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sabato 11 dicembre 2021

“Tutti gli elementi del Rito Romano?” Un mito sfatato, Parte II

Nella nostra traduzione da New Liturgical Movement la seconda parte di un lavoro di Matthew Hazell che, partendo dalla contestazione di una recente affermazione dell'Arcivescovo Roche (prima parte qui), ci offre cifre in apparenza aride, ma in realtà molto significative perché dimostrano con inequivocabile chiarezza la consistenza dei tagli e delle modifiche in termini di annacquamento quando non addirittura di cambiamento di senso delle formule del Messale riformato di Paolo VI rispetto al Missale Romanum tradizionale, col risultato di destinare all'oblìo o mettere ai margini molte verità cattoliche. Ed oggi ne abbiamo ben chiare le conseguenze.(*) Evidentemente la questione è correlata alla  tanto lapidaria quanto falsa affermazione, contenuta dal nefando motu proprio del luglio scorso, che «i libri liturgici promulgati dai Papi san Paolo VI e san Giovanni Paolo II (...) sono l'unica espressione della lex orandi del rito romano». Per completezza ritengo di dover richiamare la vostra attenzione sul problema di quanto il NO risulti ulteriormente adulterato per effetto dei tagli, oltre che delle variazioni, effettuati anche dalle traduzioni, soprattutto in base alle nuove norme, di cui abbiamo parlato qui - qui - qui.  Sulla nuova traduzione CEI: qui - qui (con link ai precedenti). Sui nuovi Messali: qui - qui.
Qui l'indice degli articoli sulla Traditionis custodes
* Le conseguenze sono le stesse che riconosciamo nella seguente affermazione di Michael Davies in: Cambiare il rito per cambiare la fede: «nel nuovo rito anglicano della messa, quello del Prayer book del 1549, non troveremo affermate delle eresie, ma omesse verità di fede essenziali. Le omissioni, il “taciuto”, in liturgia è sempre grave, perché rinunciare ad affermare con completezza e chiarezza tutte le verità di fede implicate, può portare a un vuoto di dottrina nei sacerdoti e nei fedeli che nel futuro apre il campo all'eresia: in parole semplici oggi sei cattolico con una messa eccessivamente semplificata, domani senza saperlo ti ritrovi protestante perché la forma della tua preghiera non ha nutrito più la tua fede». (M.G.) 

“Tutti gli elementi del Rito Romano?”
Un mito sfatato, Parte II 

Soprattutto nell’ultimo decennio si è più volte menzionata la percentuale del 17% quando ci si riferisce alle preghiere che sono sopravvissute intatte passando dal Messale Romano tradizionale al novus ordo di Paolo VI.[1] Ma sulla scia di Traditionis custodes, con una nuova attenzione dedicata tanto alla comparazione delle ‘forme’ del Rito Romano quanto alla controversia canonica e teologica su cosa debba essere considerato lex orandi,[2] mi è sembrato opportuno prendere spunto dai miei lavori precedenti per ridimensionare questa percentuale tramite un’analisi attenta ed esauriente di tutte le preghiere, grazie alla quale non solo possiamo stabilire un numero definitivo, ma possiamo ora anche entrare in possesso di tutti i dati rilevanti, liberamente e facilmente accessibili in quanto di pubblico dominio, in modo da far sì che chiunque possa vedere quali preghiere sono state preservate, quali sono state modificate e quali sono state scartate.[3]

Il risultato di questo lavoro non solo rende giustizia agli sforzi profusi dal Reverendo Padre Anthony Cekada, ma mostra anche che quella percentuale è troppo generosa. Infatti, quella reale, incredibilmente, è solo del 13%.

Le preghiere del Rito Romano tradizionale nel Rito Romano riformato:
Liste e testi delle preghiere rimaste identiche e modificate
(scaricare il PDF)


Ebbene sì, appena il 13% (165) delle 1.273 preghiere dell’usus antiquior [4] sono rimaste immutate nel Messale riformato di Paolo VI. Un altro 24,1% (307) è stato modificato in un modo o in un altro prima di esservi incluse. Un ulteriore 16,2% (206) è stato fuso con altre preghiere — trasformando in pratica parti di molte preghiere diverse in una sola nuova preghiera. Addirittura il 52,6% (669) delle preghiere presenti nel Rito Romano tradizionale sono state espunte dalla liturgia moderna e gettate nel dimenticatoio da Consilium ad exsequendam.[5] Ma come è potuto succedere tutto questo? E com’è possibile che all’epoca se ne siano accorti così pochi?

