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giovedì 14 aprile 2022

14 aprile 2022 - Giovedì Santo

La contemplazione della Passione ci aiuta a capire che la sofferenza umana non può essere compresa se non a partire da quella del Signore, pena il cadere nella disperazione e nel senso nichilistico che non poca parte del pensiero moderno e contemporaneo ha evidenziato. Nel cuore dei fedeli la figura di Cristo sofferente, che è anche il Risorto, evidenzia non soltanto la vittoria sulla sofferenza e la morte del Figlio, ma anche sulla sofferenza e la morte nel mondo, in ogni tempo e in ogni luogo, attraverso la Sua Chiesa... Nelle ricchezze dei riti scopriamo e interiorizziamo le realtà divine che il Signore ha preparato per noi. Di seguito l'estratto di un testo di dom Prospero Guéranger sul Giovedì Santo.

Giovedì Santo
Riconciliazione dei penitenti
Anticamente si celebravano oggi tre Messe solenni: una al mattino, preceduta dall’assoluzione dei Penitenti pubblici e dalla loro reintegrazione nella Chiesa; una seconda, alla consacrazione degli Oli Santi; l’altra verso sera, in Coena Domini, in memoria dell’ultima Cena. 
La riconciliazione avveniva in questo modo. I Penitenti si presentavano alle porte della chiesa in abiti dimessi, a piedi scalzi, e con la barba e i capelli non tagliati dal giorno delle Ceneri, cioè da quando era stata loro imposta la penitenza. Il Vescovo recitava nel tempio i sette Salmi, nei quali David effonde il suo dolore per aver offeso la maestà divina; ed aggiungeva le Litanie dei Santi.
Durante queste preghiere, i Penitenti stavano prosternati al suolo, fuori delle soglie della chiesa. Tre volte, nel corso delle Litanie, il Vescovo incaricava dei chierici di portare in nome suo parole di speranza e di conforto. La prima volta due Suddiaconi dicevano loro : « Io vivo, dice il Signore ; non voglio la morte del peccatore, ma che si converta e viva ». La seconda volta, altri due Suddiaconi rivolgevano loro questa esortazione : « Dice il Signore : fate penitenza, poiché è vicino il regno dei cieli ». Infine, un terzo messaggio era loro rivolto dal Diacono, che diceva : « Alzate il capo, ché la vostra redenzione s’avvicina ».
Dopo questi avvertimenti, che annunciavano l’imminenza del perdono, il Vescovo usciva dal santuario e scendeva verso i penitenti fino al centro della navata centrale; qui era preparato un trono rivolto verso le soglie della chiesa, dove i penitenti stavano sempre prostrati. Al Pontefice, che là si era assiso, l’Arcidiacono indirizzava questo discorso:
Venerabile Pontefice, ecco il tempo favorevole, i giorni in cui Dio viene placato, l’uomo salvato, la morte distrutta, e comincia la vita eterna. È il tempo in cui, nella vigna del Signore degli eserciti, nuove piante si sostituiscono a quelle cattive. Senza dubbio non v’è giorno, che non riceva la larghezza della bontà e della misericordia di Dio; però il tempo in cui siamo si distingue soprattutto per l’abbondante remissione dei peccati e la fecondità della grazia in coloro che rinascono alla nuova vita. Il nostro numero aumenta, sia per questi che rinascono, che per il ritorno di coloro che s’erano da noi allontanati. Se vi è il bagno dell’acqua che purifica, vi è anche quello delle lacrime: donde una duplice gioia per la Chiesa: l’arruolamento di coloro che sono chiamati e l’assoluzione di quelli che sono ricondotti dal pentimento. Ecco dunque i vostri servi che, dimenticando i comandamenti celesti e trasgredendo la legge dei buoni costumi erano caduti in tanti peccati: eccoli ora qui umiliati e prostrati, che gridano al Signore col Profeta : « Abbiamo peccato e commesso l’iniquità: pietà di noi, Signore !». E confidano interamente in quella parola del Vangelo : « Beati quelli che piangono, perché saranno consolati ». Come sta scritto, essi hanno mangiato il pane del dolore; hanno bagnato il loro giaciglio di lacrime; hanno afflitto il loro cuore col pentimento ed il loro corpo col digiuno, per ricuperare la salute dell’anima che avevano perduta. La penitenza è una sola; ma sta a disposizione di tutti quelli che ne vogliono approfittare.
Il Vescovo allora s’alzava e s’accostava ai penitenti, per rivolgere loro una esortazione sulla misericordia divina e ammonirli come d’ora innanzi dovevano vivere; quindi diceva loro: « Venite, figlioli, venite ed ascoltatemi, chè v’insegnerò il timore di Dio ». Il Coro poi cantava quest’Antifona presa dal Salmo 33, 6: «Accostatevi a lui e sarete illuminati, e i vostri volti non avran da arrossire ». I penitenti, alzandosi, venivano a gettarsi ai piedi del Vescovo; e, rivolto a loro, l’Arciprete diceva:
Rinnovate in loro, Pontefice apostolico, tutto ciò che le suggestioni del diavolo hanno distrutto; per l’intercessione delle vostre preghiere e per la grazia della divina riconciliazione, fate che questi uomini si riavvicinino a Dio. Fino a questo momento erano imputati di colpa; ma ora che trionfano dell’autore della morte, si rallegreranno della sorte di piacere al Signore nella terra dei viventi.
Il Vescovo rispondeva: « Ma sapete se sono degni d’essere riconciliati ? ». E soggiungendo l’Arciprete: «So ed attesto che ne son degni », un Diacono ordinava loro di levarsi. Allora il Vescovo prendeva per mano uno di loro; questi dava l’altra al vicino, e così via, finché, tenendosi per mano tutti alla stessa maniera, arrivavano al trono del Vescovo posto al centro della navata. Frattanto si cantava l’Antifona: « Io vi dico, che si fa festa dagli Angeli di Dio, anche per un solo peccatore pentito»; e l’altra: «Ti devi allegrare, figlio mio, perché tuo fratello era morto ed è risuscitato, s’era perduto e si è ritrovato ». Quindi il Vescovo, sul tono solenne del Prefazio, si rivolgeva così a Dio:
È giusto che vi rendiamo grazie, Signore santo, Padre onnipotente. Dio eterno, per Gesù Cristo Nostro Signore, al quale avete dato nel tempo una nascita ineffabile , per venire a saldare il debito d’Adamo verso di voi, distruggere la nostra morte con la sua, ricevere sul suo corpo le nostre ferite, cancellare ogni nostra macchia col suo sangue, affinché noi, ch’eravamo caduti per l’invidia dell’antico nemico, ritornassimo alla vita per la misericordia del Salvatore. Per lui. Signore, vi supplichiamo d’esaudirci quanto agli altrui peccati, noi che non siamo buoni d’implorarvi sufficientemente per i nostri. Ricordatevi dunque, clementissimo Signore, di queste creature separate da voi a causa dei loro peccati; voi, che non avete rigettata l’umiliazione di Acab ed avete sospesa la vendetta meritata dalle sue iniquità, per l’ammenda onorevole che vi fece; ed esaudiste le lacrime di Pietro , al quale affidaste anche le chiavi del regno dei cieli. Degnatevi dunque, misericordioso Signore, accogliere coloro che formano l’oggetto delle nostre preghiere e restituirli al grembo della vostra Chiesa, affinché il nemico non trionfi più di loro; ma il vostro Figlio, simile a voi, li purifichi di tutti i loro peccati e si degni di ammetterli al banchetto della santissima Cena; che li nutra della sua carne e del suo sangue, e dopo il corso della vita presente li conduca al regno celeste.
Terminata questa preghiera, tutti i presenti, clero e popolo, si prostravano coi penitenti davanti alla maestà divina; e si recitavano tre Salmi che cominciano con la parola Miserere. Poi il Vescovo si elevava e pronunciava sui penitenti, sempre prostrati come pure l’intero popolo, sei solenni Orazioni, di cui riportiamo solo i tratti più salienti:
Ascoltate le mie suppliche, Signore, e, sebbene più di tutti abbia bisogno della vostra misericordia, degnatevi esaudirmi. Non a causa dei miei meriti, ma per il dono della grazia vostra voi m’avete posto a ministro di quest'opera di riconciliazione; datemi la fiducia necessaria per adempierla, ed operate voi stesso nel mio ministero, ch’è quello della vostra bontà. Avete ricondotto all’ovile, sulle vostre spalle, le pecorella smarrita; avete esaudito la preghiera del pubblicano: ridate dunque la vita a questi uomini vostri servi, dei quali non volete la morte. Voi che ci perseguitate con la vostra bontà, quando erriamo lontani, riprendete al vostro servizio coloro che si sono emendati. Vi commuovano i loro sospiri, e le loro lacrime; guarite le loro ferite e tendete loro una mano salutare. Non permettete che la vostra Chiesa subisca una perdita nella minima parte dei suoi membri, che il vostro gregge ne soffra detrimento, che il nemico trionfi d’una rovina nella vostra famiglia e che la seconda morte divori coloro che avevano acquistato una nuova nascita, nel bagno sacro. Perdonate, Signore, a questi uomini che confessano la loro iniquità; ch’essi sfuggano alle pene che decreterà la sentenza del giudizio venturo, che ignorino l’orrore delle tenebre ed il crepitio della fiamma. Venuti dal sentiero dell’errore e rientrati nella via della giustizia, ch’essi d’ora in poi non abbiano più ferite, ma l’integrità dell’anima che avevano una volta ricevuto dalla vostra grazia, e che la vostra misericordia riconquisterà, rimanga sempre in loro. Hanno mortificato i loro corpi sotto la livrea della penitenza: restituite ora la loro veste nuziale, e fate che siano di nuovo assisi al reale banchetto, donde erano esclusi.
In seguito a queste Orazioni, il Vescovo, stendendo la mano sui penitenti, li riammetteva con questa formula:
Che il Signore Gesù Cristo, il quale ha voluto cancellare tutti i peccati del mondo sacrificandosi per noi e spargendo il suo purissimo sangue; che ha detto ai suoi discepoli : « Tutto ciò che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto in cielo »; che s’è degnato ammettere me, sebbene indegno, fra i depositari d’un tale potere: si degni per l’intercessione di Maria, Madre di Dio, del beato Michele Arcangelo, del santo Apostolo Pietro, al quale diede il potere di legare e sciogliere, di tutti i Santi, e col mio ministero, di assolvervi per i meriti del sangue che sparse a remissione dei peccati, di tutto ciò che avete commesso in pensieri, parole ed opere; e, dopo avervi sciolti dai lacci dei vostri peccati, vi conduca alla vita eterna; lui che vive e regna col Padre e con lo Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli. Così sia.
Poi il Vescovo s’accostava ai penitenti sempre prostrati, li aspergeva con l’acqua santa e li incensava. Finalmente rivolgeva loro, per congedarli, queste parole dell’Apostolo: « Levatevi, voi che dormite ; levatevi di tra i morti : Cristo sarà la vostra luce ». Allora i penitenti s’alzavano, e per esternare la gioia che provavano d’essere riconciliati con Dio, andavano immediatamente a lasciare gli abiti dimessi e si vestivano più decorosamente, per assidersi alla mensa del Signore, insieme agli altri fedeli.

