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lunedì 7 marzo 2022

San Tommaso d'Aquino e la guerra giusta

Oggi 07 marzo 2022 si festeggia nel Monastero di Fossanóva, presso Terracina, san Tommaso d'Aquino, Confessore e Dottore della Chiesa, dell'Ordine dei Predicatori, assai illustre per la nobiltà del sangue, per la santità della vita e per la scienza della Teologia, dal Papa Leone decimoterzo dichiarato celeste Patrono di tutte le Scuole cattoliche.
Un astro di luce particolare e inestinguibile brilla nel cielo del secolo XIII; luce che attraversa i secoli, che illumina le menti: l'Angelico Dottore S. Tommaso.
Nacque ad Aquino nell'anno 1227 dal conte Landolfo e dalla contessa Teodora, parente di Federico Barbarossa, signori fra i più illustri di quei tempi.
Educato cristianamente fin dalla più tenera età, diede molti segni della sua futura scienza e grandezza.
A cinque anni fu affidato per l'educazione ai monaci benedettini di Montecassino. Vi rimase fino ai quattordici anni, fino a quando cioè i torbidi politici non decisero i genitori a riprenderlo entro le mura del proprio castello. Più tardi fu mandato all'Università di Napoli, ove, sebbene assai giovane, manifestò il suo potente ingegno, acquistandosi fama presso i condiscepoli e stima presso i maestri. Già si concepivano su di lui le più lusinghiere speranze, già i conti d'Aquino ed altri vedevano in lui il futuro campione del foro napoletano o romano, quando egli di colpo fece crollare tutti questi sogni, annunciando la sua decisione di entrare nell'Ordine di S. Domenico. Da Napoli, per timore della famiglia che gli si opponeva decisamente, fu mandato a Parigi, ma nel viaggio, raggiunto dai fratelli, venne arrestato e ricondotto nel castello paterno di S. Giovanni a Roccasecca. Rimase prigioniero per circa un anno, vincendo tutte le difficoltà e le lusinghe. Per il suo angelico candore ed in premio della sua fortezza contro una grave tentazione, meritò d'essere cinto del cingolo di purezza da due Angeli, così che dopo d'allora mai più ebbe a subire tentazioni contro la bella virtù.Aiutato dalle sorelle riuscì a fuggire, e tosto rientrò nel convento da cui era stato strappato. All'Università di Parigi studiò filosofia e teologia sotto il celeberrimo S. Alberto Magno e a 25 anni cominciò con somma lode a interpretare filosofi e teologi. Passò indi col suo maestro a Colonia, e qui ricevette la sacra ordinazione. Ritornato a Parigi come insegnante universitario sostenne lotte coi maestri secolari. Chiamato poi alla Corte Pontificia in qualità di teologo della curia romana vi rimase qualche anno, poi tornò a Parigi. È questo il tempo più fecondo del suo insegnamento. Da Parigi entrò in Italia e fu inviato da Gregorio X al Concilio di Lione. Ma nel viaggio mori a Fossanova, il 7 marzo 1274.
Raccolse, sistemò ed espose tutto lo scibile antico, e segnò le vie alle scienze nuove, tanto che non si esita a chiamarlo uno dei più grandi ingegni dell'umanità.
Mirabili ed eccelse furono le sue virtù. Tale e tanta fu la sua umiltà che ricusò l'arcivescovado di Napoli ripetutamente offertogli dal Sommo Pontefice. Il suo confessore ebbe a dire: « Fra Tommaso a 50 anni aveva il candore e la semplicità di un bambino di cinque anni ».

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San Tommaso e la guerra giusta

 "Tommaso, hai scritto bene di me, che ricompensa vuoi?" Il santo rispose: "Niente altro che te, Signore." “Bene scripsisti de me, Thoma; quam ergo mercedem recipies?” : “Non aliam nisi te, Domine.”  Questo disse il Crocifisso a san Tommaso d'Aquino, a Napoli nella chiesa di San Domenico Maggiore nel 1273. Ora san Tommaso (1225-1274, festa il 7 marzo), ha scritto bene su tutto ed è bene, oggi, ricordare quel che ha scritto sulla guerra.

