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sabato 19 febbraio 2022

'Fidem Servare' e 'Competentias quasdam decernere' sono le premesse perché il sinodo tedesco indirizzi le conclusioni del Sinodo sulla Sinodalità del 2023.

Non a caso appare la scelta dell’11 febbraio 2022 - nono anniversario della celebre Declaratio di Benedetto XVI - per i Motu Proprio Fidem Servare [qui] e Assegnare alcune competenze [qui], quest’ultimo così urgente che neppure si è attesa la traduzione latina che pure dovrebbe essere la fonte originale e, dunque, canonicamente vincolante per la fedele interpretazione.

Pastores praevaricati sunt in me,
et, quae nihil prosunt, secuti sunt.

di Gian Pietro Caliari

Del profeta Geremia conosciamo direttamente la biografia perché è lui stesso a presentarcela all’inizio del suo testo profetico: “Parole di Geremia figlio di Chelkia, uno dei sacerdoti che dimoravano in Anatòt, nel territorio di Beniamino. A lui fu rivolta la parola del Signore al tempo di Giosia figlio di Amon, re di Giuda, l'anno decimoterzo del suo regno, e quindi anche al tempo di Ioiakìm figlio di Giosia, re di Giuda, fino alla fine dell'anno undecimo di Sedecìa figlio di Giosìa, re di Giuda, cioè fino alla deportazione di Gerusalemme avvenuta nel quinto mese” (Geremia, 1, 1-3).

Da questa succinta ma chiara presentazione, apprendiamo che Geremia era un levita, il cui padre Chelkia era della tribù di Beniamino, che visse e profetò durante gli anni degli ultimi re di Giuda: Giosìa, Ioiakim, Sedecìa.

Geremia fu “profeta di sventure”, quasi a malincuore, quando a lui si oppose un altro profeta, Anania figlio di Azzùr, che annunciava che la dominazione babilonese di Nabucodonosor aveva i giorni contati e presto i deportati sarebbero tornati a casa, riportando in patria gli arredi saccheggiati dal Tempio di Gerusalemme.

Rappresentando iconicamente l’imminente sciagura, Geremia si presenta al Tempio indossando un giogo - come una bestia da soma - per indicare l’egemonia babilonese sul popolo d’Israele (Geremia 27, 2), finché Anania, giunto al Tempio, non osa spezzare il giogo davanti a tutti, gridando: “Dice il Signore degli eserciti, Dio di Israele: Io romperò il giogo del re di Babilonia!” (Geremia 28, 2).

A un “profeta di sventure”, Geremia, caso unico nell’Antico Testamento, si oppone un “profeta di buone notizie”, Anania che, al contrario. annuncia la pace e la vittoria del regno di Giuda sui babilonesi.

Per il regno di Giuda, stretto fra il potente Egitto e l’ancor più potente Babilonia, non si trattava che di un’illusione, alimentata da un falso profeta.

Se Anania aveva spezzato il giogo di legno di Geremia, ben presto in realtà il Signore gli rivolgerà una parola veramente profetica: “Tu hai rotto un giogo di legno ma io, al suo posto, ne farò uno di ferro” (Geremia 28, 13).

“Ascolta, Anania! Il Signore non ti ha mandato e tu hai spinto questo popolo a confidare nella menzogna. Perciò così parla il Signore: Ecco, io ti caccio dalla faccia della terra; quest’anno morirai, perché hai parlato di ribellione contro il Signore” (Geremia 28, 15-16).

Anania muore di lì a poco, e nel giro di qualche anno Nabucodonosor, innervosito dalle tresche di Sedecìa con gli Egizi, rimanda le sue truppe a Gerusalemme, distrugge il Tempio e completa la deportazione del popolo eletto.

Geremia, seppur a malincuore, non sbagliava mai!

Ancor di più l’austero profeta di sventure non sbagliava indicando, nell’infiltrazione di culti e pratiche idolatriche fra gli israeliti, il tradimento della fede monoteista e della tradizione mosaica.

Proprio nei sacerdoti, Geremia a più riprese, indica gli artefici e promotori del tradimento dell’Alleanza del Sinai e a loro imputa la vera causa dell’inizio della conseguente “cattività babilonese” del popolo dell’Alleanza, la fine del regno di Giuda e la distruzione del Tempio di Gerusalemme (nel 597 e nel 586 a. C.).

“Neppure i sacerdoti si domandarono: Dov'è il Signore? I detentori della legge non mi hanno conosciuto, i pastori mi si sono ribellati, i profeti hanno predetto nel nome di Baal e hanno continuato ad esseri inutili” (Geremia 2, 8).

