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venerdì 11 febbraio 2022

Quello fra il 'mysterium fidei' e il 'mysterium iniquitatis' è per la Fede Cristiana un duello misterioso ma necessario

Nel ribadire al prof. Caliari la mia gratitudine per aver proposto lo scritto ripreso di seguito, inserisco una breve osservazione sulla visione che i problemi che oggi riscontriamo sarebbero scaturiti da una cattiva applicazione del concilio, come se questo, di per sé buono, non sia mai stato compreso. Di fatto, però, non furono gli applicatori a creare il virus della collegialità e delle Conferenze Episcopali, né a chiedere una maggiore “partecipazione attiva” dei laici nel governo della Chiesa. Sono stati i documenti del Concilio Vaticano II a farlo. Lo stesso vale per il nuovo Codice di Diritto Canonico che, per volere di Giovanni Paolo II (già Padre conciliare), trasformò in legge la collegialità. Se è vero che, quanto alla Liturgia la riforma di Paolo VI è andata oltre la Sacrosanctum concilium, è altrettanto vero che, come per tante altre storture, i 'bachi' erano già presenti nel non detto (es. l'oltrepassamento della Mediator Dei [qui]) oppure nelle eccezioni che seguono molte affermazioni di principio ai nn. 36, 54 (es. l'uso del Latino [vedi articoli], la musica sacra [vedi]) e così per molte altre ambiguità e obliterazioni ampiamente illustrate in questo blog. Ciò non toglie che meriti soffermarsi sul testo che segue per l'interesse spirituale prim'ancora che esegetico delle splendide citazioni e riflessioni in esso contenute. E la Chiesa, Una Santa corpo mistico di Cristo, è già salva.  E noi in essa se rimaniamo saldi nella fedeltà. 

Judica me, Deus, et discerne causam meam de gente non sancta:
ab homine iniquo et doloso erue me.

di Gian Pietro Caliari

Per secoli, in ogni angolo della terra e presso popoli di ogni nazione, lingua e cultura, ai piedi dell’Altare del Santo Sacrificio, la Chiesa terrena così ha invocato e così ancora invoca per unirsi a quella che già canta per l’eternità il nuovo canto: “Tu sei degno di prendere il libro e di aprirne i sigilli, perché sei stato immolato e hai riscattato per Dio con il tuo sangue uomini di ogni tribù, lingua, popolo e nazione” (Apocalisse 5, 9).

Il testo è tratto dal Salmo 43 che con il precedente 42 è, in realtà, un unico Salmo.
Insieme i Salmi 42 e 43, infatti, formano un’unica preghiera contrassegnata da una continuità linguistica e tematica, che forma così un’unica supplica e richiesta di soccorso, espressa alla prima persona singolare.

L’autore sacro, poi, dirige il testo “Al maestro del coro, Maskil. Dei figli di Core” (Salmo 42, 1). Così, come pure, ai “figli di Core” sono diretti i Salmi dal 44 al 49, e dall’ 84 all’ 88.

Come apprendiamo dal Libro della Cronache: “I Leviti tra i figli dei Cheatiti e tra i figli dei Corachiti si alzarono per lodare a gran voce l’Eterno, il Dio d’Israele” (2 Cronache 20, 19).

I Corachiti erano, infatti, un gruppo di leviti addestrati e addetti al canto sacro nel servizio liturgico del Tempio d’Israele.

I Salmi 42 e 43 sono, dunque, dei testi propriamente liturgici. Sacri, dunque, per eccellenza, perché riservati, non a celebrare lo stato d’animo del credente, ma a rendere culto alla שכינה šekīnah stessa dell’Eterno: il manifestarsi stesso di Dio all’uomo, la sua παρουσία parousía, il suo farsi presenza reale nella Storia degli uomini.

La loro intrinseca unitarietà è, infine, resa ancora più evidente dal medesimo ritornello, che ricorre per ben tre volte: “Perché ti abbatti, anima mia? Perché ti agiti in me? Spera in Dio, perché lo celebrerò ancora; egli è il mio salvatore e il mio Dio” (Salmo 42, 6 e 12; Salmo 43, 5).