Sin dal momento della sua promulgazione, i papi e gli studiosi si sono sforzati di rassicurare i fedeli cattolici raccontando loro che il Missale Romanum successivo al Vaticano II è un arricchimento, un perfezionamento e un compimento del Messale che lo precedeva. Inoltre, hanno ripetuto spesso che la riforma liturgica ha preservato in modo fedele quasi tutto ciò che la tradizione precedente conteneva, rivedendo e correggendo i testi delle preghiere sulla base di una conoscenza molto più evoluta delle fonti e introducendo nuove preghiere esclusivamente per le necessità moderne. Ecco qui di seguito alcuni esempi (grassetto mio):
Analogamente, è diventato evidente che le formule del Messale Romano richiedevano di essere rivedute in qualche modo e anche di essere arricchite da aggiunte… In questa restaurazione del Missale Romanum, non solo sono state cambiate le tre parti che abbiamo già menzionato — ossia la Preghiera Eucaristica, l’Ordinario della Messa e l’Ordinario delle Letture —, ma sono state riviste e considerevolmente modificate anche le altre, ossia: il Temporale, il Santorale, il Comune dei Santi, le Messe Rituali e le Messe Votive, come vengono chiamata. All’interno di queste, ci si è presi una cura particolare delle preghiere: non solo ne è aumentato il numero, in modo tale che esse possano rispondere alle nuove esigenze di questi tempi, ma anche le preghiere più antiche sono state riviste seguendo i testi antichi. [Paolo VI, Costituzione apostolica Missale Romanum, 3 aprile 1969]

Ciò che è sempre stato valido nel corso dei vari e progressivi sviluppi della liturgia Romana — dagli antichi sacramentali al venerato Messale post-tridentino di San Pio V — lo è anche nel nuovo Messale Romano. Pur preservando il tesoro della tradizione, esso è stato riconfigurato e perfezionato seguendo le direttive del Concilio Vaticano II. [Cardinal Jean-Marie Villot, Lettera al Vescovo Carlo Rossi in occasione della 22ᵃ Settimana Liturgica d’Italia, 30 agosto 1971]

Il Messale di Paolo VI non è nient’altro che un riadattamento, un arricchimento e un completamento di quello di San Pio V. Se ci mettessimo a compararne ogni linea, troveremmo nel Messale di Paolo VI tre quarti se non addirittura i nove decimi del contenuto del Messale originario di San Pio V. [Dom Guy Oury, La Messe de S. Pie V à Paul VI (Solesmes, 1975), p. 30]

Per evitare ogni equivoco, mi si lasci aggiungere che per quanto riguarda il suo contenuto (se si eccettua una manciata di critiche), sono molto grato al nuovo Messale per il modo in cui ha arricchito il tesoro delle preghiere e dei prefazi, per le nuove preghiere eucaristiche e per il maggior numero di testi da utilizzare nei giorni infrasettimanali, etc., oltre ovviamente all’uso delle lingue vernacolari. Ma mi sembra un peccato che ci sia stato fatto pensare che si trattasse di un nuovo libero e non di un testo in continuità con l’unica storia liturgica. A mio modo di vedere, la nuova edizione dovrà rendere chiaro che il cosiddetto Messale di Paolo VI non è nient’altro che una forma rinnovata dello stesso Messale a cui Pio X, Urbano VIII, Pio V e i loro predecessori hanno contribuito, sin dai primi esordi della Chiesa. [Joseph Ratzinger, The Feast of Faith: Approaches to a Theology of the Liturgy (San Francisco, CA: Ignatius Press, 1986), p. 87]

Il nuovo Messale ha ottantuno prefazi e milleseicento preghiere, ossia più del doppio rispetto al vecchio Messale. Sono stati utilizzati quasi tutti i testi del vecchio Messale, i quali sono stati rivisti nei punti in cui era necessario armonizzarli con la riforma e con l’insegnamento del Vaticano II. [Annibale Bugnini, The Reform of the Liturgy 1948-1975 (Collegeville, MN: Liturgical Press, 1990), p. 398]

