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venerdì 28 maggio 2021

Le quattro tempora di Pentecoste (mercoledì, venerdì, sabato)

Per meglio conoscere l'Anno Liturgico e le sue gemme spirituali. Pratiche abbandonate con il Novus Ordo; ma tuttora vive in chi custodisce la Tradizione. Qui le Quattro tempora di Quaresima. Qui le Quattro Tempora di Avvento e quelle di Pentecoste (precedente) [qui]. Trovate, alla nota 2, un mio vecchio lavoro sul parallelo tra shavuot (che vedete richiamata nella Liturgia del sabato) e pentecoste.

Le Quattro Tempora sono, giusta il rito romano, quattro periodi durante le quattro diverse stagioni (la I settimana di Quaresima per la primavera, l'Ottava di Pentecoste per l'estate, la settimana dopo l'Esaltazione della Croce per l'autunno e la III settimana d'Avvento per l'inverno), durante i quali tre giorni (mercoledì, venerdì e sabato) vengono dedicati a particolari digiuni e preghiere per consacrare a Dio i diversi tempi dell'anno, e specialmente per invocare la protezione sui campi e i raccolti. Queste "solennità rurali", che anticamente erano considerate di origine apostolica, si formano a Roma attorno al III secolo (la tradizione basata sul Liber Pontificalis ne attribuisce l'introduzione a Papa Callisto I; altri, addirittura a Papa Silicio, alla fine del secolo seguente, nell'ambito delle controversie coll'eretico Gioviniano circa l'utilità dei digiuni): in tale epoca esistevano solo tre tempora, e la quarta fu aggiunta in seguito per amor di simmetria: nel pieno V secolo Papa S. Leone Magno riferisce in un sermone l'esistenza di quattro periodi stagionali di digiuno, jejunum I, IV, VII et X mensis (che facendo partire l'anno a marzo, siccome era nell'antico calendario romano, combaciano perfettamente coi periodi attualmente osservati).
D'origine romana quindi, le quattro tempora si sono diffuse nei secoli successivi nel resto dell'Occidente (a Napoli nel VII secolo; in Inghilterra tra VII-VIII; in ambito gallicano nell'VIII; in quello ispanico e mozarabico nel XI; a Milano invece, nel rito ambrosiano, comparvero, con carattere esclusivamente penitenziale e non liturgico, solo attorno al XII secolo).
Attorno al 490 Papa Gelasio prescrisse di conferire le ordinazioni diaconali e sacerdotali nelle veglie notturne dei sabati delle Tempora, pratica spesso ancor oggi osservata.

Preghiera, digiuno ed elemosina sono gli esercizi principali di questo tempo di penitenza. Ma, all'epoca di san Leone, si sottolineava soprattutto il legame esistente tra ciascuno delle Tempora e il momento dell'annata agricola con la quale essi coincidevano. Questo legame è il solo rilevato nel Liber Pontificalis. Questo riferimento alla stagione agricola è totalmente assente dalle quattro tempora di Quaresima e di Avvento, le quali hanno subito una riforma testuale, trasformando la prima in prettamente penitenziale e conferendo alla seconda un forte significato messianico; la gioia della festa ha assai inficiato sul senso agricolo della liturgia delle Tempora di Pentecoste, mentre quest'ultimo è stato completamente mantenuto solo in quelle di Settembre.
Le quattro tempora sono tutte, tempi di preghiera e di digiuno ufficiali che devono essere accuratamente distinti dai digiuni e dalle preghiere private, come San Leone esige espressamente. Sono, egli dice, atti ufficiali della Chiesa, che fanno appello al «popolo cristiano» nella sua interezza. Per questa ragione esse partecipano della «presenza speciale» di Cristo mediatore e godono, per questo, di una fecondità spirituale propria (cfr. Sermo LXXXVIII).