מַה־תִּשְׁתּ֬וֹחֲחִ֨י ׀ נַפְשִׁי֮ וַתֶּהֱמִ֪י עָ֫לָ֥י הוֹחִ֣ילִי לֵֽ֭אלֹהִים כִּי־ע֥וֹד אוֹדֶ֗נּוּ יְשׁוּע֥וֹת פָּנָֽיו׃
mah-tiš-tō-w-ḥă-ḥî nap̄-šî wat-te-hĕ-mî ‘ā-lāy hō-w-ḥî-lî lê-lō-hîm kî-‘ō-wḏ ‘ō-w-ḏen-nū, yə-šū-‘ō-wṯ pā-nāw.
“Come mai sei abbattuto nell’anima mia, perché sei inquieto dentro di me? Sperare in Dio, perché ancora lo loderò grazie all’aiuto del suo volto”.

Tale espressione salmica, tuttavia, non è una semplice constatazione autobiografica dell’afflizione del credente, quasi come se l’ego del credente parlasse alla sua anima abbattuta dall’assenza del “volto di Dio”.

Si tratta, al contrario, di un ego liturgico che vuole dirigersi a una coscienza plasmata da una società e da circostanze sfavorevoli e, persino, radicalmente avverse alla fede.

Il testo biblico vede la contrapposizione frontale fra l’uomo che cerca Dio, “come la cerva che anela ai corsi d’acqua” (Salmo 42, 1), e la sua presenza, il suo altare (Salmo 43, 4); e colui che con sarcasmo lo sfida: “Dov’è il tuo Dio” (Salmo 42, 4); fra la “verità e luce di Dio” (Salmo 43, 3) e la menzogna e il sopruso dell’uomo senza Dio.

Nel contesto di questa drammatica e insanabile contrapposizione, il credente così invoca nel testo originale ebraico
שָׁפְטֵ֤נִי אֱלֹהִ֨ים ׀ וְרִ֘יבָ֤ה רִיבִ֗י מִגּ֥וֹי לֹא־חָסִ֑יד מֵ֤אִישׁ־מִרְמָ֖ה וְעַוְלָ֣ה תְפַלְּטֵֽנִי
šā.p̄ə.ṭê.nî ’ĕ.lō.hîm wə.rî.ḇāh lō-mig.gō.w ṯə.p̄al.lə.ṭê.nî mir.māh wə.’aw.lāh mê.’îš- mir-māh wə-‘aw-lāh ṯə-p̄al-lə-ṭê-nî
“Vendicami o Dio, difendi il mio buon diritto, contro un branco di animali senza Dio; da un individuo che mente e non conosce la giustizia, oh liberami”.

L’orante in-liturgia cerca “come una cerva assetata” non tanto “i corsi d’acqua” (Salmo 42, 2) ma il Dio vivente che gli da la vita: “L’anima mia è assetata del Dio vivente […] il Dio che mi da vita” (Ibidem, 2; 8).

Il salmista indica, così, il bisogno essenziale che la vita umana ha della Vita che è elargita, ravvivata e conservata dal Dio vivente e dalla contemplazione del suo volto, cioè, della sua reale presenza quando il credente si pone in-liturgia.

A questi stessi sentimenti dei Salmi 42 e 43 fa riferimento Gesù stesso parlando della sua anima abbattuta e inquieta, nei giorni della sua Passione (cfr. Matteo 26, 38 e Giovanni 12, 27); ma, soprattutto, quando egli si manifesta come il vero volto del Dio vivente ricercato dal salmista: “Chi beve dell'acqua che io gli darò, non avrà mai più sete, anzi, l'acqua che io gli darò diventerà in lui sorgente di acqua che zampilla per la vita eterna” (Giovanni 4, 14) e “Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà più fame e chi crede in me non avrà più sete” (Ibidem 6, 35).

Al “branco di animali senza Dio”, e “all’individuo che mente e non conosce giustizia”, e che senza posa tormentano il credente e lo sfidano domandando:

אַיֵּ֥ה אֱלֹהֶֽיךָ׃ 'ay-yêh ‘ĕ-lō-he-ḵā
“Dove abita il tuo Dio?” (Salmo 42, 11);

il credente, confessa in-liturgia:
וְאָב֤וֹאָה ׀ אֶל־מִזְבַּ֬ח אֱלֹהִ֗ים אֶל־אֵל֮ שִׂמְחַ֪ת גִּ֫ילִ֥י וְאוֹדְךָ֥ בְכִנּ֗וֹר אֱלֹהִ֥ים אֱלֹהָֽי׃
wə-‘ā-ḇō-w-'āh ‘el-miz-baḥ ‘ĕ-lō-hîm, 'el-'êl śim-ḥaṯ gî-lî wə-‘ō-wḏ-ḵā ḇə-ḵin-nō-wr, ‘ĕ-lō-hîm ‘ĕ-lō-hāy;
“E andrò all’altare di Dio, a Dio che supera la mia gioia; ti loderò sull’arpa o Dio, mio Dio” (Salmo 43, 4).