Anche se, su richiesta del Concilio, sono stati introdotti altri testi per poter far emergere in modo migliore le ricchezze della tradizione della Chiesa e in risposta alle necessità del popolo dei fedeli, e anche se si è dovuto correggere alcuni testi già esistenti in modo che riflettessero in modo più accurato le recenti scoperte della critica testuale, le linee e la sostanza del Messale del 1970 rimangono inequivocabilmente uguali a quelle del 1962. Il Messale del 1970 è il Messale del 1962, rinvigorito, arricchito e dotato di nuovo lustro, come una pietra preziosa la cui perenne bellezza viene esaltata dall’incastonarla in un nuovo castone. [Cuthbert Johnson & Anthony Ward (eds.), Missale Romanum anno 1962 promulgatum (Roma: Centro Liturgico Vincenziano, 1994), p. Vi]

Si può sottolineare il fatto che, nonostante siano trascorsi quattro secoli, entrambi i Messali Romani aderiscono alla stessa, unica tradizione. Inoltre, se si riflette sugli elementi interni di tale tradizione, si percepisce anche in che modo straordinario e riuscito il Messale Romano antico viene portato a compimento in quello più recente. [General Instruction of the Roman Missal, 3rd edition, 2002, n. 6]

Il desiderio dei Padri conciliari e di San Paolo VI era quello di semplificare la liturgia in modo tale da renderla più accessibile. Il Messale, pur mantenendo la struttura basilare di quello di San Pio V e il novanta per cento dei suoi testi, espunge un certo numero di ripetizioni e di ridondanze e semplifica il linguaggio e i gesti della liturgia. Allo stesso tempo, utilizza un vocabolario più orientato al sacrificio rispetto al Messale del 1570. Ogni opinione contraria è falsa. [Arcivescovo Arthur Roche, “The Roman Missal of Saint Paul VI: A witness to unchanging faith and uninterrupted tradition”, Notitiae 597 (2020), pp. 248-258, a p. 251]
Si potrebbe continuare ad elencare un’infinità di citazioni di questo tenore. Tuttavia, il contenuto della maggior parte di esse può essere riassunto come segue: anche se alcune sue parti potrebbero essere perfezionate, il Messale riformato è uno dei più grandi trionfi pastorali e accademici del Concilio Vaticano II. In fondo, se non è altro che un fedele arricchimento del Rito Romano tradizionale, che preserva quasi tutto ciò che esso contiene ma lo adatta anche con cura ai tempi moderni, può solamente essere considerato un trionfo. E difatti, nella sua lettera di accompagnamento a Traditionis custodes (16 luglio 2021), che dichiara che il novus ordo è “l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano” (art. 1), Papa Francesco afferma che questa riforma liturgica è quella “voluta dal Concilio Vaticano II”, spingendosi fino al punto di dire che:
Ma non di meno mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”. … Dubitare del Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa. … Chi volesse celebrare con devozione secondo l’antecedente forma liturgica non stenterà a trovare nel Messale Romano riformato secondo la mente del Concilio Vaticano II tutti gli elementi del Rito Romano….
In un certo senso, le parole del papa sono il punto di arrivo di tutte le precedenti affermazioni sul Messale riformato — affermazioni che, va sottolineato, raramente o forse in nessun caso sono state sostanziate da prove. Dom Hugh Somerville-Knapman si riferisce al “re nudo” della riforma liturgica formulando la seguente domanda:
In che misura gli attuali libri liturgici sono realmente conformi ai decreti del Vaticano II? Invece di accettare ciecamente, in modo post hoc ergo propter hoc, che per il mero fatto che alla fine ciò che il Consilium ha prodotto è questo essi debbano necessariamente esprimere la lex orandi articolata dal Concilio, lo si dimostri in modo chiaro e esaustivo. Se Roma vuole che il popolo accetti con tutto il cuore la riforma liturgica così come gli è stata data, si dimostri in che modo essa esprime la volontà del Concilio, cosa che non è di per sé evidente.
Sfortunatamente, dopo Traditionis custodes, la probabilità che la Santa Sede o la Curia Romana lo faccia è praticamente nulla. Si ha al contrario quasi la sensazione che in alcuni circoli qualsiasi esame critico dei riti riformati sia considerato ormai sinonimo di “rifiuto” di un Concilio ecumenico (e pastorale). Quanti hanno domande e preoccupazioni legittime sulla riforma da presentare sono liquidati ed etichettati come “tradizionalisti radicali”, “semi-scismatici”, “estremisti”, e così via.

Tuttavia, come ci ha ricordato Dom Alcuin Reid, il positivismo legale non può cambiare i fatti storici. Un’asserzione falsa non può essere dichiarata vera normativamente, nemmeno se il papa stesso cercasse di farlo.