La tradizione, confermata dal Codice di Diritto Canonico del 1917, consiste nel praticare il digiuno e l'astinenza (secondo le prescrizioni consuete) il mercoledì, il venerdì e il sabato delle Tempora (nulla di strano, considerando che erano i giorni in cui si praticava abitualmente l'astinenza nei primi secoli della Chiesa, la quale sopravvisse in seguito solo al venerdì in Occidente). Il digiuno del sabato, che stando al Liber Pontificalis fu introdotto proprio insieme alle Tempora e poi passò a osservarsi nel resto dell'anno, fu nei secoli a venire oggetto di controversie tra Chiesa Orientale e Occidentale. Nei giorni delle tempora si celebrava la sinassi eucaristica nella Basilica Stazionale, tranne al sabato: infatti, si celebrava una lunga veglia durante la notte (similmente a quelle del sabato di Pasqua o di Pentecoste), seguita dalla celebrazione dell'Eucaristia domenicale, che non veniva poi reiterata durante il giorno seguente (da ciò nacque l'impropria definizione di Dominica vacans). Ad oggi la veglia non è più celebrata, ma è stata sostituita, come gran parte delle liturgie notturne, da una Messa celebrata al mattino del sabato: il fatto che anticamente essa fosse una celebrazione vigiliare è tradito dal Vangelo, identico a quello della domenica susseguente.
Per quanto riguarda i testi delle Messe, nella riforma Tridentina furono conservate le due letture alle liturgie del mercoledì (tale arcaismo risale ai secoli in cui ogni Divina Liturgia aveva due letture, ossia prima del V-VI secolo). Essendo vigilie semplici, le liturgie del sabato constano di sei letture, ivi compresa l'epistola.
L'unità liturgica di queste quattro Tempora è data dalla presenza di alcune parti comune, come la lettura tolta dal cap. III di Daniele (episodio dei Tre Fanciulli), seguita dal relativo cantico (essa s'inserisce nel VII secolo sopprimendo la V lettura propria delle vigilie); essa è accompagnata da un'orazione molto popolare negli uffici sacerdotali della Chiesa latina (Deus qui tribus pueris), la quale ha origine dai Sacramentari gelasiano e gregoriano. Anche le antifone offertoriali (al di fuori delle Tempora d'Avvento che subirono le succitate modificazioni) sono identiche tra loro.

Le Tempora della Pentecoste

Malgrado qualche cambiamento, dovuto alla conformazione di alcune parti ai formulari dell'Ottava di Pentecoste, le Tempora estive hanno conservato dei legami indiscutibili con la liturgia delle stagioni. Quando si organizzò la settimana di Pentecoste (fine del VI secolo), si conservarono infatti alcuni elementi degli antichi for­mulari delle Quattro Tempora, come gli offertori, i tratti, nonché i Vangeli del venerdì e del sabato (quest'ultimo era anticamente Matthaeus XX, 29-34, però scomparso nell'ordinamento tridentino); infine quattro delle antiche letture veterotestamentarie, le sole che conservano allusioni alle primizie della messe.
Ai tempi di S. Leone, il digiuno di queste Tempora fu differito alla settimana seguente, conformandosi a un uso ancor praticato nella Chiesa Greca, a cagione della gran gioia dell'ottavario festivo; fu solo Gregorio VII, nell'XI secolo, a imporre la tradizione romana e ripristinare il digiuno durante l'Ottava. A motivo della particolare ricorrenza festosa, però, solo durante le Quattro Tempora di Pentecoste si dice il Gloria alla Messa e il Te Deum all'Ufficio, si omettono le Preci Feriali di Laudi e Vespri, nonché la genuflessione prima delle orazioni della Messa.

Al Mercoledì, la stazione era a S. Maria Maggiore, ove si svolgevano gli scrutini preliminari pei candidati al sacerdozio. Le due letture sono entrambe tratte dagli Atti degli Apostoli, seguendo in tal modo il ciclo pentecostale, e sono incentrate, secondo dom Lefebvre, sulla presenza dello Spirito di Dio nel popolo Cristiano, "realizzazione della profezia di Giona" nelle parole di S. Pietro, compimento dei tempi messianici. La seconda lettura parla della mirabile e venerata predicazione apostolica e dell'accrescersi della prima comunità Cristiana; il Vangelo è la concione di Nostro Signore sul pane Eucaristico ch'è il suo corpo contenuta nel capitolo VI di Giovanni. È notevole la scissione dell'Alleluia: il Piccolo si trova dopo la lettura iniziale, e il Grande (con il versetto Veni Sancte Spiritus e la genuflessione, seguito dalla Sequenza pentecostale) invece al suo posto consueto. La presenza di quell'Alleluia all'inizio doveva essere prassi nei tempi antichi, potendone probabilmente derivare il Prokimeno che precede la lettura dell'Apostolo presso i Greci.(1)
Assai opportuna ricorre l'antitesi tra l'odierno digiuno e la lezione evangelica in cui Gesù ci si offre quale pane di vita eterna. Infatti, l'uomo non vive solamente di pane, ma ha bisogno assoluto del Verbo di Dio, senza del quale la vita terrena è come un giorno senza lume, un'apparenza vana di vita, una desolante immagine della morte (Ildefonso Schuster).