Proprio nella liturgia, il credente in-liturgia può appieno comprendere e attuare non solo il mysterium fidei e la sua lex orandi, ma anche stabilire il giusto rapporto fra “l’essere nel mondo e il non essere del mondo”, che la Rivelazione Cristiana inaugura come dimensione essenziale dell’essere cristiani, nel mondo e nella Storia.

Per il credente il tempo e la Storia, infatti, possono essere salvifici solo se il mysterium fidei proprio della Fede diventa, è e rimane indissolubilmente il metro di comprensione e di giudizio del mysterium iniquitatis, che è proprio invece della “scena di questo mondo che passa” (cfr. 1 Corinti 7, 31).

Quello fra il mysterium fidei e il mysterium iniquitatis è per la Fede Cristiana un duello misterioso, ma reale, e insieme necessario e ineluttabile perché è intrinsecamente parte del Sacramentum Salutis, che costituisce la Chiesa stessa: Mors et Vita duello mirando conflixere, Dux vitae mortus regnat vivus - Morte e Vita hanno combattuto in un prodigioso duello, il Signore della vita che era morto, regna ora vivo! (Sequenza Pasquale).

Lo ricorda chiaramente il Concilio Vaticano II nella sua prima Costituzione Dogmatica: “La liturgia, infatti, mediante la quale, specialmente nel divino sacrificio dell'eucaristia, si attua l'opera della nostra redenzione, contribuisce in sommo grado a che i fedeli esprimano nella loro vita e manifestino agli altri il mistero di Cristo e la genuina natura della vera Chiesa. Questa ha infatti la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina” (Sacrosantum Concilium, 2).

Tale rapporto e poi chiaramente precisato dai Padri Conciliari, “Tutto questo in modo tale, però, che ciò che in essa è umano sia ordinato e subordinato al divino, il visibile all'invisibile, l'azione alla contemplazione, la realtà presente alla città futura, verso la quale siamo incamminati” (Ibidem).

Quest’ultima dogmatica considerazione del Vaticano II ci permette di meglio comprendere l’attuale e drammatica crisi della Chiesa Cattolica e persino della stessa Fede Cattolica, giunta al suo zenit durante questo inquietante e, umanamente, esiziale Pontificato di Jorge Mario Bergoglio.

Solo con lo sguardo umile, infatti, ma fiducioso, fermo e coraggioso del credente in-liturgia, ci si può liberare dallo stato di “oppressione del nemico” (Salmo 43, 2) e fiduciosamente affermare: “Spera in Dio: ancora potrò lodarlo, lui, salvezza del mio volto e mio Dio” (Salmo 42, 6).

In questa stessa dimensione di Fede, che riconosce che solo “dal costato di Cristo dormiente sulla croce è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa” (Sacrosantum Concilium 5) e che i “seguaci di Cristo, pur non essendo di questo mondo, sono tuttavia la luce del mondo e rendono gloria al Padre dinanzi agli uomini” (Ibidem 9), si può cogliere appieno la gravità dell’attuale situazione - oseremmo dire con il Salmo - “l’abisso che chiama l’abisso” (cfr. Salmo 42, 8) - in cui è precipitata la Chiesa Cattolica; ma anche e, forse, trovare rinnovate motivazioni e nuovo coraggio per riprendere il cammino “fino alla Casa di Dio” (Ibidem 5).

A quasi sessant’anni dalla fine del Concilio Vaticano II, possiamo, senza posa di smentita, affermare che di quel Concilio i suoi laudatores, di ieri e di oggi, ne sono stati i principali traditori nella lettera e nello spirito.