Ma allora, è vero o no che “tutti gli elementi del Rito Romano” sono presenti nei libri riformati? Di fronte alle statistiche e ai dati relativi alle preghiere contenute nel Messale riformato confrontate con quelle del suo predecessore, è estremamente difficile vedere come si possa considerare accurata una tale affermazione. In realtà si tratta di un mito sulla riforma ripetuto ad nauseam, un mito che la Chiesa deve lasciarsi urgentemente alle spalle. [6] Ribadiamo:
  • il 52.6% (669) delle preghiere contenute nel Messale dell’usus antiquior non sono affatto presenti nel Messale di Paolo VI;
  • il 24.1% (307) di esse è stato utilizzato in qualche punto del Messale riformato, ma è stato modificato in qualche modo — l’86% di queste preghiere ha subito solo piccole modifiche;
  • il 16.2% (206) di esse è stato ‘incorporato’: questo è il termine utilizzato dal Consilium in riferimento alla fusione di parti di due o più preghiere per creare quelle che sono a tutti gli effetti preghiere di nuovo conio; [7]
  • solo il 13% (165) delle preghiere dell’usus antiquior è riuscito a rimanere intatto in seguito al processo di riforma.
Bisognerebbe anche affermare che queste statistiche, pur essendo contundenti, non danno la piena misura dei cambiamenti effettuati in nome del Vaticano II dal Consilium ad exsequendam. Persino nei casi di preghiere rimaste intatte, si riscontrano cambiamenti della loro ubicazione all’interno del Messale riformato. Per esempio:
  • Br 7: la colletta per la 23ᵃ domenica dopo Pentecoste è stata spostata al venerdì della 5ᵃ settimana di Quaresima come una delle due opzioni per la colletta;
  • Br 154: anche la colletta per la 14ᵃ domenica dopo Pentecoste è stata spostata a un giorno infrasettimanale della Quaresima — in questo caso, il martedì della 2ᵃ settimana;
  • Br 183: la colletta della 17ᵃ domenica dopo Pentecoste è stata spostata alla sezione “Messa e preghiere per varie necessità e occasioni” del Messale riformato, come una delle due opzioni a disposizione per il terzo formulario della messa “In ogni necessità” (n. 48);
  • Br 661: la colletta della 20ᵃ domenica dopo pentecoste non appare nella prima (1970) e nella seconda (1975) edizione del Messale riformato, ma solo nella terza edizione (2002-2008), come sesta opzione per le preghiere super populum che si trovano nell’appendice dell’ordo Missae;
  • Br 893: l’orazione segreta per la 23ᵃ domenica dopo Pentecoste è stata spostata alla sezione “Messe e preghiere per varie necessità e occasioni”, diventando la super oblata per il terzo formulario della Messa “Per il sacerdote” (n. 7), che è quello che si utilizza nell’anniversario dell’ordinazione.
Nel caso delle preghiere modificate prima della loro inclusione nel Messale riformato, si possono osservare tendenze definite, alcune delle quali piuttosto allarmanti. Per esempio:
  • Il lessico che si riferisce al “digiuno” è stato frequentemente rimosso dalle preghiere della Quaresima, per via dei cambiamenti della disciplina operati da Paolo VI sulla scia del Vaticano II: es. ieiunium quadragesimale (Br 143: lunedì della 1ᵃ settimana di Quaresima) diventa opus quadragesimale nella preghiera riformata (utilizzato lo stesso giorno); Inchoata ieiunia (Br 643: venerdì dopo le Ceneri) è stato modificato in Inchoata poenitentiae opera (utilizzato lo stesso giorno), etc.
  • L’intercessione e i meriti dei santi sono spesso espurgati: es. angelico pro nobis interveniente suffragio (Br 623: San Michele, 8 maggio e 29 settembre) è stato modificato in angelico ministerio in conspectum tuae maiestatis delatas (Santi Michele, Gabriele e Raffaele, 29 settembre); eius intercessione, dalla preghiera dopo la Comunione precedente al 1950 per la festività dell’Assunzione della Beata Vergine Maria è stato cancellato prima che questa preghiera venisse utilizzata alla Vigilia dell’Assunzione nel Messale riformato; i gloriosa merita di Santa Maria Maddalena (Br 697: 22 luglio) sono omessi nella stessa preghiera che ha subito anche numerosi cambiamenti nel Messale riformato (usato lo stesso giorno), etc.
  • Si è spesso cancellato la parola anima dalle preghiere utilizzate nelle Messe per i morti: es. animabus patris et matris meae è diventato solo patri et matri meae tanto nella colletta (Br 407) come nell’orazione dopo la comunione (Br 106) della messa per i genitori del sacerdote; animabus è stato cancellato dalla colletta per la prima Messa di Ognissanti (Br 567), che i riformatori hanno oltretutto spostato al quarto formulario della sezione “Messe per i morti: Varie commemorazioni (per veri morti)” del Messale riformato, etc.
  • Sono state fatte diverse modifiche al linguaggio che potrebbe essere considerato “negativo”, o per eliminarlo del tutto o per ammorbidirlo: es. in tot adversis è stato cancellato dalla colletta del lunedì della Settimana Santa (Br 192) utilizzata lo stesso giorno dal Messale riformato; quos perpetuae mortis eripuisti casibus (Br 364: 2ᵃ domenica dopo Pasqua) è stato modificato in quos eripuisti a servitute peccati (14ᵒ sabato per annum); humanis non sinas subiacere periculis, al termine dell’orazione dopo la comunione per la 23ᵃ domenica dopo Pentecoste (Br 947) è ora a te numquam separari permittas (34ᵃ settimana per annum), etc.
Nel documento completo sono elencati molti altri esempi. Alcune modifiche e cambiamenti possono ritenersi giustificati se si considera la storia della preghiera manoscritta e, per facilitare questo tipo di ricerca, sono stati forniti ove possibile i numeri di riferimento per il Corpus orationum. Per esempio, il cambiamento da misericordiam (Br 418: 10ᵃ domenica dopo Pentecoste) a gratiam (26ᵃ domenica per annum, colletta) è il recupero del testo del Gelasianum Vetus e, in questo caso, della maggioranza dei manoscritti. Tuttavia, nella maggioranza dei casi, i cambiamenti effettuati dal Consilium sono degli innovamenti assoluti privi di qualsiasi base nella tradizione manoscritta — tutti gli esempi di modifiche di cui sopra, per esempio, sono assolutamente privi di precedenti!

