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lunedì 16 agosto 2021

Accompagnare nel dolore con la solidarietà non rimuoverlo con la morte

Aiutare i fragili? No, ammazzarli. 
È paradossale che, mentre si è giunti - col dichiarato intento di salvaguardare i cittadini dal contagio del Covid-19 - a limitare diritti e comprimere libertà come se la vita fosse sacra e intoccabile, il ministro della salute Speranza, rilanci ora una legge per l'eutanasia sollecitando le ASL a garantire il servizio sanitario di assistenza al suicidio medicalmente assistito. E lo fa in concomitanza ed in appoggio della raccolta di firme di un’associazione di area radicale per il referendum che vuole modificare il reato di omicidio del consenziente.  È lo stesso ministro che già un anno fa dichiarava "legge di civiltà" l'aborto "con metodo farmacologico in day hospital"... Che valore ha la vita per chi decide le nostre sorti dal governo? Se non demenza criminale ne riconosciamo l'anaffettività sociale: d'altra parte parliamo di uno che 'coglieva', nel suo libro ritirato dagli scaffali, la pandemia come un'occasione per far trionfare la propria visione ideologica!
Molto opportunamente un articolo del centro studi Rosario Livatino non esita a rivolgergli un preciso invito: Invece di spingere le ASL a commettere un reato, il ministro della salute garantisca le cure palliative, mettendo in risalto che sostanzialmente le ASL vengono sollecitate alla consumazione di quello che resta pur sempre un delitto, pur in assenza di norme che abbiano ancora fatto seguito alla sentenza della Corte che ha stabilito alcune condizioni di non punibilità per azioni di aiuto al suicidio. Oltretutto, mancando una legge del Parlamento, non è chiaro come dipendenti di una ASL possano aiutare al suicidio senza essere sottoposti a un procedimento penale.
Il solo entrare in certi dettagli ripugna; ma questa è la realtà da guardare in faccia per respingerne l'aberrazione. Infatti c'è di più. Il ministro ignora un passaggio pregiudiziale prescritto dalla Consulta per ogni procedura ‘legale’ di fine vita: l’avvenuto ricorso alle cure palliative. Se una delle condizioni di non punibilità è che il paziente “sia affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche o psicologiche reputate intollerabili”, prima di farlo morire è doveroso provare a lenire quelle sofferenze. Però la legge sulle cure palliative, pur approvata dal Parlamento all’unanimità nel 2010, trova limitatissima attuazione per carenza di investimenti. 

Dunque il ministro della Salute non fa quello che a lui compete, cioè rendere operativa una legge che ha l’obiettivo di alleviare il dolore; mentre fa quel che a lui non compete, cioè scavalcare il Parlamento a proposito di aiuto al suicidio ed eutanasia, scaricando sulle ASL responsabilità che vanno rigorosamente disciplinate.

Ricordiamo che, in continuità con tutta la tradizione della Chiesa è anche la dottrina sulla necessaria conformità della legge civile con la legge morale, come appare dalla Pacem in terris di Giovanni XXIII:
«L'autorità è postulata dall'ordine morale e deriva da Dio. Qualora pertanto le sue leggi o autorizzazioni siano in contrasto con quell'ordine, e quindi in contrasto con la volontà di Dio, esse non hanno forza di obbligare la coscienza...; in tal caso, anzi, chiaramente l'autorità cessa di essere tale e degenera in sopruso (Summa Theol., I-II, q. 93, a. 3 ad 2.)» (n.30).
È questo il limpido insegnamento di san Tommaso d'Aquino, che tra l'altro scrive:
«La legge umana in tanto è tale in quanto è conforme alla retta ragione e quindi deriva dalla legge eterna. Quando invece una legge è in contrasto con la ragione, la si denomina legge iniqua; in tal caso però cessa di essere legge e diviene piuttosto un atto di violenza». E ancora: «Ogni legge posta dagli uomini in tanto ha ragione di legge in quanto deriva dalla legge naturale. Se invece in qualche cosa è in contrasto con la legge naturale, allora non sarà legge bensì corruzione della legge».
Ora la prima e più immediata applicazione di questa dottrina riguarda la legge umana che misconosce il diritto fondamentale e fontale alla vita, diritto proprio di ogni uomo. Così le leggi che, con l'aborto e l'eutanasia, legittimano la soppressione diretta di esseri umani innocenti sono in totale e insanabile contraddizione con il diritto inviolabile alla vita proprio di tutti gli uomini e negano, pertanto, l'uguaglianza di tutti di fronte alla legge. Si potrebbe obiettare che tale non sarebbe il caso dell'eutanasia, quando essa fosse richiesta in piena coscienza dal soggetto interessato. Ma uno Stato che legittimasse tale richiesta e ne autorizzasse la realizzazione, si troverebbe a legalizzare un caso di suicidio-omicidio, contro i principi fondamentali dell'indisponibilità della vita e della tutela di ogni vita innocente. In questo modo si favorisce una diminuzione del rispetto della vita e si apre la strada a comportamenti distruttivi della fiducia nei rapporti sociali.

L'aborto e l'eutanasia sono dunque crimini che nessuna legge umana può pretendere di legittimare. Leggi di questo tipo non solo non creano nessun obbligo per la coscienza, ma sollevano piuttosto un grave e preciso obbligo di opporsi ad esse mediante obiezione di coscienza. 

Fin dalle origini della Chiesa, la predicazione apostolica ha inculcato ai cristiani il dovere di obbedire alle autorità pubbliche legittimamente costituite (cf. Rm 13, 1-7; 1 Pt 2, 13-14), ma nello stesso tempo ha ammonito fermamente che «bisogna obbedire a Dio piuttosto che agli uomini» (At 5, 29). 

Già nell'Antico Testamento, proprio in riferimento alle minacce contro la vita, troviamo un esempio significativo di resistenza al comando ingiusto dell'autorità. Al faraone, che aveva ordinato di far morire ogni neonato maschio, le levatrici degli Ebrei si opposero. Esse «non fecero come aveva loro ordinato il re di Egitto e lasciarono vivere i bambini» (Es 1, 17). Ma occorre notare il motivo profondo di questo loro comportamento: «Le levatrici temettero Dio» (ivi). 

È proprio dall'obbedienza a Dio — al quale solo si deve quel timore che è riconoscimento della sua assoluta sovranità — che nascono la forza e il coraggio di resistere alle leggi ingiuste degli uomini. È la forza e il coraggio di chi è disposto anche ad andare in prigione o ad essere ucciso di spada, nella certezza che «in questo sta la costanza e la fede dei santi» (Ap 13, 10). 

Nel caso quindi di una legge intrinsecamente ingiusta, come è quella che ammette l'aborto o l'eutanasia, non è mai lecito conformarsi ad essa, «né partecipare ad una campagna di opinione in favore di una legge siffatta, né dare ad essa il suffragio del proprio voto»

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