Al venerdì, l'attuale Stazione indicata nel Messale Romano (SS. XII Apostoli) già si accorda col Capitolare dei Vangeli di Wurzburg, ma verso la metà del secolo VII essa si celebrava invece nella casa celimontana dei Martiri Giovanni e Paolo, trasformata in Titolo dal senatore Bisanzio e dal figlio Pammachio. Il mutamento della basilica stazionale è avvenuto quando il digiuno estivo dei IV Tempi venne assegnato alla settimana di Pentecoste. La lettura, tratta dal profeta Gioele, che aveva annunziato nei tempi messianici la discesa dello Spirito di Verità, doctorem justitiae, non solo ben s'adatta alla Pentecoste, ma conserva anche l'antico significato agricolo, dacché parla di un periodo di eccezionale prosperità, con gran copia di raccolti fruttuosi, segno di Dio presente in mezzo al suo popolo. La dualità della preghiera delle Tempora, che ricerca vantaggio soprannaturale (le grazie e i doni dello Spirito) e al contempo assistenza materiale (in campo agricolo), si ritrova, secondo alcuni commentatori, nell'Evangelo di S. Luca (cap. V, 17-26), in cui Nostro Signore fa dono al paralitico sia del beneficio fisico (la guarigione completa) che di quello spirituale (la remissione dei peccati), entrambi segni dell'azione d'Iddio realmente presente e operante in mezzo agli uomini.

Il Sabato infine, giorno canonico per conferire le ordinazioni, possiede una meravigliosa Messa ornata di canti di lode e invocazione all'azione salvifica del Santo Spirito, carattere pentecostale che si ritrova anche nel simbolismo del fuoco delle prime due Collette; le altre Collette invece ricordano i frutti del digiuno e della penitenza, caratteristici delle Tempora. Questa liturgia era in gran parte scomparsa con lo spostamento della penitenza estiva, e pure le ordinazioni erano state traslate, causando l'infelice cambio della stazione da S. Pietro a S. Stefano sul monte Celio. Le lezioni (anticamente 12 sia in latino che in greco, ma ridotte a sei già da S. Gregorio Magno) parlano equamente sia del mistero della Pentecoste che oggi termina di celebrarsi con solennità, che dei caratteri penitenziali e agricoli del jejunum IV mensis.

Dopo l'introito incentrato sulla Carità e la litania del Kyrie, segue la lettura della profezia di Gioele (continuazione di quella letta il giorno prima, nonché il passo citato di S. Pietro alla lettura del mercoledì), perfetta esemplificazione del dualismo pentecostale-agricolo, parlando dei segni degli Ultimi Tempi. Vi segue, dopo l'Alleluia e la Colletta, una lettura dal Levitico, che c'illustra le celebrazioni dello shavuòt ebraico(2) (festa delle Messi, cinquanta giorni dopo la Pasqua, in cui si offrivano le primizie e da cui originano i primi riti della pentecoste Cristiana). Questa lettura, seguita dal versetto alleluiatico tolto da Giobbe, è forse la più antica di tutto l'ufficio, come ben s'intuisce dal suo carattere. La terza lezione parla dello stesso episodio, secondo però la narrazione del Deuteronomio, nel quale accanto alle prescrizioni giuridiche si rammenta il significato simbolico dello shavuòt, ossia il debito d'Israele verso il Dio che l'aveva liberato dalla schiavitù nel paese d'Egitto; le messi spirituali offerte durante le festività giudaiche diventano l'offerta di noi stessi e del Divin Sacrificio a Iddio per ringraziarlo della Redenzione operata mirabilmente colla Risurrezione del Figlio e l'effusione dello Spirito. Segue una quarta lezione ancora dal Levitico, che stavolta esorta i fedeli a rimanere nell'alleanza del Signore osservando i suoi comandamenti; se così faranno e li metteranno in pratica, non solo Iddio "dabit vobis pulvias temporibus suis, et terra gignet germen suum, et pomis arbores replebuntur" (senso agricolo), ma anche Egli stesso verrà ad abitare in mezzo al suo popolo (senso pentecostale della discesa dello Spirito). Dopo l'Alleluia, che è quello classico di Pentecoste coll'invocazione allo Spirito e la Genuflessione, vi è la consueta e popolare lettura da Daniele seguita dal cantico dei Fanciulli, che però qui ha a cagion degli "Alleluia" subito una pesante riduzione, divenendo di fatto un solo versetto alleluiatico, e non più un cantico come nelle altre Tempora. Queste "Benedictiones", insieme all'Inno Angelico che ivi si canta, avevano il compito di guidare la transizione dall'ufficio vigiliare alla Liturgia Eucaristica. Dopo la solita orazione, vi è l'epistola della Messa, che è tratta dal V capitolo della lettera paolina ai Romani: ai Cristiani, redenti e giustificati per mezzo di Gesù Cristo, è opportuno gloriarsi nella tribolazione con la virtù della speranza, la quale non delude, "quia caritas Dei diffusa est in cordibus nostris per Spiritum Sanctum qui datus est nobis". All'epistola segue il tratto, che è, secondo la norma delle Tempora, il salmo laudativo CXVI, poi la Sequenza e infine il Vangelo, introdotto tardivamente: esso non è né quello della domenica, né quello della festa (SS. Trinità), né quello più antico della Vigilia, ma l'episodio della suocera di Simone tratto da S. Luca, inserita tardivamente, per insegnare al popolo ad accettare benignamente la volontà di Dio nella buona e nella cattiva sorte, come questa donna.

