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giovedì 10 marzo 2022

Perché il cattolicesimo ha bisogno della Messa Antiquior

Nella nostra traduzione da National Rewiev un interessante richiamo alla difesa del Rito Romano antico da parte di Martin Mosebach. Qui - qui - qui - qui - qui - qui - qui precedenti su Mosebach. Qui l'indice degli articoli su Traditionis custodes e sui Responsa

Perché il cattolicesimo ha bisogno della Messa Antiquior
Vent'anni fa, un autore cattolico tedesco sostenne che una Messa non è solo un obbligo, ma un'opera d'arte.
Quando il romanziere, drammaturgo e letterato tedesco Martin Mosebach ha pubblicato il suo libro L'eresia dell'informe, la liturgia romana e il suo nemico [qui], non poteva assolutamente prevedere il dramma dei successivi 20 anni. Ma in qualche modo, la sua vita lo aveva preparato a questo. In questa bella e personale riflessione sulla fede religiosa e sul rituale, ricorda la devozione del padre protestante verso la lettura delle Scritture mentre sua madre ogni tanto andava alla Messa. Da suo padre imparò brani come: "L'iniquità è venuta da Babilonia, per opera di anziani e di giudici, che solo in apparenza sono guide del popolo”.

Aveva scritto un libro che aveva difeso il Rito Romano antico, la messa latina tradizionale della Chiesa d'Occidente, 30 anni dopo che la Chiesa romana aveva cercato di scartarla. La Messa antica aveva devoti, tra cui conservatori americani con un'inclinazione letteraria come Patrick Buchanan e il fondatore della National Review, William F. Buckley Jr. Ma Mosebach aveva fatto propria la causa della stessa liturgia antica. Ma nel 2002 la Messa tradizionale era in declino, appena tollerata dal Vaticano, sostenuta da gruppi religiosi scomunicati e celebrata per lo più in luoghi dimenticati. Diventarne il paladino significava porsi ai margini non solo del mondo moderno, ma della Chiesa moderna. Era come confessare un entusiasmo per la lebbra stessa.

Eppure, sebbene questo antico rito sia celebrato da meno della metà dell'1 per cento dei cattolici nel mondo, ancor meno quando Mosebach iniziò a frequentarlo, si può affermare con certezza che lo status della vecchia Messa e dei suoi devoti è diventato la principale controversia teologica nella Chiesa cattolica negli ultimi 20 anni. Il connazionale di Mosebach, il cardinale Joseph Ratzinger, divenuto papa Benedetto XVI, ha esentato tutti i sacerdoti della Chiesa cattolica dall'uso della liturgia. Il suo successore, papa Francesco, con Benedetto ancora in vita, ha intrapreso una guerra retorica costante al giovane clero tradizionalista, prima di dichiarare fallito l'esperimento di Benedetto e lanciare una campagna per sopprimere la vecchia Messa come una minaccia per la Chiesa stessa.

Il grande beneficio della riflessione di Mosebach sulla Messa scaturisce dalla sua vocazione di narratore e librettista. Per eccellere in quest'arte, l'autore deve considerare ogni dettaglio, ogni colore scelto, il ritmo della prosa sulla pagina che diventa dialogo, e il significato dietro ogni oggetto toccato o porto dai protagonisti nel dramma. Considera il rituale stesso come "una di quelle persone semplici che guardano la superficie, l'aspetto esteriore delle cose, per giudicare la loro natura interiore, la loro verità o la loro falsità". È qualcosa di simile a un materialista spirituale, sostenendo che "tutta la materia è così piena di spirito e vita che semplicemente ne trabocca".

In un capitolo provocatorio, Mosebach cerca di esplorare la tesi che contraddice la sua: l'idea che il cristianesimo non abbia bisogno di un rito. Cristo non intendeva sempre metter da parte la legge rituale, relativizzando la lettera della legge sostenendone lo spirito? Cristo non si è mosso attraverso l'antico Israele in modo tale da proibire praticamente ai suoi seguaci di erigergli santuari? E alla fine, non profetizzò forse la distruzione e lo sradicamento religioso della stessa Gerusalemme, la città santa destinata ad essere un'immagine del tempio celeste?