Oggi, di questo tradimento ne vediamo i risultati più devastanti, esecrandi e amarissimi. Oggi, ci è possibile indicare per nome e cognome i traditori di ieri e di oggi, che ostinatamente perseguono un diabolico rovesciamento.

Hanno, infatti, subordinato il divino all’umano, si beano del visibile ignorando l’invisibile, hanno preferito l’azione alla contemplazione; si pavoneggiano illusoriamente di influenzare e persino controllare la realtà presente della Civitas Hominum, vietando agli uomini, ai credenti e alla Storia di sapere e conoscere appieno che il loro fine solo e ultimo è la città futura: la Civitas Dei.

Dimentichi che il mirabile sacramento di tutta la Chiesa è scaturito dal costato di Cristo dormiente sulla croce, coi loro sinodi, politicamente pensati e abilmente manipolati e truccati; coi loro vaneggiamenti inconcludenti, alla guisa del pensiero corrente e dominante; coi loro gesti sfacciati e ridicoli s’illudono e, soprattutto, cercano d’illudere i credenti, di poter godere ancora - e per qualche istante - calcare la ribalta di un cabaret, che di giorno in giorno, si trasforma in un Sabba infernale!

In questi quasi sessant’anni, e ancor più in questi ultimi otto anni, dai loro frutti li abbiamo conosciuti e li conosciamo (cfr. Matteo 7, 16)! E benché si ammantino e si pavoneggino di falsa bontà e posticcia umiltà, per nascondere la loro brama dittatoriale di umano potere, ben sappiamo che solo “l’uomo buono trae il bene dal buon tesoro del suo cuore, mentre l’uomo malvagio dal suo cattivo tesoro trae fuori il male, perché la bocca parla dalla pienezza del cuore” (Luca 6, 45).

Il tradimento del vero Concilio Vaticano II e l’apostasia della Tradizione Cattolica - a dire il vero - non è esclusiva opera di questo infausto Pontificato, è in realtà di lunga data.

Già nel 1981, Giovanni Paolo II parlando a un convegno sulle missioni doveva constatare che: “Bisogna ammettere realisticamente e con profonda e sofferta sensibilità che i cristiani, oggi, in gran parte, si sentono smarriti, confusi, perplessi e perfino delusi; si sono sparse a piene mani idee contrastanti con la Verità rivelata e da sempre insegnata; si sono propalate vere e proprie eresie, in campo dogmatico e morale, creando dubbi, confusioni, ribellioni; si è manomessa la Liturgia; immersi nel “relativismo” intellettuale e morale, e perciò nel permissivismo, i cristiani sono tentati dall’ateismo, dall’agnosticismo, dall’illuminismo vagamente moralistico, da un cristianesimo sociologico, senza dogmi definiti e senza morale oggettiva” (Osservatore Romano, 7 febbraio 1981).

Ci si può chiedere, allora, che cosa è cambiato dagli anni del Pontificato di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI a quel 2013 che vide l’ascesa al trono di San Pietro della “Mafia di San Gallo”, per interposta persona di Jorge Mario Bergoglio?

L’obbiettivo e il fine ultimo di questo nefasto pontefice e dei suoi chierici corrotti sono ormai evidenti, acclarati e indiscutibili; e negarlo sarebbe, ormai, segno di stupida e riprovevole irrazionalità.

Dopo aver portato al collasso la Chiesa Cattolica, nella sua dimensione storica, essi vogliono, bramano e ambiscono di distruggere e veder estinta la stessa Fede Cattolica.

Il loro fine, allora, è la nascita di una nuova religione, che con Cristo e il suo Vangelo, nulla hanno più a che fare; e con la Scriptura e la Traditio, nulla hanno più in comune. Cristo e il suo lieto annunzio, e tanto più l’Antico Testamento che ne prefigurava e annunciava l’avvento, sono stati liquidati - fin dall’inizio di questo pontificato - in nome della tecnologia: “come possiamo sapere cosa ha veramente detto Gesù Cristo se al suo tempo non c’era un registratore?” (Arturo Sosa, Superiore Generale dei Gesuiti e Presidente dell’Unione Generale dei Superiori Generali delle Congregazioni Religiose, Intervista a Rosso Porpora, 18 febbraio 2017).

In tutta la predicazione di Bergoglio è evidente il non celato ma maldestro tentativo di negare il factum historicum, l’evento costitutivo della Fede Cattolica: l’incarnazione, predicazione, passione, morte, resurrezione e ascesa al cielo del “Verbum caro factum est”.