L'antifona della Comunione, in canto Gregoriano, è un tripudio di Alleluia che si innalzano al cielo, dacché essi sono gli ultimi che verranno cantati, chiudendosi degnamente il tempo Pasquale all'ora Nona di questo glorioso sabato.

Oramai, infatti, la redenzione è compiuta, e lo Spirito Santo è venuto quasi ad assicurarne definitivamente l'efficacia, mediante il carattere sacramentale che egli imprime nell'anima. Tale è la proprietà personale del divino Paraclito; egli compie, conchiude, opera sempre qualche cosa di definitivo, al pari d'una conclusione che inevitabilmente ed irremovibilmente sgorga dalle premesse. Ecco la ragione perché i peccati contro lo Spirito Santo di fatto non ottengono mai il perdono; perché rappresentano l'ostinazione definitiva dell'anima nell'odio supremo contro il sommo amore. (Ildefonso Schuster) - Fonte
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1. Nella pratica liturgica della Chiesa ortodossa e nel rito bizantino, un prokeimenon (Προκείμενον, prokeimena plurale, a volte prokimenon / prokimena; letteralmente "ciò che precede") è un salmo o cantico refrain cantato modo responsoriale in determinati punti della Divina Liturgia specificati o dell'Ufficio divino, di solito per introdurre una lettura delle Scritture. Corrisponde al graduale della messa romana.

