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venerdì 18 febbraio 2022

La Chiesa Cattolica Apostolica e poi Romana, può diventare Diocesana? Usque tandem?

Ego rogavi pro te, Petre, ut non deficiat fides tua

Il 15 febbraio 2022, è entrato in vigore il “motu proprio” Competentias quasdam decernere [qui] con il quale Bergoglio trasferisce ai vescovi locali competenze finora assegnate dal Codice di Diritto Canonico alla Santa Sede.
Di fatto, con la  mutazione di alcune norme del codice di diritto canonico e del codice dei canoni delle chiese orientali si apre la possibilità per ogni “regione ecclesiastica” (Diocesi singole o Conferenze episcopali nazionali) di elaborare in proprio – con la sola conferma (non più approvazione) di Roma – ciò che riguarda la gestione dei seminari, la formazione sacerdotale la redazione di catechismi ed altri settori importanti della vita ecclesiale. Evidentemente potranno aversi anche Liturgie differenziate... Si può ipotizzare persino la genderizzazione, le scelte pro lgbt...
Anche qui siamo a un deja vu di conio ormai stantio. E la confusione, ma soprattutto il dramma di una chiesa irriconoscibile, aumenta.

Secondo la Santa Sede questo decentramento risponde allo spirito dell’Esortazione apostolica “Evangelii Gaudium”, e vuole favorire lo sviluppo di azioni pastorali più prossime alle realtà e ai bisogni delle chiese locali. E tuttavia non si può non provare smarrimento di fronte alle conseguenze di una simile trasformazione, che di fatto segna la fine de La Catholica. La finestra di Overton, già aperta da tempo (l'idolatria in San Pietro [qui - quiqui], la fratellanza universale [qui - qui]), ha ormai raggiunto le sue fasi più estreme...
Infatti che fine fa il cattolicesimo, che significa universalità? Tenuto altresì conto della delicatezza delle competenze trasferite ai vescovi diocesani, molto diversi tra loro in quanto a sensibilità e orientamenti anche su questioni cruciali: il che mette ulteriormente a rischio anche l’unità della Chiesa cattolica, già profondamente lacerata e divisa (basti pensare al sinodo in Germania). E forse il provvedimento, oltre a rispecchiare la mens rivoluzionaria del suo artefice, serve proprio ad accettare questo scisma già in atto, per quanto emerge [qui - qui].

Come accennato, il problema è che la questione (da sempre delicata e assai spinosa) era affrontata con estrema chiarezza in un passaggio dell'Evangelii Gaudium: "Ancora non si è esplicitato sufficientemente uno statuto delle Conferenze episcopali che le concepisca come soggetti di attribuzioni concrete, includendo anche qualche autentica autorità dottrinale. Un'eccessiva centralizzazione, anziché aiutare, complica la vita della Chiesa e la sua dinamica missionaria".

Una linea ecclesiologica di rottura rispetto alla Communionis Notio della Dottrina della Fede, inviata nel 1992 a tutti i vescovi del mondo per chiarire che la Chiesa universale non è il risultato della somma o della comunione delle Chiese particolari, ma «è una realtà ontologicamente e temporalmente previa ad ogni singola Chiesa particolare» (n. 9). Com'è ormai più che evidente, invece per Bergoglio vale la linea Kasper «per cui non si possa intendere l’universalità della Chiesa come realtà previa all’esistenza delle Chiese locali».

Ma la Chiesa, Una Santa, corpo mistico di Cristo, non è un insieme di chiese nazionali o addirittura diocesane, non può avere un magistero a geometria variabile. Soprattutto non sopporta una frammentazione che la lacera. Anche a voler realizzare una sana sinodalità permanente, pur con tutti i rischi più volte evidenziati [qui], gli organismi locali possono avere funzioni consultive, non deliberative, altrimenti che fine fa il triplice munus (docendi, regendi, sanctificandi) di Pietro? Ma, in definitiva, che fine ha fatto Pietro? (Maria Guarini)

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