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venerdì 13 agosto 2021

Mons. Paprocki sulla "Traditionis Custodes": unità liturgica non significa uniformità liturgica

Qui l'indice degli interventi su Traditionis custodes. Osservo che Paprocki, pur nella sua sapiente ragionevolezza, ha una visione esclusivamente conciliare. Per chi ancora non fosse addentro alle differenze tra il ritus romanus (VO) e il rito riformato di Paolo VI (NO) richiamo gli elementi essenziali esposti qui

Thomas Paprocki, vescovo di Springfield (Illinois), ha suscitato particolare interesse quando, tra i primi vescovi ad applicare Traditionis custodes, ha consentito la continuazione delle celebrazioni nel Rito antico in due chiese della sua diocesi  [qui]. Interessante, anzi geniale, era apparso il ricorso al canone 87 § 1 che recita: "Il Vescovo diocesano può dispensare validamente i fedeli, ogniqualvolta egli giudichi che ciò giovi al loro bene spirituale, dalle leggi disciplinari sia universali sia particolari date dalla suprema autorità della Chiesa per il suo territorio o per i suoi sudditi...". 
Un atto che, in prima battuta, poteva apparire in opposizione con le nuove direttive; ma ora ne abbiamo una spiegazione da esimio canonista qual è, ben esplicitata, con l'aggiunta di ulteriori considerazioni, in quanto dichiarato al National Catholic Register [qui] condensato di seguito nella nostra traduzione. Il discorso è molto centrato sulle "due forme", di cui parla efficacemente Kwasniewski qui

