Pagine di rilievo

giovedì 5 agosto 2021

Peter Kwasniewski. “Il Vincolo del papa alla Tradizione come limite legislativo: una risposta all’apologetica ultramontanista”

Il Vincolo del Papa alla Tradizione come Limite Legislativo: una Risposta all’Apologetica Ultramontanista. Un sentito grazie al traduttore, Carlo Schena. Qui l'indice degli interventi sulla Traditionis custodes.

Dichiarazione dell'Autore.  
La seguente conferenza è stata tenuta presso la chiesa di Nostra Signora del Monte Carmelo a Littleton, in Colorado, il 31 luglio 2021. Ne è stato pubblicato su YouTube il video; tuttavia, il testo seguente include ampie note conclusive dal contenuto molto rilevante. Il mio obiettivo, soprattutto sulla scia della Traditionis Custodes, è di confutare quella sovrabbondante apologetica cattolica che - estrapolando argomenti testuali dai documenti magisteriali nello stesso modo in cui la sua controparte protestante estrapola argomenti testuali da San Paolo - sostengono che il papa ha un potere assoluto - esecutivo, legislativo e giudiziario - sulla liturgia. Io argomento, al contrario, che il potere papale esiste all’interno di un contesto storico ed ecclesiale che ne condiziona e ne limita l’esercizio legittimo, e conseguentemente fonda anche il diritto dei fedeli di resistere a eclatanti violazioni di consuetudini immemorabili e della venerabile tradizione. In breve, questa è una difesa dei fondamenti stessi del movimento tradizionalista nella Chiesa cattolica.

“Il Vincolo del Papa alla Tradizione come Limite Legislativo: una Risposta all’Apologetica Ultramontanista” 
Peter A. Kwasniewski

L’apologetica cattolica ha svolto un grande lavoro nel corso degli ultimi decenni. Ha confutato molte tesi di protestanti, mormoni, testimoni di Geova o stranezze del genere, e ha aiutato numerosi ebrei, musulmani, atei, agnostici, neopagani e membri di ogni sorta di false religioni a trovare Cristo e ad entrare nella Sua chiesa. Per questo non possiamo che essere tutti grati, e che il loro lavoro su questa linea possa a lungo continuare.

Ma questa stessa apologetica non rende così bene quando si volge agli affari intra-ecclesiali, e in particolare quando si tratta di spiegare la natura, lo scopo ed i limiti dell’infallibilità papale. Anche qui, quest’apologetica lavora bene quando si tratta di giustificare cose meravigliose come la Humanae Vitae, poiché il suo insegnamento è in accordo con la legge naturale e divina e la tradizione della Chiesa, che il papa ha il compito di sostenere a prescindere dalle pressioni contro di esse. Eppure, quando i papi prendono decisioni clamorosamente sbagliate o insegnano cose ambigue, male sonantes (“che suonano male”) o materialmente errate, quest’apologetica viene colta alla sprovvista e rimane a mani vuote. Così, è tentata o di ignorare il problema come una imbarazzante eccezione, o di fare coraggiosamente appello a un ultramontanismo irrazionale, come se la pura spavalderia potesse in qualche modo giustificarla.

Quest’ultimo problema si è di nuovo ben evidenziato a partire dalla pubblicazione del motu proprio Traditionis Custodes. La maggior parte dei commentatori, è vero, rientra nelle due categorie più ovvie: i progressisti che esultano spudoratamente per la sconfitta dei perfidi tradizionalisti, e quasi tutti gli altri che vedono la mossa di Papa Francesco come ingiustificata, malevola, incendiaria, bellicosa, irrealizzabile, e - ciò che è il peggior peccato dopo il Vaticano II - del tutto anti-pastorale. Ma c’è un ceto di sedicenti apologeti che si è affrettato a scrivere articoli e registrare podcast per difendere il presunto diritto del papa di creare, abolire e modificare la liturgia quasi come vuole.

Questa conferenza non vorrà essere una estesa critica della Traditionis Custodes, cosa che a questo punto si può trovare in molti altri luoghi [1]. Piuttosto, voglio spiegare come siamo arrivati a un punto di tale assurdità che un Romano Pontefice può osare consegnare, con un tratto di penna, ai margini della Chiesa e all’eventuale oblio un patrimonio liturgico ininterrotto e millenario, e affermare che i nuovi riti creati da un comitato sotto Paolo VI sono “l’unica” lex orandi (o legge della preghiera) della Chiesa cattolica - e l’assurdità ancora maggiore di quegli apologeti che difendono lui e il suo presunto “diritto” di farlo.

Il difetto fondamentale di questi apologeti è che, come i loro doppioni protestanti, si sono votati alla tecnica dell’argomento testuale. Invece del sola scriptura, spesso abbiamo il solo papa; laddove il calvinista cita san Paolo per difendere la giustificazione per sola fede, il papalista cita un pronunciamento conciliare sulla giurisdizione universale del romano pontefice. In realtà, tutti i polemisti (compresi i più tradizionalisti) hanno la tendenza ad usare argomenti testuali, come se essi concludessero un dibattito, quando, in realtà, non fanno che iniziarlo. Perché non è sufficiente citare un passo della Scrittura, dei Padri, dei Dottori o del Magistero, ma bisogna anche capire quando, dove, perché e come esso è stato affermato: in altre parole, bisogna capirne il contesto. Alcuni testi sono abbastanza chiari da svolgere per noi tutto il lavoro pesante, ma altri sono più sottili, parziali, affermati in modo esagerato oppure riduttivo, etc., e devono essere messi al loro posto come le pietre in un muro. È il muro che stiamo cercando, non le singole pietre da esso estrapolate [2].

Così, quest’apologetica ama citare la Pastor Aeternus (1870) del Concilio Vaticano I sulla giurisdizione papale:
Proclamiamo quindi e dichiariamo che la Chiesa Romana, per disposizione del Signore, detiene il primato del potere ordinario su tutte le altre, e che questo potere di giurisdizione del Romano Pontefice, vero potere episcopale, è immediato: tutti, pastori e fedeli, di qualsivoglia rito e dignità, sono vincolati, nei suoi confronti, dall’obbligo della subordinazione gerarchica e della vera obbedienza, non solo nelle cose che appartengono alla fede e ai costumi, ma anche in quelle relative alla disciplina e al governo della Chiesa, in tutto il mondo. (Pastor Aeternus, cap. 3, § 2)
Si affrettano a citare l’enciclica Mediator Dei (1947) di Pio XII :
«il solo Sommo Pontefice ha il diritto di riconoscere e stabilire qualsiasi prassi di culto, di introdurre e approvare nuovi riti e di mutare quelli che giudica doversi mutare”[3]. Il Codice di Diritto Canonico (1983) afferma la «potestà ordinaria suprema, piena, immediata e universale sulla Chiesa» (can. 331). Come sottolinea John Monaco: «Dal momento che l’amministrazione dei sacramenti rientra nella disciplina della Chiesa, non stupisce che il diritto canonico investa il papa del compito di provvedere all’ordinamento della liturgia (can. 838 §2) e gli conceda addirittura il potere di ‘approvare o definire i requisiti per la loro validità’» (can. 841)». [4]
Fin qui tutto bene. Ma lasciare queste citazioni così è dare un testo senza contesto.

In primo luogo, la liturgia non può essere ridotta a una questione di mera disciplina; essa si riferisce sempre alla dottrina della fede e della morale professata dalla Chiesa lungo tutta la sua storia, ed espressa nel Magistero di ogni tempo. [5] Il papa non è un solista, ma il membro di un’orchestra, e lo spartito che sta suonando esiste già prima che assuma la sua carica, tanto più quanto più avanti si è nella storia.

In secondo luogo, la giurisdizione papale sulle questioni disciplinari non esiste come in un vuoto: essa è una componente dell’ufficio del papato, che ha una sua natura, finalità e doveri. Il potere di introdurre, rimuovere o alterare i riti liturgici non è una sorta di onnipotenza [occamista] senza alcun riferimento alla sapienza, alla bontà o alla rettitudine: ci sono condizioni inerenti al papato che delimitano e condizionano tale potere, che conferiscono autorità o meno al suo uso [6]. Per questo motivo gli storici possono dare giudizi sulle occasioni in cui i papi hanno esercitato il loro potere bene o male, prudentemente o imprudentemente, in modo giusto o ingiusto.

In terzo luogo, solo perché qualcosa è affermato in un documento magisteriale non significa che esso sia affermato nel miglior modo possibile, o in un modo che non lo apra a un equivoco errato. Un esempio eloquente è nientemeno che la Mediator Dei, nella quale a un certo punto Pio XII inverte il tradizionale assioma lex orandi, lex credendi dicendo che la lex credendi dovrebbe determinare la lex orandi, e che ciò spiega perché il papa possa modificare la liturgia per fargli esprimere certe dottrine in modo più chiaro [7]. In un certo senso questo è vero: ciò che già insegna la liturgia, sia pure in modo opaco o diffuso, può cristallizzarsi in una nuova solennità, come quando Pio XI nel 1925 introdusse la festa della Regalità di Cristo. Quella regalità era già da tempo professata dalla Chiesa e presente in tutta la liturgia, ma il papa, in risposta al moderno secolarismo, ha voluto che la liturgia insegnasse questa verità più direttamente [8]. Sarebbe falso, tuttavia, affermare che un papa ha l’autorità di tradurre qualunque fantasia gli venga in mente, o qualunque progetto teologico di suo gradimento, in qualche espressione liturgica, come (ad esempio) l’istituzione di una domenica contro le armi da fuoco, la rimozione di tutti i miracoli delle letture in risposta alla critica biblica moderna, o l’approvazione di una casula color arcobaleno per simboleggiare l’inclusività LGBTQ. Tali esempi possono farci ridere e possiamo pensarli del tutto irrealizzabili, ma l’unica ragione per cui lo pensiamo è che riconosciamo implicitamente che il papa non è colui che definisce principalmente o in definitiva né la lex credendi né la lex orandi [9].