Benedizione degli oli santi
La seconda Messa che anticamente si celebrava il Giovedì Santo, era accompagnata dalla consacrazione degli Oli santi, rito annuale che ha sempre richiesto il Vescovo come consacratore. Ora questa importante cerimonia si compie nella prima Messa, detta crismale, che si celebra solo nelle cattedrali.
Avendo luogo soltanto nelle chiese cattedrali, noi non illustreremo qui tutti i dettagli di questa benedizione; però neppure vogliamo privare i lettori dell’utile istruzione che potranno ricavare dal mistero degli Oli santi. La fede c’insegna che, se mediante l’acqua noi siamo rigenerati, mediante l’olio consacrato siamo confermati e fortificati. L’olio è fra i principali elementi, che il divino autore dei Sacramenti scelse a significare ed insieme produrre la grazia nelle anime.
La Chiesa ha fissato molto per tempo il giorno, nel quale rinnovare ogni anno i santi Oli, la cui virtù è molto grande, sotto i suoi molteplici aspetti; infatti s’avvicina il momento in cui ne deve fare abbondante uso sui neofiti, che genererà nella notte di Pasqua. Occorre quindi che i fedeli conoscano dettagliatamente la sacra dottrina d’un sì alto simbolo; e noi qui la spiegheremo, sebbene brevemente, per eccitare la loro riconoscenza verso il Redentore, che s’è servito di creature visibili nelle opere della sua grazia, dando loro, per il suo sangue, la virtù sacramentale che ormai in esse risiede.

L’Olio degl’infermi.
Il primo degli Oli santi a ricevere la benedizione del Vescovo è quello che si chiama Olio degli infermi, e che è la materia del sacramento dell’Estrema Unzione. Esso cancella nel cristiano morente i resti del peccato, lo fortifica nell’estremo combattimento e, per la virtù soprannaturale che possiede, talvolta gli restituisce anche la sanità corporale. Anticamente, la benedizione di quest’Olio non si faceva solo il Giovedì Santo , perché il suo uso è per così dire, continuo (i). Più tardi la si fissò nel giorno in cui si consacrano gli altri due Oli per la somiglianza dell’elemento che loro è comune. I fedeli assisteranno con raccoglimento alla santificazione di quell’olio che un giorno scorrerà sulle loro membra languenti e purificherà ogni parte del loro corpo: pensino alla loro ultima ora, e benedicano l’inesauribile bontà del Salvatore , « che fa scorrere abbondante il suo sangue insieme a questo liquido prezioso » (Bossuet, Orazione funebre ad Enrichetta d’Inghilterra).

