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sabato 11 settembre 2021

11 settembre 2001. 20 anni dopo non ci siamo ancora ripresi - L’11 Settembre e la rinuncia a combattere

Per non passare sotto silenzio, ma con l'esaustiva sobrietà che ci è congeniale, riprendo il commento di Giuliano Guzzo sulla tragica ricorrenza di oggi riguardante un atto terroristico in cui morirono molti innocenti, commesso da Al Qaeda. Resta ancora da chiedersi perché gli USA continuino ad appoggiare in Siria Al Qaeda fornendo armi e supporto logistico. Ma a questa domanda non avremo risposta dal mainstream mediatico politico. Solo la Russia è stata in grado di colpire davvero il terrorismo islamico wahabita e salafita. Ma al di là di questa domanda puntuale, trovate, a seguire, alcuni accenni alle ragioni del collasso dell'occidente latino interessanti per le analogie col collasso attuale dell'Occidente europeo.

11 settembre 2001. 20 anni dopo non  ci siamo ancora ripresi

A 20 anni dall’11 settembre 2001, la drammatica verità è che non ci siamo ancora ripresi. Insieme alle 3.000 vittime di quegli attentati, che oggi doverosamente ricordiamo, se n’è andata molto di più dell’idea dell’invulnerabilità degli Stati Uniti (che dopo Pearl Harbor si credeva ripristinata): se n’è andata ogni illusione di serenità collettiva. In effetti, dopo l’emergenza terroristica è esplosa quella economica, poi quella pandemica, che dura tutt’ora sommata, di fatto, alle altre due.
Il crollo delle Torri Gemelle è stato dunque, di fatto, l’inizio di un ciclo di paura e di incertezza, di debolezza e di instabilità: in mezzo, alternati ai brividi, solo temporanei sprazzi di spensieratezza. Non abbiamo superato perciò superato quel trauma perché, di fatto, ci siamo ancora dentro. Del resto, lo stesso terrorismo ha continuato a mietere vittime sia nel cuore dell’Occidente – si pensi agli attentati di Londra, Madrid, Parigi, Nizza, Strasburgo, Vienna – sia altrove nel mondo, rafforzandosi molto anche in Africa.
Ma se 20 anni dopo l’11 settembre non ci siamo ancora ripresi, dobbiamo dircelo, è in buona parte responsabilità nostra. Non solo perché l’Afghanistan, Paese il cui rovesciamento fu il simbolo della risposta militare occidentale proprio all’11 settembre, ora è nuovamente in mano talebana, ma anche e soprattutto perché non abbiamo mai saputo del tutto elaborare il lutto di vent’anni fa. La ferita psicologica e spirituale aperta dalla devastazione del World Trade Center sanguina ancora.
Sanguina perché, se una parte, quella neocon, dell’Occidente si è illusa di sistemare le cose invadendo l’Afghanistan (poi l’Iraq, quindi bombardando Libia, infine sognando la Siria) – all’insegna di uno scontro di civiltà 2.0 – , l’altra, quella più liberal, ha preferito rimuovere del tutto il problema. Come? Illudendosi che il fanatismo islamista non esista, liquidando tutto, banalmente, come follia agita da gente ignorante, mentre già gli attentatori dell’11 settembre, che hanno operato con estrema lucidità, avevano titoli di studio di tutto rispetto.
Un’altra ragione per cui, dopo 20 anni, non ci siamo ancora ripresi, è che l’11 settembre 2001 la vulnerabilità occidentale è stata sì messa brutalmente a nudo, con sangue e terrore: ma esisteva già. Negli Usa come in Europa, l’identità ma soprattutto l’anima dell’Occidente era già parzialmente smarrita. L’illusione di poter vivere nella continua prosperità, senza un comune patrimonio religioso e civile – anzi rigettando la storia comune come galleria di errori ed orrori -, ci aveva cioè già condotti sul precipizio. Il terrore islamista non ha fatto che spingerci dentro. (Giuliano Guzzo)