Così, il Cristo della Storia può essere trasformato e deformato nel “Cristo migrante”, “povero”, “scartato”, “emarginato” - come negli anni Settanta si decantava il Cristo “rivoluzionario” e “superstar” - ma anche in “Gesù che fa lo scemo”, in “Gesù che si è fatto peccato, che si è fatto diavolo e serpente per noi”; o in “Gesù che non era pulito”; e la cui morte “è un fatto storico ma la cui resurrezione no, è un atto di fede” (Bergoglio dixit).

Quando la Sacra Scrittura non è più Storia, ma solo un costrutto ideologico al servizio di una fede, che si trasforma in ideologia: “La fede cristiana in quanto tale viene così eliminata e trasformata in un’altra religione” (Benedetto XVI, Gesù di Nazareth - Dal Battesimo alla Trasfigurazione, Milano, 2007, p. 11).

Eliminata la prima, era necessario dissolvere anche la Traditio qualificata essa stessa come una macabra operazione di “naftalina” (Francesco, Discorso al Pontificio Consiglio per la nuova evangelizzazione, 11 ottobre 2017) e, ora sempre più sdegnosamente e maniacalmente incalzata come una “rigidità”, che si oppone alla necessaria fluidità ed indeterminatezza della nuova religione bergogliana.

A questo preciso scopo hanno avuto luogo i due Sinodi sulla Famiglia; sui Giovani, sull’Amazzonia e l’attuale triennale Sinodo sulla Sinodalità, che altro non è che il più povero e imbarazzante copione del ben più opulento der Synodale Weg dell’agonizzante Chiesa Cattolica Tedesca, sempre più affollata di ben pasciuti funzionari e sempre più esangue di reputazione e fedeli.

A questo fine mirava e costantemente mira l’apparentemente sconclusionata e contraddittoria predicazione di José Mario Bergoglio che, con l’avanzare dell’età non dimentica il preciso mandato ricevuto dalla “Mafia di San Gallo”, ma che appare sempre più un rimbambito cantore di malandati stornelli da osteria d’avvinazzati sentimenti più che logici pensieri.

La contemplazione del mistero trinitario del Dio Creatore di “ogni cosa visibile e invisibile” è stata scalzata dalla contemplazione della madre terra: “Ora è arrivato il momento di fare il passo decisivo — sottolinea Francesco —. Di passare dall’uso e dall’abuso della natura alla sua contemplazione” (Intervista al Corriere della Sera, 11 aprile 2020).

L'incontro personale, sacramentale e trascendente con Cristo, Re della Gloria e Salvatore del mondo, e il cuore stesso dell’annuncio del Regno di Dio: “Convertitevi e credete nel Vangelo” sono stati sostituiti dall’attuale pontificato da un inflazionato convertirsi e credere nell’umano e all’umano: “I poveri sono al centro del Vangelo di Gesù” (Intervista ad Avvenire, 4 aprile 2014).

Il Redentore del mondo “che è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità e per le cui piaghe noi siamo stati guariti” (Isaia 53, 5); Colui che accoglie il figlio prodigo che si ravvede della colpa commessa: “Mi leverò e andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato contro il Cielo e contro di te; non sono più degno di esser chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi garzoni (Luca 15, 18-19); e stato rimpiazzato da una divinità indistinta ed eterea di natura bergogliana per cui: “Dio perdona sempre, noi qualche volta, la natura mai. Non so se questa crisi sia la vendetta della natura, ma di certo è la sua risposta” (Intervista al Tablet, 8 aprile 2020).

Facendoci, così, disinvoltamente beffa della Rivelazione, cui “è dovuta l'obbedienza della fede con la quale l'uomo gli si abbandona tutt'intero e liberamente prestandogli il pieno ossequio dell'intelletto e della volontà” (Dei Verbum, 5): “Poiché noi sappiamo chi è Colui che ha detto: A me appartiene la vendetta! Io darò la retribuzione! E ancora: Il Signore giudicherà il suo popolo” (Ebrei 10, 30).

