzialmente lasciato intendere che il contenuto del Giuramento Antimodernistico non avesse più valore e che quindi si potesse aderire – come effettivamente avvenne – alle dottrine eterodosse del Modernismo. 

I RIBELLI FANNO PROPRIE LE ISTANZE DEL COMUNISMO

Non posso affermare con certezza che padre Theodore M. Hesburgh fosse al corrente dell’imminente abolizione della Professio Fidei e del Giuramento Antimodernistico, quando preparò la Dichiarazione di Land O’Lakes. Nondimeno, credo sia evidente che il clima di ribellione di quegli anni in Europa e negli Stati Uniti abbia ampiamente lasciato ritenere che Roma approvasse, se non gli eccessi più scandalosi, certamente le forme di compromesso con il progressismo. 

Ricordo che il Cardinale Alfrink, il 9 Ottobre 1966, aveva presentato a Utrecht il “Nuovo Catechismo” olandese, come espressione di tutti gli errori che lo spirito del Concilio considerava ormai acquisiti. L’anno dopo, il 10 Ottobre 1967, durante il III Congresso Mondiale per l’apostolato dei laici riunito a Roma, venne commemorata la morte di Ernesto Che Guevara, deceduto il giorno prima in un’azione di guerriglia. Nei mesi successivi seguirono le violente occupazioni studentesche delle Università, ivi compresa la Cattolica di Milano, per protestare contro la guerra del Vietnam. E il 5 Dicembre, grazie agli uffici di Agostino Casaroli, fu ricevuto in udienza il presidente dell’assemblea studentesca della Cattolica, Nello Canalini, dal Sostituto della Segreteria di Stato mons. Giovanni Benelli. Il 21 Dicembre, nonostante i richiami dell’Ordine, tre sacerdoti e una suora si unirono ai guerriglieri in Guatemala e due giorni dopo, in occasione dell’Udienza di Lindon Johnson in Vaticano, si ebbero proteste dei cattolici progressisti, tra cui il Circolo Maritain di Rimini. Seguì la condanna della guerra del Vietman da parte del Cardinale Lercaro (1 Gennaio 1968) e il proclama anti-imperialista di Fidel Castro, scritto da quattro sacerdoti. Il 31 Gennaio il Vescovo brasiliano Jorge Marcos difese la rivoluzione durante un intervento televisivo. Il 16 Febbraio i Presidenti nazionali della FUCI, Mirella Gallinaro e Giovanni Benzoni, inviarono una lettera aperta ai professori universitari in cui sostenevano le ragioni della contestazione studentesca. Da allora si moltiplicarono le manifestazioni di protesta, anche violente, dando luogo al tristemente famoso Sessantotto. Non c’è da stupirsi: Che Guevara fu formato in un collegio di Gesuiti a Santiago de Cuba e la rivoluzione in campo politico procede sempre da una rivoluzione in campo teologico.

LA RESA DELLA GERARCHIA ALL’EVERSIONE 

È evidente che la temperie politica di quegli anni fu il brodo di coltura della Rivoluzione, ed altrettanto evidente che la Chiesa non reagì con la fermezza e la determinazione che sarebbero state necessarie; del resto, anche da parte dei Governi nazionali la risposta fu assolutamente inefficace. Si comprende quindi che il clima di ribellione in cui le istanze ereticali del progressismo cattolico poterono imporsi non potevano non trovare coinvolti i sedicenti intellettuali e teologi tanto di Land O’Lakes quanto di moltissimi atenei di tutto il mondo. La Gerarchia, anziché interrogarsi sulla causa di quelle agitazioni, cercò maldestramente di deplorarne gli eccessi, proprio perché quella causa risiedeva nel Vaticano II e nella sua spinta contestatrice, nonostante i proclami di Paolo VI:
«Dopo il Concilio la Chiesa ha goduto, e sta tuttora godendo, d’un grande e magnifico risveglio, che a Noi per primi piace riconoscere e favorire; ma la Chiesa ha anche sofferto e soffre ancora per un turbine di idee e di fatti, che non sono certo secondo lo Spirito buono e non promettono quel rinnovamento vitale, che il Concilio ha promesso e promosso. Un’idea a doppio effetto si è fatta strada anche in certi ambienti cattolici: l’idea del cambiamento, che ha preso il posto per alcuni dell’idea dell’aggiornamento, presagito da Papa Giovanni di venerata memoria, attribuendo così, contro l’evidenza e contro la giustizia, a quel fedelissimo Pastore della Chiesa criteri non più innovatori, ma talvolta perfino eversivi dell’insegnamento e della disciplina della Chiesa stessa».[10]
Questi «criteri non più innovatori, ma talvolta perfino eversivi dell’insegnamento e della disciplina della Chiesa stessa» sono oggi sotto i nostri occhi, e lo furono di lì a pochi anni, quando all’intero popolo cristiano venne imposta la nuova Messa, summa dell’eversione in ambito liturgico. 