"San Tommaso riprende e sviluppa quel che dice sant'Agostino sulla guerra giusta. Ne fa una quaestio (1), inserita nella trattazione della virtù della carità.

Alla domanda se fare la guerra sia sempre peccato (utrum bellare sit sempre peccatum), san Tommaso risponde che, a certe condizioni, la guerra è giusta e si configura come un’azione umana di carità.

Lo fa articolando la domanda in altre quattro:

  • se ci sia una guerra lecita (utrum aliquod bellum sit licitum);
  • se ai preti sia lecito combattere (utrum clericis sit licitum bellare);
  • se sia lecito ai belligeranti fare imboscate (utrum liceat bellantibus uti insidiis);
  • se sia lecito combattere nei giorni festivi (utrum liceat in diebus festis bellare).

Ad ogni domanda risponde in modo netto e motivato.

Non sempre fare la guerra è peccato.

È vero che il Signore ha detto che di spada perisce chi di spada ferisce, ma, come già aveva scritto sant'Agostino, “quegli aveva preso la spada senza che alcuna autorità gliene avesse concessa la facoltà”. Quindi la guerra è peccato quando la fanno persone non autorizzate. Infatti le persone private non hanno il potere di fare la guerra, potendo difendere il proprio diritto col ricorso al giudizio del loro superiore e non potendo raccogliere masse di soldati.

“E siccome la cura della cosa pubblica è riservata ai principi, spetta ad essi difendere lo stato della città, del regno o della provincia cui presiedono. E come lo difendono lecitamente con la spada contro i perturbatori interni, col punire i malfattori, secondo le parole dell'Apostolo: "Non porta la spada inutilmente: ché è ministro di Dio e vindice nell'ira divina per chi fa il male"; così spetta ad essi difendere lo stato dai nemici esterni con la spada di guerra. Ecco perché ai principi vien detto nei Salmi: "Salvate il poverello, e il mendico dalle mani dell'empio liberate". E sant'Agostino scrive: "L'ordine naturale, indicato per la pace dei mortali, esige che risieda presso i principi l'autorità e la deliberazione di ricorrere alla guerra".”

La prima condizione della guerra giusta è che a farla siano i capi di Stato, ma non basta: la guerra deve avere una causa giusta.

Anche qui san Tommaso cita sant'Agostino: "Si sogliono definire giuste le guerre che vendicano delle ingiustizie: e cioè nel caso che si tratti di debellare un popolo, o una città, che hanno trascurato di punire le malefatte dei loro sudditi, o di rendere ciò che era stato tolto ingiustamente".

La guerra è giusta se ripara un’ingiustizia. Ma deve essere fatta con retta intenzione, con carità.

“Si richiede che l'intenzione di chi combatte sia retta: e cioè che si miri a promuovere il bene e ad evitare il male. Ecco perciò quanto scrive sant'Agostino: "Presso i veri adoratori di Dio son pacifiche anche le guerre, le quali non si fanno per cupidigia o per crudeltà, ma per amore della pace, ossia per reprimere i malvagi e per soccorrere i buoni". Infatti può capitare che, pur essendo giusta la causa e legittima l'autorità di chi dichiara la guerra, tuttavia la guerra sia resa illecita da una cattiva intenzione. Dice perciò S. Agostino: "La brama di nuocere, la crudeltà nel vendicarsi, lo sdegno implacabile, la ferocia nel guerreggiare, la smania di sopraffare, e altre cose del genere sono giustamente riprovate nella guerra".”

Riassumendo: ci vuole un’autorità legittima, una giusta causa e la retta intenzione, lo spirito di carità, perché la guerra sia giusta. 

San Tommaso pensa alla guerra come un procedimento giudiziario teso a punire un colpevole e a riparare un torto. Ma, o gli Stati sono subordinati ad un ordine giuridico internazionale, superiore e dotato di forza, che si assuma la funzione fare la guerra giusta, in base al diritto internazionale, o la guerra diventa un procedimento giudiziario improprio, perché una parte in causa pretende di essere giudice ed esecutore di sentenza.

