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mercoledì 23 marzo 2022

Presentazione del libro di Paolo Pasqualucci, “La falsa dignità”

Pur derivando dalla filosofia classica e dalla teologia cristiana, il concetto di "dignità dell'uomo" è ormai divenuto un pilastro del politicamente corretto e usato a sproposito e per cose tra loro opposte e inconciliabili. Il libro di Paolo Pasqualucci La falsa dignità approfondisce la ponderosa analisi di insigni studiosi sviluppando una sua propria tematica, sul tema di fondo e su temi collaterali e tuttavia sempre connessi alla questione principale. Ne avevamo già parlato qui. Di seguito la mia recensione che, sottolineandone le coordinate essenziali, invita a conoscerlo nella sua interezza.

Presentazione del libro di Paolo Pasqualucci, La falsa dignità, Fede & Cultura, Verona, novembre 2021, pp. 256, € 19,00.

In questo suo denso saggio, il filosofo e saggista cattolico Paolo Pasqualucci, sottopone a critica il concetto della “dignità dell’uomo” come impiegato oggi, in maniera per nulla conforme alle sue origini classiche e cristiane. Infatti, pur derivando dalla filosofia classica e dalla teologia cristiana, tale concetto è diventato un pilastro fondamentale della modernità, che lo usa a sproposito, in ossequio al politicamente corretto dominante e alle istanze edonistiche e anarchiche prevalenti nelle attuali democrazie di massa, devastate dalla rivoluzione sessuale e dalla miscredenza. 
Questo fenomeno negativo riguarda anche la Chiesa cattolica, che dal Concilio pastorale Vaticano II è sembrata andar sempre più nella direzione del mondo, finendo per parlare troppo spesso la sua stessa lingua. Il fenomeno ha ragioni storiche ben precise (il cattolicesimo liberale, il neo-modernismo, Maritain, l’americanismo, il Sessantotto, la crisi della famiglia e della scuola) e ha fatto sì che, sotto il pretesto della “dignità della persona”, si invocassero cose tra loro opposte e assolutamente inconciliabili come la difesa della vita e il “diritto alla morte”; la tutela dell’embrione e del feto di contro alla “libertà” della donna di poter decidere di abortire in nome della sua supposta “dignità” di essere umano, per definizione libero di agire come vuole. Occorre dunque ricondurre il principio della “dignità dell’uomo” nell’alveo della sua autentica nozione cristiana, liberandolo da interpretazioni contraddittorie e fuorvianti.

Il libro si articola sulla analitica e sistematica critica della nozione corrente della “dignità dell’uomo” sviluppata nell’importante volume collettaneo, decisamente anticonformista, nel clima attuale: La dignité humaine. Heurs et malheurs d’un concept maltraité [La dignità dell’uomo. Fatti e misfatti di un concetto bistrattato]. Sous la direction de Bernard Dumont, Miguel Ayuso, Danilo Castellano, Ed. Pierre-Guillaume de Roux, 2020. Questo volume riunisce contributi di illustri e autorevoli studiosi francesi, spagnoli, italiani. La sua struttura è spiegata in dettaglio nella Introduzione di La falsa dignità (pp. 5-8). Ma l’Autore non si limita ad illustrare la ricca materia del volume: sviluppa anche una sua propria tematica, sul tema di fondo e su temi collaterali e tuttavia sempre connessi alla questione principale. Rielaborando gli spunti offerti nei saggi raccolti nel volume collettaneo, l’Autore dà dell’umana dignità una definizione coerente con la tradizione classica e cristiana, nella Conclusione dell’opera, nel cap. 9: “la dignità non appartiene all’essenza, all’essere dell’uomo ma al suo modo di essere – è una qualità del nostro comportamento, che ci merita rispetto quando è degno della nostra natura razionale, disprezzo e rimprovero quando indegno”(op.cit., p. 244). L’impianto del suo libro risulta dalla seguente esposizione.