Ricordo bene il clima di quegli anni, e lo sgomento di tanti Pastori, professori e teologi dinanzi all’arroganza dei ribelli e alla violenza dei loro sostenitori. Ma ricordo anche la pavidità e il timore di alimentare gli scontri: frutto di quel senso di inferiorità che aveva afflitto soprattutto i vertici della Chiesa e dello Stato. D’altra parte, dopo l’operazione di smantellamento della ieraticità del Pontificato di Pio XII ad opera di Roncalli e Montini, quella sensazione di fallimento era l’unica risposta da parte di un Episcopato abituato all’obbedienza cieca, specialmente dinanzi all’impunità di cui godevano i loro Confratelli modernisti. Era l’epoca in cui l’abate benedettino di Michealsberg (Germania) chiedeva la riduzione allo stato laicale per protesta contro i “metodi autoritari” del Vaticano, finendo per sposarsi di lì a poco. Era l’epoca della Lettera dei Settecento, in cui 774 preti e laici francesi scrissero a Paolo VI per contestare le posizioni della Gerarchia, chiedere di rinunciare al potere temporale e di essere più vicina ai poveri. Oggi quei settecento sediziosi porterebbero in trionfo Bergoglio, che ha portato a compimento quanto il Concilio aveva improvvidamente iniziato.

LE «CASEMATTE» IN AMBITO ECCLESIASTICO

Alla vigilia del Sessantotto, cancellare la Professio fidei e il Giuramento Antimodernistico fu una decisione sciagurata, perché come la presa della Bastiglia fu preparata nelle conventicole dei Massoni, così la Rivoluzione del ’68 trovò nelle Università cattoliche la propria base ideologica e ne formò i più esagitati protagonisti, alcuni dei quali furono esponenti politici dell’estrema sinistra. Non chiedere ai professori di quegli atenei ed ai cappellani delle associazioni laicali di prestare giuramento equivaleva ad autorizzarli a trasmettere le loro idee eterodosse, lasciando intendere che la condanna del Modernismo fosse caduta. Ciò consentì la presa di potere da parte dei Novatori, secondo i metodi analizzati da Antonio Gramsci, il quale individuava negli apparati dello Stato – scuola, partiti, sindacati, stampa, associazioni – le «casematte» del nemico da conquistare in un’azione parallela alla guerra di trincea.[11]

Nota a tal proposito Alexander Höbel, in un suo saggio sul filosofo fondatore del Partito Comunista d’Italia:
[Il partito comunista], prima della presa del potere politico, deve combattere per l’egemonia nella società civile, che significa egemonia sul piano ideologico e culturale, ma significa anche conquistare – durante una lunga «guerra di posizione» che si alterna a fasi di «guerra di movimento» – quelle «casematte», quelle trincee, quella miriade di piccoli e grandi centri di potere (o di resistenza) popolare che sono i sindacati, le cooperative, i Comuni, le associazioni, e tutto il reticolo di strutture che rendono oggi la nostra società civile immensamente più complessa di quella dell’epoca di Gramsci. È nel corso di questo processo che la classe subalterna «diviene soggetto storico», classe per sé; comincia cioè a diventare classe dirigente e pone le basi per diventare anche classe dominante, ossia per conquistare il potere politico sulla base del consenso e di una condivisione di massa, espressione di un nuovo «blocco storico». In questa lotta egemonica il proletariato non solo costruisce una politica di alleanze, ma porta alla luce della coscienza politica quei cambiamenti che sono già avvenuti sul piano strutturale, dello sviluppo delle forze produttive, rendendo chiaro che anche la trasformazione politica e sociale è non solo possibile ma necessaria. In tale quadro, è chiaro che l’approccio rispetto ai potenziali alleati «l’unica possibilità concreta è il compromesso, poiché la forza può essere impiegata contro i nemici, non contro una parte di se stessi che si vuole rapidamente assimilare».[12]
Se applichiamo le raccomandazioni di Gramsci a quanto è avvenuto in seno alla Chiesa nell’ultimo secolo, possiamo constatare che l’opera di conquista delle «casematte» ecclesiastiche è stata condotta con gli stessi metodi eversivi; certamente l’infiltrazione del deep state nelle istituzioni civili e della deep church nelle istituzioni cattoliche risponde a questo criterio.