Il sacro Crisma.
Il più nobile degli Oli santi è il Sacro Crisma, e la sua consacrazione si svolge con maggiore solennità. Per mezzo del Crisma lo Spirito Santo imprime il suo indelebile sigillo nel cristiano già membro di Gesù Cristo per il Battesimo. Mentre l’Acqua ci fa nascere, l’Olio del Crisma ci conferisce robustezza; e finché non riceviamo questa unzione, non possediamo ancora la perfezione del carattere di cristiano: unto di quest’olio, il fedele diviene visibilmente un membro dell’Uomo-Dio, il cui nome Cristo significa l’unzione ricevuta come Re e Pontefice. La consacrazione del cristiano col Crisma è talmente nello spirito dei nostri misteri, che all’uscire dal fonte battesimale, un momento prima d’essere ammesso alla Confermazione, il neofita riceve sulla testa una prima unzione, sebbene non sacramentale, di quest’Olio regale, a dimostrare ch’egli già partecipa della regalità di Gesù Cristo.
Per esprimere con un segno sensibile l’alta dignità del Crisma, la tradizione apostolica vuole che il Vescovo vi unisca del balsamo, che rappresenta ciò che l’Apostolo chiama « il buon odore di Cristo » (II Cor. 2, 15), di cui è anche scritto «che correremo all’odore dei suoi profumi» (Cant. 1, 3). La rarità e l’alto costo dei profumi, in Occidente, obbligò la Chiesa Latina ad usare il balsamo solo nella confezione del sacro Crisma; mentre la Chiesa Orientale, più favorita dal clima e dai prodotti delle regioni che abita, vi fa entrare fino a trentatré sorta di profumi che, condensati con l’Olio santo, formano un unguento dall’odore delizioso.
Oltre all’uso sacramentale nella Cresima e sui nuovi battezzati, il sacro Crisma è usato dalla Chiesa nella consacrazione dei Vescovi, per ungerne la testa e le mani; in quella dei calici e degli altari e nella benedizione delle campane ; infine, per la dedicazione delle Chiese, in cui il Vescovo ne segna le dodici croci che attesteranno ai posteri la gloria della casa di Dio.

L’Olio dei Catecumeni.
Il terzo degli Oli santi è quello chiamato dei Catecumeni. Non è materia d’alcun Sacramento, ma è ugualmente d’istituzione apostolica, e serve nelle cerimonie del Battesimo per le unzioni che si fanno al Catecumeno sul petto e sulle spalle, prima dell’immersione o infusione dell’acqua. Si usa anche nell’ordinazione dei Sacerdoti, per ungere le mani, e nella consacrazione dei Re e delle Regine. Sono queste le nozioni che deve conoscere il fedele, per avere un’idea della funzione compiuta dal Vescovo nella Messa odierna, in cui, come canta S. Fortunato nell’Inno che daremo qui appresso, egli soddisfa al suo dovere operando la triplice benedizione che non può venire che da lui solo.

