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mercoledì 24 marzo 2021

La Chiesa e la tirannia delle leggi o le leggi delle tirannie - don Claude Barthe

La candidatura del cattolico Joe Biden alla presidenza degli Stati Uniti, continuando questi a difendere il diritto all’aborto, ha diviso la Chiesa: un sacerdote gli ha rifiutato la Comunione in una chiesa del Carolina del Sud; il nuovo cardinale di Washington, Wilton Gregory, ha al contrario affermato ch’egli non rifiuterebbe a Biden l’eucarestia; da parte sua, monsignor Charles J. Chaput, arcivescovo emerito di Philadelphia, ha pubblicamente reputato che gli atti di Joe Biden dimostrino come egli non sia in comunione con la Chiesa.

È chiaro come il problema più immediato per la Chiesa, nelle democrazie moderne, sia quello delle leggi tiranniche, siano esse criminali o solamente ingiuste. Ma, al di là del rifiuto delle leggi tiranniche, si pone ad essa ed agli uomini di questo tempo il problema più generale della vita all’interno della tirannia. A questo proposito, la Chiesa e solo la Chiesa può oggi far risplendere la verità, «come una lampada in un luogo oscuro, finché non spunti il giorno» (II Pt 1, 19).

Il disastroso assorbimento del positivismo giuridico da parte dei cattolici

L’odierna vulgata cattolica poggia sulla separazione tra il campo politico, supposto moralmente neutro, semplicemente positivo, e quello della coscienza individuale, dicotomia che esprime ad esempio padre Alain Thomasset, professore di teologia morale presso il Centro Sèvres di Parigi: «Come cristiano, un sindaco può personalmente disapprovare la legge sui matrimoni omosessuali, ma in quanto eletto e pubblico ufficiale ha anche degli obblighi in rapporto alla legge, che s’impone a tutti e di cui egli deve far rispettare l’applicazione[1]».

Si è lontani mille miglia da quel che diceva, ad esempio, Pio XII: «Il semplice fatto che una legge venga dichiarata dal potere legislativo norma vincolante nello Stato – fatto considerato solo in sé e per sé stesso – non è sufficiente a creare un autentico diritto. Il “criterio del semplice fatto” vale solamente per Colui che è l’autore e la regola sovrana di ogni diritto: Dio. Applicarlo indistintamente e definitivamente al legislatore umano, come se la sua legge fosse la regola suprema del diritto, è l’errore del positivismo giuridico, nel senso proprio e tecnico del termine: errore, che è alla base dell’assolutismo di Stato e che equivale ad una deificazione dello Stato stesso»[2]. Infatti, come ricordava san Tommaso: «Ogni legge umana istituita ha il valore di legge nella misura in cui deriva dalla legge naturale, ma, se si allontanasse da essa in qualche punto, risulterebbe non più una legge, ma una corruzione della legge»[3]. Da ciò risulta che «le leggi ingiuste risultano essere molto più forme di violenza che leggi» e non sono vincolanti[4].

Per ben intendere questo punto, occorre considerare le leggi, contrariamente ai sistemi moderni, per quel che devono essere, vale a dire come strumenti privilegiati per una giusta organizzazione della città, attraverso i quali chi governa indica «la regola e la misura» delle azioni compiute dai cittadini. Esse organizzano così ciò per cui la città degli uomini è fatta: il vivere bene, il bene della pace, il rispetto del giusto, di una vita onesta in un armonioso sviluppo intellettuale e morale.

L’essenza della legge degna di questo nome poggia infatti su quella della città, la cui esistenza corrisponde per l’uomo ad un’esigenza di natura[5]. «Senza di questa gli uomini non possono conseguire il loro fine, qui inteso nei suoi aspetti più elevati. Essa dona loro non soltanto beni materiali, ma anche i mezzi per sviluppare la propria vita intellettuale fino alla contemplazione, fino alla verità ultima di Dio, ed è questo il motivo per cui san Tommaso concorda con la constatazione del greco Aristotele, il quale dichiara che la politica è la più divina delle arti. La politica conduce l’uomo al suo fine, dapprima nell’amicizia politica ed anche nella vita religiosa, benché i contemplativi, in un certo senso, superino la vita della città. È a questo aiuto, che la città fornisce all’uomo, che occorre riferire quel che dice san Tommaso sulle funzioni della legge umana»[6].

