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lunedì 29 marzo 2021

Il cardinale Sarah chiede al papa di ritirare il divieto delle messe “individuali” in San Pietro

Riprendo da Settimo cielo le osservazioni del card. Robert Sarah riguardo alla strana nota della Segreteria di Stato che proibisce le messe individuali nella basilica di San Pietro [qui - qui]. Abbiamo già esaminato quelle del card. Walter Brandmüller sul Tagespost [qui] che fanno seguito al comunicato del card. Burke qui. Analogamente si è espresso anche il card. Gerhard L. Müller.
LifeSiteNews ha organizzato una petizione. Chi è interessato a firmarla : qui

Osservazioni sulle nuove norme
per le Messe in San Pietro 
Robert Card. Sarah 

Vorrei spontaneamente aggiungere la mia voce a quella dei cardinali Raymond L. Burke, Gerhard L. Müller e Walter Brandmüller, i quali hanno già espresso il proprio pensiero riguardo alla disposizione emanata il 12 marzo scorso dalla segreteria di Stato vaticana, che proibisce la celebrazione individuale dell’Eucaristia sugli altari laterali della basilica di San Pietro.
I menzionati confratelli cardinali hanno già rilevato parecchie problematiche legate al testo della segreteria di Stato.
Il cardinale Burke ha messo in evidenza, da eccellente canonista qual è, i notevoli problemi giuridici, oltre a fornire altre utili considerazioni.
Il cardinale Müller ha ugualmente rimarcato un certo difetto di competenza, ossia di autorità, da parte della segreteria di Stato nell’emanare la decisione in parola. Sua Eminenza, che è un celebre teologo, ha fatto anche qualche rapido ma sostanzioso cenno ad alcune questioni teologiche rilevanti.
Il cardinale Brandmüller si è concentrato sulla questione della legittimità di un tale uso dell’autorità ed ha anche ipotizzato – in base alla sua sensibilità di grande storico della Chiesa – che la decisione sulle Messe in basilica potrebbe rappresentare un “ballon d’essai” in vista di future decisioni che potrebbero interessare la Chiesa universale.

Se questo fosse vero, risulta ancora più necessario che sia noi vescovi, sia i sacerdoti, sia il santo popolo di Dio facciamo sentire rispettosamente la nostra voce. Propongo quindi di seguito alcune brevi riflessioni.
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1. Il Concilio Vaticano II ha certamente manifestato la preferenza della Chiesa per la celebrazione comunitaria della liturgia. La costituzione “Sacrosanctum concilium” insegna al n. 27: “Ogni volta che i riti comportano, secondo la particolare natura di ciascuno, una celebrazione comunitaria caratterizzata dalla presenza e dalla partecipazione attiva dei fedeli, si inculchi che questa è da preferirsi, per quanto è possibile, alla celebrazione individuale e quasi privata”.

Immediatamente dopo, nello stesso paragrafo, i padri conciliari – forse prevedendo l’uso che delle loro parole si sarebbe potuto fare dopo il Concilio – aggiungono: “Ciò vale soprattutto per la celebrazione della Messa, benché qualsiasi Messa abbia sempre un carattere pubblico e sociale, e per l’amministrazione dei sacramenti”. La Messa, quindi, anche se celebrata dal solo sacerdote, non è mai un atto privato e tantomeno rappresenta per ciò stesso una celebrazione poco dignitosa.

Va aggiunto, per inciso, che possono esserci concelebrazioni poco dignitose e poco partecipate e celebrazioni individuali molto decorose e ben partecipate, dipendendo ciò sia dall’apparato esterno sia dalla devozione personale tanto del celebrante quanto dei fedeli, quando presenti. Il decoro della liturgia non si ottiene quindi in modo automatico semplicemente vietando la celebrazione individuale della Messa e imponendo la concelebrazione.

Nel decreto “Presbyterorum ordinis”, poi, il Vaticano II insegna: “Nel mistero del sacrificio eucaristico, in cui i sacerdoti svolgono la loro funzione principale, viene esercitata ininterrottamente l’opera della nostra redenzione e quindi se ne raccomanda caldamente la celebrazione quotidiana, la quale è sempre un atto di Cristo e della sua Chiesa, anche quando non è possibile che vi assistano i fedeli” (n. 13).