Il Cristo, “che patì e mori sotto Ponzio Pilato ed è risorto il terzo giorno secondo le scritture” e che di sé ha rivelato di essere “la Luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita” (Giovanni 8,12); il vero medico delle anime (cfr. Matteo 9, 9-13) che solo può condurre a conoscere e vedere il Padre, perché “se avete conosciuto me, conoscerete anche il Padre mio: fin da ora lo conoscete e lo avete veduto” (Giovanni 14, 7), è stato ignorato e abbandonato in favore di uno scientismo eretto a novella divinità che illumina e libera. “Grazie al vaccino”, ha sentenziato Bergoglio, “stiamo tornando pian piano a rivedere la luce, e stiamo uscendo da questo brutto incubo della pandemia. Ma adesso la vera sfida è impegnarsi perché tutti nel mondo abbiano lo stesso accesso al vaccino, perché non ci siano capricci nello scegliere la dose più famosa e soprattutto sia gratuito per chiunque ne abbia bisogno e non un qualcosa grazie al quale trarre un facile guadagno” (cfr. Fabio Marchese, Oltre la tempesta. Riflessioni per un nuovo tempo dopo la pandemia, Milano, 2021, Introduzione di Francesco).

Così José Mario Bergoglio, messi di parte i titoli storici di Successore dell’Apostolo Pietro, Vicario di Cristo si è conseguentemente trasformato in un miserabile piazzista di Pfizer-Biontec- lautamente pagato, come ormai dimostrano i non più segreti incontri con Albert Bourla - capace di trasformare un cosiddetto vaccino in un “atto d’amore”; ed è divenuto il giullare di corte del “Council for Inclusive Capitalism with the Vatican”, che raduna i vertici di colossi come Mastercard, Allianz, Merck, CalPERS, Johnson & Johnson, State Street Corporation, Bank of America, Fondazione Rockefeller, British Petroleum e persino la compagnia petrolifera saudita Saudi Aramco.

“Tutte aziende” - come sottolineato persino dal dal New York Times in un editoriale dal titolo imbarazzante The Pope’ Bless the Business Plan (Il Papa benedice il progetto di affari) - “che hanno prosperato enormemente grazie al sistema capitalista attuale, basato sulla massimizzazione dei profitti e sui ritorni economici a brevissimo termine” (di By Andrew Ross Sorkin, Jason Karaian, Michael J. de la Merced, Lauren Hirsch e Ephrat Livni, 8 dicembre 2020).

In nome di un vagheggiante “umanesimo integrale”, che altro non è che la versione ecclesialmente corretta del “transumanesimo”, la loro chiesa non crede più che il vero e radicale ideale dell’uomo cristiano è che “tutti giungano all'unità della fede e della conoscenza del Figlio di Dio, allo stato di uomo perfetto, nella misura che conviene alla piena maturità di Cristo” (Efesini 4, 13).

In nome, poi, di un’immigrazionismo ideologizzato e di una nuova religione dell’indistinto, che nega persino il pieno e assoluto diritto di Dio di manifestarsi nella sua esclusiva unicità e piena verità - come affermato nella inqualificabile Documento sulla fratellanza umana per la pace mondiale e la convivenza comune, dove la diversità religiosa è spacciata per “una sapiente volontà divina” - negano che solo “Cristo proprio rivelando il mistero del Padre e del suo amore, svela pienamente l’uomo all’uomo e gli fa nota sua altissima vocazione” (Gaudium et Spes, 22); e che solo “chi crede in Cristo diventa figlio di Dio. Questa adozione filiale lo trasforma dandogli la capacità di seguire l’esempio di Cristo. Lo rende capace di agire rettamente e di compiere il bene.
Nell’unione con il suo Creatore, il discepolo raggiunge la perfezione della carità, cioè la santità. La vita morale, maturata nella grazia, sboccia in vita eterna, nella gloria futura” (Catechismo della Chiesa Cattolica, 1709).