L’ESENZIONE DAL GIURAMENTO PER GLI ATENEI TEDESCHI

Per quanto concerne l’esenzione dal Giuramento per i dipartimenti cattolici delle Università tedesche all’epoca di San Pio X, mi pare di comprendere - dalla documentazione che ho consultato[13] – che questa deroga non sia stata effettivamente concessa, ma estorta de facto contro le disposizioni della Santa Sede, grazie all’indulgenza di alcuni membri dell’Episcopato tedesco. Se il Cardinale Walter Brandmüller ha evidenziato le conseguenze di questa esenzione sulla scuola teologica in Germania, da parte mia mi limito a notare che esse sono evidenti nella formazione di Joseph Ratzinger, il quale frequentò l’Istituto Superiore di Filosofia e Teologia di Frisinga, il Seminario Herzogliches Georgianum di Monaco di Baviera e l’Università Ludwig Maximilian di Monaco. Anche il gesuita Karl Rahner, tra gli altri, si formò in Germania: il suo curriculum gli valse la nomina a perito del Concilio su iniziativa di Giovanni XXIII, amico del modernista Bonaiuti.

È a tal proposito interessante quello che ha notato il prof. Claus Arnold nel suo studio The Reception of the Encyclical Pascendi in Germany:
«Da un’indagine complessiva si può ricostruire che l’Enciclica Pascendi è stata attuata in modo molto approssimativo, almeno secondo gli standard di una regola burocratica centralizzata. In questa prospettiva si può riconoscere un alto grado di indolenza e resistenza episcopale, anche in Germania. Pio X aveva tutte le ragioni per essere deluso: la sospetta setta segreta dei modernisti all’interno della Chiesa non poteva essere scoperta dai vescovi, e il giuramento antimodernista del 1910 può essere visto come un’espressione di insoddisfazione per questa cecità episcopale. Tuttavia, l’elevata deviazione dall’obbligo di rendicontazione e le risposte spesso formalizzate e di immunizzazione interpretativa dei vescovi non dovrebbero indurci a sottovalutare l’effetto dell’enciclica».[14]
Certamente la disciplina allora vigente tanto nei Dicasteri romani quanto nelle Diocesi del mondo ha impedito il completo boicottaggio delle disposizioni impartite provvidenzialmente da San Pio X. Tant’è vero che lo stesso Joseph Ratzinger nel 1955 venne accusato di modernismo dal correlatore della dissertazione per l’abilitazione all’insegnamento, il prof. Michael Schmaus, contro il collega Gottlieb Söhngen che con Ratzinger condivideva l’impostazione di segno opposto. Il giovane teologo dovette correggere la propria dissertazione nei punti in cui essa insinuava una soggettivizzazione del concetto di Rivelazione.[15]

IL GIURAMENTO AL CONCILIO

Confermo che, secondo le norme canoniche allora in vigore, tutti i Vescovi che hanno partecipato al Concilio Vaticano II e tutti i chierici con incarichi nelle Commissioni hanno prestato lo Jusiurandum antimodernisticum, assieme alla Professio fidei. Certamente coloro che al Concilio respinsero gli schemi preparatori predisposti dal Sant’Uffizio e svolsero un ruolo determinante nella redazione dei testi più controversi mancarono al giuramento prestato sui Santi Vangeli; ma non penso che per costoro questo ponesse un grave problema di coscienza.