Per cogliere il rapporto tra il papato e la legislazione liturgica, dobbiamo partire dalla questione fondamentale: qual è il vincolo del papa nei confronti della tradizione? Una risposta esemplare a questa domanda può essere trovata in una fonte altomedievale: l’Attestazione di Fede, o “Giuramento Papale”, contenuto nel Liber Diurnus Romanorum Pontificum, un insieme di formulari utilizzati dalla cancelleria pontificia, alcuni dei quali risalgono fino a San Gregorio Magno [10]. Sebbene si discuta sull’esatto uso di questo giuramento nel rito con cui un papa veniva investito del suo ufficio, non c’è dubbio che esso rifletta la mente della cristianità, nel senso che riassumeva ciò che ci si aspettava da un papa, così come il modo in cui i papi vedevano sé stessi, il modo in cui parlavano e agivano. Si tratta quindi di una preziosa testimonianza di ciò che i nostri antenati dalla fine del primo millennio all’inizio del secondo videro come i limiti del potere papale. “L’obbligo principale e la più distinta qualità di un nuovo papa”, come riassume Mons. Athanasius Schneider, era “la sua incrollabile fedeltà alla Tradizione così come gli è stata tramandata da tutti i suoi predecessori”. Il giuramento «menzionava, in termini concreti, la fedeltà alla lex credendi (la Regola della fede) e alla lex orandi (la Regola della Preghiera).”

Secondo il giuramento, il papa giura:
Io, (nome), per misericordia di Dio diacono, eletto e futuro vescovo, per grazia di Dio, di questa Sede Apostolica, giuro a te, o beato Pietro, principe degli Apostoli [...] e alla tua santa Chiesa, che oggi ho accettato di governare sotto la tua protezione, che custodirò con tutte le mie forze, fino a consegnare lo spirito o a versare il mio sangue, la retta e vera fede che, essendo stata tramandata da Cristo suo autore e trasmessa dai tuoi successori e discepoli alla mia piccolezza, ho trovato nella tua Santa Chiesa; e con il tuo aiuto sopporterò con pazienza le difficoltà dei tempi; conserverò il mistero della santa e indivisa Trinità che è un solo Dio, come pure la dispensazione secondo la carne [cioè il piano di salvezza teandrico - oikonomia, NdT] dell’unigenito Figlio di Dio, nostro Signore Gesù Cristo, e gli altri dogmi della Chiesa di Dio, così come sono consegnati dai concili universali e dalle costituzioni dei pontefici apostolici e dagli scritti dei più approvati dottori della Chiesa, vale a dire tutto ciò che concerne la rettitudine della vostra e nostra fede ortodossa da voi tramandata; io pure custodirò inalterati anche solo di un piccolo tratto i santi e universali Concili [...] e predicherò tutto ciò che essi predicarono e condannerò nel cuore e nelle parole tutto ciò che essi condannarono; Confermerò inoltre diligentemente e di tutto cuore e conserverò invariati tutti i decreti dei pontefici apostolici miei predecessori, e tutto ciò che essi promulgarono e confermarono in Sinodo e individualmente, e li manterrò con incrollabile vigore così come i miei predecessori li stabilirono, e condannerò con sentenza di eguale autorità qualunque cosa e persona essi condannarono e rigettarono; custodirò inviolata la disciplina e il rito della Chiesa così come l’ho trovato e ricevuto tramandato dai miei predecessori [disciplinam et ritum Ecclesiae, sicut inueni et a sanctis predecessoribus meis traditum repperi, inlibatum custodire], e conserverò inalterato il patrimonio della Chiesa e avrò cura che sia mantenuto inalterato; non sottrarrò né modificherò nulla alla tradizione che i miei stimatissimi predecessori hanno custodito e che ho ricevuto, né ammetterò alcuna novità, ma manterrò e venererò fervidamente con tutte le mie forze tutto ciò che troverò tramandato quale autentico discepolo e seguace dei miei predecessori; ma se dovesse emergere alcunché contrario alla disciplina canonica, lo correggerò e custodirò i sacri canoni e le costituzioni dei nostri pontefici come mandati divini e celesti, sapendo che al giudizio divino renderò un conto rigoroso di tutto ciò che professo a te, il cui posto occupo per divina condiscendenza e il cui ruolo svolgo con l’aiuto della tua intercessione. [11]
Allo stesso modo, il Concilio di Costanza del XV secolo (1414-1418) «si pronunciò sul papa come la prima persona nella Chiesa che è vincolata dalla Fede e che deve custodire scrupolosamente l’integrità della Fede» [12] :
Poiché il Romano Pontefice esercita un così grande potere tra i mortali, è giusto che sia tanto più vincolato dai vincoli incontrovertibili della fede e dai riti che si devono osservare riguardo ai Sacramenti della Chiesa.
Secondo questa trentanovesima sessione del Concilio di Costanza, il neoeletto papa doveva fare un giuramento di fede che includeva questo passaggio:
Io, N., eletto papa, con cuore e bocca confesso e professo a Dio onnipotente, la cui Chiesa mi impegno con la sua assistenza a governare, e al beato Pietro, principe degli apostoli, che finché sono in questa fragile vita crederò fermamente e sosterrò la fede cattolica, secondo le tradizioni degli apostoli, dei concili generali e di altri santi padri... e conserverò questa Fede immutata fino all’ultimo punto e la confermerò, la difenderò e la predicherò fino alla morte e allo spargimento del mio sangue, e così pure io seguirò ed osserverò in ogni modo il rito tramandato dei sacramenti ecclesiastici della Chiesa Cattolica. [13]
Tali testi non sono casi bizzarri e isolati, ma riflettono un consenso comune sul vincolo del papa alla tradizione, tanto che eminenti canonisti e teologi poterono sostenere che un papa meriterebbe di essere contrastato se fosse colpevole di ledere la tradizione o il popolo cristiano che ad essa si affida.

Il cardinale Giovanni di Torrecremata (1388-1468) afferma che se un papa non osserva «il rito universale del culto ecclesiastico” e «si divide con pertinacia dall’osservanza della chiesa universale», può «cadere nello scisma» e non si deve né obbedire né “sopportare” (non est sustinendus) [14]. Il noto commentatore di san Tommaso, il cardinale Gaetano (1469–1534), consiglia così: «Devi resistere, in faccia, a un papa che fa a pezzi la Chiesa apertamente - rifiutando, ad esempio, di conferire benefici ecclesiastici tranne che per denaro, o in cambio di servizi […] Un caso di simonia, anche commesso da un papa, deve essere denunciato” [15]. Il Gaetano parla di simonia, l’acquisto o la vendita di uffici ecclesiastici, che era ovviamente un problema enorme nei secoli passati; ma è lungi dall’essere il peggior peccato o il problema più grande. Oggettivamente parlando, l’imposizione di una disciplina dannosa come la promulgazione di una liturgia valida ma inadeguata e inautentica, o un assalto all’integrità della dottrina, è certamente peggiore della simonia. Francisco Suárez (1548-1617) dichiara: “Se il Papa dà un ordine contrario ai giusti costumi, non si deve obbedirgli; se egli cerca di fare qualcosa di manifestamente contrario alla giustizia e al bene comune, sarebbe lecito resistergli; se attacca con la forza, potrebbe essere respinto con la forza, con la moderazione caratteristica della buona [cioè legittima, NdT] difesa” [16]. Suárez sostiene inoltre che il papa potrebbe essere scismatico “se volesse ribaltare tutte le cerimonie ecclesiastiche fondate sulla tradizione apostolica”[17]. (Notate che egli dice “fondate sulla”, apostolica traditione firmatas: sta parlando dell’intera struttura che è stata eretta sulle origini apostoliche. Ciò significherebbe qualcosa come il Missale Romanum del 1570.) Il domenicano Silvestro da Prierio (1456–1523), figura di primo piano nella risposta iniziale a Martin Lutero, spiega che se il papa stesse distruggendo la Chiesa con azioni malvagie,
commetterebbe certamente peccato; non gli si dovrebbe permettere di agire in tal modo, né gli si dovrebbe obbedire in ciò che fosse male; ma gli si dovrebbe resistere con un cortese rimprovero […] Il potere non gli è dato per distruggere; quindi, se ci sono prove che lo sta facendo, è lecito resistergli. Il risultato di tutto ciò è che se il Papa sta distruggendo la Chiesa con i suoi ordini e atti, gli si può resistere e l’esecuzione del suo ordine può essere impedita. Il diritto all’aperta resistenza all’abuso di autorità dei prelati deriva altresì dal diritto naturale. [18]
Similmente Francisco de Vitoria (1483-1546) afferma: «Se il Papa con i suoi ordini e i suoi atti distrugge la Chiesa, si può resistergli e impedire l’esecuzione dei suoi comandi». San Roberto Bellarmino (1542–1621) concorda:
Come è lecito resistere al papa, se aggredisse la persona di un uomo, così è lecito resistergli, se aggredisse delle anime, o ne turbasse lo stato, e tanto più se si sforzasse di distruggere la Chiesa. È lecito, dico, resistergli, non facendo ciò che comanda, e ostacolando l’esecuzione della sua volontà; tuttavia, non è lecito giudicarlo o punirlo o financo deporlo, perché egli non è altro che un superiore. [19]
Notate - e questo è un punto cruciale - che tutte queste fonti autorevoli danno per assunto che siamo in grado di riconoscere che un papa sta assaltando le anime o distruggendo la Chiesa in un dato momento o con una data politica. In altre parole, il papa non è l’unico giudice del fatto che egli stia favorendo o danneggiando la Chiesa, come se dovessimo aspettarci da lui una dichiarazione del tipo: “Fratelli e sorelle, ora sto favorendo la Chiesa, quindi dovete obbedirmi perfettamente” oppure “Guai a me, ora sto danneggiando la Chiesa, quindi vi è permesso di resistermi”. Esiste un ruolo che la nostra ragione ben formata e la nostra fede svolgono nel valutare le sue parole e azioni. I fedeli di Cristo non sono semplicemente in una posizione passiva rispetto ai comandi, ai decreti o alle azioni papali; la loro obbedienza è intelligente, libera e coscienziosa.