In nome, infine, di una “misericordiante fratellanza universale” di puro stampo idealistico-illuminista - se non persino di stampo prettamente massonico - idealizzata come “l’àncora di salvezza per l’umanità” (Francesco, Videomessaggio d per la seconda Giornata mondiale della Fratellanza Umana, 4 febbraio 2020) si giunge persino a stravolgere l’escatologia stessa della Fede Cattolica: “nessuno può mai veramente separarci da coloro che amiamo perché il legame è un legame esistenziale, un legame forte che è nella nostra stessa natura; cambia solo il modo di essere insieme a ognuno di loro, ma niente e nessuno può rompere questo legame. “Padre, pensiamo a coloro che hanno rinnegato la fede, che sono degli apostati, che sono i persecutori della Chiesa, che hanno rinnegato il loro battesimo: anche questi sono a casa?”. Sì, anche questi, anche i bestemmiatori, tutti. Siamo fratelli: questa è la comunione dei santi. La comunione dei santi tiene insieme la comunità dei credenti sulla terra e nel Cielo” (Francesco, Udienza Generale, 2 febbraio 2022).

E tutto ciò, in perfetta antitesi, a quanto affermato in un’altra delle Costituzioni Dogmatiche del Vaticano II: “La Chiesa, alla quale tutti siamo chiamati in Cristo Gesù e nella quale per mezzo della grazia di Dio acquistiamo la santità, non avrà il suo compimento se non nella gloria celeste, quando verrà il tempo in cui tutte le cose saranno rinnovate, e col genere umano anche tutto l'universo, il quale è intimamente congiunto con l'uomo e per mezzo di lui arriva al suo fine, troverà nel Cristo la sua definitiva perfezione (Lumen Gentium, 48).

E, ancora, che: “La Chiesa di coloro che camminano sulla terra, riconoscendo benissimo questa comunione di tutto il corpo mistico di Gesù Cristo, fino dai primi tempi della religione cristiana coltivò con grande pietà la memoria dei defunti poiché santo e salutare è il pensiero di pregare per i defunti perché siano assolti dai peccati […] Il contemplare poi la vita di coloro che hanno seguito fedelmente Cristo, è un motivo in più per sentirsi spinti a ricercare la città futura; nello stesso tempo impariamo la via sicurissima per la quale, tra le mutevoli cose del mondo e secondo lo stato e la condizione propria di ciascuno, potremo arrivare alla perfetta unione con Cristo, cioè alla santità” (Ibidem, 50).

Ribadendo a scanso di equivoci: “Questa veneranda fede dei nostri padri nella comunione di vita che esiste con i fratelli che sono nella gloria celeste o che dopo la morte stanno ancora purificandosi, questo sacrosanto Concilio la riceve con grande pietà e nuovamente propone i decreti dei sacri Concili Niceno II Fiorentino e Tridentino” (Ibidem 51).

Il 24 dicembre 1969, un giovane Joseph Ratzingher, in un discorso alla Radio di Monaco, profeticamente osservava: “Presto i preti saranno ridotti al ruolo di operatori sociali e il messaggio della Fede ridotto a un’opinione politica”. E aggiungeva: “Una Chiesa che celebra il culto dell’azione e delle esortazioni politiche … non ci serve. E’ del tutto superflua. E per questo tramonterà da sé!”.

Questo tramonto è già avvenuto! E mentre modestissime soubrette bramose degli ultimi applausi resistono capricciosamente in scena o bramano nuovi e imbarazzanti palcoscenici televisivi, siamo già alla chiusura del sipario.

La Chiesa Cattolica, in questi sessant’anni e ancor più rapidamente e drasticamente in questi ultimi otto anni, è stata svuotata di fedeli, di giovani, di vocazioni, di missionari e di offerte.

Non sono stati, tuttavia, i fedeli, i giovani, le vocazioni, i missionari e le offerte ad abbandonare la Chiesa è stata, al contrario, la Chiesa stessa, con larga parte della sua gerarchia ad abbandonare la Fede Cattolica, e dunque coloro che posseggono ancor un pur minimo sensus fidei communis si guardano bene - e ben a ragione - dall’ascoltare e seguire dei lupi travestiti da agnelli.

È proprio la nuova religione che il papa “venuto dalla fine del mondo” e i suoi tirapiedi vogliono imporre a quel che resta del buon popolo cattolico che non interessa a nessuno!

Non hanno capito che il “loro mondo” è finito! Che i loro “gloriosi” anni Settanta, le cui stantie visioni e i cui beceri residui ideologici tentano furbescamente di riciclare, sono solo un trapassato remoto, che ha fatto solo macerie e che ecclesialmente ha costruito il nulla!

La loro nuova religione non offre nulla di nuovo, nulla di accattivante, nulla di soddisfacente che il mondo non possa già offrire a piene mani e senza sforzo alcuno!