Il rito liturgico.
In tale circostanza la Chiesa fa pompa d’un apparato straordinario. Dodici Sacerdoti in pianeta e sette Diaconi e Suddiaconi, tutti rivestiti dei paramenti dei loro ordini, assistono alla funzione. Il Pontificale Romano spiega che i dodici Sacerdoti sono là presenti come testimoni e cooperatori del sacro Crisma. La Messa incomincia e si svolge secondo i riti propri di questo giorno; ma, prima d’intonare l’Orazione Domenicale, il Vescovo lascia incompiuta la preghiera del Canone che la precede e scende dall’altare. Si reca al trono per lui preparato, vicino alla piccola mensa dove si porta l’ampolla piena d’olio che benedirà per l’uso dei moribondi, e prelude a tale benedizione pronunciando parole di esorcismo sopra questo olio, per allontanare l’influsso degli spiriti maligni che, nel loro odio verso gli uomini, non cessano d’infettare gli elementi della natura; poi lo benedice con le parole:
Manda dall’alto dei cieli, te ne preghiamo, o Signore, il tuo Spirito Santo Paraclito in questo ricco prodotto dell’ulivo, che ti degnasti trarre da una pianta a vantaggio dell’anima e del corpo, e in virtù della santa tua benedizione, a chiunque sarà unto con l’unguento di questa celeste medicina, esso sia rimedio spirituale dell’anima e del corpo, atto a fugare ogni dolore e infermità e malattia dello spirito e del corpo, tu che con esso volesti unti i Sacerdoti, i Re, i Profeti , e i Martiri; questo Crisma tuo da te fatto e per noi benedetto, resti sempre, o Signore, col suo effetto nell’anima nostra. Nel nome del Signore nostro Gesù Cristo.
Dopo questa benedizione, uno dei sette Suddiaconi che aveva portata l’ampolla la riporta con ogni rispetto; quindi il Pontefice torna all’altare e continua il Sacrificio. Distribuita la santa Comunione al clero, va di nuovo al faldistorio preparato vicino alla piccola mensa. Frattanto i dodici Presbiteri, i sette Diaconi e Suddiaconi vanno a prendere le altre due ampolle: una contenente l’olio che diverrà il Crisma della salute, l’altra quello che sarà santificato per divenire l’Olio dei Catecumeni. Riappare il loro corteo, che s’avanza verso il Pontefice. Mentre le due ampolle sono portate da due Diaconi, un Suddiacono porta il vaso che contiene il balsamo. Prima il Vescovo benedice il balsamo, che nella preghiera venne chiamato « un’odorosa lacrime uscita dalla corteccia d’un ramo fortunato, per divenire il profumo sacerdotale ». Poi comincia la benedizione dell’Olio del Crisma, soffiando sopra di esso tre volte in forma di croce. Ad uno ad uno, i dodici Presbiteri vengono a ripetere la medesima insufflazione, il cui primo esempio l’abbiamo nel Vangelo, e significa la virtù dello Spirito Santo, figurato dal soffio per il suo nome, Spiritus, il quale sta per fare di quest’olio uno strumento del suo potere divino. Ma prima il Vescovo vi fa sopra l’esorcismo; e, dopo aver così preparato tale sostanza a ricevere l’azione della grazia celeste, celebra la dignità del Crisma col seguente magnifico Prefazio, che risale ai primi secoli della fede:
È veramente degno e giusto, equo e salutare, che noi sempre e ovunque ti rendiamo grazie, o Signore Santo, Padre onnipotente, Dio etemo. Tu che in principio fra gli altri doni della tua bontà ordinasti che la terra producesse alberi fruttiferi, fra i quali gli ulivi produttori di questo denso liquido, il frutto dei quali servisse al sacro Crisma. Già David, conoscendo in ispirilo profetico i Sacramenti della tua grazia, cantò che i nostri volti sarebbero stati rallegrati dall’olio: e quando i delitti del mondo furono espiati con le acque del diluvio, la colomba annunziò che la pace era stata ridonata alla terra con un ramo d’olivo, preannunziando in tal modo una similitudine del dono futuro. La qual cosa è stata mostrata nei tempi nuovi con effetti manifesti, poiché, cancellati i peccati di tutti con le acque del Battesimo, l’unzione di questo olio rende i nostri volti giocondi e sereni. E perciò anche a Mosè tuo servo comandasti di costituire Sacerdote suo. fratello Aronne, purificato prima dall’acqua, con l’unzione di quest’unguento. Ma un onore ben maggiore s’aggiunse a questo, quando il Figlio tuo Gesù Cristo Signor nostro volle essere battezzato da Giovanni nelle acque del Giordano; allorché lo Spirito Santo discese sopra di lui sotto la forma di colomba, tu per mezzo della voce, fattasi udire, mostrasti che quegli era l’Unigenito tuo nel quale avevi poste tutte le tue compiacenze, e provasti così manifestissimamente che Egli era quello che doveva essere unto con l’olio dell’esultanza a preferenza d’ogni altro, come aveva cantato David Profeta. Ti supplichiamo dunque, o Signore Santo, Padre onnipotente. Dio eterno, per lo stesso Gesù Cristo Figlio tuo Signore nostro di degnarti santificare con la tua benedizione questa densa tua creatura e unirvi le virtù dello Spirito Santo con la cooperazione della potenza di Cristo Figlio tuo, dal nome santo del quale il Crisma fu chiamato; col quale tu ordinasti di ungere Sacerdoti, Re, Profeti e Martiri; così da elevare questo Crisma a sacramento di perfetta salvezza e di vita per quelli che saranno rinnovati col lavacro spirituale del santo Battesimo; affinché con la santificazione dell’unzione sia tolta via la corruzione della prima nascita, e fatto tempio santo di Dio, ognuno emani il profumo di accettevole vita d’innocenza, così che rivestiti, in virtù del Sacramento da te costituito, della regia e sacerdotale e profetica dignità, siano rivestiti pure della veste della incorrutibilità; e così sia per quelli che saranno rigenerati dall’acqua e dallo Spirito Santo, il Crisma della salute e li faccia partecipi della vita eterna e della gloria celeste.
Pronunciate queste parole, il Pontefice prende il balsamo che prima ha mescolato con olio sopra una patena, e, versando questa mescolanza nell’ampolla, finisce così la consacrazione del Crisma. Poi, per riverire lo Spirito Santo che opererà in quest’olio sacramentale, saluta l’ampolla che lo contiene, dicendo: « Ave, Crisma Santo » ! Immediatamente i dodici Preti imitano il Pontefice, il quale passa a benedire l’olio dei Catecumeni.
Compiute le insufflazioni e l’esorcismo, come per il sacro Crisma, il Vescovo si rivolge a Dio con la seguente preghiera:
O Dio, rimuneratore d’ogni incremento e d’ogni progresso spirituale, che per la virtù dello Spirito Santo confermi i primi sforzi delle anime deboli, noi ti preghiamo, o Signore, che ti degni di mandare sopra quest’olio la tua benedizione, e di concedere in virtù dell’unzione del medesimo la purificazione dell’anima e del corpo a tutti quelli che perverranno al lavacro della beata rigenerazione; affinché al contatto di quest’olio santo siano asterse la macchie che gli spiriti avversari avessero potuto loro inferire; e non sia più rilasciato luogo alcuno agli avversi spiriti, nessuno scampo agli spiriti fuggitivi, nessuna possibilità d’occultarsi agli spiriti insidianti. Ma ai tuoi servi che verranno alla fede e che saranno purificati per opera del tuo Santo Spirito, la preparazione di quest’unzione sia utile alla loro salute, la quale conseguiranno anche per la rinascita della celeste rigenerazione del Sacramento del Battesimo. Per il Signore nostro Gesù Cristo Figlio tuo che dovrà venire a giudicare i vivi e i morti e il mondo col fuoco.
Quindi il Vescovo riverisce l’ampolla contenente l’olio al quale ha conferito così alte prerogative, dicendo, « Ave, santo olio » ! I dodici Preti imitano questo atto di rispetto ; dopo di che, due Diaconi prendono, uno il sacro Crisma, l’altro l’Olio dei Catecumeni, ed in processione riportano le due ampolle nel luogo d’onore dove verranno custodite. Esse, come quella dell’Olio degl’infermi, sono ricoperte con stoffa di seta: bianca per il sacro Crisma, verde per l’Olio dei Catecumeni e violacea per quello degl’infermi.
Abbiamo dato in succinto i dettagli di questa grande cerimonia; ma non vogliamo privare i lettori del bell’Inno composto da S. Venanzio Fortunato, Vescovo di Poitiers nel vi secolo , le cui solenni strofe, che vive la Chiesa romana dall’antica Chiesa dei Galli , accompagnano con tanto decoro l’arrivo ed il ritorno delle sante ampolle.

Inno:
O Redentore, accetta il carme di coloro che ti celebrano.
Ed il coro ripete: O Redentore, accetta il carme…
Ascolta, o Giudice dei trapassati, speranza unica dei mortali; accogli il grido di quei che t’offrono un dono che simboleggia la pace.
O Redentore…
La pianta fecondata da luce, produsse quanto a te è consacrato; e i presenti l’offrono al Salvatore delle genti.
O Redentore…
Ritto, anzi supplichevole innanzi all’ara, l’infulato pontefice compie tutto il suo ufficio consacrando il Crisma.
O Redentore…
Re dell’eterna patria, degnati di consacrare quest’umore d’olivo, perchè sia efficace rimedio contro le forze del demonio.
O Redentore…
Affinchè mediante l’unzione del Crisma si rinnovi l’uno e l’altro sesso , e sia altresì restituita alla pristina integrità l’offesa dignità nostra.
O Redentore…
Sono cancellati i delitti, allorché al sacro fonte l’anima viene purificata; e quando, ungendo la fronte, discendono i sacri carismi dello Spirito.
O Redentore…
Tu, che generato dal Padre fecondasti il seno della Vergine, ai partecipi del Crisma concedi luce, serra la morte.
O Redentore…
Questo giorno sia per noi festivo per tutti i secoli, sia sacro, sia degno di lode, e non invecchi mai col tempo.
O Redentore…
La Messa vespertina in Coena Domini
La Cena.
Proponendosi oggi la santa Chiesa di rinnovare, con una solennità tutta particolare, l’azione che il Salvatore compì nell’ultima Cena, secondo il precetto che ne fece agli Apostoli, quando disse : « Fate questo in memoria di me », non ci rimane che riprendere la narrazione evangelica, interrotta al momento in cui Gesù entrava nella sala del banchetto pasquale. La Pasqua giudaica.
È arrivato da Betania; tutti gli Apostoli sono con lui, anche Giuda, che nasconde un segreto. Gesù s’avvicina alla mensa, dove si mangerà l’agnello; dietro di lui vi prendono posto i discepoli; ed osservano fedelmente tutti i riti che il Signore prescrisse a Mosè, quando doveva essere seguito dal suo popolo. All’inizio della cena Gesù dice agli Apostoli : « Ho desiderato ardentemente di mangiare con voi questa Pasqua, prima di patire ». Parlava così, non perché  questa Pasqua avesse qualcosa in sè si superiore a quella degli anni precedenti, ma perché doveva dare occasione all’istituzione della nuova Pasqua, ch’egli aveva preparata nel suo amore per gli uomini; infatti, S. Giovanni dice: « Avendo amato i suoi ch’erano nel mondo, li amò fino alla fine» (13, 1).
Durante il pasto Gesù, ai discepoli che avevano il cuore puro, rivolse una parola che li commosse: «In verità, in verità vi dico: uno di voi mi tradirà; quegli che intinge meco la mano nel piatto è il traditore ». Quanto dolore in questo lamento ! e quanta misericordia verso il colpevole, che ben conosceva la bontà del Maestro ! Gesù gli spalancava la porta del perdono; ma a lui non importava nulla: tanto era dominato dalla passione che lo aveva spinto all’infame mercato ! Anzi, osa chiedere a Gesù come gli altri : « Sono forse io. Signore ? » Abbassando la voce, per non comprometterlo innanzi ai fratelli. Gesù gli risponde: « Sì, sei tu ». Ma Giuda rimane impassibile ad attendere l’ora del tradimento.
Secondo il costume orientale, i convitati occupano a due a due i letti di legno preparati dalla munificenza del discepolo che offrì la casa al Salvatore, per la sua ultima Cena. Giovanni, il prediletto, sta a fianco di Gesù, in modo da potere, nella sua tenera familiarità, appoggiare il capo sul petto del Maestro. Pietro sta sul letto vicino, dall’altro lato del Signore, il quale si trova così in mezzo ai due Apostoli, da lui inviati al mattino per disporre ogni cosa: simbolo, uno della fede, l’altro dell’amore. Fu un pasto melanconico. I discepoli trepidavano per la confidenza che aveva loro fatto Gesù; e si comprende bene come Giovanni sentisse il bisogno d’effondere tutta la sua anima verso il Salvatore con delicate dimostrazioni d’amore.
Gli Apostoli non aspettavano di veder un nuovo pasto succedere al primo; Gesù aveva mantenuto il segreto. Ma prima d’andare a patire doveva compiere la sua grande promessa. Nella sinagoga di Cafarnao aveva detto : « Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vive in eterno, ed il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo… La mia carne è veramente cibo e il mio sangue è veramente bevanda. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me ed io in lui » (Gv. 6, 51-56). Era giunto il momento in cui il Salvatore doveva realizzare questa meravigliosa opera di carità verso di noi; ma, avendoci promessa la sua carne ed il suo sangue, doveva attendere l’ora dell’immolazione. Ora, ecco che la sua Passione è cominciata: già è venduto ai nemici; la sua vita è nelle loro mani; può, ora, offrirsi in sacrificio e dare ai discepoli la propria carne ed il proprio sangue di vittima.