Non solo qui si conferma che, anche quando il sacerdote celebra senza il popolo, la Messa resta un atto di Cristo e della Chiesa, ma se ne raccomanda pure la celebrazione quotidiana. San Paolo VI, nell’enciclica “Mysterium fidei”, riprese entrambi questi aspetti e li confermò con parole ancora più incisive: “Se è sommamente conveniente che alla celebrazione della Messa partecipi attivamente gran numero di fedeli, tuttavia non è da riprovarsi, anzi da approvarsi, la Messa celebrata privatamente, secondo le prescrizioni e le tradizioni della santa Chiesa, da un sacerdote col solo ministro inserviente; perché da tale Messa deriva grande abbondanza di particolari grazie, a vantaggio sia dello stesso sacerdote, sia del popolo fedele e di tutta la Chiesa, anzi di tutto il mondo, grazie che non si possono ottenere in uguale misura mediante la sola comunione” (n. 33). Tutto ciò è riconfermato dal can. 904 del Codice di Diritto Canonico.

In sintesi: quando possibile, si preferisce la celebrazione comunitaria, ma la celebrazione individuale da parte di un sacerdote rimane opera di Cristo e della Chiesa. Il magistero non solo non la proibisce, ma la approva, e raccomanda ai sacerdoti di celebrare la Santa Messa ogni giorno, perché da ogni Messa sgorga una grande quantità di grazie per il mondo intero.
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2. A livello teologico, esistono almeno due posizioni attualmente mantenute dagli esperti, riguardo alla moltiplicazione del frutto di grazia dovuto alla celebrazione della Messa.

Secondo un’opinione che si è sviluppata nella seconda metà del Novecento, che dieci sacerdoti concelebrino la stessa Messa, oppure che celebrino individualmente dieci Messe, non fa alcuna differenza quanto al dono di grazia che viene da Dio offerto alla Chiesa ed al mondo.

L’altra opinione, che si basa tra gli altri sulla teologia di san Tommaso d’Aquino e sul magistero particolarmente di Pio XII, sostiene al contrario che concelebrando una sola Messa si riduce il dono di grazia, perché “in più Messe si moltiplica l’oblazione del sacrificio e quindi si moltiplica l’effetto del sacrificio e del sacramento” (Summa Theologiae, III, q. 79, a. 7 ad 3; cf. q. 82, a. 2; cf. anche Pio XII, “Mediator Dei”, parte II; Allocuzione del 2.11.1954; Allocuzione del 22.9.1956).

Non intendo dirimere qui la questione di quale delle due tesi sia più credibile. La seconda tesi ha comunque dalla sua parte parecchie ragioni favorevoli e non dovrebbe essere ignorata. Va tenuto presente che vi è come minimo la seria possibilità che, costringendo i sacerdoti a concelebrare e quindi riducendo il numero di Messe celebrate, si verifichi una diminuzione del dono di grazia fatto alla Chiesa e al mondo. Se così fosse, il danno spirituale sarebbe incalcolabile.

E bisogna aggiungere che, oltre agli aspetti oggettivi, dal punto di vista spirituale ferisce anche il tono perentorio con cui il testo della segreteria di Stato stabilisce che “siano soppresse le celebrazioni individuali”. In un’affermazione posta in tal modo si avverte, particolarmente nella scelta del verbo, una sorta di inusitata violenza.
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3. A causa delle disposizioni che sono state pubblicate, i sacerdoti che volessero celebrare la Messa secondo la forma ordinaria del rito romano saranno ora costretti a concelebrare.

Anche il forzare i sacerdoti a concelebrare è un fatto singolare. I sacerdoti sono i benvenuti a concelebrare se lo desiderano, ma si può imporre loro la concelebrazione? Si dirà: se non vogliono concelebrare, vadano altrove! Ma è questo lo spirito accogliente della Chiesa che noi vogliamo incarnare? È questo il simbolismo espresso dal colonnato del Bernini antistante la basilica, che idealmente rappresenta le braccia spalancate della Madre Chiesa che accoglie i suoi figli?

Quanti sacerdoti vengono a Roma in pellegrinaggio! È del tutto normale che costoro, anche se non hanno un gruppo di fedeli al seguito, nutrano il sano e bel desiderio di poter celebrare Messa in San Pietro, magari sull’altare dedicato a un santo per il quale nutrono speciale devozione. Da quanti secoli la basilica accoglie tali sacerdoti? E perché ora non vuole più accoglierli, a meno che non accettino l’imposizione della concelebrazione?