IL CREDO DEL POPOLO DI DIO

Il Credo del popolo di Dio pronunciato da Paolo VI il 30 Giugno 1968 nella Cappella Papale con la quale si concludeva l’Anno della Fede avrebbe dovuto rappresentare la risposta della Sede Apostolica all’onda montante della contestazione dottrinale e morale; sappiamo che esso fu fortemente raccomandato da alcuni Porporati. Alla sua redazione collaborò Jacques Maritain, che per il tramite del Cardinale Charles Journet, ricevuto in udienza da Paolo VI tra il 1967 e il 1968, sottopose uno schema di Professione di fede da opporre in qualche modo all’eretico Catechismo Olandese pubblicato poco prima e che in quei mesi era all’esame di una Commissione cardinalizia di cui faceva parte lo stesso Journet. In precedenza, sempre su richiesta di Paolo VI, era stata preparata un’altra professione di fede dal domenicano Yves Congar, che fu scartata. Ma c’è un altro dettaglio:
«in un passaggio, Maritain aveva citato esplicitamente la comune testimonianza che israeliti e islamici rendono all’unità di Dio insieme ai cristiani. Nel suo Credo, invece, Paolo VI rende grazie alla bontà divina per i “tanti credenti” che condividono con i cristiani la fede nel Dio unico, ma senza citare in forma esplicita l’ebraismo e l’islam».[16]
Scopriamo così che, se non fosse stato per la provvidenziale revisione del Sant’Uffizio, quel Credo avrebbe introdotto la dottrina di Nostra Ætate che fu poi ripresa dai Successori di Montini e che con Bergoglio ha conosciuto la sua coerente espressione nella Dichiarazione di Abu Dhabi. [17]

L’ABDICAZIONE DELL’AUTORITÀ APOSTOLICA

E qui si scopre un altro punctum dolens del modo di agire che accomuna Maritain e Montini:
«Nell’introduzione al testo preparato su richiesta di Journet, Maritain aveva aggiunto alcuni suggerimenti di metodo. Secondo lui era opportuno che il Papa usasse una procedura nuova, confessando la sua professione di fede come una pura e semplice testimonianza: “La testimonianza della nostra fede, ecco ciò che noi vogliamo portare davanti a Dio e davanti agli uomini”. Secondo Maritain, la pura e semplice “confessio fidei” avrebbe aiutato meglio la moltitudine delle anime travagliate, senza dover presentare la professione di fede come mero atto d’autorità: “Se il Papa avesse l’aria di prescrivere o d’imporre la sua professione di fede a nome del suo magistero, o dovrebbe dire tutta la verità, sollevando tempeste, o dovrebbe usare dei riguardi, evitando di trattare i punti più pericolosamente minacciati, e ciò sarebbe la cosa peggiore di tutte”. La cosa più efficace e necessaria era confessare chiaro e forte l’integrità della fede della Chiesa, senza anatemizzare nessuno».[18]
Dire tutta la verità, secondo Maritain, avrebbe sollevato tempeste. L’alternativa, ossia usare dei riguardi «evitando di trattare i punti più pericolosamente minacciati» era stata già adottata al Concilio. Così si scelse, ancora una volta, il compromesso. La mediocritas eretta a metodo di governo nella Chiesa, la cifra del nuovo magistero meramente propositivo che eviti «ogni allusione alla forma anatematica. Ma a nome di colui che occupa attualmente la sede dell’apostolo Pietro. In modo che tutte le ambiguità saranno escluse».[19] Il Sant’Uffizio aggiunge anche un interessante commento che potremmo oggi rivalutare, specialmente dopo Fratelli tutti:
«Secondo Duroux andrebbe aggiunta anche la precisazione che quando la Chiesa si occupa delle questioni temporali non ha lo scopo di instaurare un paradiso sulla terra, ma semplicemente di rendere la condizione presente degli uomini meno inumana. Un’inserzione che servirebbe a sgombrare il campo da interpretazioni ambigue riguardo alle posizioni assunte da ampi settori ecclesiali soprattutto in America Latina davanti alle ingiustizie politiche e sociali».[20]
Con quella professione di fede, «senza essere una definizione dogmatica propriamente detta, e pur con qualche sviluppo, richiesto dalle condizioni spirituali del nostro tempo»,[21] si cercò di far dire al Papa quello che era stato taciuto dal Concilio: si noterà che il testo del Credo riporta 15 citazioni di Lumen Gentium, mentre menziona per 16 volte gli atti del Magistero infallibile precedente, peraltro solo indicando il riferimento numerico del Denzinger. 