Certo, la “posizione standard” per un cattolico è quella di presumere il meglio, di voler obbedire e seguire quanto comandato; così che uno dovrebbe essere, per così dire, “costretto” ad assumere una posizione diversa, specialmente una posizione di resistenza; ma lo stesso affermare ciò vuol dire ammettere che è possibile che un papa agisca in modo così sbagliato da poter essere visto come dannoso per la Chiesa e meritevole di resistenza. In breve: il diritto di resistere a un abuso di potere implica logicamente il diritto di giudicare che qualcosa è un abuso di potere [20]. Questa capacità di riconoscere l’abuso è inseparabile da quella adesione dei fedeli, lodevole e financo normativa, alla consuetudine immemorabile e alla venerabile tradizione. Perché il “sistema immunitario” della Chiesa sia funzionale in un momento di crisi, devono esserci cattolici che non siano tanto intimiditi dall’autorità, laica o ecclesiastica, da smettere di trattenersi a ciò che hanno ricevuto. Questo, infatti, è esattamente ciò che ha fatto la prima generazione di tradizionalisti sull’onda della riforma liturgica postconciliare [21].

Per vedere che la posizione che qui sto difendendo non è stravagante, dovremmo considerare un suo famoso propugnatore dei tempi più recenti: nientemeno che Joseph Ratzinger. In “Lo spirito della liturgia”(2000), Ratzinger scrive:
Dopo il concilio Vaticano II si è ingenerata l’impressione che il papa potesse fare qualunque cosa in materia liturgica, soprattutto se agiva su incarico di un concilio ecumenico. È accaduto così che l’idea della liturgia come qualcosa che ci precede e che non può essere «fatta» a proprio arbitrio sia andata ampiamente perduta nella coscienza diffusa dell’Occidente. Difatti, però, il concilio Vaticano I non ha per nulla inteso definire il papa come un monarca assoluto, ma, al contrario, come il garante dell’obbedienza rispetto alla parola tramandata: la sua potestà è legata alla tradizione della fede e questo vale anche nel campo della liturgia. Essa non è «fatta» da funzionari. Anche il papa può solo essere umile servitore del suo giusto sviluppo e della sua permanente integrità e identità […] L’autorità del papa non è illimitata; essa sta al servizio della santa tradizione.
Benedetto XVI riprende lo stesso tema nel 2005, nella sua prima omelia papale a San Giovanni in Laterano:
Il potere conferito da Cristo a Pietro e ai suoi successori è, in senso assoluto, un mandato per servire. La potestà di insegnare, nella Chiesa, comporta un impegno a servizio dell’obbedienza alla fede. Il Papa non è un sovrano assoluto, il cui pensare e volere sono legge. Al contrario: il ministero del Papa è garanzia dell’obbedienza verso Cristo e verso la Sua Parola. Egli non deve proclamare le proprie idee, bensì vincolare costantemente se stesso e la Chiesa all’obbedienza verso la Parola di Dio, di fronte a tutti i tentativi di adattamento e di annacquamento, come di fronte ad ogni opportunismo. […] Il Papa è consapevole di essere, nelle sue grandi decisioni, legato alla grande comunità della fede di tutti i tempi, alle interpretazioni vincolanti cresciute lungo il cammino pellegrinante della Chiesa. Così, il suo potere non sta al di sopra, ma è al servizio della Parola di Dio, e su di lui incombe la responsabilità di far sì che questa Parola continui a rimanere presente nella sua grandezza e a risuonare nella sua purezza, così che non venga fatta a pezzi dai continui cambiamenti delle mode. [22]
Si noti che Ratzinger riconosce la libertà del papa di agire o non agire in accordo con questo vincolo intrinseco; egli non è un automa che mai mancherà di fare la cosa giusta, ma un uomo che ha ricevuto un dovere solenne che deve adempiere se non vuole nuocere alla Chiesa.

Se possediamo questa concezione veramente cattolica del papato - che lo vede come un ufficio al servizio di una sacra eredità da ricevere, custodire, difendere, esporre e trasmettere - ne consegue che l’abolizione di riti liturgici immemorabili è assolutamente fuori questione. Come annotava Joseph Ratzinger in un discorso del 1998: «E’ bene ricordare qui che il Cardinal Newman osservava che la Chiesa, durante la sua storia, non ha mai abolito o proibito le forme liturgiche ortodosse, cosa che sarebbe del tutto aliena dallo spirito ecclesiale.”[23] Possiamo già vedere il germe della sua nota affermazione nella lettera ai vescovi che accompagnava il Summorum Pontificum: “Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso. Ci fa bene a tutti conservare le ricchezze che sono cresciute nella fede e nella preghiera della Chiesa, e di dar loro il giusto posto”. Ricordate la significativa affermazione che fece il cardinale Ratzinger in un’intervista del 1996: “Una comunità mette in discussione il suo stesso essere quando all’improvviso dichiara che quello che fino ad ora era il suo bene più sacro e più alto è adesso severamente proibito, e quando fa sembrare del tutto indecente il desiderio verso di esso. Ci si può fidare di essa per qualsiasi altra cosa? Non vieterà domani ciò che oggi prescrive?”[24]

Come abbiamo appena visto, Ratzinger fa riferimento al cardinale Newman come ad un testimone. Diamo un’occhiata al pertinente passaggio del grande professore di Oxford. In un sermone chiamato “Cerimonie della Chiesa”, S. John Henry Newman spiega che la riverenza che dobbiamo avere verso le forme liturgiche ricevute in eredità è così grande che persino Nostro Signore stesso e i suoi Apostoli, invece di creare la liturgia cristiana de novo, hanno continuato a seguire i riti di culto giudaici, che poi elaborarono e trasformarono nei riti apostolici della Messa, dei sacramenti, dell’Ufficio divino, delle benedizioni e delle consacrazioni:
Le questioni di fede, certamente, Egli ce le rivela per ispirazione, perché soprannaturali; ma le questioni di dovere morale, attraverso la nostra stessa coscienza e la ragione divinamente guidata; e le questioni di forma [cioè, i modi di pregare], tramite la tradizione e il lungo uso, che ci legano all’osservanza di esse, sebbene non siano prescritte dalla Scrittura. […] Le forme di devozione sono parti della devozione. Chi può all’atto pratico separare la sua visione del corpo e dello spirito? Ad esempio, che amico sarebbe per noi quello che ci trattasse male, o ci negasse il cibo, o ci mettesse in prigione; e dire, dopo tutto, che è stato il nostro corpo che ha maltrattato, e non la nostra anima? Allo stesso modo, nessuno può davvero rispettare la religione e insultarne le forme. Ammesso che le forme non vengano immediatamente da Dio, nondimeno l’uso prolungato [cioè antico, NdT] ce le ha rese divine; poiché lo spirito della religione li ha così penetrati e vivificati, che distruggerli è, rispetto alla moltitudine degli uomini, sconvolgere e divellere lo stesso principio religioso. Nella maggior parte delle menti l’uso li ha così identificati con la nozione di religione, che l’uno non può essere estirpato senza l’altro. […]
I servizi e le ordinanze della Chiesa sono la forma esteriore in cui la religione è stata per secoli rappresentata al mondo, e la sola che ci è mai stata conosciuta. I luoghi consacrati all’onore di Dio, il clero accuratamente riservato al suo servizio, il giorno del Signore piamente osservato, le forme pubbliche di preghiera, le riverenze del culto, queste cose, considerate nel loro insieme, sono sacre relativamente a noi, anche se non fossero, come lo sono, divinamente sanzionate. I riti che la Chiesa ha stabilito, e con ragione, - poiché l’autorità della Chiesa viene da Cristo - essendo usati da lungo tempo, non possono essere dismessi senza danno per le nostre anime. [25]
Wolfram Schrems commenta così questo passaggio:
La Chiesa non abolisce mai le preghiere consuetudinarie santificate dal lungo utilizzo. […] È sempre sacrilegio e gravemente dannoso per la Fede l’abolizione di una consuetudine antica e santificata della preghiera. Papa San Pio V, la cui riforma Tridentina del messale fu tutt’altro che rivoluzionaria, dichiarò che da allora innanzi erano proibiti tutti i riti nella chiesa latina salvo quelli che avevano più di 200 anni. Pio V conosceva i limiti del potere papale [26].
Quando Ratzinger fornisce una definizione di “rito”, egli la lega immediatamente alla tradizione, al contenuto della fede e all’atto della trasmissione (che è ciò che significano il termine latino traditio e il greco paradosis):
Il “rito”, quella forma di celebrazione e di preghiera maturata nella fede e nella vita della Chiesa, è una forma condensato di Tradizione vivente in cui l’insieme che utilizza quel rito esprime tutta la sua fede e la sua preghiera, e così allo stesso tempo la comunione delle generazioni le une con le altre diventa qualcosa che possiamo sperimentare, comunione con le persone che pregano prima di noi e dopo di noi. Il rito è dunque un bene che è donato alla Chiesa, una forma viva di paradosis, la trasmissione della Tradizione.[27]
In altre parole, ancora una volta: lex orandi, lex credendi, lex vivendi. Nel tempo, il rito si sviluppa in seno alla Chiesa come espressione di chi essa è, cosa crede, come prega, e dunque è sempre donato alla Chiesa nel susseguirsi delle epoche. Il papa non può e non deve interrompere questa trasmissione o farla deviare, ma piuttosto essere quel “servo dei servi di Dio” che assiste alla sua fedele realizzazione.