In un discorso al Consilium del 13 ottobre 1966, Paolo VI ammonì così i suoi membri:
Questa ricerca [sulla liturgia] non dev’essere governata da nessuna predisposizione a cambiare qualsiasi cosa senza ragione alcuna, né dalla fretta — tipica degli iconoclasti — di emendare e modificare tutto. La prudenza devota e la riverenza combinata con la sapienza devono servire da guida.
Se le riforme liturgiche post-conciliari si fossero mantenute all’interno di questi confini, forse al giorno d’oggi staremmo facendo ben altri dibattiti e conversazioni. Ma tra di loro i periti del Consilium erano molto espliciti a proposito delle loro intenzioni. Per esempio:
È spesso impossibile preservare preghiere che si trovano nel Messale Romano [attuale] o prendere in prestito preghiere adeguate dal tesoro dell’antica eucologia. Infatti, le preghiere dovrebbero esprimere la mentalità della nostra epoca presente… [Coetus XIII, Schema 306 (De Missali, 52), 9 settembre 1968, p. 7]

La revisione dei testi preesistenti diventa più delicata quando ci si trova di fronte alla necessità di aggiornare i contenuti del linguaggio e quando ciò affetta non solo la forma, ma anche la realtà dottrinale. Ciò è richiesto alla luce delle nuove idee sui valori umani, considerate in rapporto con e come mezzo che conduce ai beni soprannaturali. Il Concilio lo propone chiaramente, e lo si è tenuto presente quando è stato rivisto il ciclo temporale. Non lo si sarebbe potuto ignorare nella revisione del ciclo santorale… Un fondamento completamente nuovo della teologia eucaristica ha sostituito i punti di vista devozionali o quelli di un modo particolare di venerare e invocare i santi. Inoltre, è stato ritenuto necessario ritoccare i testi per portare alla luce nuovi valori e nuove prospettive. [Carlo Braga, “Il ‘Proprium de Sanctis’ ”, Ephemerides Liturgicae 84 (1970), pp. 401-431, a p. 419]
È evidente che questo non è il linguaggio della continuità o del compimento, e nemmeno del rinnovamento autentico. I dati e le statistiche delle preghiere di ogni Messale — che oggi possono essere facilmente osservati e comparati da tutti — non giustificano le affermazioni che sostengono che il Messale antico sia contenuto sostanzialmente in quello nuovo; è piuttosto vero il contrario.