In ogni caso, questa Professione di fede non venne mai adottata assieme al Giuramento, e servì più a tacitare gli animi esasperati dei Pastori e dei fedeli che a ricondurre i ribelli all’ortodossia cattolica.
Faccio notare un altro elemento da non sottovalutare, presente nelle dichiarazioni di Maritain: «Se il Papa avesse l’aria di prescrivere o d’imporre la sua professione di fede a nome del suo magistero…». Ecco il punto principale su cui verte l’intera questione: l’abdicazione dell’autorità da parte dell’Autorità stessa. Secondo questa impostazione, il Papa non deve dare nemmeno l’impressione di prescrivere o imporre nulla, e se per accidens l’ha fatto Paolo VI, oggi ci troviamo nella situazione auspicata cinquant’anni fa dal pensatore francese: certamente Bergoglio non ha l’aria «di prescrivere o d’imporre la sua professione di fede a nome del suo magistero», e quell’«usare dei riguardi, evitando di trattare i punti più pericolosamente minacciati» si è ormai mutato in un’affermazione plateale e sfrontata di un contro-magistero che pur essendo canonicamente privo di qualsiasi autorità apostolica, nondimeno ha la forza dirompente delle parole di colui che il mondo riconosce come Vicario di Cristo, Successore del Principe degli Apostoli, Romano Pontefice. Così, pur non avendone l’aria, Jorge Mario Bergoglio sfrutta la propria autorevolezza e la visibilità che i media mainstream gli accordano per demolire la Chiesa di Cristo. E se l’errore può affermarsi impunemente «senza anatemizzare nessuno», la «forma anatematica» è ampiamente usata contro chi difende l’ortodossia cattolica o denuncia la frode in atto. Inutile ricordare che l’«usare dei riguardi, evitando di trattare i punti più pericolosamente minacciati» oggi include non solo gli aspetti dottrinali, ma anche quelli morali, assecondando le gravissime deviazioni in tema di teoria gender, di omosessualità, transessualismo e concubinato.

RATZINGER E IL GIURAMENTO ANTIMODERNISTICO

Che tra quanti hanno prestato il giuramento sia da annoverare anche Joseph Ratzinger è evidente; che egli abbia «svolto un ruolo cruciale nel rovesciare gli schemi preparatori del Concilio e avviare un approccio completamente nuovo», e così facendo egli abbia infranto il giuramento è altrettanto pacifico. Se nel fare ciò Ratzinger ha avuto piena consapevolezza di compiere un sacrilegio lo sa solo Dio, che scruta nell’intimo dei cuori. 

Mi pare altresì innegabile che vi siano molti suoi scritti in cui emerge tanto la formazione hegeliana quanto l’influenza del Modernismo, come ha evidenziato egregiamente il prof. Enrico Maria Radaelli nei suoi saggi e come la nuova biografia di Papa Benedetto XVI scritta da Peter Seewald conferma con dovizia di particolari e numerose fonti. A tal proposito ritengo sia evidente che le dichiarazioni di Joseph Ratzinger riportate da Seewald sconfessino ampiamente quell’ermeneutica della continuità che Benedetto XVI ha teorizzato, forse come prudente ritrattazione degli entusiasmi d’un tempo.

Penso tuttavia che il tempo, il ruolo di Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e infine l’elezione al Soglio abbiano determinato quantomeno una qualche resipiscenza circa gli errori commessi e le idee professate. Sarebbe tuttavia auspicabile che egli, soprattutto in considerazione del Giudizio divino che lo attende, prendesse definitivamente le distanze da quelle proposizioni teologicamente erronee – mi riferisco in particolare a Introduzione al Cristianesimo – che ancor oggi sono divulgate nelle Università e nei Seminari che ancora si fregiano del titolo di cattolici. Delicta juventutis meae et ignorantias meas ne memineris Domine (Sal 25, 7).