Ecco perché il cardinale Ratzinger ha potuto scrivere queste potenti parole su ciò che è andato storto nel periodo successivo al Concilio:
La riforma liturgica, nella sua concreta realizzazione, si è allontanata sempre più da questa origine. Il risultato non è stata una rianimazione ma una devastazione. Al posto di una liturgia frutto di uno sviluppo continuo, è stata messa una liturgia fabbricata. Si è usciti dal processo vivente di crescita e di divenire per entrare nella fabbricazione. Non si è più voluto proseguire il divenire e la maturazione organici del vivente attraverso i secoli, e li si è rimpiazzati – come fosse una produzione tecnica – con una fabbricazione, prodotto banale del momento [28].
Ratzinger era favorevole a una riforma liturgica graduale e conservatrice. Pur avendo sempre riconosciuto la validità sacramentale del Novus Ordo, egli comprese la rottura avvenuta a causa di un papa che, a differenza di centinaia dei suoi predecessori, non aveva agito come un giardiniere e aveva preferito operare come meccanico o fabbricante, portando a una forma della liturgia romana così diversa dalla sua tradizione precedente che doveva essere vista come un anno zero, l’inizio di una nuova “tradizione” e non la continuazione della vecchia tradizione. Ecco perché Benedetto XVI poté chiamarle due “forme” e proporre la loro convivenza; non riusciva a pensare ad un altro modo papalmente responsabile per uscire dall’impasse se non lasciare che quelli che riteneva i punti di forza di ciascuna “forma” si contagiassero nell’altra, per il loro “mutuo arricchimento”. Per quanto contorta possa essere stata la sua soluzione, dobbiamo notare che è stata scelta (forse, con una certa ironia) perché più coerente con una visione tradizionale del papato: il papa, preoccupato soprattutto di trasmettere ciò che aveva ricevuto - anche se parte di quanto aveva ricevuto era problematico! - favorisce processi graduali e organici piuttosto che imporre “correzioni” improvvise che minacciano ulteriore caos. [29]

Penso che ora siamo in una posizione migliore per comprendere perché il primo e più fondamentale errore che fanno gli apologeti del papa è quello di presumere che la liturgia sia semplicemente “disciplinare”[30] e che la giurisdizione “universale e immediata” del papa gli conferisca il potere di cambiare qualsiasi cosa - tranne le cosiddette “forme dei sacramenti”. [31] Possono citare argomenti testuali in tal senso, ma così facendo li allontanano dal contesto della tradizione vivente, ad un tempo diacronica e sincronica, che stabilisce i confini per l’esercizio di tale potere. Sebastian Morello esprime molto bene questo punto:
Il governo di per sé esiste per la protezione della società e del suo modo di vivere, affinché la società possa raggiungere i fini per i quali si formano le comunità umane; il governo non è il creatore della società. Allo stesso modo, il papa ei vescovi hanno il mandato di custodire e trasmettere la tradizione che è stata loro tramandata (2Tess 2, 15), e non possono ripudiarla o abrogarla, o inventarne loro una nuova versione. La tradizione della Chiesa, sia la fede che la pratica, non è di loro proprietà, così che possono farne ciò che desiderano. La tradizione della Chiesa appartiene a tutti i fedeli. Di questa tradizione i vescovi (compreso il papa) sono i guardiani e i servitori. Non possono mai essere creatori né proprietari della dottrina, della pratica o della vita liturgica della Chiesa, ma sono incaricati di proteggere e promulgare la comune eredità religiosa di tutti i fedeli. Che i papi e i vescovi si comportino come se la tradizione della Chiesa fosse cosa loro, con cui possono fare ciò che vogliono, e il resto dei fedeli deve solo accettarla, segna la più grezza forma di clericalismo [32].
Come John Henry Newman riconosceva, l’autorità papale ha senso proprio nel contesto della tradizione comunitaria: essa ha lo scopo ovvio di prevenire la corruzione e risolvere le difficoltà che possono emergere. Non è una fluttuante astrazione, ma un servizio a un determinato deposito, che è anzitutto il deposito rivelato della fede, ma anche un deposito di tradizioni e costumi ecclesiastici che con esso sono cresciuti, che lo esprimono e lo proteggono. La somma di tutto ciò è affidata al papa perché la custodisca e la trasmetta. Sì, sappiamo tutti che piccole aggiunte o modifiche sono possibili e talvolta auspicabili, ma il consenso generale tra canonisti e teologi è che queste debbano essere di natura tale da rimanere in armonia e rispettose di ciò che già esiste.

Dire che solo il papa determina quando e come esercitare la sua autorità disciplinare significa dire che non è possibile che il papa possa mai abusarne - o abusare di qualcuno o di qualcosa. Vale a dire che egli ha diritti, ma nessun dovere; potere, ma niente limiti - naturali, divini, ecclesiastici - al suo potere. Coloro che sostengono che il papa ha l’autorità di abrogare o abolire un rito liturgico immemorabile e di sostituirlo con uno di nuova costruzione, mostra di aver abbandonato il cattolicesimo confessionale e storicamente fondato in favore di una sua caricatura. È una reductio ad absurdum del papato, che fa il gioco dei polemisti protestanti e ortodossi che avrebbero ogni ragione a opporvisi. [33]

Per rendere pienamente manifesta l’assurdità a cui si ridurrebbe necessariamente il cattolicesimo seguendo le conseguenze logiche della linea iper-papalista, consideriamo quattro serie di domande che si potrebbero porre. [34]
  1. Può un papa rimuovere intere parti della Messa, ad esempio decretare che la Messa sia composta solo dalla Messa dei Fedeli (o Liturgia Eucaristica), e non anche dalla Messa dei Catecumeni (o Liturgia della Parola)?
  2. Quale discrezione ha il papa nel cambiare le date delle feste e i tempi liturgici? Può cambiare la data del Natale? Potrebbe rimuovere del tutto il Natale o la Pasqua dal calendario liturgico? Potrebbe togliere dal calendario la Quaresima e l’Avvento?
  3. Può un papa modificare il rito bizantino, comandando che sia offerto solo in latino (o in esperanto)? Può sopprimere del tutto il rito bizantino? Può obbligare una Chiesa sui juris di rito bizantino a utilizzare il rito armeno?
  4. Può un papa creare un rito liturgico del tutto nuovo, non basato su alcun precedente? Potrebbe creare un rito amazzonico che non ha alcuna somiglianza con il rito romano? Potrebbe cambiare il rito della Chiesa latina con il rito amazzonico o, per quel che vale, con quello rito bizantino? Quell’adozione renderebbe dunque il rito bizantino il rito romano in quanto letteralmente il rito della Chiesa a Roma?
A tutte queste domande, un “papalista” di stretta osservanza dovrebbe rispondere “sì”. Il punto in questione non è se il papa farà effettivamente una cosa del genere, ma se egli può e potrà farlo. E ci sono solo due possibilità. O egli ha il potere di farlo - potendo emanare un decreto con forza di legge - ma non ha l’autorità (morale) per farlo; o egli non ha, in effetti, alcun potere del genere: può emanare un decreto proceduralmente valido che non sarebbe giuridicamente valido a causa del suo contenuto (ipotesi contemplata dai giusnaturalisti). Nel primo caso, egli emana un decreto proceduralmente valido e giuridicamente vincolante che era moralmente sbagliato ordinare; nel secondo caso egli compie un atto nullo, essendo privo di ratio di legge [35]. In entrambi i casi, la derivante legge o apparenza di legge arrecherebbero un grave danno alla Chiesa e il legislatore stesso sarebbe colpevole di peccato grave [36]. Se si tratta di una legge cattiva, faremmo bene a lavorare e a pregare per la sua abrogazione o modifica e a cercare di mitigarne il più possibile gli effetti; se si tratta di una legge ingiusta e dunque di una non-legge, potremmo giustamente ignorarla e agire liberamente in contrasto con le sue disposizioni.

Domande come quelle nelle quattro serie sopra menzionate ci aiutano a vedere i confini impliciti o espliciti che esistono prima che un papa salga al potere e che esistono al di sotto e al di sopra del suo ufficio. Le realtà liturgiche sono concrete e definite; esse sono autentiche regula, regole per la Chiesa. Ecco perché Massimo Viglione ha sicuramente ragione nel dire:
La Lex orandi della Chiesa, infatti, non è una “legge” di diritto positivo votata da un parlamento o prescritta da un sovrano, che può sempre essere ritirata, mutata, sostituita, migliorata o peggiorata. La Lex orandi della Chiesa, inoltre, non è una “cosa” specifica determinata nel tempo e nello spazio, bensì è l’insieme delle norme teologiche e spirituali e degli usi liturgici e pastorali di tutta la storia della Chiesa, dai giorni evangelici – e specificamente dalla Pentecoste – a oggi. Per quanto essa si viva ovviamente nel presente, è comunque radicata in tutto il passato della Chiesa. Pertanto, qui non si sta parlando di un qualcosa di umano – esclusivamente umano – che un cacicco qualsiasi può cambiare a suo piacimento. La Lex orandi comprende tutti i venti secoli della storia della Chiesa, e non esiste uomo o consesso di uomini al mondo che possano mutare questo venti volte secolare deposito. Non esiste papa, concilio, episcopato, che possa mutare il Vangelo, il Depositum Fidei, il Magistero universale della Chiesa. E nemmeno la Liturgia di sempre. [37]
Ricordiamo un fatto che oggi ci sembra sbalorditivo, ma che non avrebbe sorpreso nessuno per gran parte della storia della Chiesa: la liturgia della Chiesa occidentale o di rito latino è esistita nelle sue molteplici varietà per 1500 anni - per ben quindici secoli - prima che qualsiasi papa esercitasse l’autorità papale per codificare o definire un libro liturgico. In risposta alla rivolta protestante, San Pio V fece l’impegnativo passo di istituire un’edizione definitiva o editio typica di un rito che era stato usato per secoli quale consuetudine autorevole. Lungi dal “creare il suo messale”(come alcune persone continuano ad affermare con ignoranza), Pio V fece l’azione più conservatrice possibile nelle date circostanze: agì precisamente per conservare la tradizione davanti a un imponente assalto ereticale e alle sue innumerevoli innovazioni.