La lavanda dei piedi.
La cena legale era al termine, quando Gesù, alzandosi, si spoglia delle vesti esteriori e, mentre gli Apostoli guardano stupefatti, si cinge d’un asciugatoio come un servo, riempie un catino d’acqua e mostra di voler lavare i piedi a tutti i convitati. In Oriente si usava lavare i piedi prima d’assidersi al banchetto; ed era considerato il più alto grado dell’ospitalità l’atto del padrone di casa che faceva questo verso ai suoi ospiti. Ora è Gesù che invita gli Apostoli al divino banchetto, loro preparato, e li tratta col massimo riguardo. Ma, siccome ogni sua azione contiene una fonte inesauribile d’insegnamenti, con ciò vuole significarci quale purezza si richiede in coloro che s’assidono alla sua mensa : « Chi è lavato non ha bisogno che di lavarsi i piedi », egli ammonisce (Gv. 13, 10), come per dire: È tale la santità che richiede questa mensa, che, per accostarsi, non solo dev’essere purificata l’anima dalle più gravi sozzure, ma si deve anche cercare di eliminare in essa ogni minima macchia, cioè quelle che possiamo contrarre nel contatto col mondo, che sono come una polvere leggera che s’attacca ai piedi. Più avanti spiegheremo gli altri misteri contenuti nella lavanda dei piedi.
Gesù comincia da Pietro, il futuro Capo della Chiesa. Ma questi s’oppone energicamente ad una tale umiliazione del suo Maestro ; Gesù insiste, e Pietro è costretto a cedere. Gli altri Apostoli, che come Pietro erano rimasti sui loro letti, pure si lasciano ad uno ad uno lavare i piedi dal Maestro, non escluso lo stesso Giuda, che qualche istante prima aveva ricevuto da lui un secondo misericordioso avvertimento, quando, rivolgendosi a tutti, aveva detto : « Voi siete puri, ma non tutti » (ivi) ; ma il rimprovero l’aveva lasciato insensibile.
Gesù, finita la lavanda dei piedi ai dodici, torna al suo posto, accanto a Giovanni. Pietro, colpito dall’insistenza del Maestro, vuole sapere almeno chi sarà mai lo sventurato traditore che disonorerà il collegio apostolico; sta alla destra di Gesù, ma non osa interrogarlo, e fa segno a Giovanni, che sta alla sinistra del Salvatore, per avere qualche schiarimento. Giovanni s’abbandona sul petto di Gesù e gli domanda sotto voce : « Signore, chi è mai ? ». Gesù gli risponde con lo stesso tono confidenziale : « E’ quello a cui darò un pezzetto di pane intinto ». Quindi prende del pane, l’intinge e lo offre a Giuda. Fu l’ultimo inutile avvertimento a quell’anima indurita alla grazia; infatti l’Evangelista soggiunge: « Dopo quel boccone. Satana entrò in lui ». Gesù gli rivolse ancore due parole : « Quello che fai fallo presto ». Ed il miserabile uscì fuori per realizzare il suo misfatto.

L’istituzione dell’Eucarestia.
Prendendo allora del pane azzimo avanzato dalla cena, ed elevando gli occhi al cielo, lo benedice, lo spezza e lo distribuisce ai discepoli, dicendo : « Prendete e mangiate : questo è il mio corpo ». Gli Apostoli ricevono il pane divenuto corpo del Signore, se ne cibano, e Gesù non è solo a tavola con loro, ma dentro di loro. Quindi, essendo questo divino mistero non solo il più augusto Sacramento, ma anche il più vero Sacrificio, fino all’effusione del sangue, Gesù prende il calice e, trasformato nel proprio sangue il vino che contiene, lo passa ai discepoli, dicendo : « Bevetene tutti, perché è il sangue della Nuova Alleanza che sarà sparso per voi ». Uno dopo l’altro, gli Apostoli partecipano di questa divina bevanda.