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L’11 Settembre e la rinuncia a combattere

Roma non fu battuta dai barbari sul campo di battaglia. Perse qualche scontro. Anche grave, ma certo molto meno drammatico dell’Allia o di Canne.
Il collasso dell’Occidente latino fu figlio di una crisi politico-economica  – e così recitano i buoni manuali – ma in primo luogo di una crisi spirituale, non indotta dal cristianesimo, come ancora ripete qualche sciocco seguace di Gibbon. Il cristianesimo garantì invece la sopravvivenza della Pars Orientis per mille anni ancora ma il collasso dell'occidente latino avvenne perché la sua classe dirigente pagana non individuò più valori bastevoli e forti da opporre agli attacchi al limes renano e danubiano.
Insomma: Roma vinse fino alla fine – ai Campi Catalaunici, ad esempio – ma fu travolta quando rinunciò alla battaglia. Per la percezione che, in fondo, NON NE VALEVA PIÙ LA PENA e che il suo tempo era compiuto. Meglio di ogni storico lo ha compreso ed espresso Verlaine in versi famosi: 
“Io sono l'Impero alla fine della decadenza,
che guarda passare i grandi Barbari bianchi
componendo acrostici indolenti dove danza
il languore del sole in uno stile d'oro.
Soletta l'anima soffre di noia densa al cuore.
Laggiù, si dice, infuriano lunghe battaglie cruente…”

Quando iniziò la rinuncia. Il discorso è lungo e non voglio tediare i lettori con una lezione di storia. Cito allora solo due date e due confini. 
Nel 9 dopo Cristo, a Teutoburgo, Arminio, a tradimento – era cittadino e tribuno romano: primo esempio di "lealtà tedesca" - ordinò un agguato contro tre legioni in marcia verso Colonia. Fu una carneficina. Augusto – e Tiberio dopo di lui – si accontentarono di tenere a bada i Germani con qualche spedizione memorabile e in primo luogo consilis et astu. Ma il confine dall’Elba fu riportato al Reno.
Chiunque può comprendere cosa avrebbe significato far entrate la Germania orientale nel mondo latino otto secoli prima che a ciò provvedesse Carlo Magno. Avremmo avuto un’Europa diversa, non attraversata dalla faglia tra Francia e Germania, tra civilisation e Kultur. Tutto sarebbe stato diverso. O non sarebbe avvenuto. Dalla Riforma, a due guerre mondiali. All’Olocausto. 
Il 9 agosto del 117, a Selinunte, Marco Ulpio Traiano moriva per i postumi di un ictus. Gli successe, in circostanze molto controverse e mai chiarite, Elio Adriano. Che, rovesciando la politica estera del prozio, fece dell’impero una cittadella assediata e soddisfatta. E ritirò le legioni della Mesopotamia.
Se lo spazio greco-latino si fosse stabilmente esteso in quell’area, non avremmo avuto i Sassanidi e il manicheismo, la nascita del sincretismo islamico e la dissoluzione dell’Asia e dell’Africa greca, romana e cristiana. Non avremmo avuto Maometto, califfati, imperi ottomani, talebani. E neppure Al Qaeda e l’11 settembre del 2001.
Un paese che misura le guerre in anni È GIÀ SULLA VIA DEL TRAMONTO. Roma combatté un secolo contro Cartagine e non mollò la presa fino a quando, impietosamente, non passò l’aratro e il sale sulla rovine della sua avversaria. Ma così le si aprì il dominio dell’ecumene.
In Afghanistan si era da soli venti anni.  E non bastano venti anni per costruire un nuovo stato. Bastano appena per generare semi di nuove speranze in una generazione. Ce ne sarebbero voluti cento per completare l’opera. Quelli che passarono - tanto per dire – tra la conquista di Cesare e l’ingresso dei primi maggiorenti galli nel senato romano. Ma la Francia, la Germania occidentale, il Belgio erano diventati Europa. Civiltà. (Biagio Buonomo)

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