Per quando sia crudele constatarlo è necessario aprire gli occhi e dirlo chiaramente: buona parte del clero cattolico e gran parte di quello apicale non crede più nel “Dio di Abramo, Isacco e Giacobbe”; non professa più il Verbo che era in principio, che era presso Dio ed era Dio” (cfr. Giovanni 1, 1); non confessa più che solo “A quanti però l'hanno accolto, ha dato potere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome, i quali non da sangue, né da volere di carne, né da volere di uomo, ma da Dio sono stati generati” (Ibidem 12-13).

Per questo rigettano, rifiutano e hanno orrore di tutto ciò che è sacro: perché come cantano le liturgie orientali prima della Santa Comunione: τα άγια τοις αγίοις, le cose sante ai santi!

Il pandemonio pandemico, che da oltre due anni si vuole eternizzare, ha messo a nudo i limiti strutturali ed essenziali della nuova religione bergogliana.

Una religione del tutta astrusa dalla realtà e che per questo, con residua autorità, si vuole dittatorialmente imporre a colpi di Motu Proprio e Rescripta!

Mai come in questo nostro tempo post-moderno, al contrario, si stanno ovunque manifestando i segni di un “ritorno del sacro”, in cui l’uomo post-moderno cerca la riabilitazione dei sensi e della ragione sensibile, con una riabilitazione del senso di condivisione, del mistero e dell’iniziazione (cfr. inter alia: Michel Maffesoli, La nostalgie du sacré, Parigi, 2020).

In quest’era post-moderna, infatti, la spiritualità sta ritornando, in modo particolare sotto forma di una ricerca di saggezza e di senso.

È un fenomeno sociale assai recente, ma sta creando un nuovo panorama «religioso», che va prendendo piede in maniera duratura.

Questo, tuttavia, permette di comprendere meglio la nostra epoca, caratterizzata da un vigoroso ritorno della questione metafisica: Da dove veniamo? Dove andiamo? A cosa fare riferimento per tracciare il cammino della nostra esistenza?

Il fallimento dei grandi sistemi ideologici, l’insoddisfazione legata al materialismo del quotidiano, il vuoto della politica incapace di fornire delle ragioni per l’agire e lo sperare, l’assenza di consenso sulle grandi questioni etiche: tutto ciò ha scavato un vuoto nel cuore dell’uomo del XXI secolo, ha liberato uno spazio per la ricerca spirituale, in modo particolare per quella mistica (cfr. inter alia: Jean Verdette, Il XXI secolo o sarà mistico o non sarà, Parigi, 2005).

A chi oggi ancor oggi, dall’alto del loro munus e mynisterium traditi e della loro conclamata apostasia, deride il credente sfidandolo: “Dove abita il tuo Dio?” (Salmo 42, 11); il credente semplicemente risponde: “E andrò all’altare di Dio, a Dio che supera la mia gioia; ti loderò sull’arpa o Dio, mio Dio” (Salmo 43, 4). Ritorna così nuovamente attuale e sapienziale quella conferenza radiofonica della vigilia del Natale 1969 del giovane Joseph Ratzinger: “Rimaniamo la chiesa di Gesù Cristo, la chiesa che crede in Dio che si è fatto uomo e che ci promette la vita oltre la morte”.

E continuava: “Sarà una chiesa interiorizzata, che non mena vanto del suo mandato politico e non flirta né con la sinistra né con la destra. Ma dopo la prova … uscirà da una chiesa interiorizzata e semplificata una grande forza. Gli uomini infatti saranno indicibilmente solitari in un mondo totalmente pianificato. Essi sperimenteranno, quando Dio sarà per loro interamente sparito, la loro totale e paurosa povertà. Scopriranno allora la piccola comunità dei credenti come qualcosa di totalmente nuovo. Come una speranza che li riguarda, come una risposta a domande ch’essi da sempre di nascosto si sono poste”.

Sarà una Chiesa Cattolica - aggiungiamo - che si ritroverà umile e penitente d’innanzi all’insondabile mistero di Dio ma che riscoprirà la forza e la gioia di confessare con bocca che Gesù è il Signore, e di credere con il cuore che Dio lo ha risuscitato dai morti: per questo la Chiesa sarà salva! (cfr. Romani 10, 9).

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