L’istituzione del Sacerdozio.
Tali sono le circostanze della Cena del Signore, il cui anniversario oggi ci unisce tutti; ma non è sufficiente ciò che abbiamo narrato, se non aggiungiamo un particolare essenziale. Ciò che oggi si compie nel Cenacolo non è un avvenimento isolato della vita del Figlio di Dio, né sono soltanto gli Apostoli i privilegiati invitati della Mensa del Signore. Nel Cenacolo, come vi è di più che una cena, così vi è di qualche altra cosa oltre al sacrificio, per quanto sia divina la vittima offerta dal sommo Sacerdote: vi è qui l’istituzione del nuovo Sacerdozio. Come avrebbe potuto dire Gesù agli uomini: « Se non mangerete la mia carne e non berrete il mio sangue, non avrete in voi la vita » (Gv. 6, 54), se non intendeva di costituire sulla terra un ministero, mediante il quale rinnovare fino alla fine dei secoli ciò che ha compiuto alla presenza dei dodici ? Ora ecco ciò che egli ha detto agli uomini da lui scelti : « Fate questo in memoria di me » (Le. 22, 19). Con tali parole il Signore diede anche a loro il potere di transustanziare il pane nel suo corpo ed il vino nel suo sangue; ed un tale potere si sarebbe trasmesso nella Chiesa, mediante l’ordinazione, fino alla fine dei secoli. Attraverso il ministero di uomini peccatori. Gesù continuerà ad operare la meraviglia che compì nel Cenacolo; e, mentre arricchì la Chiesa dell’unico Sacrificio, da a noi, secondo la sua promessa, con questo Pane celeste, il mezzo di « rimanere in lui, e lui in noi ». Noi, dunque, dobbiamo celebrare oggi un altro anniversario non meno meraviglioso del primo: l’istituzione del Sacerdozio cristiano.

La Messa.
Per significare in modo sensibile agli occhi dei fedeli la maestà e l’unità della Cena che il Salvatore imbandì ai discepoli e a tutti noi nella loro persona la santa Chiesa oggi proibisce ai singoli Sacerdoti la celebrazione privata della Messa, salvo il caso di necessità: vuole che sia offerto, in ciascuna chiesa, un solo Sacrificio, al quale tutti i Sacerdoti devono assistere; ed al momento della Comunione si vedono tutti, rivestiti dell’insegna del loro sacerdozio, la stola, accostarsi all’altare a ricevere dalle mani del celebrante il corpo del Signore.
Questa Messa del Giovedì Santo è fra le più solenni di tutto l’anno; sebbene l’istituzione della Festa del Santissimo Sacramento abbia per oggetto d’onorare con maggior splendore il medesimo mistero, pure la Chiesa non vuole che l’anniversario della Cena del Signore perda niente degli onori cui ha diritto. Il colore dei paramenti sacri, in questa Messa è il bianco, come nei giorni di Natale e di Pasqua; ogni segno di lutto scompare.
Tuttavia, molti dei riti straordinari mostrano che la Chiesa teme ancora per il suo Sposo, e solo per un momento sospende la tristezza che l’opprime. Il Sacerdote all’altare ha intonato l’Inno angelico: « Gloria a Dio nel più alto dei cieli !» e le campane lo hanno accompagnato fino alla fine, suonando gioiosamente a distesa; ma a partire da questo momento rimarranno mute, ed il loro silenzio, per lunghe ore, stenderà sulla città un’impressione d’abbandono; come se la santa Chiesa volesse farci sentire che questo mondo, testimone dei patimenti e della morte del suo divino Autore, ha perduto ogni dolcezza e melodia, ed è divenuto deserto e melanconico; e più particolarmente ci vuol ricordare che gli Apostoli, voce del Cristo, figurati nelle campane che col loro suono chiamano i fedeli alla casa di Dio, sono tutti fuggiti, lasciando il Maestro in preda ai suoi nemici.
Dopo il canto del Vangelo, la Messa viene quasi interrotta dalla cerimonia del Mandatum o della Lavanda dei piedi che una volta si faceva nel pomeriggio e che il Decreto del 16 Novembre 1955 ha spostato a questo punto della Messa in quei posti, almeno, dove la cerimonia può effettuarsi.

I « Sepolcri ».
Sebbene la Chiesa sospenda per alcune ore l’offerta dell’eterno Sacrificio, tuttavia non permette che siano negati al suo divino Sposo gli omaggi a lui dovuti nel Sacramento del suo amore. I momenti in cui l’Ostia santa pare divenuta inaccessibile alla nostra indegnità, la pietà cattolica ha saputo trasformarli in un vero trionfo all’augusta Eucarestia, allestendo in ogni chiesa un altare-sepolcro, dove, dopo la Messa, la Chiesa rinchiuderà il corpo del Signore. Esso rimarrà nascosto sotto alcuni veli; ma i fedeli si affolleranno ugualmente ai suoi piedi ad adorarlo. Tutti accorreranno ad onorare il sepolcro dell’Uomo-Dio, perché « ovunque sarà il suo corpo s’aduneranno le aquile » (Mt. 24, 28) ; e da ogni punto del mondo cattolico s’eleverà a Gesù, come un felice compenso degli oltraggi di cui fu fatto segno in queste medesime ore dai Giudei, un vivo concerto di fervorose preghiere, come mai accade in altri tempi dell’anno. Là si daranno convegno e le anime ferventi nelle quali Gesù già vive, e i peccatori convertiti dalla grazia e avviati alla riconciliazione.