“Approfondirò tre aspetti – scrive – del tema principale, seguiti da due excursus (sempre collegati al tema principale) sul contributo del Concilio alla deriva personalista e sul rapporto tra fascismo e cattolicesimo: 
  1. La differenza, al momento smarrita, tra la concezione autenticamente cattolica della “dignità dell’uomo” e quella laico-democratica attualmente dominante;
  2. la “mutazione” della nozione cattolica di “dignità dell’uomo” causata dal cattolicesimo liberale e dall’americanismo, ovvero il ruolo negativo svolto da Jacques Maritain e P. John C. Murray SI. Si tratta di prospettive poco note al pubblico più vasto, particolarmente in Italia. 
  3. La “strumentalizzazione” del principio della “dignità dell’uomo” nel diritto positivo o meglio il suo mancato o improprio uso, in ossequio al “politicamente corretto” dominante.
  4. Il compromesso della dottrina della Chiesa con il mondo, la sua secolarizzazione all’insegna di un concetto evolutivo della verità, funzionale per l’appunto alla “dignità dell’uomo” laico-democratica e tipico del pensiero moderno, penetrato nei testi del Vaticano II.
  5. Il fatto in apparenza singolare che lo Stato fascista sia stato formalmente più cattolico della laica Repubblica italiana e abbia tentato di integrare il cattolicesimo nel suo bellicoso culto della Nazione, in particolare mediante l’educazione “totalitaria” della gioventù, alla quale è seguita, dopo la Seconda Guerra Mondiale, l’educazione di massa nell’Azione Cattolica, ma all’insegna di un universalismo inquinato dal personalismo di Maritain, con il suo visionario ed astratto culto della dignità della persona – naufragata infine l’educazione cattolica (al pari di quella laica) nella rivoluzione studentesca del Sessantotto, inizio del tracollo in Occidente della scuola e della famiglia (del principio d’autorità e dell’etica) e della stessa gioventù in quanto forma dello spirito”(op. cit., p. 8). [rintracciabile negli Appunti per un concetto di Stato e Nazione qui]
Nel lavoro del prof. Pasqualucci va segnalato, dal punto di vista cattolico teologicamente ortodosso (cosa che ci riguarda più da vicino), il cap. 3, dedicato alla sintetica esposizione dell’intervento del prof. RP Serafino Lanzetta, che spiega il vero concetto cattolico della dignità dell’uomo (Mérite et dignité dans la théologie catholique, op. cit., pp. 39-60; analisi a pp. 39-47 nel lavoro di Pasqualucci).

“Il concetto da cui muove il Prof. Lanzetta – scrive Pasqualucci – è il seguente: la dignità è una “perfezione morale della persona e non una proprietà essenziale. Ciò risulta anche dal fatto che la parola latina sinonimo di dignitas è honestas, termine che significa condizione onorevole e infine merito”. Pertanto, la dignità dell’uomo non è affatto un’esigenza naturale originaria dell’uomo “animale sociale” bensì un fine da raggiungere, una perfezione morale: non dunque l’essenza dell’uomo ma il suo perfezionamento morale, fondato sull’idea della giustizia. Il nesso tra dignità dell’uomo e giustizia appare con chiarezza in Cicerone, nella sua riflessione sulla giustizia come virtù : ‘La giustizia è una disposizione dell’anima che conferisce a ciascuno la sua dignità, conservata per l’utilità comune’. Ciò di cui ciascuno “è degno” dipende da ciò che ciascuno si merita, secondo giustizia. Se ne può concludere, sottolinea il Prof. Lanzetta, che per il pensiero classico, segnato dallo stoicismo, “la dignità dell’uomo debba essere in proporzione ai suoi meriti”. Siamo ben lontani dall’attribuire all’uomo la sua dignità per il solo fatto di esistere in quanto uomo e di essere uguale a tutti gli altri, sempre in quanto uomo, come si vuol far credere oggi” (Pasqualucci, op. cit., pp. 39-40). Ma l’uomo ferito dal peccato originale, come può realizzare la giustizia? Con la Caduta non è venuta meno in lui la “giustizia originaria” donatagli dal Creatore e non ha perso, l’uomo, la sua vera dignità? In effetti, spiega il prof. Lanzetta, sempre secondo la sintesi del Prof. Pasqualucci:

“la giustizia originaria, resa formalmente tale dalla grazia santificante, è il dono mediante il quale Dio arricchisce l’uomo e costituisce la sua vera dignità”. Ecco dunque l’emergere della vera dignità dell’uomo. Era quella dell’uomo eletto a essere “immagine e somiglianza di Dio” grazie ai doni preternaturali da Lui ricevuti. Dopo il peccato di disobbedienza, l’immagine, significante la condizione della semplice natura creata, corpo e anima, è rimasta, sia pure con le limitazioni imposte dalla conseguente Caduta, mentre la somiglianza, nella quale si attuava lo stato di giustizia e santità originarie, è andata perduta. E con ciò la vera dignità dell’uomo è stata ferita. L’equilibrio tra uomo e Dio, quale si aveva nell’Eden, è scomparso.