In conclusione, se solamente il 13% delle preghiere contenute nel Messale del Rito Romano tradizionale sono state mantenute intatte e se più della metà di esse sono state scartate nella loro interezza, non sembra possibile affermare in modo ragionevole che “tutti gli elementi del Rito Romano” siano presenti nei libri liturgici riformati, men che meno che la lex orandi di tale rito sia stata preservata nel modo dovuto. Esiste un gran numero di problemi e quesiti seri, a cui si deve dare una risposta e che non possono essere più ignorati, su quella che si suppone essere la riforma liturgica “irreversibile”. In ultima analisi, come Dom Alcuin Reid ci ricorda:
Mettere in discussione la continuità dei libri liturgici moderni con la tradizione liturgica e con i sani principi stabiliti dal Concilio non significa negare il Concilio o la sua autorità, bensì cercare di difenderlo da quanti hanno distorto le sue intenzioni dichiarate.
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NOTE
[1] Il Rev Fr Anthony Cekada, la cui stima del 17% è stata citata molte volte nel corso degli anni, è stato il pioniere in questo campo: vedi The Problems with the Prayers of the Modern Mass (Rockford, IL: TAN Books, 1991) e Work of Human Hands: A Theological Critique of the Mass of Paul VI (West Chester, OH: Philothea Press, 2010), pp. 219-245.
[2] Liste delle molte e svariate reazioni al motu proprio si possono trovare qui e qui su New Liturgical Movement (NLM).
[3] Va sottolineato che la maggior parte del lavoro soggiacente, come la compilazione di liste di fonti, l’esame parallelo delle preghiere di ogni Messale, è stato realizzato negli anni Settanta e Ottanta, prima che esistesse Internet e che la maggioranza della gente possedesse dei computer, e anche prima che uno strumento così fondamentale come il Corpus orationum esistesse. Abbiamo la fortuna di trovarci in un’epoca in cui, grazie al lavoro di molti studiosi diligenti e agli immensi progressi della tecnologia, questo tipo di ricerca è diventato molto più facile di quanto non lo fosse prima.
[4] La cifra di 1.273 preghiere è stata leggermente riveduta e corretta rispetto al mio articolo precedente. Si compone di tutte le preghiere presenti nel Missale Romanum del 1951 (1.191) e di quelle aggiunte tra il 1951 e il 1962 (82). A causa della riforma della Settimana Santa e dei calendari a partire dal 1955, questo numero non rappresenta esattamente il Messale del 1962, ma in quanto preghiere derivanti da celebrazioni precedenti riusate nel Messale post-Vaticano II, mi è sembrato più corretto includerle nel totale generale. Definisco anche “preghiere” le collette, le orazioni segrete/super oblata, dopo la comunione e super populum, e altre orationes contenute nel Messale (es. l’intercessione solenne del Venerdì Santo, quelle che vengono dopo le letture nelle Vigilie di Pasqua e di Pentecoste, le benedizioni in giorni particolari come la Domenica delle Palme, la Candelora, etc.). Tutti i prefazi, gli inni e le sequenze sono esclusi da questa analisi.
[5] La somma di queste percentuali supera il 100% perché alcune preghiere sono presenti in più di una categoria. Per esempio, Br 120 (9ᵃ domenica dopo Pentecoste, segreta) è stata mantenuta intatta ma è stata anche utilizzata in una fusione; Br 235 (mercoledì della 2ᵃ settimana di Quaresima, super populum) è stata mantenuta intatta ma è stata anche modificata per essere utilizzata altrove.
[6] Nel testo che segue, l’abbreviazione “Br” si riferisce al “numero Bruylants” di una data preghiera. Come parte del suo sistema di riferimenti per la sua opera Les oraisons du Missel Romain: texte et histoire (Louvain: Centre de Documentation et d’Information Liturgiques, 1952, 2 vols.), Dom Placide Bruylants ha disposto tutte le preghiere del Missale Romanum in ordine alfabetico e le ha poi numerate in modo progressivo a partire da 1. Questo sistema di riferimenti è ancora usato spesso da studiosi e liturgisti. Si può trovare qui un’utile lista di concordanze oltre al testo critico e alle fonti di informazione di Bruylants.
[7] Ai fini di quest’analisi ho mantenuto le preghiere modificate e quelle fuse in due categorie separate e non ho cercato di esaminare le preghiere fuse. Anche se la fusione potrebbe essere contata come l’“utilizzo” di una preghiera, il modo in cui parti di diverse preghiere sono state appiccicate insieme dai riformatori può essere piuttosto complicato e merita che gli si dedichi in futuro un’analisi separata.
[Traduzione per Chiesa e post-concilio di Antonio Marcantonio]

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