La stessa posizione assume il cardinale Raymond Leo Burke, uno dei più eminenti canonisti della Chiesa cattolica e per anni principale canonista del Vaticano, in un passaggio che riassume tutte le nostre considerazioni svolte finora [qui].
Ma il Romano Pontefice può abrogare giuridicamente l’UA [Usus Antiquior, NdT]? La pienezza di potere (plenitudo potestatis) del Romano Pontefice è il potere necessario per difendere e promuovere la dottrina e la disciplina della Chiesa. Non è un “potere assoluto” che includerebbe il potere di cambiare la dottrina o di sradicare una disciplina liturgica che è viva nella Chiesa dai tempi di Papa Gregorio Magno e anche prima. L’interpretazione corretta dell’articolo 1 non può essere la negazione che l’UA sia un’espressione sempre vitale della “lex orandi del Rito Romano”. Nostro Signore che ha fatto il meraviglioso dono dell’UA non permetterà che venga sradicato dalla vita della Chiesa.
Bisogna ricordare che, da un punto di vista teologico, ogni valida celebrazione di un sacramento, per il fatto stesso che è un sacramento, è anche, al di là di ogni legislazione ecclesiastica, un atto di culto e, quindi, anche una professione di fede. In questo senso, non è possibile escludere il Messale Romano, secondo l’UA, come espressione valida della lex orandi e, quindi, della lex credendi della Chiesa. Si tratta di una realtà oggettiva della grazia divina che non può essere modificata da un semplice atto di volontà anche della massima autorità ecclesiastica. [38]
Così, quando gli apologeti affermano allegramente: “Il papa può cambiare la liturgia a suo piacimento”, possiamo interromperli per esprimere il nostro cortese disaccordo. Il Papa, o gli altri nella gerarchia, possono legiferare per la liturgia, vale a dire circa le condizioni che la circondano, le edizioni a stampa di essa, le qualifiche dei ministri che la svolgono, etc., ma non legiferano la liturgia di per sé. Pienezza di potere significa potere di fare tutto ciò che può essere (lecitamente) fatto, non potere di fare tutto ciò che chi lo detiene vuole [39]. Se l’affermazione “il papa può cambiare la liturgia a suo piacimento” è accettata senza riserve, allora la tradizione non significa essenzialmente nulla. E questa non è una visione cattolica (e mai lo è stata), ma nominalistica e volontaristica [40]. Lo standard cattolico è espresso in modo magnifico da p. John Hunwick:
La Santa Tradizione, la quale, naturalmente, ha la Sacra Scrittura come una delle sue strutture di governo. La Santa Tradizione, la cui prima manifestazione, giorno per giorno, è nella Liturgia. La Santa Tradizione è la nostra più autentica Padrona. La Santa Tradizione è l’auctoritas suprema e dominante nella vita della Famiglia di Dio. Nessuna auctoritas può sussistere in atti che sovvertono manifestamente la Santa Tradizione. [41]
* * *
In questa conferenza non ho approfondito le disposizioni specifiche della Traditionis Custodes o la descrizione che Papa Francesco fa della sua decisione nella lettera di accompagnamento [42]. Ma ciò è chiaramente nella mente di tutti, e mi sembra quindi opportuno discorrerne più direttamente.

Il cardinale Walter Brandmüller ha scritto un breve articolo [qui] in cui ha sottolineato che una legge non ricevuta o approvata, cioè messa da parte nella pratica e non rispettata, viene riconosciuta nella tradizione canonica come priva della piena natura di legge. Egli dice, inoltre, che vi sono situazioni in cui il diritto consuetudinario può sospendere l’obbligatorietà di una nuova legge contraria ad esso: il diritto canonico prevede consuetudini che prevalgono sulla legislazione contraria. Infine, Sua Eminenza ci ricorda che una legge dubbia non obbliga: vale a dire che se la pertinenza, l’applicabilità o la compatibilità della legge con altre leggi è poco chiara o problematica, essa manca della piena forza del diritto. E questo è certamente vero per questo motu proprio zeppo di errori e canonicamente raffazzonato. Io andrei oltre e sosterrei che il motu proprio è privo di legittimazione giuridica - in altre parole, è illecita o illegittima perché è fondata su molteplici e dimostrabili falsità e contiene contraddizioni e ambiguità che renderebbero la sua applicazione arbitraria e incerta [43].

Anche se per amor di discussione dovessimo concedere che il documento possieda forza giuridica (almeno nella misura in cui è intelligibile) e che le sue disposizioni rientrino in ciò che un papa può fare, avremmo comunque il diritto e il dovere di lottare per la sua abrogazione e per resistervi in ogni modo a nostra disposizione. Perché rappresenterebbe comunque un uso tirannico del potere con il quale un gerarca spadroneggia sui suoi sudditi e li spoglia di ciò che appartiene loro, e, di fatto, cerca in ultima analisi la liquidazione di una minoranza nella Chiesa, in modo molto simile a quello in cui il Partito Comunista Cinese, con cui il Vaticano ha un’alleanza segreta, rastrella le minoranze etniche e religiose e le inserisce in “campi di rieducazione” dove possono imparare a essere cittadini modello.

Come siamo arrivati a questo punto, dove invece di un papa che riceve, custodisce, promuove e tramanda la tradizione, abbiamo un papa che ha tentato di scatenare una guerra globale contro i cattolici, contro i sacerdoti, i religiosi e i laici, che non fanno altro che fare quello che dovrebbe fare lui? Questa è una domanda enorme per la quale sarebbe necessaria un’altra conferenza, ma permettetemi di tracciare uno schema di risposta. Ci sono due cause primarie.

La prima causa è quello che ho chiamato “lo spirito del Vaticano I” -Vaticano Primo, badate bene. Quel concilio diede una definizione ristretta dell’infallibilità papale insieme a una descrizione ampia della posizione singolare del papa come vicario di Cristo nel corpo visibile della Chiesa sulla terra. Tragicamente, invece di essere accolta nella sua moderazione e intesa in continuità con la più piena comprensione del rapporto del papato con la tradizione che ho riassunto in questo intervento, la costituzione Pastor Aeternus è stata presa da molti come un avallo di un iperpapalismo che concentra tutta l’autorità, tutta la verità, tutta la legge, e l’insieme della “identità cattolica” nell’ufficio papale e nella persona stessa del papa, come se poi questa emanasse da lui verso ogni altra autorità. Sebbene i più roboanti ultramontani uscirono sconfitti al concilio, il loro cultus del Romano Pontefice non solo è sopravvissuto, ma ha prosperato, portando nel tempo al fenomeno del papa superstar, ogni cui parola e azione viene trasmessa istantaneamente in tutto il mondo a un pubblico palpitante e in attesa di una guida. Ciò ha teso a indebolire l’istinto cattolico a ricevere la verità della Fede da una ricca rete di fonti tramite cui Essa ci giunge: la Sacra Scrittura, la Sacra Tradizione, i monumenti della tradizione ecclesiastica (il più grande dei quali è la Sacra Liturgia), i Padri e i Dottori della Chiesa, i grandi santi mistici e ascetici, le devozioni e i costumi popolari. Ciò ha, inoltre, sostituito un nuovo tipo di epistemologia o teoria della conoscenza in cui il nostro accesso alla verità si ha non tanto mediante l’esercizio della virtù della fede e del potere della ragione sui loro oggetti propri, quanto mediante l’assoggettamento dell’intelletto e della volontà all’intelletto e alla volontà del superiore gerarchico, assunti come misura di verità unica e sufficiente. L’obbedienza viene quindi reinterpretata come l’evacuazione di sé stessi dalla propria conoscenza e del proprio giudizio per essere riempiti di qualsivoglia contenuto vi venga versato, senza farsi domande su come ciò sia o non sia in armonia con ogni altro contenuto proveniente da qualsiasi altra fonte. Ora, il cattolicesimo riguarda intrinsecamente la sottomissione gerarchica e la virtù dell’obbedienza è per noi certamente preziosa; ma come sappiamo, corruptio optimi pessima, la corruzione di ciò che è ottimo è pessima: esiste una sottomissione giusta e una sottomissione ingiusta, una vera e una falsa obbedienza, e la differenza può essere drammatica. Tali distinzioni vengono fatte di rado perché noi tutti siamo sotto l’influenza di una nozione esageratamente gesuitica di obbedienza cieca (di cui non darò la colpa a sant’Ignazio di Loyola, di cui oggi celebriamo la nascita alla vita eterna, ma piuttosto ai suoi successori [44]), e, di conseguenza, abbiamo perso un più ricco sensus catholicus delle norme che governano la vita e il pensiero cristiano. Tornando poi all’ultramontanismo, vediamo in esso una confluenza di più fattori: una crescente tendenza della Chiesa a imitare l’assolutismo dello Stato moderno, insieme al crollo delle strutture giuridiche intermedie e sussidiarie e dei centri di gravità culturali che fungevano da “pesi e contrappesi”, per così dire, all’autorità centralizzata e alle idee di monopolizzazione; [45] una sorta di clericalismo e di trionfalismo che non sono affatto la stessa cosa che celebrare la dignità del sacerdozio e il regno di Cristo Re; e, come ho detto, una nozione gesuitica di cieca obbedienza all’autorità religiosa. Se mettiamo insieme tutte queste cose, finiamo con l’idea che la Chiesa sia governata da un monarca assoluto [46] le cui idee sono giuste, la cui volontà è legge, il cui potere supera illimitatamente tutta la storia, i costumi, la tradizione o financo il precedente insegnamento di magistero. Egli è un oracolo delfico, un dio mortale, un’immagine dell’onnipotenza divina, un concentrato di tutto il cattolicesimo. Questo, inutile dirlo, non è e non può essere ciò che è il papato. [47]