Nel Giardino dell’Eden l’uomo non si vergognava della sua nudità di fronte ad Eva e di fronte a Dio. La vergogna e il senso del pudore sopravvennero dopo la Caduta. “Il peccato originale, prosegue il Prof. Lanzetta, ruppe l’equilibrio e macchiò la dignità originaria dell’uomo. Affermare che il peccato originale ha offeso la dignità dell’uomo, ciò è un modo di esprimersi certamente poco usato ai nostri giorni”. Ma proprio qui, osserva il prof. Pasqualucci, abbiamo la prima verità da ristabilire a proposito del concetto cattolico della dignità dell’uomo: non esiste una dignità dell’uomo in sé, in quanto uomo. Non può esistere, poiché l’uomo in quanto uomo è solo quello creato da Dio nel modo rivelato dalla Bibbia; è l’uomo caduto nel peccato originale, ulcerato dalla disubbidienza, dallo spirito di ribellione a Dio, tutte cose che ne azzerano la dignità. E infatti la nozione laica della dignità dell’uomo non riconosce l’esistenza del peccato originale, dichiara l’uomo buono per natura, senza nessuna colpa originaria che ne alteri la connessione tra l’intelletto, la volontà, gli istinti.

Ma perché bisogna dire che il peccato ha privato l’uomo della sua dignità? Perché questa è la conseguenza inevitabile del peccato, quale esso sia: se la dignità è la qualità o le qualità che ci meritano il rispetto altrui, il peccare deliberatamente, in generale, mostra l’assenza o lo svilimento di queste qualità o ne rappresenta comunque una grave lesione. Avendo noi in tal modo perso o leso la nostra dignità, viene meno il rispetto nei nostri confronti, così da apparire agli occhi altrui privi di dignità e quindi indegni. La dignità in tutto o in parte perduta può allora esser restaurata solo nell’ambito del processo di redenzione apportato da Cristo Nostro Signore. La redenzione è infatti “una restaurazione di tutte le cose in Cristo” e sappiamo di poter partecipare ad essa se ci lasciamo condurre “dall’azione della grazia, vivendo nella grazia”, in modo cioè che le nostre azioni meritino agli occhi di Dio. Possiamo pertanto riappropriarci della nostra dignità, offesa e perduta col peccato, solo partecipando alla Redenzione, vale a dire se riusciamo a convertirci a Cristo nell’opera della nostra santificazione quotidiana, sempre con l’aiuto imprescindibile dello stesso Cristo Nostro Signore. Riuscendo, in quest’opera, riacquistiamo, tra le nostre “qualità morali”, anche la dignità, che si conferma esser “merito derivante dall’esser giusti”, secondo l’antica nozione ciceroniana (Pasqualucci, op. cit. pp. 44-46, sempre in riferimento al testo del prof. Lanzetta).

Pertanto – afferma il prof. Pasqualucci nell’ultimo capitolo – mostrano di non avere il giusto concetto della dignità dell’uomo “quei chierici, vescovi inclusi” che, pur criticando l’inaccettabile, liberticida ed avversato ddl Zan (per fortuna dell’Italia ancora fermo al Senato), mirante ad istituire i reati di “transomofobia” (sic) e “misoginia”(sic), per di più sanzionabili con pesanti, spropositate pene detentive, ed inoltre a promuovere l’omosessualità nella società tutta con l’aiuto dello Stato al fine di imporre il rispetto della “dignità” che spetterebbe alle persone omosessuali in quanto tali – mostrano di non avere le idee chiare quei chierici e prelati quando affermano spesso, in via preliminare ai loro interventi, “di provare il massimo rispetto per gli omosessuali”. Sbagliano grandemente se, in nome di un concetto per l’appunto ontologico della dignità dell’uomo, ritengono che l’omosessuale vada rispettato in quanto tale. Sbagliano perché, in questo modo, il rispetto dovuto alla persona viene invece inteso come rispetto per il peccato che la persona in oggetto commette.

Non si può provare rispetto per un comportamento peccaminoso, in questo caso quello degli omosessuali, che viola gravemente il Sesto Comandamento; e quindi non si potrà rispettare, in nome di una supposta innata dignità dell’uomo inattaccabile dai suoi peccati, l’omosessualità di cui lui/lei faccia mostra. Si dovrà invece condannare questo comportamento come intrinsecamente indegno della natura razionale dell’uomo, che continuiamo d’altro canto a rispettare nell’omosessuale (poiché anche lui, aggiungo, come ogni uomo peccatore è stato creato da Dio e ne conserva l’immagine), esortandolo a rinnegare la sua vita di peccato e a riacquistare in tal modo la sua dignità di uomo o di donna.
Maria Guarini

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