Si fa molta fatica a comprendere questo oggi, foss’anche solo a livello teorico. L’uomo con la sua vita, che è necessariamente una vita nella città, si trova impegnato in un certo numero di relazioni, che gli impongono dei doveri di giustizia per tutto ciò ch’egli riceve dalla città stessa, educazione, lingua, beni di qualsiasi tipo. Attraverso il compimento di tale giustizia, egli esercita le sue virtù e giunge al suo fine. Le leggi, per natura educatrici, non sono altro che tutrici, che lo costringono ad abbandonare quell’egoismo, cui la sua natura, ferita dal peccato, lo inclina. Alla fine, lo scopo della legge è quello di promuovere il bene e di punire il male: «State sottomessi ad ogni istituzione umana per amore del Signore: sia al re come sovrano, sia ai governatori, come inviati da lui per punire i malfattori e premiare i buoni» (I Pt 2, 13-14); o ancora: «Poiché il principe è per te ministro di Dio per il bene, ma, se fai il male, allora temi, perché non invano egli porta la spada, essendo ministro di Dio per vendicarsi di chi compia il male e punirlo» (Rom 13, 4-5). Il fine dell’apparato legislativo è quello di creare un ordine morale, nel senso non polemico ed anzi più profondo del termine[7].

Lo sconvolgimento della nozione di bene comune

La valanga di leggi tiranniche, che minano le fondamenta della famiglia naturale (divorzio, equiparazione delle filiazioni legittime con quelle extraconiugali, autorizzazione della contraccezione, legalizzazione dell’aborto, «matrimonio» omosessuale, varie procedure di fecondazione artificiale, ecc.) tolgono qualsiasi apparenza di contenuto al bene comune della città. La cosiddetta dottrina sociale della Chiesa è stata costantemente attenta, a giusto titolo, fin dalla Rerum Novarum, allo sconvolgimento del bene comune nell’economia ad opera dell’individualismo moderno e del liberalismo economico. Però lo stesso dicasi, il che è ancor più grave, nella sfera familiare, lungo un altro versante dell’individualismo e del liberalismo.

Per citare ancora il papa della Rerum novarum: «Nell’ordine politico e civile, le leggi hanno come fine il bene comune, dettate non dalla volontà e dal giudizio ingannevole della folla, bensì dalla verità e dalla giustizia. L’autorità dei principi riveste una sorta di carattere sacro più che umano ed è contenuta in maniera tale da non allontanarsi dalla giustizia e da non eccedere nel suo potere. L’obbedienza dei sudditi va di pari passo con l’onore e la dignità, poiché non è la sottomissione di un uomo ad un uomo, bensì la sottomissione alla volontà di Dio regnante attraverso gli uomini»[8]. Siamo certamente nell’ambito naturale, non sovrannaturale, ma l’autorità vi esercita un carattere sacro. Inoltre, il perseguimento del bene comune, «fine e criterio regolatore della vita politica»[9], deve disporre i cittadini ad accedere alla salvezza dell’anima, che loro propone la Chiesa, Sposa di Cristo.

Dove cercare il bene comune naturale, bene ultimo nell’ordine delle cose umane, fine della città o della politica»[10], nelle presenti disposizioni legislative di bioetica, che perseguono un processo di trasgressione delle leggi precedenti senza fine? Cosa resta del «viver bene», di cui dovevano beneficiare tutti coloro che si sono organizzati in una data società politica? «Infatti, se gli uomini si riuniscono, è per condurre una vita buona, ciò a cui ciascuno, se isolato, non potrebbe giungere. Però una vita buona è una vita secondo virtù. La vita virtuosa è dunque il fine del riunirsi degli uomini nella società»[11]. In ciò essa resta tuttavia infinitamente inferiore alla vita soprannaturale, affidata alla Chiesa. Ciò nonostante, le cattive leggi trascinano gli uomini verso la perdizione ed oscurano la Rivelazione. E, poiché l’uomo è spirito e corpo, i beni del corpo (salute, beni esteriori necessari al sostentamento), ma anche il patrimonio accumulato di valori umani e culturali, entrano in questo bene generale razionale (morale), dispensato dalla comunità[12].

L’insostituibile testimonianza della Chiesa docente

Se è necessario che i pastori della Chiesa, papa e vescovi, denuncino le leggi ingiuste, è ciò sufficiente? Tale denuncia non dovrebbe essere accompagnata da una critica più radicale, in nome di un richiamo ai principi generali, che ordinano la vita della città? Nessuno, al di fuori della Chiesa gerarchica, è oggi in grado di farlo efficacemente.

Perché oggi, a causa del moltiplicarsi di leggi tiranniche, non ci si può non interrogare sulla tirannia di quello stesso governo della città, che vizia l’assenza di perseguimento del bene comune. San Tommaso tratta dei «tiranni», che, al di là della promulgazione di una legge contraria al bene comune, stravolgono questo radicalmente mirando al proprio profitto personale[13]. Ma si è qui più avanti, nell’ordine degli Stati di «diritto nuovo» (denominazione data da Leone XIII al sistema istituzionale moderno nell’enciclica Immortale Dei), che sono estranei per natura al riconoscimento della trascendenza della legge naturale e di cui si dovrà riparlare più a fondo sotto l’aspetto dei rapporti Chiesa-Stato.