7 Dicembre 2020
S. Ambrosii Episcopi et Confessoris
et Ecclesiæ Doctoris
 
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1. https://www.lifesitenews.com/blogs/questions-for-archbishop-vigano-concerning-the-oath-against-modernism-and-its-abrogation 
2. https://www.marcotosatti.com/2020/09/14/vigano-intervista-cattolici-pro-aborto-rinnegano-la-chiesa/ 3. San Pio X, Motu Proprio Sacrorum Antistitum, quo quaedam statuuntur leges ad Modernismi periculum propulsandum, 1 Settembre 1910 - http://www.vatican.va/content/pius-x/la/motu_proprio/documents/hf_p-x_motu-proprio_19100901_sacrorum-antistitum.html Si noti che il sito della Santa Sede pubblica il documento solo nel testo latino, senza traduzione in lingua corrente, a differenza di tutti i testi recenti. 
4. Sacra Congregazione del Sant’Uffizio, Decreto Lamentabili sane exitu, 3 Luglio 1907 - http://www.unavox.it/Documenti/doc0177_Lamentabili.htm 
5. San Pio X, Enciclica Pascendi Dominici gregis sugli errori del Modernismo, 8 Settembre 1907 -http://www.vatican.va/content/pius-x/it/encyclicals/documents/hf_p-x_enc_19070908_pascendi-dominici-gregis.html 
6. Cfr. La Civiltà Cattolica, 1907, 4, 106: «Vogliamo ed ordiniamo che i vescovi di ciascuna diocesi, trascorso un anno dalla pubblicazione delle presenti Lettere, e poscia ogni triennio, con diligente e giurata esposizione riferiscano alla Sede Apostolica intorno a quanto si prescrive in esse, e sulle dottrine che corrono in mezzo al clero e soprattutto nei seminari ed altri istituti cattolici, non eccettuati quelli che pur sono esenti dall’autorità dell’ordinario. Lo stesso imponiamo ai superiori generali degli ordini religiosi a riguardo dei loro dipendenti» (art. VII). Si veda a tal proposito: Alejandro M. Dieguez, Tra competenze e procedure: la gestione dell’operazione, in: The Reception and Application of the Encyclical Pascendi, Studi di Storia 3, a cura di Claus Arnold e Giovanni Vian, Edizioni Ca’ Foscari, 2017 - https://edizionicafoscari.unive.it/media/pdf/books/978-88-6969-131-7/978-88-6969-131-7-ch-03_mPQxGzC.pdf 
7. Cfr. AAS, 1967, pag. 1058 - http://www.vatican.va/archive/aas/documents/AAS-59-1967-ocr.pdf 
8. Paolo VI, Lettera Apostolica in forma di Motu Proprio Integrae servandae, 7 Dicembre 1965 - http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19651207_integrae-servandae.html 
9. Considerazioni dottrinali sulla Professione di fede e il Giuramento di fedeltà, in: Notitiae 25 (1989) 321-325 - https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/documents/rc_con_cfaith_doc_19880701_professio-fidei-cons-dott_it.html 
10. Paolo VI, Udienza generale, 25 Aprile 1968 - http://w2.vatican.va/content/paul-vi/it/audiences/1968/documents/hf_p-vi_aud_19680425.html 
11. Cfr. A. Gramsci, Quaderni del carcere, a cura di V. Gerratana, Torino, Einaudi, 1975, pp. 1566-1567 
12. Cfr. Alexander Höbel, Gramsci e l’egemonia. Complessità e trasformazione sociale, in https://malacoda4.webnode.it/gramsci-e-l-egemonia-complessita-e-trasformazione-sociale/ 
13. La Civiltà Cattolica, anno 65, 1914, vol. 2, La parola del Papa e i suoi pervertitori, pag. 641-650. In relazione al discorso di Pio X al Concistoro del 27 Maggio 1914 (AAS 28 maggio 1914, anno VI, vol. VI, n. 8 pp. 260-262): «Il Papa qui si riferisce soprattutto al giuramento antimodernista, che circa cinque anni orsono doveva essere imposto ai professori di teologia delle Università dell’Impero…» (pag. 648). Il passo del discorso di Pio X al Concistoro è questo: «Se mai Vi incontraste in coloro che si vantano credenti, devoti al Papa, e vogliono essere cattolici ma avrebbero per massimo insulto l’essere detti clericali, dite solennemente che figli devoti del Papa sono quelli che obbediscono alla sua parola ed in tutto lo seguono, e non coloro, che studiano i mezzi per eluderne gli ordini, o per obbligarlo con insistenze degne di miglior causa ad esenzioni o dispense tanto più dolorose quanto più sono di danno e di scandalo». Il 30 Maggio 1914 l’Osservatore Romano