Le vicende di cui fu protagonista - suo malgrado - il profeta Geremia sembrano ben adattarsi a quanto sta vivendo la Chiesa Cattolica nella sua gerarchia, a cominciare da colui che siede su quello che fu il Trono dell’Apostolo Pietro, chiamato prima a ravvedersi e poi a confermare i fratelli nella fede!

“Simone, Simone, ecco satana vi ha cercato per vagliarvi come il grano; ma io ho pregato per te, che non venga meno la tua fede; e tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli” (Luca 22 31-32). Ai tempi di Geremia sacerdoti e profeti furono del tutto inutili, di fronte al diffondersi dei culti idolatrici di Baal e dei suoi sacrifici umani.

Al tempo di Jorge Mario Bergoglio, gran parte dell’intera gerarchia cattolica non solo è inutile contro il diffondersi di una “nuova religione”, chiamata a rimpiazzare quella Cattolica, ma i pastori stessi ne sono - come ebbe a dire in riferimento ai tedeschi dei tempi di Adolf Hitler lo storico Daniel Jonah Goldhagen - “i volonterosi carnefici” (cfr. Hitler’s Willing Executioners: Ordinary Germans and The Holocaust, New York, 1996).

Come allora, ancor oggi, larga parte dei vescovi e del clero cattolico tedesco “si comporta così non perché costretti né perché ridotti alla stregua di schiavi né perché tremende pressioni sociali o psicologiche li inducono ad adeguare la loro condotta” (Ibidem, p.17).

Allora fu l’antisemitismo come ideato e propagato da Martin Lutero nel suo Von den Juden und ihren Lügen (Degli ebrei e delle loro menzogne, 1543); oggi, è l’anticattolicesimo diffuso e propagato negli ultimi sessant’anni dalla ricca Conferenza Episcopale Tedesca per la quale l’unica Scriptura e l’unica Traditio che, veramente, contano sono i libri contabili della Kirchensteuer.

Da Berlino a Monaco, passando per Francoforte fino a Colonia e Amburgo solo la contabilità della Kirchensteuer decide chi è cattolico e chi no; e se non paghi - poco importa l’ortodossia del refrattario - “anathema sit!”.

In questi ultimi giorni, poi, Jorge Mario Bergoglio, con spiccata osservanza dei miti della pastoralità, collegialità e sinodalità, ha posto - con due Motu Proprio nel medesimo 11 febbraio - le premesse perché le conclusioni del der Synodale Weg tedesco diventino le premesse per le conclusioni del Sinodo sulla Sinodalità del 2023.

Come nei due Sinodi sulla Famiglia (2014-2015) [vedi], la tecnica bergogliana è ancora una volta la stessa: “Se parliamo esplicitamente di comunione ai divorziati risposati – ha riportato Mons. Forte riferendo una battuta di Papa Francesco – questi non sai che casino che ci combinano [qui]. Allora non ne parliamo in modo diretto, fa in modo che ci siano le premesse, poi le conclusioni le trarrò io.” Dopo aver riportato questa battuta lo stesso Forte ha scherzato dicendo: “Tipico di un gesuita” (La Stampa, 9 maggio 2016).

Se parlo di donne prete, di cambio della morale sessuale, di matrimoni omosessuali e di fine del celibato ecclesiastico “sai che casino che ci combinano”: lasciamolo fare ai tedeschi - hanno la storica abitudine di essere i “volonterosi carnefici” del despota di turno - e lasciamo fare al presidente della Commissione delle Conferenze Episcopali Europee. A loro le premesse, a me le conclusioni. “Tipico di un gesuita”!

All’implementazione di questa stessa strategia, viste le premesse costruite sul Reno, restavano sul Tevere due ostacoli maggiori: l’imprevista sopravvivenza di Benedetto XVI e le competenze della Congregazione per la Dottrina della Fede.

Non a caso appare la scelta dell’11 febbraio 2022 - nono anniversario della celebre Declaratio di Benedetto XVI - per i Motu Proprio Fidem Servare [qui] e Assegnare alcune competenze [qui], quest’ultimo così urgente che neppure si è attesa la traduzione latina che pure dovrebbe essere la fonte originale e, dunque, canonicamente vincolante per la fedele interpretazione.

Il primo ostacolo per “i pastori che si sono ribellati, […] e hanno continuato ad esseri inutili” (Geremia 2, 8), è costituito da Benedetto XVI, non solo dalla sua persona ma soprattutto dal suo magistero, chiaro e indefettibile [qui].

Ecco allora il presidente della Conferenza Episcopale Tedesca invocarne, come un novello Maximilien Robespierre, la testa sulla Place de la Concorde ecclesiale. Poco importa se le accuse si sono rivelate - come ampiamente conferma la rigorosa analisi condotta da molti (cfr. inter alia, l’analisi condotta nel sito: Silere Non Possum) - infondate, false e pretestuose.