È vero che questi Stati possono malgrado tutto integrare nella propria legislazione un certo rispetto della legge naturale e ciò a causa delle disposizioni dell’opinione – che evolve sempre più rapidamente, da quando la politica ha cessato di educarla. Così il matrimonio repubblicano, in Francia, aveva conservato il modello del matrimonio naturale, progressivamente degradato[14]. Pio XII, nel suo discorso alla Rota sopra citato, ha osservato allo stesso modo: «Il XIX secolo è il grande responsabile del positivismo giuridico. Se le sue conseguenze han tardato a farsi sentire in tutta la loro gravità nella legislazione, ciò è dovuto al fatto che la cultura era ancora impregnata di un passato cristiano e che i rappresentanti del pensiero cristiano potevano ancora far sentire la propria voce pressoché ovunque nelle assemblee legislative»[15].

I Successori degli Apostoli dovrebbero insomma esplicitare ed ampliare le parole di Giovanni Paolo II: «Una democrazia senza valori si trasforma facilmente in un totalitarismo dichiarato o subdolo»[16]. Se anche questo «totalitarismo subdolo» non dispone di gulag, fa comunque vivere i cristiani sotto un dispotismo che tutto uniforma, forse più pericoloso del totalitarismo sovietico per la salvezza delle anime. Chi altri se non i rappresentanti di Cristo possono educare i cristiani a sopravvivere ed a comunicare in una tale situazione di oppressione sociale d’intensità crescente?
Don Claude Barthe
_________________________
[1] Sito de La Croix, nel «Lexique»: «Désobéir à la loi parce qu’on est chrétien?» [Disobbedire alla legge perché si è cristiani?]
[2] Pio XII, Discorso al Tribunale della Rota, 13 novembre 1949.
[3] Somma teologica, Ia IIæ, q. 95, a. 2.
[4] q. 96 a. 4.
[5] «L’essere umano è per natura la parte di una collettività, che gli offre i mezzi per vivere bene» (Aristotele, Commentario dell’Etica Nicomachea di Aristotele, lezione 1, n. 4). «È evidente che la città fa parte delle cose naturali e che l’uomo è per natura un animale politico» (Les Politiques [I Politici], I, 2, 1252 a, Garnier-Flammarion, 1990, p. 90).
[6] Michel Bastit, Naissance de la loi moderne. La pensée de la loi de saint Thomas à Suarez [Nascita della legge moderna. Il pensiero sulla legge da san Tommaso a Suarez], Puf, 1990, pp. 114-115.
[7] «Bisogna che l’ordine giuridico si senta di nuovo legato all’ordine morale, senza permettersi di superarne i limiti. Ora, l’ordine morale è essenzialmente fondato su Dio, sulla sua volontà, sulla sua santità, sul suo essere. Anche la più profonda o la più sottile scienza del diritto non saprebbe indicare altro criterio, per distinguere le leggi ingiuste dalle leggi giuste, il semplice diritto legale dal vero diritto, se non quello che viene già percepito dalla sola luce della ragione basandosi sulla natura delle cose e dell’uomo, sul criterio della legge inscritta dal Creatore nel cuore dell’uomo ed espressamente confermata dalla Rivelazione» (Pio XII, Discorso al Tribunale della Rota del 13 novembre 1949, sopra citato).
[8] Immortale Dei, primo novembre 1885.
[9] Giovanni Paolo II, Evangelium vitæ, n. 70.
[10] San Tommaso, Commentario ai libri di Politica di Aristotele, citato da François Daguet, Du politique chez Thomas d’Aquin [Del politico in Tommaso d’Aquino], Vrin, 2015, p. 60.
[11] De Regno, libro 1, capitolo 14, Vedere su tutto questo: François Daguet, Du politique chez Thomas d’Aquin, Vrin, 2015, pp. 60-65.
[12] Vedere Louis Lachance, L’humanisme politique de saint Thomas d’Aquin [L’umanesimo politico di san Tommaso d’Aquino], Quentin Moreau, 2014, pp. 314-321.
[13] Vedere ad es. De Regno, l. 1, c. 3.
[14] Marc Guelfucci, Éléments pour une définition du mariage [Elementi per una definizione di matrimonio], Thèse Université Panthéon-Assas, 2008.
[15] 13 novembre 1949.
[16] Centesimus annus, primo maggio 1991, n. 46, e Veritatis splendor, 6 agosto 1993, n. 101.
Fonte: resnovae.fr

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