risponde con una nota: «Abbiamo veduto che alcuni giornali commentando il discorso rivolto mercoledì passato dal Santo Padre ai novelli Cardinali, hanno insinuato o per confondere le idee e turbare gli animi, o per altri scopi, che Sua Santità, parlando di dannose esenzioni o dispense che si insiste per ottenere da lui, abbia voluto alludere al giuramento antimodernistico in Germania. Ciò è completamente falso e ci sembra che l’equivoco a questo riguardo, non debba essere possibile. L’unico passo di quel discorso che si riferisce in modo particolare alla Germania, sebbene non ad essa esclusivamente, è quello sulle associazioni miste ed in esso il Pontefice non ha fatto che confermare ancora una volta i principi da Lui svolti nell’Enciclica Singulari quadam». 
14. «In a global survey it can be reconstructed that the Encyclical Pascendi was implemented very inchoately, at least according to the standards of a centralized bureaucratic rule. In this perspective, a high degree of episcopal indolence and resistance can be acknowledged, even in Germany. Pius X had every reason to be disappointed: the suspected secret sect of the modernists within the Church could not be uncovered by the bishops, and the anti-modernist oath of 1910 can be seen as an expression of dissatisfaction with this episcopal blindness. However, the high deviance from the reporting requirement and the often formalized and interpretative-immunizing responses of the bishops should not lead us to underestimate the effect of the encyclical» (pag. 87). Si veda: The Reception of the Encyclical Pascendi in Germany Claus Arnold (Johannes Gutenberg-Universität Mainz, Deutschland), in: The Reception and Application of the Encyclical Pascendi, Studi di Storia 3, a cura di Claus Arnold e Giovanni Vian, Edizioni Ca’ Foscari, 2017, pag. 75 sgg. - https://edizionicafoscari.unive.it/media/pdf/books/978-88-6969-131-7/978-88-6969-131-7_3wnVeKK.pdf 
15. «Per Schmaus la fede della Chiesa si comunicava con concetti definitivi, statici, che definiscono verità perenni. Per Söhngen la fede era mistero, e si comunicava in una storia. A quel tempo si parlava molto di storia della salvezza. C’era un fattore dinamico, che garantiva anche un’apertura e un prendere in considerazione le domande nuove». Intervista con Alfred Läpple di Gianni Valente e Pierluca Azzaro, Quel nuovo inizio che fiorì tra le macerie, in 30 giorni, 01/02, 2006 - www.30giorni.it/articoli_id_10082_l1.htm 
16. Sandro Magister, Il Credo di Paolo VI. Chi lo scrisse e perché, 6 Giugno 2008 - http://chiesa.espresso.repubblica.it/articolo/204969.html 
17. Sandro Magister nota: «Negli anni Cinquanta, Maritain fu vicino ad essere condannato dal Sant’Uffizio per il suo pensiero filosofico, sospettato di “naturalismo integrale”. La condanna non scattò anche perché ne prese le difese Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI, all’epoca sostituto segretario di stato, legato da lunga amicizia con il pensatore francese». Ibidem. 
18. Gianni Valente, Paolo VI, Maritain e la fede degli apostoli, in 30 giorni, 04, 2008 - www.30giorni.it/articoli_id_17689_l1.htm 
19. Così suggerì il 6 Aprile 1968 il domenicano Benoît Duroux, a quel tempo collaboratore del segretario dell’ex Sant’Uffizio mons. Paul Philippe. Ibidem. 
20. Ibidem. 
21. Paolo VI, Omelia per la solenne concelebrazione a conclusione dell’Anno della Fede nel centenario del Martirio dei Santi Apostoli Pietro e Paolo, 30 Giugno 1968 - http://www.vatican.va/content/paul-vi/it/motu_proprio/documents/hf_p-vi_motu-proprio_19680630_credo.html 
22. «Noi siamo coscienti dell’inquietudine, che agita alcuni ambienti moderni in relazione alla fede. Essi non si sottraggono all’influsso di un mondo in profonda trasformazione, nel quale un così gran numero di certezze sono messe in contestazione o in discussione. Vediamo anche dei cattolici che si lasciano prendere da una specie di passione per i cambiamenti e le novità». Ibidem.

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