L'antiritualismo della mente moderna sospetta che ci sia sempre una dicotomia tra l'apparenza esteriore e la realtà interiore. Come ha affermato uno dei recensori inglesi di Mosebach, questo atteggiamento antiritualista ha plasmato la nuova Messa. “Poiché quasi tutto è facoltativo e non necessario, la Forma Ordinaria [la Messa post-Vaticano II), per Mosebach, comunica perennemente la disunità tra intento spirituale e gesto esteriore. La pletora di opzioni sia per i laici che per i sacerdoti nella liturgia contribuisce a far credere che i gesti e i simboli fisici siano unicamente ornamenti sentimentali per un vero culto interiore”.

Infine difende l'antica Messa come un'opera d'arte, completamente integrata con le realtà spirituali, e che risuona totalmente in tutti i suoi dettagli - anche i dettagli che sulle prime ci sconcertano - con l'azione salvifica di Cristo stesso. Questa comprensione alla fine schiaccia la "difesa" addotta per la liturgia riformata, che sia "valida" - cioè che svolga legittimamente il compito di far sì che  accada il sacramento. Per Mosebach, il Concilio di Trento aveva ragione quando diceva che la Messa "non contiene nulla di ingiustificato o superfluo", in un passaggio che citerò a lungo:
La Messa non è un atto giuridico, qualcosa che diventa “valido” in presenza di requisiti minimi. Immaginate un canonico che cerca di spiegare a un visitatore confuso e sfortunato in una moderna celebrazione domenicale che ciò che è accaduto conteneva i vari elementi ("primo, secondo, terzo") e che quindi era una Messa "valida" - poteva anche timbrare un documento per lui, attestante che aveva adempiuto al suo dovere domenicale! No: la Messa non è un'attività fondamentale di base a cui si possono aggiungere, a seconda delle opportunità, vari elementi decorativi per aumentare la consapevolezza dei partecipanti. I riti “non contengono nulla di non necessario o superfluo”. Chi oserebbe pretendere di trovare elementi “non necessari o superflui” in un grande affresco o in una grande poesia? Un capolavoro può contenere lacune, parti meno felici, ripetizioni, cose incomprensibili o contraddittorie, ma mai cose inutili e superflue. In ogni tempo c'è stato chi si è reso ridicolo nel tentativo di eliminare gli "errori" nei capolavori, applicando la sua scarsa erudizione agli affreschi di Michelangelo e alle tragedie di Shakespeare. Le grandi opere hanno un'anima: la sentiamo, viva e radiosa, anche dove il suo corpo è stato danneggiato. La liturgia deve essere considerata almeno con lo stesso rispetto di un capolavoro profano di questo tipo. Il rispetto ci apre gli occhi. Abbastanza spesso, anche nel caso di un'opera d'arte profana, se studiamo coscienziosamente e meditiamo il dettaglio, soprattutto il dettaglio apparentemente superfluo, scopriamo che l'elemento incriminato prende vita inaspettatamente; alla fine a volte capita che arriviamo a vederlo come una qualità speciale dell'opera. Questo è sempre il caso dei riti della sacra liturgia. Non c'è nulla in essi che, attraverso un'intensa contemplazione, non si mostri assolutamente saturo di potenza spirituale. Invito tutti a studiare e riflettere sul significato di ogni elemento del rito — in particolare di quelle parti che la riforma di papa Paolo VI ha ritenuto "non necessarie e superflue" (contro l'avvertimento dato dal Concilio di Trento) — e troveranno il Concilio di Trento splendidamente giustificato.
Per Mosebach, i nostri corpi hanno una forma voluta da Dio, e così il mondo, così la stessa storia. Siamo creature liturgiche — e lo sappiamo dal modo in cui costruiamo la nostra vita attraverso l'abitudine e la variazione, attraverso ripetuti ri-apprendimenti e ri-presentazioni del senso della vita. Il nostro errore è stato pensare che avremmo incontrato Dio come astrazioni, che la fede fosse un insieme di proposizioni mentali che richiedono solo la nostra ascesa interiore.

Ma Dio si è rivestito da uomo. La veste del Tempio era strappata. La campana suona e le nostre ginocchia si flettono e toccano la terra, le nostre lingue confessano le parole prescritte. Le realtà spirituali hanno forma. - Fonte
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

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