D’altro canto, di sua natura la concelebrazione – per come fu pensata e approvata dalla riforma liturgica di Paolo VI – è piuttosto una concelebrazione dei presbiteri con il vescovo, che non (almeno ordinariamente, quotidianamente) una concelebrazione di soli presbiteri. A margine annoterei che simile imposizione avviene mentre l’umanità sta combattendo contro il Covid-19, il che rende meno prudente concelebrare.
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4. Cosa faranno quei sacerdoti che vengono a Roma e non conoscono l’italiano? Come faranno a concelebrare in San Pietro, dove le concelebrazioni si tengono solo in lingua italiana? D’altro canto, anche se si decidesse una correzione su questo, ammettendo l’uso di tre o quattro lingue, ciò non potrebbe mai coprire il vastissimo numero di lingue in cui resta possibile celebrare la Santa Messa.

I tre confratelli cardinali di cui sopra hanno già citato il can. 902 del Codice di Diritto Canonico, che si rifà a “Sacrosanctum concilium” n. 57, il quale garantisce ai sacerdoti la possibilità di celebrare personalmente l’Eucaristia. E anche a questo proposito sarebbe triste se si dicesse: vogliono avvalersi di tale diritto? vadano altrove!

Vorrei aggiungere ancora il richiamo al can. 928: “La celebrazione eucaristica venga compiuta in lingua latina o in altra lingua, purché i testi liturgici siano stati legittimamente approvati”.

Questo canone prevede, innanzitutto, che si celebri Messa anche in latino. Ma questo ora non può essere fatto nella basilica, se si eccettua la celebrazione in forma straordinaria, su cui tornerò più avanti.
In secondo luogo, il canone prevede che si possa celebrare in altra lingua, se i relativi libri liturgici sono stati approvati. Ma neanche questo ora può essere fatto in San Pietro, a meno che il celebrante non abbia un gruppo di fedeli con sé, nel qual caso, seguendo le nuove norme, egli sarà comunque dirottato nelle Grotte vaticane, rimanendo così l’italiano l’unica lingua ammessa in basilica.

La basilica di San Pietro dovrebbe essere d’esempio per la liturgia di tutta la Chiesa. Ma con queste nuove regole si impongono dei criteri che in nessun altro luogo sarebbero tollerati, in quanto violano tanto il buon senso quanto le leggi della Chiesa.

Ad ogni modo, non si tratta solo di leggi, non trattandosi qui di mero formalismo. Oltre al rispetto, pur doveroso, dei canoni, qui sono in gioco il bene della Chiesa e anche il rispetto che la Chiesa ha sempre avuto per le legittime varietà. La scelta da parte di un sacerdote di non concelebrare è legittima e andrebbe rispettata. E la possibilità di poter celebrare individualmente la Messa dovrebbe essere garantita in San Pietro, dato il diritto comune ma anche l’altissimo valore simbolico della basilica per tutta la Chiesa.
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5. Le decisioni assunte dalla segreteria di Stato danno luogo anche a un’eterogenesi dei fini. Ad esempio, non sembra che il testo miri a un ampliamento dell’uso della forma straordinaria del rito romano, la cui celebrazione viene relegata, dalle recenti disposizioni, nelle Grotte sottostanti la basilica.
Ma in base alle nuove regole, cosa dovrebbe fare un sacerdote che desiderasse legittimamente continuare a celebrare la Messa individualmente? Egli non avrebbe altra scelta che celebrarla nella forma straordinaria, dato che gli viene impedito di celebrare individualmente nella forma ordinaria.

Perché viene vietato di celebrare la Messa di Paolo VI in forma individuale nella basilica di San Pietro, quando – come sopra riportato – lo stesso papa Montini nella “Mysterium fidei” ha approvato questo modo di celebrare?
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6. Quella dei sacerdoti che ogni mattina si alternano agli altari della basilica per offrire il santo sacrificio della Messa è una consuetudine antica e veneranda. Era davvero necessario infrangerla? Simile decisione produce davvero un più grande bene per la Chiesa e un maggiore decoro nella liturgia?
Quanti santi hanno, nell’arco dei secoli, perpetuato questa bella tradizione! Pensiamo ai santi che lavoravano a Roma, o che venivano per un periodo nella Città Eterna. Essi normalmente si recavano in San Pietro per celebrare. Perché negare ai santi di oggi – che grazie a Dio esistono, sono in mezzo a noi e visitano Roma almeno ogni tanto – nonché a tutti gli altri sacerdoti una simile esperienza, così profondamente spirituale? In base a quale criterio e per quale ipotetico progresso si spezza una tradizione plurisecolare e si nega a tanti di celebrare Messa in San Pietro?