La seconda causa della nostra crisi è il Modernismo, sorto nella seconda metà dell’Ottocento, che ha raggiunto il suo primo apogeo durante il regno di Pio X, e poi, divenuto clandestino, è riemerso con maggior vigore durante il pontificato di Pio XII, per confluire infine nel Concilio Vaticano II esercitando un’influenza indiscutibile sulla formulazione dei documenti come sulla loro attuazione. All’intero programma di “modernizzazione” è stata data non solo una dimensione pastorale o pratica, che probabilmente sarebbe rimasta innocente, ma anche teologica, che è diventata ideologica: un conformarsi della Chiesa agli ideali e ai valori del mondo liberale prodotti dall’età delle rivoluzioni, in perfetta contraddizione con le condanne del Sillabo degli errori di Pio IX [48]. Fino a Giovanni XXIII, i papi erano stati più o meno risolutamente antimodernisti. Dopo Giovanni XXIII, la situazione si fa più ambigua, confusa e anarchica, con i papi che sembrano parlare con due bocche: a volte riaffermano l’insegnamento tradizionale, altre volte sembrano contraddirlo, o mescolarlo con idee estranee, o semplicemente evitarlo, condannandolo al silenzio [49]. Con Papa Francesco, invece, siamo entrati in una nuova fase, in cui il modernismo, in un modo o nell’altro, si confonde con quasi tutto ciò che egli dice e fa; è questo non è affatto difficile da dimostrare. Così, nel pontificato di Francesco le due correnti si sono unite: egli unisce in una sola persona lo spirito del Vaticano I e lo spirito del Vaticano II, una visione ultramontanista della leadership papale e un orientamento teologico modernista [50]. Una combinazione veramente mostruosa, e la più grande prova che la Chiesa abbia mai affrontato, anche se la maggior parte dei cattolici è così intossicata dalla modernità e così impressionata dall’autorità papale da tendere a pensare che sarebbe peggio se il papa avesse un’amante o praticasse la simonia. Come mi piace ricordare, papa Alessandro VI - un Borgia che ebbe almeno sette figli per mezzo di due amanti che erano anche donne sposate, e che elargiva liberamente uffici ai suoi parenti - non seppe resistere ai suoi appetiti di lussuria e di ambizione, ma non osò mai toccare la liturgia della Chiesa cattolica, la sua dottrina, e nemmeno il suo insegnamento morale che lui stesso violava [51]. Non ha, ad esempio, soppresso i testi liturgici che parlavano del peccato, del giudizio, della morte e della realtà dell’inferno [52], o la necessità di disprezzare i beni terreni e desiderare quelli celesti [53]. Non dichiarò ingiusta la pena capitale, né che i cattolici divorziati e risposati civilmente potessero ricevere i sacramenti senza pentimento. Tali atti eclatanti contro la natura, lo scopo e i limiti del papato dovevano essere poi commessi da Paolo VI e da Francesco.

Avendo aperto queste prospettive immense, devo ora concludere questa conferenza. Quale dovrebbe essere la nostra risposta come cattolici a una situazione così catastrofica nella Chiesa? La risposta è tanto semplice quanto antica: ora et labora, prega e lavora. È così che i monaci e le monache benedettine mantennero accesa la luce della fede nei secoli bui e gettarono le basi per l’era gloriosa che seguì, la cristianità al suo apice. Siamo caduti in dei nuovi Secoli Oscuri, ma i nostri strumenti devono essere gli stessi dei loro. Parte del nostro lavoro deve essere quello dello studio: dobbiamo leggere libri - non solo libri spirituali - che ci aiutino a capire, a pensare chiaramente, ad agire bene e a dare buone spiegazioni agli altri. Non tutti sono chiamati ad essere studiosi, ma tutti possono dedicare parte della loro giornata alla lettura di una decina o ventina di pagine. Voglio consigliare quattro libri in particolare che riguardano questa tematica.
  1. Christus vincit. Il trionfo di Cristo sulle tenebre del nostro tempo” di Mons. Athanasius Schneider [qui]. Quando qualcuno mi chiede: “Cosa dovrei leggere per capire l’attuale crisi della Chiesa, come ci siamo arrivati e come ne usciamo?” consiglio sempre questo libro, che è scritto con la chiarezza, la forza d’animo, la gentilezza, e l’ortodossia per le quali Mons. Schneider è famoso.
  2. Love for the Papacy and Filial Resistance to the Pope in the History of the Church” [Amore per il papato e filiale resistenza al papa nella storia della Chiesa, NdT] di Roberto de Mattei. Dobbiamo conoscere i casi storici in cui i papi hanno fatto confusione, a livello dottrinale o prudenziale, e hanno conosciuto la legittima resistenza dei membri della Chiesa. È confortante - sia nell’accezione attuale della parola (consolante, rassicurante) sia nel suo senso più antico (rafforzante, galvanizzante) - sapere che ci sono precedenti per tale resistenza, e sapere che aspetto essi avevano. La Divina Provvidenza fa sorgere le persone giuste al momento giusto.
  3. Defending the Faith Against Present Heresies” [Difendere la Fede contro le presenti eresie, NdT] [qui] a cura di John Lamont e Claudio Pierantoni. La migliore critica in un volume unico della teologia e del governo della Chiesa da parte di Papa Francesco. Come ho affermato prima, il contesto è molto importante per raggiungere una reale comprensione, e questo libro traccia un contesto ricco e completo per cogliere il significato e la funzione della Traditionis Custodes.
  4. Infine, “Are Canonizations Infallible? Revisiting a Disputed Question” [Le canonizzazioni sono infallibili? Riconsiderare una questione disputata] [qui]. Molti cattolici tradizionali sono rimasti turbati dalla canonizzazione a fuoco rapido del trio di papi del Concilio Vaticano II, vale a dire Giovanni XXIII, Paolo VI e Giovanni Paolo II. Questa raccolta offre un’eccellente introduzione alla storia della canonizzazione, alle modifiche apportate al processo in diversi momenti, alla natura e agli oggetti dell’infallibilità papale e, infine, delle ragioni per mettere in discussione l’infallibilità delle canonizzazioni - in altre parole, che alcune canonizzazioni possono essere erronee, e che questa è una posizione che i cattolici possono lecitamente sostenere.
Cosa facciamo, allora? Vorrei fare eco a una recente affermazione del Dr. Joseph Shaw: “Il modo migliore per rispondere alla Traditionis Custodes è continuare con il lavoro di restaurazione della Tradizione”, in qualunque modo sia a nostra disposizione. E così il Dr. Shaw prosegue parlando dell’addestramento dei chierichetti e del rammendo dei paramenti sacri.