Tanto bastava ai novelli membri del Comitato di Salute Pubblica della già Chiesa Cattolica Tedesca per aizzare la stampa mainstream contro il Pontefice Emerito e per tentare di rovesciare su di lui il marciume della loro chiesa putrefatta.

I grassi boiardi-ecclesiastici tedeschi hanno forse chiesto conto al loro fedele alleato del suo ben più recente passato, quando da Presidente della Conferenza Episcopale dell’Argentina commissionò a pagamento un pamphlet di oltre 4.000 pagine a favore di padre Julio César Grassi, non tanto per difenderlo ma piuttosto per intimidire i giudici della Corte Suprema che, nel 2017, confermarono la condanna a 15 anni di carcere “por abuso sexual agravado por resultar sacerdote, encargado de la educación y de la guarda del menor víctima, reiterado, dos hechos, en concurso real entre sí, que a su vez concurren formalmente con corrupción de menores agravada”.

O poteva l’allora primate di Argentina non sapere di quanto stava avvenendo nell’Istituto Provolo di Lujàn de Cuyo, in Argentina, fatti per i quali il prete italiano Nicola Corradi e quello argentino argentino Horacio Corbacho sono stati condannati per esecrandi misfatti di pedocriminalità rispettivamente a 42 e 45 anni di carcere?

Non sono fatti che risalgono agli anni Quaranta o Settanta, sono episodi assai più recenti che hanno tutti visto Bergoglio in prima linea come Arcivescovo di Buenos Aires e Presidente della Conferenza Episcopale Argentina per il caso Grassi, e come Primate d’Argentina per quello dell’Istituto Provolo.

O, forse, dovremmo attendere gli esiti del processo al Vescovo Gustavo Zanchetta - una delle primissime nomine episcopali di Bergoglio - per incominciare a porre al regnante qualche domanda stringente su casi che non rimontano certo alla notte dei tempi?

Serviva, poi, scalzare la pur sempre più timida Congregazione della Dottrina della Fede!

A questa la riforma voluta da Papa Giovanni Paolo II aveva affidato il compito di favorire “gli studi volti a far crescere l'intelligenza della fede e perché, ai nuovi problemi scaturiti dal progresso delle scienze o della civiltà si possa dare risposta alla luce della fede” (Pastor Bonus can. 49) e “di di tutelare la verità della fede e l'integrità dei costumi” impegnandosi “fattivamente perché la fede ed i costumi non subiscano danno a causa di errori comunque divulgati” (Ibidem can. 51).

Nella visione e nei piani di Bergoglio, invece, “La Sezione Dottrinale, attraverso l’Ufficio dottrinale, si occupa delle materie che hanno attinenza con la promozione e la tutela della dottrina della fede e della morale. Essa, inoltre, favorisce gli studi volti a far crescere l’intelligenza e la trasmissione della fede al servizio dell’evangelizzazione, perché la sua luce sia criterio per comprendere il significato dell’esistenza, soprattutto di fronte alle domande poste dal progresso delle scienze e dallo sviluppo della società” (Fidem Servare can. 2).

Saranno, dunque, d’ora in poi “le domande poste dal progresso delle scienze dello sviluppo della società” il criterio guida delle decisione della Congregazione e non “la promozione e la tutela della fede e della morale”.

Quanto, poi, a coloro che tale fede e morale rinnegano con i loro scritti - secondo Bergoglio - si deve “favorire il dialogo” (Ibidem can. 3).

Scienza e società, non più Scriptura e Traditio, sono alla base della “nuova religione” che Bergoglio vuole imporre alla Cattolicità.

Un progetto, per altro, già vecchio e le cui conseguenze sono già fin troppo evidenti nelle cadaveriche Chiese Riformate tradizionali e nella Church of England.

Come, già coraggiosamente denunciato dall’ex autorevole vescovo anglicano, ora prete cattolico, Michael Nazir-Ali, stanco di vedere la chiesa abbracciare sempre più cause ritenute troppo progressiste e contrarie al Vangelo: “prima il sacerdozio alle donne, poi l'apertura ai matrimoni omosessuali e ai trans, poi ancora le critiche al passato colonialista del Regno Unito, il tutto imposto dal politically correct e in contrasto con i principi sanciti dalla Bibbia (cfr. The BNP's values aren't Christian, in: The Guardian, 27 ottobre 2009).

Quello che “la nuova religione bergogliana vorrebbe sostituire”, in realtà, è l’essenza stessa della Rivelazione e del Vangelo, come bene illustrò il teologo protestante Dietrich Bonhoeffer.