Se lo scopo è – come recita il documento – che le celebrazioni “siano animate liturgicamente, con l’ausilio di lettori e di cantori”, tale risultato poteva facilmente ottenersi con un minimo di organizzazione, in modo meno drammatico e soprattutto meno ingiusto. Il Santo Padre tante volte si è rammaricato dell’ingiustizia presente nel mondo odierno. Per enfatizzare questo insegnamento, Sua Santità ha creato addirittura un neologismo, quello della “inequità”. La recente decisione della segreteria di Stato è espressione di equità? È espressione di magnanimità, di accoglienza, di sensibilità pastorale, liturgica e spirituale?

Siccome ho parlato dei santi che hanno celebrato in San Pietro, non dimentichiamoci che la basilica custodisce le reliquie di molti di loro e parecchi altari sono dedicati al santo di cui custodiscono i resti mortali. Le nuove disposizioni stabiliscono che non si possa più celebrare su tali altari. Il massimo consentito è una sola Messa all’anno, nel giorno in cui ricorre la memoria liturgica di quel santo. In questo modo, tali altari sono quasi condannati a morte.

Il ruolo principale, per non dire unico, di un altare, è infatti che su di esso si offra il sacrificio eucaristico. La presenza delle reliquie dei santi sotto gli altari ha un valore biblico, teologico, liturgico e spirituale di tale portata, che non c’è bisogno neanche di farvi cenno. Con la nuova normativa, gli altari di San Pietro sono destinati a fungere, eccetto un giorno all’anno, soltanto da tombe di santi, se non da mere opere d’arte. Quegli altari, invece, devono vivere e la loro vita è la celebrazione quotidiana dalla Santa Messa.
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7. Singolare è anche la decisione che riguarda la forma straordinaria del rito romano. Da oggi in poi, essa – nel numero massimo di quattro celebrazioni quotidiane – è consentita esclusivamente nella Cappella Clementina delle Grotte vaticane ed è del tutto vietata su qualunque altro altare della basilica e delle Grotte.

Si precisa persino che simili celebrazioni saranno svolte solo da sacerdoti “autorizzati”. Questa indicazione, oltre a non rispettare le norme contenute nel Motu Proprio “Summorum Pontificum” di Benedetto XVI, è anche ambigua: chi dovrebbe autorizzare quei sacerdoti? Per quale ragione non si dovrebbe mai più poter celebrare la forma straordinaria in basilica? Quale pericolo essa rappresenta per la dignità della liturgia?

Immaginiamo che un giorno si presenti in sacrestia a San Pietro un sacerdote cattolico di rito diverso dal rito romano. Di certo non gli si potrebbe imporre di concelebrare nel rito romano, dunque c’è da chiedersi: potrebbe quel sacerdote celebrare nel suo rito? La basilica di San Pietro rappresenta il centro della cattolicità, quindi viene spontaneo pensare che una tale celebrazione sarebbe permessa. Ma se una celebrazione effettuata secondo uno degli altri riti cattolici può essere svolta, per l’uguaglianza dei diritti bisognerebbe a maggior ragione riconoscere ai sacerdoti di rito romano la libertà di celebrare nella forma straordinaria di esso.

Per tutti i motivi qui esposti e per altri ancora, assieme a uno sconfinato numero di battezzati (molti dei quali non vogliono o non possono manifestare il proprio pensiero) supplico umilmente il Santo Padre di disporre il ritiro delle recenti norme emanate dalla segreteria di Stato, le quali mancano tanto di giustizia quanto di amore, non corrispondono alla verità né al diritto, non facilitano ma piuttosto mettono in pericolo il decoro della celebrazione, la partecipazione devota alla Messa e la libertà dei figli di Dio.
Roma, 29 marzo 2021

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