2. Shavuot e Pentecoste
Le radici ebraiche del cristianesimo sono riconoscibili anche nella strettissima corrispondenza tra la festa di Pentecoste ebraica (Shavuot), dove si ricorda il dono della Legge, e la Pentecoste cristiana, in cui - cinquanta giorni dopo la Pasqua - celebriamo la discesa dello Spirito Santo sulla Chiesa radunata nel cenacolo. Sì, perché possiamo dire che nella Pentecoste gli apostoli salgono con Maria al piano superiore, come Mosè sale sulle pendici del Sinai; Dio effonde lo Spirito sulla Chiesa, nuova Legge, lo Spirito del Signore Risorto, iscritta nei cuori dei credenti; così Mosè sulla cima del monte riceve le mizwot Adonai, i precetti della Torah. Lo Spirito con i suoi doni porta la Chiesa alla missione ed all’evangelizzazione, la voce di Dio sull’Horeb rinvigorisce la missione del profeta Elia e gli dona quello slancio definitivo contro l’idolatria dei falsi profeti. Mosè parla faccia a faccia con Dio, lo Spirito ci permette di invocare Dio nei nostri cuori con l’appellativo di Abbà, l’affettuoso “Papà” del fanciullo che si rivolge al proprio padre, perché l'incarnazione, passione, morte e risurrezione del nostro Signore, Gesù, ci ha introdotti nella "famiglia" del Padre.
Abramo non merita Eretz Israel (la terra d'Israele) fino a che non mette in pratica la mizvà dell’Omer; gli ebrei non entrano nella Terra Promessa se non nel momento in cui sostituiscono l’Omer di Manna con l’Omer del frumento di Eretz Israel. Noi non entriamo nella vita nuova della Risurrezione se non partecipiamo all'Eucaristia, che è il nuovo Pane disceso dal cielo... e se non ci lasciamo purificare e vivificare dal fuoco dello Spirito che ha raggiunto gli Apostoli nel Cenacolo il giorno di Pentecoste. Come gli Ebrei si riconoscono Popolo al momento dell'accoglimento della Torah, così i Cristiani divengono anch'essi Popolo dell'Alleanza e si riconoscono Chiesa proprio a partire da quella Pentecoste che si rinnova per ogni credente.
Anche noi quindi in questo periodo dell'anno contiamo i giorni della nostra gioia, perché 
""il periodo dell’Omer ha delle diverse e ben più profonde implicazioni. Si tratta del periodo che intercorre tra la festa di Pesach Pasqua e quella che nella Torah si chiama Azeret, ossia conclusione (stupenda l'idea di compimento), che prende poi il nome di Shavuot o Settimane. Tale definizione è però parziale. Sarebbe corretta se la data di Shavuot fosse esplicitamente fissata. In realtà non è così. Il periodo dell’Omer non è un riempitivo per lo spazio che intercorre tra le due feste, ma è piuttosto una scala che piantata sulla festa di Pesach sale fino a Shavuot. La Torah non dà la data di Shavuot, la festa che commemora il dono della Torah perché essa è subordinata al conteggio dei giorni/scalini che abbiamo effettuato in direzione della Torah.
Ed in effetti il percorso Pesach-Omer-Shavuot è un percorso che serve a rieducare sia sotto l’aspetto materiale sia sotto quello spirituale. Se è vero che gli ebrei erano prossimi ad oltrepassare la cinquantesima definitiva porta dell’impurità allorché Iddio li trasse fuori dall’Egitto, il periodo del conteggio dell’Omer deve far loro risalire queste cinquanta tappe fino a giungere alla Torah. La Torah non si riceve in eredità, ma la si conquista giorno per giorno. La festa del dono della Torah è quindi senza data, accessibile a coloro che quotidianamente contano i propri successi in direzione della Legge."" [Tratto dalla Parashat Emor]
Così è anche per noi, che viviamo il "già e non ancora" del Regno e, ogni giorno, compiamo un passo verso la Risurrezione definitiva, il "mondo a venire" ('olam ha-ba), che inizia già in questo mondo, per poi sfociare nella pienezza della gloria futura.
Anche la Pentecoste cristiana è connessa strettamente con la Rivelazione di Dio sul Sinai. La omonima festa ebraica, infatti, ricorda la teofania mosaica di Dio nel roveto che arde senza bruciare. Esattamente come arde senza bruciare lo Spirito Santo, in forma di lingue di fuoco, disceso su Maria e gli Apostoli, lo Spirito che feconda e edifica la Chiesa. Noi vediamo dunque il Sinai come evento storico tipologico dell’effusione dello Spirito dopo l’Ascensione. Ma il giorno di Pentecoste accade un evento nuovo: nel Cenacolo la Vergine e gli Apostoli in preghiera ricevono quello che Gesù chiama un "altro consolatore": "Io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Consolatore perché rimanga con voi per sempre" (Gv 14,16).... E non è un dato insignificante, perché si tratta dello Spirito del Signore Risorto che ha con Sé, oltre alla Sua natura divina di Verbo incarnato, anche la nostra natura umana riscattata sulla Croce, rigenerata dalla Risurrezione, ricollocata alla destra del Padre nell'Ascensione... È lo Spirito del Signore (Sacrificato+ e) Risorto che ha costituito e fecondato la Chiesa e non cessa di spirarvi e di animarla, senza bisogno di nuove effusioni, fino alla fine dei tempi, secondo la Sua promessa e grazie alla Sua costante Presenza nel Santissimo Sacramento dell'Altare.
Allora è possibile comprendere che la Promessa di Dio rimane immutata nel corso della Storia della Salvezza: ciò vale oggi per noi cristiani come figli della Nuova Alleanza, che porta a compimento l'Antica. (Maria Guarini)

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