I preti e i vescovi non possono usare le armi.

È vero che, se la guerra è giusta e combattuta con carità, combattere è meritorio, ma non è attività per i preti e i vescovi.

“Il bene dell'umana società richiede molte cose. Ora, mansioni diverse sono esercitate meglio e più agevolmente da persone diverse che da una sola, come spiega il Filosofo nella sua Politica. E alcune mansioni sono così incompatibili fra loro, da non potersi esercitare come si conviene simultaneamente. Perciò a coloro che sono incaricati di quelle più alte vengono proibite le mansioni più umili: secondo le leggi umane, per esempio, ai soldati, che sono destinati agli esercizi guerreschi, viene proibita la mercatura. Ma gli esercizi guerreschi per due motivi sono quanto mai incompatibili con gli uffici dei vescovi e dei chierici.

Primo, per un motivo generale: perché gli esercizi guerreschi implicano gravissimi turbamenti; e quindi distolgono troppo l'animo dalla contemplazione delle cose divine, dalla lode di Dio e dalla preghiera per il popolo, che sono uffici propri dei chierici. Perciò, come è proibita ai chierici la mercatura, perché assorbe troppo l'animo, così è loro interdetto l'esercizio delle armi, in base all'ammonimento di san Paolo: "Nessuno che militi per Dio s'immischia nei negozi del secolo".

Secondo, per un motivo speciale. Tutti gli ordini sacri infatti sono ordinati al servizio dell'altare, in cui si rappresenta sacramentalmente la passione di Cristo, come dice S. Paolo: "Quante volte voi mangiate questo pane e bevete questo calice, voi rammenterete l'annunzio della morte del Signore, fino a che egli venga". Perciò ai chierici non si addice uccidere, o spargere sangue; ma essere pronti piuttosto a spargere il proprio sangue per Cristo, onde imitare con i fatti ciò che compiono nel sacro ministero. Ecco perché fu stabilito che coloro i quali, anche senza peccato, spargono il sangue contraggano irregolarità. Ora, a chiunque abbia un ufficio è illecito ciò che lo rende incapace di esercitarlo. Perciò ai chierici è assolutamente illecito prender parte alla guerra, che è ordinata allo spargimento del sangue”. 

I preti possono, però, partecipare alle guerre “non per combattere con le proprie mani, ma per assistere spiritualmente con le esortazioni, le assoluzioni e altri soccorsi spirituali i combattenti”. Inoltre “spetta ai chierici disporre ed esortare gli altri a combattere le guerre giuste”. 

Come a chi ha fatto voto di verginità è riprovevole l’atto del matrimonio, per gli altri meritorio, così non è permesso ai chierici combattere perché “essi sono obbligati a un bene maggiore”.

In guerra le imboscate sono lecite.

Dire il falso o mancare alle promesse è sempre illecito, anche coi nemici, ma non sempre si deve dire tutto: in guerra è ragionevole tenere nascosti i propri piani d’azione, i preparativi di combattimento. Se in questa segretezza consistono le imboscate, è lecito servirsene nelle guerre giuste. “E propriamente queste imboscate non possono chiamarsi inganni; non sono in contrasto con la giustizia; e neppure col retto volere: infatti, sarebbe non conforme all’ordine (inordinata) la volontà di chi pretendesse che gli altri non gli nascondessero nulla”.

In una guerra giusta, se necessario, è lecito combattere nei dì festivi.

“Per la salvezza della cosa pubblica, se la necessità lo richiede, è lecito ai fedeli combattere le guerre giuste nei giorni di festa: infatti, trovandosi in tale necessità, sarebbe un tentare Dio astenersi dal combattere”.
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(1) È la questio numero 40 della seconda delle due parti in cui è divisa la seconda parte della Summa theologiae. Una quaestio è l’impostazione e la soluzione di un problema attraverso domande e risposte. Ogni quaestio è divisa in articoli, divisi in esposizione delle tesi pro e contro, risposta di san Tommaso e soluzione delle difficoltà.

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