Ora e sempre, siate radicati alla Fede. Insegnate la fede. Vivete la Fede con amore e zelo. Dio si prenderà cura del resto.
_________________________________
Note conclusive 
[1] Si vedano le seguenti raccolte su New Liturgical Movement: “Roundup of Major Reactions to Traditionis Custodes”, 22 luglio; “Continuing the List of Articles on Traditionis Custodes”, 23 luglio; “Further Articles on the Motu Proprio Traditionis Custodes”, 28 luglio.
[2] Per ulteriori informazioni sulla questione del contesto, si veda il mio articolo “Sun, Moon, and Stars: Tradition for the Saints”, OnePeterFive, 3 febbraio 2021.
[3] Vale la pena sottolineare che il termine ritus (tradotto qui come “riti”) non è affatto auto-evidente; è infatti un termine di vaghezza quasi notoria, che può riferirsi a qualsiasi cosa, da una cerimonia particolare (il “rito della comunione”, cioè come si distribuisce la comunione, sotto una ovvero due specie) ad una intera liturgia (il “rito della Messa” o il “rito del battesimo”, cioè l’intera intera, con tutti i suoi elementi) a un intero rito con tutte le sue numerose liturgie (“il rito romano”, “il rito bizantino”) a un uso particolare all’interno di quel rito (“il rito domenicano”, che più propriamente si chiamerebbe “l’uso domenicano”). Papa Pio XII non voleva certamente dire: “posso inventare un rito pacelliano, da affiancare alla liturgia di san Giovanni Crisostomo e alla messa romana”, ma piuttosto qualcosa come “la suprema autorità della Chiesa può sottrarre la comunione al calice il calice ai non-celebranti”. Per quel che vale, non avrebbe forse un patriarca un analogo potere sopra il rituale della sua chiesa?
[4] John A. Monaco, “Was the Sacred Liturgy made for the pope, or the pope for the Sacred Liturgy?”, Catholic World Report , 28 luglio 2021.
[5] Tutte le fonti autorevoli riconoscono che la liturgia è un locus theologicus a sé stante. Ciò implica che non è semplicemente il prodotto di una manciata di teologi in un comitato approvato dall’autorità legislativa della Chiesa.
[6] P. John Hunwicke, “Does Traditionis Custodes possess Auctoritas?”, Fr Hunwicke’s Mutual Enrichment, 17 luglio 2021. Notoriamente, Guglielmo di Ockham sostenne che l’onnipotenza divina dovrebbe essere intesa come non “limitata” in alcun modo dalle restrizioni logicamente precedenti di ciò che Dio deve alla Sua stessa bontà o alla natura delle Sue creature secondo il Suo sapiente disegno. Per un’esposizione completa, si veda il mio articolo "William of Ockham and the Metaphysical Roots of Natural Law", The Aquinas Review (2004): 1-84 (disponibile qui).
[7] Per una critica alla formulazione piana, cfr. Christopher Smith, “Liturgical Formation and Catholic Identity”, in Liturgy in the Twenty-First Century: Contemporary Issues and Perspectives, ed. Alcuin Reid (London/New York: Bloomsbury, 2016), 260–86. P. Smith cita Aidan Kavanaugh: “Rovesciare la massima, subordinando la norma del culto alla norma della fede, fa crollare la dialettica della rivelazione. […] La legge della fede non costituisce la legge del culto. Così i vari Credo e il ragionamento che li ha prodotti non sono le forze che hanno prodotto il battesimo. Fu il battesimo a dare origine ai credi trinitari. Così anche l’Eucaristia ha prodotto - ma non è stata prodotta da - un testo scritturale, la preghiera eucaristica, o tutte le varie teorie di pensiero riguardanti la presenza eucaristica. “Influenzata da”, sì. “Costituita o prodotta da”, no”(261-62).
[8] E infatti, la potenziale falsità della riformulazione di Pio XII finisce per essere attualizzata dalla decostruzione e ricostruzione della festa di Cristo Re da parte di Paolo VI: vedi Michael P. Foley, “A Reflection on the Fate of the Feast of Christ the King”, New Liturgical Movement, 21 ottobre 2020; idem, “The Orations of the Feast of Christ the King”, New Liturgical Movement, 23 ottobre 2020; Peter Kwasniewski, “Should the Feast of Christ the King Be Celebrated in October or November?”, Rorate Caeli, 22 ottobre 2014; “Between Christ the King and We Have No King But Caesar’”, OnePeterFive, 25 ottobre 2020.
[9] Se si obietta che il papa non potrebbe operare tali cambiamenti perché non potrebbe insegnare le dottrine sottostanti, noterei che i miei tre esempi non devono essere presi come affermazioni di eresie: essere contro il possesso di armi non significa dire che la autodifesa è immorale; togliere i miracoli dalle letture non è, di per sé, una negazione della loro verità o dell’ispirazione divina; suggerire che alcuni peccatori dovrebbero essere autorizzati a partecipare alla Messa non è necessariamente un’approvazione del loro stile di vita, anche se tutti e tre implicherebbero errori e ne favorirebbero la prosperazione. L’assurdità di tali innovazioni papali non sarebbe esclusivamente dottrinale, ma contemporaneamente liturgica, teologica e morale.
[10] Contrariamente a quanto affermato da alcuni, questo giuramento papale è certamente autentico, sebbene su Internet ne circolino molte versioni apocrife. Esistono due edizioni critiche moderne del Liber Diurnus, quello pubblicato nel 1869 da Marie Louis Thomas Eugène de Rozière, e un altro pubblicato nel 1889 da Theodor E. von Sickel. Secondo Sickel, le tre versioni che sopravvivono oggi (il Vaticano, Clermont e Milan MSS; nel 1958 Hans Foerster pubblicò edizioni diplomatiche di tutte e tre) rappresentano il suo stato di sviluppo al tempo del regno di Adriano I (fine VIII-inizio IX secolo). Il giuramento papale è la formula 83, e sebbene Gottfried Buschbell ebbe a sostenere nel 1896 che esso cessò di essere usato dopo il 787, nel suo libro del 1948 sullo scisma foziano Francis Dvornik presenta ottimi argomenti circa il suo uso continuato nell’XI secolo, quando il cardinale Deusdedit scrisse un compilazione del diritto canonico e vi incluse il giuramento papale. Sembra che il giuramento papale cessò di essere usato qualche tempo dopo l’XI secolo;
[11] Tradotto da Gerhard Eger e Zachary Thomas, dal testo del manoscritto vaticano a cura di Hans Foerster (1958, pp. 145-48). Per il testo completo in latino e le note aggiuntive, vedere “‘I Saver Inviolate the Discipline and Ritual of the Church’: The Early Mediæval Papal Oath”, Canticum Salomonis , 31 luglio 2021.
[12] Cfr. Bishop Athanasius Schneider, “Sulla questione di un papa eretico”, Corrispondenza Romana, 20 marzo 2019. [qui]
[13] Questo e il precedente testo sono della trentanovesima sessione di Costanza, tenuta il 9 ottobre 1417, e successivamente ratificata da papa Martino V e papa Eugenio IV, con l’implicito o esplicito caveat (per citare le parole di quest’ultimo) “absque tamen præjudicio juris dignitatis et præeminentiæ Sedis Apostolicæ” (vedi “The Council of Constance”; cfr. T. Shahan, sv Council of Constance, in The Catholic Encyclopedia [New York: Robert Appleton Company, 1908]). Sebbene il testo di questo giuramento sia stato copiato da un giuramento contraffatto attribuito a Bonifacio VIII, esso esprime tuttavia un atteggiamento propriamente cattolico nei confronti del papato, in un momento in cui molti erano scandalizzati da un ufficio che non riusciva, in pratica, ad assicurare l’unità della fede e di governo. Vedi Phillip H. Stump, The Reforms of the Council of Constance (1414–1418) (Leida: Brill, 1994), 115 (citazione: https://bit.ly/3C06Ug3 ). La mia citazione di passaggi approvati di Costanza non dovrebbe essere presa in alcun modo come un accenno esoterico ad abbracciare il conciliarismo, che rifiuto tanto quanto rifiuto l’iperpapalismo. In un ecosistema sano ogni organismo dipende dal fatto che gli altri facciano il proprio compito nel posto che gli spetta. Quando una specie prende il sopravvento o viene introdotta una specie estranea, è l’intero ecosistema a subire danni.
[14] Summa de ecclesia , lib. IV, par Ia, cap. xi, § Secundo sic (fol. 196v dell’edizione romana del 1489, p. 552 dell’edizione di Salamanca del 1560, e p. 369v dell’edizione di Venezia del 1561). Per il testo completo in latino e in inglese, vedere “‘Beyond Summorum Pontificum : The Work of Retrieving the Tridentine Heritage’: Full Text of Roman Forum Lecture of Dr. Kwasniewski”, Rorate Caeli , 14 luglio 2021, nota 13.
[15] Gaetano, De Comparatione Auctoritatis Papae et Concilii. Per un notevole esempio di opposizione a un comando papale, vedere il resoconto di ciò che fu fatto da Robert Grosseteste, raccontato in Paul Casey, “Can a Catholic Ever Disobey a Pope?”, OnePeterFive , 17 luglio 2020.
[16] Suárez, De Fide, disp. X, sez. VI, n. 16; De Fide, disp. X, sez. VI, n. 16. Si confronti una dichiarazione della FSSPX del 18 luglio 2021: “La Messa tradizionale appartiene alla parte più intima del bene comune della Chiesa. Reprimerla, gettarla nei ghetti e pianificarne infine la scomparsa, non può avere alcuna legittimità. Questa legge non è una legge della Chiesa perché, come dice san Tommaso, non esiste una legge valida contro il bene comune”(“Dal Summorum Pontificum alla Traditionis Custodes, ovvero Dalla Riserva allo Zoo”).
[17] De caritate, disp. XII, sez. 1: “si nollet tenere cum toto Ecclesiae corpore unionem et conjunctionem quam debet, ut si tentaret totam Ecclesiam excommunicare, aut si vellet omnes ecclesiasticas caeremonias apostolica traditione firmatas evertere.” È importante qui notare che, quando si tratta degli elementi più antichi dei riti liturgici, molto spesso non abbiamo modo di sapere (e forse non avremo mai modo di sapere) quali di questi sono di istituzione meramente umana e quali non lo sono, il che rende ancora più cruciale non eliminarli.
[18] da Prierio, Dialogus de Potestate Papae, citato da Francisco de Vitoria, Obras , pp. 486-87. Per una buona discussione su questo punto della dottrina cattolica, vedi José Antonio Ureta, “I fedeli hanno il pieno diritto di difendersi dall’aggressione liturgica, anche quando viene dal Papa”, Duc in altum, 25 luglio 2021. Vedi anche la superba Appendice II, “The Right to Resist an Abuse of Power”, in Michael Davies, Apologia pro Marcel Lefebvre (Kansas City: Angelus Press, 1979, repr. 2020), 379-419.
[19] Bellarmino, De Romano Pontifice, Lib 2, cap. 29, settima risposta. “Giudicare” qui significa “portare in giudizio” o emettere una sentenza giudiziale formale; non esclude ovviamente la possibilità di formulare un giudizio sulle sue parole o sui suoi atti.
[20] Né questo può essere rifiutato come un “giudizio privato” alla maniera protestante. Il giudizio privato è, piuttosto, la pretesa di essere l’arbitro finale su ciò che è contenuto nella parola di Dio. Un papa non pretende di essere un siffatto arbitro finale a meno che non faccia una dichiarazione ex cathedra e anatemizzi coloro che rifiutano di accoglierla come parte del deposito della fede, o a meno che non vi sia un insegnamento in materia di fede e di morale che sia parte del Magistero ordinario universale. Qui, con le decisioni e le politiche disciplinari del papa, siamo nel regno di questioni pratiche e prudenziali che possono essere valutate da tutti coloro che sono coinvolti, e dove la mente del papa e non godrà di alcuna garanzia di infallibilità o addirittura di probità.
[21] Vedi il mio articolo “It’s Time to Imitate Our Forefathers: Never Give Up!, OnePeterFive , 28 luglio 2021.
[22] Omelia per la Messa di insediamento come Vescovo di Roma (7 maggio 2005).
[23] Card. Joseph Ratzinger, “Dieci anni del Motu Proprio Ecclesia Dei”, conferenza tenuta all’Ergife Palace Hotel, Roma, 24 ottobre 1998.