La Stazione.
A Roma la Stazione è nella Basilica di S. Giovanni in Laterano. La grandezza degli odierni misteri, la riconciliazione dei Penitenti e la consacrazione del Crisma non potevano non richiedere questa metropoli di Roma e del mondo. Però, attualmente, la funzione papale ha luogo nei Palazzi Vaticani.
Epistola (I Cor, 20-32). – Fratelli: Quando vi radunate, quello non è un mangiar la cena del Signore. Infatti ciascuno pretende mangiare la sua cena: così, mentre uno patisce la fame, l’altro è ubriaco. Ma non avete le case per mangiare e bere ? O volete disprezzare la Chiesa e fare arrossire quelli che non hanno nulla ? Che devo dirvi ? Lodarvi ? In questo no, davvero. Perché io l’ho ricevuto dal Signore quello che ho insegnato a voi, che il Signore Gesù, nella notte in cui era tradito, prese del pane e, dopo aver rese le grazie, lo spezzò e disse: Prendete e mangiate; questo è il mio corpo, che sarà dato a morte per voi: fate questo in memoria di me. Parimenti dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo: Questo calice è il nuovo testamento nel mio sangue: fate questo, tutte le volte che ne berrete, in memoria di me. Or dunque, tutte le volte che mangerete questo pane e berrete questo calice, annunzierete la morte del Signore, finché egli non venga. Pertanto, chiunque mangerà questo pane e berrà il calice del Signore indegnamente, sarà reo del corpo e del sangue del Signore. Provi ciascuno sé, e così mangi di quel pane e beva di quel calice; perché chi ne mangia e beve indegnamente, mangia e beve la sua condanna, non distinguendo il corpo del Signore. Ecco perché tra voi ci son molti malati e deboli, e ne muoion parecchi. Se da noi stessi ci giudicassimo, non saremmo giudicati. Ma slam giudicati e castigati dal Signore, per non esser condannati con questo mondo.
La purezza richiesta dalla Comunione.
Dopo aver rimproverato ai cristiani di Corinto gli abusi ai quali s’abbandonavano in quelle cene chiamate Agapi, cui aveva dato 6rigine lo spiriti di fraternità, ma che non tardarono ad essere abolite, il grande Apostolo descrive l’ultima Cena del Salvatore. Egli continua a richiamarsi al potere che Gesù diede ai discepoli di ripetere l’azione che aveva compiuta, ed in particolar modo c’insegna, che tutte le volte che il Sacerdote consacra il corpo ed il sangue di Gesù Cristo, « ricorda la morte del Signore », esprimendo con queste parole l’identità del sacrificio compiuto sulla croce e sull’altare. « Provi ciascuno se stesso, dice S. Paolo, e così mangi di quel pane e beva di quel sangue ». Infatti, per essere ammessi in una sì intima maniera al mistero della Redenzione e contrarre una simile unione con la Vittima divina, dobbiamo bandire da noi tutto ciò che sa di peccato e di affetto al peccato. « Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me, ed io in lui », dice Gesù. Che c’è di più intimo di questo? In tali fortunati istanti, Dio diventa uomo, e l’uomo diventa Dio. Con quale cura, perciò dobbiamo purificare l’anima nostra, conformare la nostra volontà a quella di Gesù, prima d’assiderci alla mensa ch’egli ha imbandito per noi, ed alla quale c’invita ! Domandiamogli che ci prepari lui stesso, come preparò gli Apostoli, lavando i loro piedi; e ce lo farà oggi e sempre, se sapremo approfittare della sua grazia e del suo amore.
Vangelo (Gv. 13, 1-15). – Prima della festa di Pasqua, sapendo Gesù ch’era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi ch’erano nel mondo, li amò sino alla fine. E fatta la cena, avendo già il diavolo messo in cuore a Giuda di Simone Iscariota di tradirlo, sapendo che il Padre gli aveva dato tutto nelle mani, e come, venuto da Dio, a Dio tornava, si alzò da tavola , depose la veste, e preso un asciugatoio se lo cinse. Poi versata dell’acqua in un catino, cominciò a lavare i piedi ai discepoli, ed ad asciugarli con l’asciugatoio di cui era cinto. Venne dunque a Simon Pietro. E Pietro gli disse: Signore, tu lavarmi i piedi? Gli rispose Gesù: Quello che fo tu ora non lo comprendi; ma lo saprai in avvenire. E Pietro: Tu non mi laverai i piedi in eterno ! Gesù gli rispose: Se non ti laverò, non avrai parte con me. Allora, Signore, esclamò Simon Pietro, non soltanto i piedi, ma anche le mani e il capo ! E Gesù replicò: Chi è lavato non ha bisogno che di lavarsi i piedi, per essere tutto puro. E voi siete puri, ma non tutti. Sapeva bene chi l’avrebbe tradito; per questo disse: Non siete puri tutti. Dopo aver dunque lavati loro i piedi, riprese le sue vesti, e rimessosi a mensa, disse loro: Intendete quello che vi ho fatto ? Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque v’ho lavato i piedi io, Maestro e Signore, dovete anche voi lavarvi i piedi l’un l’altro. Io infatti v’ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io a voi, così facciate anche voi (agli altri fratelli).
Altra lezione di purezza.
Il gesto di Gesù di lavare i piedi ai discepoli, prima di farli partecipi del suo divino mistero, contiene un’altra lezione per noi. Poco fa l’Apostolo diceva: « Ciascuno provi se stesso »; ed ora Gesù dice ai discepoli : « Voi siete puri ». È vero che soggiunge : « ma non tutti » ; il che corrisponde a ciò che afferma l’Apostolo : « tanti e tanti sono rei del corpo e del sangue del Signore ». Ora, mentre dobbiamo temere la sorte di costoro , dobbiamo esaminare noi stessi, scandagliando bene la nostra coscienza prima d’accostarci alla sacra mensa. Il peccato mortale e l’affetto al peccato ci trasformerebbero in veleno l’alimento che dà la vita all’anima. Ma se dobbiamo avere il massimo rispetto della mensa del Signore, in modo da non presentarci macchiati di quel fango che, togliendo all’anima la rassomiglianza con Dio, la fa simile a Satana, dobbiamo altresì , per lo stesso rispetto alla santità divina che discenderà in noi, purificarci dalle macchie più leggere che la potrebbero aver imbrattata. « Chi è già lavato, dice il Signore, ha solo bisogno di lavarsi i piedi ». I piedi sono gli affetti terreni , per i quali spesso siamo esposti a peccare. Vegliamo dunque sui nostri sensi e sui moti dell’anima nostra ; eliminiamo queste pecche con una sincera confessione, con la penitenza, col dolore e l’umiliazione, affinchè, entrando in noi questo santo Sacramento, sia ricevuto degnamente perchè abbia ad operare in noi con tutta l’efficacia della sua virtù.
A questo punto, là almeno ove la cosa è possibile, avviene la cerimonia del Mandatum: ne spiegheremo più avanti il significato, riportando il testo della liturgia. La processione.
Terminata la Messa, la processione si avvia al sepolcro dove sarà riposto il santo Ciborio. Esso viene portato dal celebrante sotto il baldacchino, come nella festa del Corpus Domini; però oggi il sacro Corpo del Redentore rimane nascosto non circondato di raggi come nei giorni di trionfo. Adoriamo questo Sole di giustizia, e durante la processione cantiamo il Punge lingua, l’Inno del Santissimo Sacramento noto a tutti.
Arrivati al sepolcro, il celebrante incensa il santo Ciborio e lo chiude nel tabernacolo. Si resta alcuni istanti in silenziosa preghiera, e poi il corteo ritorna in coro, sempre in silenzio. Immediatamente dopo si procede alla denudazione degli altari.
Denudazione degli altari Aiutato dai ministri, il Celebrante, toglie le tovaglie che coprono l’altare. Il rito significa che il Sacrificio è sospeso. L’altare rimarrà nudo e spoglio, fino a che non sarà di nuovo presentata alla divina Maestà l’offerta quotidiana; ma prima il Signore dovrà risorgere dalla tomba, vincitore della morte. Per ora è nelle mani dei Giudei, che stanno per spogliarlo delle sue vesti, come noi spogliamo gli altari. Egli sarà esposto nudo agli oltraggi di tutto un popolo; ecco perché la Chiesa, per accompagnare questa cerimonia, ha scelto il 21.0 Salmo, nel quale il Messia esprime in maniera sorprendente l’azione dei soldati romani che, ai piedi della croce, si divisero le vesti.

Lavanda dei piedi
Lezione di carità fraterna.
Oggi Gesù ha lavato i piedi ai suoi discepoli, dicendo loro: « Intendete quello che vi ho fatto ? Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque v’ho lavato i piedi io. Maestro e Signore, dovete anche voi lavarvi i piedi l’un l’altro. Io infatti v’ho dato l’esempio, affinché come ho fatto io a voi, così facciate anche voi ». La Chiesa ha raccolto la sua parola e l’ha messa in pratica; e sebbene il precetto ivi contenuto non comporta altro obbligo che quello di farci osservare le buone maniere della carità fraterna, dietro l’esempio dell’Uomo Dio, pure non c’è stato secolo che i cristiani non l’abbiano seguito alla lettera, assoggettandosi scambievolmente alla lavanda dei piedi.