“La Sacra Scrittura, quando invita a seguire Cristo, annunzia la liberazione dell'uomo da ogni precetto fatto da uomini, da tutto ciò che pesa, che opprime, che preoccupa, da tutto ciò che tormenta la coscienza. Seguendo Cristo gli uomini si liberano dal pesante giogo delle loro proprie leggi e si pongono sotto il dolce giogo di Gesù Cristo. Forse che in questo modo la serietà dei comandamenti di Gesù è diminuita? Tutt'altro! Proprio lì dove viene mantenuto tutto il comandamento di Gesù, l'invito a seguirlo incondizionatamente, si rende possibile la totale liberazione dell'uomo e la sua piena comunione con Gesù. Chi obbedisce senza riserve al comandamento di Gesù, chi accetta il suo giogo senza alcuna opposizione, proverà quant'è dolce il peso che deve portare, riceverà nella leggera pressione di questo giogo, la forza di camminare per la via diritta senza stancarsi”

“Il comandamento di Gesù è duro, inumano per chi gli oppone resistenza. Il comandamento di Gesù è leggero e dolce per colui che lo accetta con prontezza.” (Nachfolge, Monaco, 2002, p. 4).

L’eroico pastore luterano, martire nel campo di sterminio nazista di Flossenbürg, aveva lucidamente compreso che “La grazia a buon prezzo” - quella della Chiesa Luterana dei suoi tempi e della “nuova religione bergogliana oggi - “è il nemico mortale della nostra Chiesa”

“Grazia a buon prezzo è giustificazione non del peccatore, ma del peccato. Grazia a buon prezzo è quella grazia che noi concediamo a noi stessi. […] Grazia a buon prezzo è annunzio del perdono senza pentimento, è battesimo senza disciplina di comunità, è Santa Cena senza confessione dei peccati, è assoluzione senza confessione personale. […] Grazia a buon prezzo è grazia senza che si segua Cristo, grazia senza croce, grazia senza il Cristo vivente, incarnato. […] Grazia a caro prezzo è l'Evangelo che si deve sempre di nuovo cercare, il dono che si deve sempre di nuovo chiedere, la porta alla quale si deve sempre di nuovo picchiare”.

“È a caro prezzo perché ci chiama a seguire, è grazia, perché chiama a seguire Gesù Cristo; è a caro prezzo, perché l'uomo l'acquista al prezzo della propria vita, è grazia, perché proprio in questo modo gli dona la vita; è cara, perché condanna il peccato, è grazia, perché giustifica il peccatore. La grazia è a caro prezzo soprattutto perché è costata molto a Dio; a Dio è costata la vita del suo Figliolo” (Ibidem 12-15).

Di fronte all’aperta apostasia della Fede Cattolica dei vescovi tedeschi, con la complicità di Jorge Mario Bergoglio, e la loro conclamata eresia forse, si potrebbe chiedere loro conto di quanto hanno sacramentalmente promesso al momento della loro ordinazione: “L’antica tradizione dei padri richiede che gli ordinandi vescovi siano interrogati in presenza del popolo sul proposito di custodire la fede e di esercitare il proprio ministero: Vuoi custodire puro e integro il deposito della fede, secondo la tradizione conservata sempre e dovunque nella Chiesa fin dai tempi degli Apostoli?” (Rito di ordinazione dei Vescovi).

Oppure, come ha fatto il cardinal Gerhard Ludwig Muller, si potrebbe invitarli a dimostrare il loro “santo coraggio evangelico” abiurando a prebende, privilegi, seggi e, indossato un semplice saio, andare a predicare scalzi la loro nuova chiesa, tutta pace, amore e fantasia.

Né l’una né l’altra cosa accadrà. Siamo ormai abituati, da ormai nove anni, a sentire ragliare la gerarchia cattolica secondo gli umori del tempo e le convenienze clericali e carrieristiche del papato incombente.

Tali pastori che si sono ribellati a Dio e alla sua Rivelazione - direbbe tristemente Geremia - “hanno continuato ad esseri inutili” (Geremia 2, 8).

Essi come Anania, un falso profeta, spingono il popolo “a confidare nella menzogna”.

Lo storico francese Boris Souvarine, autore di una monumentale biografia di Joseph Stalin, diede di Stalin e dei principali protagonisti della rivoluzione e dell’instaurazione in Russia del regime bolscevico una concisa, sprezzante ma realistica definizione: “Una puttana che cambia marciapiede, per questo non è più una puttana!” (cfr. Staline, aperçu historique du bolchévisme, Paris, 1992).

Appare ai nostri giorni una non irriverente ma assai realistica descrizione di gran parte - almeno quella più esposta dal mainstream - dell’attuale gerarchia cattolica, che con nonchalance dopo aver calpestato un assai nobile marciapiede - quello della Santa Chiesa di Dio - ora hanno cambiato marciapiede.

Sull’uno e sull’altro, restano quello che sono!

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