[24] Joseph Ratzinger, Sale della terra (San Francisco: Ignatius Press, 1996), 176-77 [tradotto dal testo della Conferenza, NdT].
[25] Qualcuno potrebbe obiettare che Newman ha pronunciato queste parole da anglicano. Tuttavia, la verità che esprimono non è specificamente legata all’anglicanesimo, ma fa parte di quella comune eredità cattolica che Newman prima riconobbe e poi seguì coerentemente fino alla sua radice e casa nella Chiesa cattolica, la cui liturgia tradizionale ha lodato in modo così eloquente. Vedi i miei articoli “St. John Henry Newman, the Traditionalist”, parte 1 e parte 2, pubblicata su New Liturgical Movement il 14 e 21 ottobre 2019.
[26] Wolfram Schrems, “The Council’s Constitution on the Liturgy: Reform or Revolution?”, Lezione tenuta a Vienna il 2 aprile 2017, pubblicata a Rorate Caeli il 3 maggio 2018.
[27] Alcuin Reid, Lo sviluppo organico della liturgia, seconda ed. (San Francisco: Ignatius Press, 2005), Preface, 11.
[28] La citazione originale è tratta da un articolo nella pubblicazione tedesca Theologisches 20.2 (febbraio 1990): 103-4, che si riferisce al contributo di Ratzinger al libro Simandron-Der Wachklopfer. Gedenkschrift für Klaus Gamber (1919-1989) (vedi http://www.theologisches.net/files/20_Nr.2.pdf ). È stata citata molte volte in molte lingue e forme: per una storia completa, si veda Sharon Kabel, “Catholic fact check: Cardinal Joseph Ratzinger and the fabricated liturgy”, 19 giugno 2021.
[29] Come Traditionis Custodes manifesta, papa Francesco non ha la stessa visione del papato, la stessa pazienza, la stessa fiducia nella capacità del “santo popolo di Dio” di essere attratto verso ciò che è sacro e grande, ciò che è tradizionale. Per una visione più critica del Summorum Pontificum, vedere la mia conferenza “Oltre il Summorum Pontificum : The Work of Retrieving the Tridentine Heritage”, Rorate Caeli , 14 luglio 2021.
[30] La citazione del cardinale Burke, più avanti, chiarirà il punto nel modo più esplicito: un atto liturgico è una professione di fede e un esercizio della virtù della religione, quindi la legislazione liturgica non può essere scissa dall’insegnamento dogmatico della Chiesa o dal suo esercizio consuetudinario (e antropologicamente fondato) della giustizia verso Dio.
[31] Un problema più fondamentale, come ha sottolineato Tracey Rowland, è che né allora né oggi la Chiesa ha sviluppato un linguaggio teologico adeguato per parlare di “cultura”. C’è il diritto (si può parlare di liturgia come “disciplina”) e la sacramentologia (si può parlare della sua validità, etc.), ma per qualche ragione non abbiamo conosciuto ciò che tutti i canonisti e i teologi delle epoche precedenti davano per scontato, che è la santità del costume ereditato come elemento costitutivo del modo di vivere cattolico.
[32] Sebastian Morello, “Reflections on Pope Francis’s Motu Proprio ‘Traditionis Custodes”, The European Conservative, 21 luglio 2021.
[33] Per scrupolo di accuratezza bisognerebbe distinguere tra l’atto di creare e imporre a quasi tutti un rito diverso da quello proprio del rispettivo patrimonio liturgico (che sarebbe un atto di violenza già abbastanza grave) e l’atto di abolire o abrogare un rito liturgico immemorabile (il che è molto peggio). Paolo VI fece la prima cosa ma non la seconda, quali che fossero le sue intenzioni pratiche; San Pio V, san John Henry Newman e Joseph Ratzinger suggeriscono che non sarebbe facile abrogare una tradizione liturgica immemorabile e che la Chiesa non lo ha mai fatto - nemmeno la Traditionis Custodes tenta direttamente di farlo. Possiamo trarre la conclusione che ciò è impossibile in linea di principio? Io penso di sì.
[34] Queste domande sono state ispirate da John A. Monaco “Some Questions on Traditionis Custodes”, OnePeterFive, 20 luglio 2021.
[35] Cfr. S. Tommaso, Summa theologiae I-II, q. 96, a. 4: “Simili [leggi ingiuste] sono atti di violenza piuttosto che leggi; perché, come dice Agostino (De Lib. Arb. i, 5), «una legge che non è giusta, sembra non essere affatto legge». Perciò tali leggi non vincolano in coscienza […]”
[36] Come p. Zuhlsdorf ci ha ricordato di recente, Karl Rahner (Studi in teologia moderna [Herder, 1965], 394–395) ha discusso proprio questo scenario: «Immaginate che il Papa, come pastore supremo della Chiesa, abbia emanato oggi un decreto che richiedesse a tutte le Chiese uniate del Vicino Oriente di rinunciare alla loro liturgia orientale e di adottare il Rito latino. […] Il Papa non eccederebbe la competenza del suo primato giurisdizionale con tale decreto, ma il decreto sarebbe giuridicamente valido. Ma possiamo anche porre una domanda completamente diversa. Sarebbe moralmente lecito per il Papa emanare un simile decreto? Qualsiasi uomo ragionevole e ogni vero cristiano dovrebbe rispondere “no”. Qualunque confessore del Papa dovrebbe dirgli che nella concreta situazione della Chiesa di oggi un simile decreto, nonostante la sua validità giuridica, sarebbe soggettivamente e oggettivamente un’offesa morale contro la carità estremamente grave.
Da questo esempio si può facilmente cogliere il nocciolo della questione. Esso può, naturalmente, essere elaborato in modo più fondamentale e astratto in una dimostrazione teologica:
1. L’esercizio del primato giurisdizionale pontificio rimane, anche quando è legale, soggetto a norme morali, che non sono necessariamente soddisfatte solo perché un dato atto di giurisdizione è legale. Anche un atto di giurisdizione che vincola giuridicamente i suoi soggetti può offendere i principi morali.
2. Segnalare e protestare contro la possibile violazione delle norme morali di un atto che deve rispettare tali norme non significa negare o mettere in dubbio la competenza giuridica dell’uomo che ne detiene la giurisdizione”.
[37] Vedi ““Vi cacceranno dalle sinagoghe” (Gv 16,2) L’ermeneutica dell’invidia di Caino contro Abele”, Duc in altum , 21 luglio 2021.
[38] Vedere la “Dichiarazione in merito al Motu Proprio “Traditionis Custodes””. In modo simile Martin Mosebach scrive: “Papa Benedetto non ha ‘permesso’ la ‘messa antica’ e non ha concesso alcun privilegio per celebrarla. In una parola, non ha preso un provvedimento disciplinare che un successore può ritirare. Cosa c’era di nuovo e sorprendente nel Summorum Pontificum era che esso dichiarava che la celebrazione della Messa Antica non necessita di alcun permesso. Non era mai stata proibita perché non poteva essere proibita. Si potrebbe concludere che qui troviamo un limite fisso, invalicabile, all’autorità di un papa. La tradizione sta al di sopra del papa. La Messa Antica, radicata profondamente nel primo millennio cristiano, sta in linea di principio al di là della autorità di proibizione del papa. Molte disposizioni del motu proprio di papa Benedetto possono essere accantonate o modificate, ma questa decisione magisteriale non può essere eliminata così facilmente. Papa Francesco non tenta di farlo - la ignora. Essa rimane in piedi dopo il 16 luglio 2021, riconoscendo l’autorità della tradizione che ogni sacerdote ha il diritto morale di celebrare il vecchio rito, mai proibito”(“Mass and Memory”, First Things,30 luglio 2021).
[39] “Nel [primo] Concilio Vaticano l’idea che il Papa potesse governare arbitrariamente la Chiesa fu liquidata come un’assurdità dalla maggioranza dei Padri. Padre Cuthbert Butler, storico del Vaticano I, racconta che quando il Vescovo Verot di Savanna (USA) propose un canone in tal senso: «Se qualcuno dice che l’autorità del Papa nella Chiesa è così piena che può disporre di tutto con suo semplice capriccio, sia anatema’, la risposta fu che i Padri conciliari non si erano riuniti a Roma ‘per ascoltare buffonerie’” (Geoffrey Hull, The Banished Heart: Origins of Heteropraxis in the Catholic Church [London: T&T Clark, 2010 ], 148).
[40] Per un’esposizione completa del perché non è e non può essere una visione cattolica ma è, di fatto, anticattolica, vedere p. Chad Ripperger, The Binding Force of Tradition (np: Sensus Traditionis Press, 2013) e Topics on Tradition (np: Sensus Traditionis Press, 2013); Roberto de Mattei, Apologia for Tradition. A defense of Tradition grounded in the historical context of the Faith (Kansas City, MO: Angelus Press, 2019).
[41] “Traditionis Custodes”, Fr Hunwicke’s Mutual Enrichment, 16 luglio 2021.
[42] Vedi la mia intervista a The Remnant pubblicata il 21 luglio e la mia intervista a Cameron O’Hearn.
[43] “Dato che è fondata sulle menzogne, la Traditionis Custodes manca di legittimazione giuridica?” [qui], Stilum Curiae, 29 luglio 2021.
[44] Cfr. John Lamont, “Tyranny and sexual abuse in the Catholic Church: A Jesuit tragedy”, Rorate Caeli , 27 ottobre 2018.
[45] Cfr. Bronwen McShea, “Bishops Unbound”, First Things, gennaio 2019.
[46] Contrariamente all’interpretazione del Vaticano I che lo stesso Pio IX ha confermato ad alcune parti interessate.
[47] Per ulteriori informazioni, vedere “My Journey from Ultramontanism to Catholicism”, Catholic Family News, 4 febbraio 2021.
[48] Conosciamo tutti il commento di Joseph Ratzinger secondo cui la Gaudium et Spes rappresenta un “contro-sillabo”, così come la sua affermazione, nel famoso discorso di Natale 2005 sull’ermeneutica della riforma-nella-continuità, che la Chiesa deve talvolta ripudiare certi insegnamenti per restare fedeli ad altri più fondamentali.
[49] Vedi la mia conferenza “Modernism: History, Method, Mentality”, disponibile su www.ApostasyConference.com/Lifetime.
[50] Dico “orientamento teologico” perché è difficile pensare a Francesco come teologo; è piuttosto un prodotto dei grandi modernisti che sono venuti molto prima di lui, e ripete in modo incoerente le loro opinioni. Può anche sembrare che gli manchi una concezione del papato alla Pio IX, dal momento che rifiuta di indossare i paramenti pontifici, insiste sulla sinodalità e in generale si presenta come un manager piuttosto che un monarca (tanto che Traditionis Custodes risalta nettamente per il suo uso travolgente delle prerogative papali); e tuttavia è trattato come un monarca assoluto dalle persone per le quali ciò è utile, e lui lo sa. È, alla fine, la sua visione delle cose che la sinodalità deve approvare, e che lo rende nonostante tutto il “meglio del meglio”. È una versione più confusa dell’ultramontanismo rispetto a quella vista nei precedenti pontificati, ma sarebbe inimmaginabile senza di essa, e la sua capacità di danno è proporzionata alla continua presa nell’immaginario collettivo di questa falsa visione dell’autorità papale. Qualcosa di simile era vero anche per Paolo VI: non voleva punire i dissidenti contro l’ Humanae Vitae né pronunciare le paroline magiche nemmeno per cercare di abrogare l’Antica Messa, ma veniva trattato come un monarca assoluto dagli ultramontanisti che lo circondavano e la liturgia fu l’unico ambito in cui, in modo atipico, esercitò il suo potere.
[51] Sembra che Alessandro VI abbia avuto più amanti e figli di quelli qui menzionati, ma gli storici non possono ricostruire tutti i più minimi dettagli.
[52] Vedi il lavoro di Pristas, Cekada, Bianchi e Fiedrowicz, inter alia.
[53] Cfr. Daniel van Slyke, “Despicere mundum et terrena : A Spiritual and Liturgical Motif in the Missale Romanum ", Usus Antiquior: A Journal Dedicated to the Sacred Liturgy , 1.1 (2010): 59-81, https://doi.org/10.1179/175789409X12519068630063.

Nessun commento:

Posta un commento