Secondo Paprocki, in definitiva, non potremmo interpretare TC come un “attacco” alla forma straordinaria del rito romano. Lo spiega così:
«Sono stato battezzato Tommaso, quindi i miei santi patroni sono i SS. Thomas More e John Fisher. Mi rivolgo a entrambi per una guida, in particolare a St. Thomas More, che era un avvocato. Ha fatto quello che noi avvocati siamo addestrati a fare: leggere le parole [di un documento]. Questo istinto è utile ora mentre esaminiamo il motu proprio di Papa Francesco.
Alcuni pensano che la Messa in latino tradizionale, il Messale del 1962, sia stata soppressa, ma Traditionis Custodes non lo dice.
La sua spinta principale [di Francesco] è quella di affidare ai vescovi la responsabilità di queste questioni, in contrasto con papa Benedetto XVI, che, nel suo motu proprio Summorum Pontificum, ha usato la sua autorità papale per dare a tutti i sacerdoti la facoltà di dire la forma straordinaria.
Papa Francesco sta sostanzialmente affermando che il vescovo ha la supervisione liturgica nella sua diocesi. Il Santo Padre non chiede la soppressione del Messale del 1962. Se così fosse, avrebbe potuto dire: “Non permetto a nessuno di usare il Messale del 1962”. Non l'ha fatto. Ha chiesto ai vescovi di fare il punto sulla situazione, e laddove la forma straordinaria stia soddisfacendo un'esigenza pastorale, di conservarla».
Interessante quanto dichiara in seguito su  alcune sottigliezze linguistiche:
Per quanto riguarda il linguaggio del motu proprio, ho cercato di distinguere tra l'uso di “dovrebbe” e “deve”. Nel documento, ci sono raccomandazioni su come dovrebbero essere fatte le cose rispetto ai mandati, nel senso di "deve" o "vuole".
In un passaggio, secondo la traduzione inglese, “i sacerdoti ordinati dopo il motu proprio dovrebbero contattare il loro vescovo, che si rivolgerà alla Santa Sede per consultarsi”. Bene, una consultazione è diversa dall'approvazione, dal consenso o dal permesso.
Ma poiché questa materia è ora sotto l'autorità del vescovo locale, i cattolici devono anche scoprire cos'ha da dire il loro vescovo al riguardo.
Sugli interrogativi sollevati anche sui piani a lungo termine del papa per la forma straordinaria:
Sia Papa Benedetto che Papa Francesco hanno espresso la speranza che alla fine ci sarà un'unica forma. 
Nel momento in cui papa Benedetto ha emesso il suo motu proprio, ho pensato che forse stava ponendo le due forme su binari paralleli da far convergere ad un certo punto in un'unica forma. [In effetti si trattava della Riforma della riforma poi tramontata ma nuovamente tirata in ballo dal card. Sarah. Dio ce ne guardi, lo sto approfondendo e  ne parleremo... ndr]
Anche Papa Francesco spera che ci sarà una sola forma, anche se non dice che sarà una fusione delle due. Spera, invece, che la vecchia forma scompaia.
Quindi Paprocki riconosce il fatto che il Rito antico, che negli USA gode di crescente attrattiva, trova un consistente seguito soprattutto nelle giovani generazioni e lo spiega con la fame di «divino» che la musica contemporanea e le modalità comunicative adottate dalla liturgia postconciliare evidentemente non hanno saziato e non saziano; il che è reso oltretutto ben visibile dagli abusi che la creatività - una delle nuove caratteristiche del rito riformato - di fatto consente. Egli afferma 
Il Concilio Vaticano II [ha portato alcuni cattolici statunitensi a concentrarsi] sul colmare il divario con i protestanti. E, naturalmente, dobbiamo raggiungere i nostri fratelli e sorelle separati, con l'obiettivo di portare l'unità alla Chiesa. Ma il modo per farlo non è adottare un approccio protestante alla liturgia o alla musica. 
Ciò non è accaduto in Paesi culturalmente più cattolici, come la Polonia, dove ho viaggiato molto.
In Polonia, il primate, il cardinale Stefan Wyszyński di Varsavia, e il cardinale Karol Wojtyła di Cracovia, il futuro papa san Giovanni Paolo II, hanno promosso una corretta attuazione del Concilio Vaticano II. Quando si va ad una messa quasi ovunque in Polonia, Essa è celebrata nella forma ordinaria in modo molto rispettoso e tradizionale.
Sulla confusione suscitata dal motu proprio per il fatto che la forma straordinaria possa essere celebrata solo in alcune chiese designate rispetto a una chiesa parrocchiale.
C'è una certa ambiguità su questo. In un paragrafo, il motu proprio fa riferimento alle messe che utilizzano il Messale del 1962 non più da celebrarsi nelle chiese parrocchiali. Ma poi c'è un articolo successivo che dice che quando il vescovo passa in rassegna la situazione delle parrocchie dove si celebrano [tali] messe, può decidere di mantenerle.
Ebbene, se in questo momento si celebra la forma straordinaria in una chiesa parrocchiale, cosa si dovrebbe fare? Non credo che il Santo Padre chieda che i fedeli vengano cacciati dalla parrocchia. Non credo stia dicendo che bisogna spostarli in palestra o ricostituire lo status canonico da chiesa a santuario o oratorio.
Quando gli viene chiesto se sia a conoscenza, nella sua diocesi o altrove negli Stati Uniti, del fatto che la celebrazione della forma straordinaria venga associata al rifiuto assoluto del Concilio Vaticano II, risponde: 
Non credo che sia il caso; certamente non nella mia esperienza.
Nella mia diocesi abbiamo Messe nella forma straordinaria celebrate in due chiese, la parrocchia di Santa Rosa da Lima a Quincy, Illinois, gestita dalla Fraternità Sacerdotale di San Pietro, che celebra solo la Messa in forma straordinaria, e Santa Caterina, Parrocchia di Drexel - che ha due chiese - e dove si celebra la messa sia nella forma ordinaria, in inglese e spagnolo, sia in quella straordinaria. Ovviamente i cattolici di Santa Caterina di Drexel accettano la forma ordinaria perché lì si celebra. Ho anche parlato con i membri della Fraternità Sacerdotale di San Pietro, ed essi accettano la validità del Concilio Vaticano II.
Ma vorrei chiarire che quando alcune persone mettono in dubbio il successo del Concilio Vaticano II, non ne mettono necessariamente in discussione la validità. Con ciò intendo dire che è possibile affermare che il Concilio, almeno fino ad oggi, non è riuscito a raggiungere alcuni dei suoi obiettivi. È diverso dal dire che non è valido.
Stephen Bullivant, l'autore di Mass Exodus: Catholic Disaffiliation in Britain and America Since Vatican II, offre un'analisi sociologica dei numeri e delle tendenze del cattolicesimo in questi due paesi dal Concilio Vaticano II. Egli sostiene che se i [Padri conciliari hanno cercato] di aumentare la partecipazione alla vita religiosa, alla vita sacerdotale e alla vita sacramentale ed eucaristica della Chiesa, allora un confronto dei [dati sociologici rilevanti] prima del Concilio e dopo suggerisce che hanno fallito.
E quindi, espressamente riguardo al concilio, non risparmia la constatazione:
«che quando alcune persone mettono in dubbio il successo del Concilio Vaticano II, non ne mettono necessariamente in discussione la validità. Con ciò intendo dire che è possibile affermare che il Concilio, almeno fino ad oggi, non è riuscito a raggiungere alcuni dei suoi obiettivi. È diverso dal dire che non è valido».
E aggiunge che in Francia, meno del 10% dei cattolici frequenta regolarmente la messa domenicale. Negli Stati Uniti, tra il 25% e il 39% dei cattolici lo fa. Quindi, senza mettere in dubbio la validità di quanto insegnato dal Concilio Vaticano II, i numeri sollevano interrogativi sugli approcci al ministero pastorale. Quello che vien fatto attualmente, per molti versi, non funziona.

Sull'affermazione del papa che la Traditionis Custodes è stata progettata per promuovere l'unità nella Chiesa, gli viene posta la domanda sul modo in cui la celebrazione delle forme ordinaria e straordinaria influisce sulla nostra unità come unica Chiesa. E Paprocki dichiara:
L'unità è la speranza che lo stesso Nostro Signore ha espresso: che tutti siano uno. Questo è ciò per cui speriamo e preghiamo, che saremo tutti di una fede e uniti nella comunione con Dio nel suo Regno.
In oltre 2000 anni di cristianesimo, ci siamo impegnati con quell'insegnamento in molti modi diversi. Non credo che unità significhi necessariamente uniformità, che facciamo tutto allo stesso modo, soprattutto in un'epoca che celebra la diversità.
La sfida è come provvedere a una certa diversità nei nostri stili di culto che non ci dividerà, su ciò in cui crediamo fondamentalmente, o nella capacità di amore reciproco e verso Dio.
In conclusione, secondo il prelato, la vera sfida, al giorno d’oggi, non è tanto favorire una modalità di celebrazione sull’altra in favore di un ideale di unità, che va a tingersi delle note dell’uniformità. Il punto vero, fondamentale, è quello di portare avanti una fede comune nell’unità con Nostro Signore.

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