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sabato 20 novembre 2021

Il cardinale Zen accusa il prefetto del culto divino di mentire sul Summorum pontificum

Nella nostra traduzione da Infovaticana, anche il cardinale Zen dice la sua sulle recenti posizioni dell'arcivescovo Roche [quiqui]. Qui l'indice dei precedenti su Traditionis custodes.

L'arcivescovo emerito di Hong Kong, il cardinale Joseph Zen, è entrato nella polemica creata dal collega Arthur Roche, prefetto per il culto divino e la disciplina dei sacramenti, intorno alle intenzioni di Benedetto XVI in occasione della celebrazione della messa tradizionale. Lo ha fatto tramite il suo account Twitter, dal quale accusa Roche di mentire.

Prima c'è stata la lettera indirizzata da Roche in risposta al Primate d'Inghilterra e Galles [qui - qui], poi le dichiarazioni a TVSvizzera, con cui descrive il Summorum pontificum di Benedetto XVI come un "esperimento" [qui]. Sta di fatto che il responsabile della liturgia della Curia romana continua a parlare in relazione alla sua peculiare interpretazione della Traditionis custodes e, soprattutto, sui presunti motivi che hanno spinto papa Benedetto XVI a promulgare quattordici anni fa il motu proprio ora abolito, Summorum pontificum.

Non che la visione di Roche sia la sua personale; essa è piuttosto quella suggerita nello stesso documento papale, e cioè che il Summorum pontificum sia stato un "esperimento" fallito, un tentativo di integrare più pienamente nella Chiesa i lefebvriani.

Sono tanti quelli che hanno risposto a Roche, ma forse il più energico è il cardinal Zen, che entra nella polemica con questo tweet: "Dice un mio amico: "Papa Benedetto ha chiarito esplicitamente che il Summorum Pontificum aveva obiettivi ben più ampi che la semplice riconciliazione con la Fraternità Sacerdotale San Pio X.(1) L'arcivescovo Roche lo sa ma dicono il contrario. Come mai?".

Purtroppo per Roche, la versione dell'"amico" del cardinale cinese è facilmente verificabile. Nel libro intervista di Peter Seewald, l'autore propone questa interpretazione del motu proprio a Benedetto XVI, che risponde con veemenza: “Questo è assolutamente falso! Mi è sembrato importante che la Chiesa sia una con se stessa interiormente, con il proprio passato; che ciò che per lei era sacro prima non è qualcosa di sbagliato oggi”.

E non possiamo fare a meno di porci la stessa domanda del Card. Zen: perché?
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. Expressis verbis Ratzinger in “Ultime conversazioni” (a cura di P. Seewald, pagina 189 – 190). La riabilitazione della Messa antica col Summorum Pontificum non deve essere assolutamente intesa come concessione a un gruppo specifico, e dunque alla Fraternità, ma come via perché tutta la «Chiesa preservasse la continuità interna con il suo passato. Ciò che prima era sacro non divenisse da un momento all’altro una cosa sbagliata. Adesso non c’è un’altra Messa. Sono due diverse forme dello stesso rito». Sulla questione delle 'due forme', sottile soluzione di Benedetto XVI, abbiamo approfondito più volte. Qui le sapienti osservazioni di P. Kwasniewski.

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