Antichità del rito.
All’origine del cristianesimo era frequente quest’atto di carità. S. Paolo, elencando i pregi della vedova cristiana, raccomanda a Timoteo ch’essa sia sollecita « a lavare i piedi dei santi », cioè dei fedeli (I Tim. 5, 10). Vediamo infatti questa pia pratica non solo in uso al tempo dei martiri, ma anche più tardi nei secoli di pace: gli Atti dei Santi dei primi sei secoli e le Omelie e i trattati dei Padri ne fanno mille allusioni. In seguito, col rattiepidirsi della carità, la lavanda dei piedi cominciò a divenire una pratica dei monasteri; ciononostante, di tanto in tanto venivano dati esempi meravigliosi nelle stesse regge, come per impedire la prescrizione che l’orgoglio umano cercava di stabilire contro l’esempio del Redentore. In Francia si vide il re Roberto e più tardi S. Luigi, lavare i piedi dei poveri. Sante principesse, come una Margherita di Scozia ed una Elisabetta d’Ungheria, e tante altre ritennero un onore imitare alla lettera l’azione di Cristo. Dal canto suo la Chiesa, che non permette mai di lasciar perdere nessuna tradizione raccomandata dal suo Fondatore, ha stabilito che almeno una volta l’anno sia rinnovata, alla presenza dei fedeli, la rappresentazione dell’umiltà del Salvatore verso i suoi servi; e vuole che in ogni chiesa importante, il Prelato, o il superiore, renda omaggio all’abbassamento del Figlio di Dio, compiendo il rito della lavanda dei piedi. Il Santo Padre per primo dà, come si conviene, l’esempio a tutta la Chiesa nel Palazzo Vaticano, imitato in questo suo atto da tutti i suoi fratelli nell’episcopato, i Vescovi di tutto il mondo.

Il numero prescelto.
Ordinariamente in quest’occasione vengono scelti dodici poveri, a rappresentare gli Apostoli; però il Sommo Pontefice lavava i piedi a tredici preti di tredici differenti nazioni; per cui la santa Chiesa, nel suo Cerimoniale, prescriveva questo numero per la funzione della lavanda dei piedi nelle Chiese Cattedrali. Tale uso venne diversamente interpretato. Alcuni vi hanno visto l’intenzione di rappresentare il numero perfetto del Collegio Apostolico che era di tredici: essendo Giuda, il traditore, sostituito da S. Mattia ed essendo aggiunto per una disposizione straordinaria di Cristo, S. Paolo agli Apostoli antecedentemente scelti. Altri, con maggior fondamento, sostengono, col Papa Benedetto XIV (De festis D. N. J. C, 1. ì, c. VI, 57), che la ragione di tale numero bisogna ricercarla in un fatto della vita di S. Gregorio Magno, del quale Roma volle conservare il ricordo. Questo celebre Papa lavava ogni giorno i piedi a dodici poveri, che poi faceva sedere a tavola. Un giorno egli vide, confuso fra gli altri, un tredicesimo povero, senza che nessuno l’avesse visto entrare: tale personaggio era un Angelo inviato da Dio a testimoniare, con la sua presenza, quanto fosse gradito al cielo la carità di Gregorio. Ora però la Chiesa è ritornata all’antica usanza di lavare i piedi soltanto a dodici persone.
La cerimonia della lavanda dei piedi, viene anche chiamata Mandatum, dalla prima parola dell’Antifona che si canta durante questa funzione. Dopo il Vangelo che narra l’azione compiuta da Gesù, il Celebrante depone la casula, e, cinto d’un asciugatoio va verso il gruppo di quelli ai quali laverà i piedi. Egli si inginocchia davanti a loro e bacia i loro piedi dopo averli lavati.

La sera
Discussione sulla precedenza.
Uscito dalla sala, col favore delle tenebre, Giuda s’era diretto là dove erano i nemici di Gesù. Allora Gesù, rivolgendosi agli Apostoli fedeli, disse: « Ora è stato glorificato il Figlio dell’Uomo » (Gv. 13, 31). Egli parlava della gloria che sarebbe seguita alla Passione; ma intanto col tradimento di Giuda, la dolorosa Passione era al suo primo atto. Gli Apostoli, facili a dimenticare la tristezza che li aveva assaliti, allorché Gesù predisse che uno di loro stava per tradirlo, si abbandonarono ad una discussione, disputando chi fosse fra di loro il più grande. Essi ricordavano bene le parole indirizzate da Gesù a Pietro quando lo costituì fondamento della sua Chiesa; avevano, pochi momenti prima, visto il Maestro lavare i piedi a lui prima di tutti gli altri; d’altra parte erano rimasti colpiti dalla familiarità con la quale Giovanni trattava con Gesù durante la Cena; e si domandavano se, alla fin dei conti, il massimo onore non sarebbe riservato a colui che pareva essere il più amato.
Gesù mette fine alla contesa dando ai futuri Pastori dei popoli una lezione di umiltà. Vi sarà, sì, in mezzo a loro, un Capo ; ma « chi di voi, dice, è il più grande, sia come il più piccolo, e chi governa come chi serve. Infatti, non sono io in mezzo a voi come chi serve ?» (Le. 22, 26-27). E rivolgendosi a Pietro: « Simone, Simone, gli dice, ecco che Satana ha cercato di vagliarti come il grano. Ma io ho pregato per te, affinchè la tua fede non venga meno, e tu, ravveduto che sia, conferma i tuoi fratelli» (ivi, 31, 32). Quest’ultima conversazione è come il testamento del Salvatore, il quale provvede alla sorte della sua Chiesa prima di lasciarla. Gli Apostoli saranno i fratelli di Pietro, e Pietro sarà il loro Capo; ma questa prerogativa si rivelerà in lui mediante l’umiltà; sarà il «servo dei servi di Dio». Il collegio apostolico dovrà temere tutto dalla rabbia dell’inferno; ma Pietro, da solo, basterà a confermare nella fede i suoi fratelli. Il suo insegnamento sarà sempre conforme alla divina verità, sempre infallibile; Gesù ha pregato perché questo si avveri in lui; e la sua preghiera è onnipotente: per essa la Chiesa, sempre docile alla voce di Pietro, conserverà intatta la dottrina del Figlio di Dio.

Il comandamento nuovo.
Così, dopo aver assicurato l’avvenire della Chiesa con le parole indirizzate a Pietro, Gesù si rivolge a tutti gli altri e dice loro con straordinaria tenerezza : « Figliolini miei, ancora un poco sono con voi… Vi do un comandamento nuovo, d’amarvi scambievolmente: amatevi l’un l’altro come io vi ho amati. Da questo tutti conosceranno che siete miei discepoli, se avrete mutuo amore ». Pietro gli domandò : « Signore, dove vai ? – Dove vo’ io non puoi seguirmi per ora, ma più tardi mi seguirai. – E perché, replicò Pietro, non posso seguirti ora, Signore ? Darò per te la vita. – Tu darai per me la vita ? gli chiese Gesù. In verità in verità ti dico: non canterà il gallo, che tu mi avrai rinnegato per tre volte » (Gv. 13, 33-38).
L’amore di Pietro per Gesù era troppo umano, perché non fondato sull’umiltà: infatti dalla superbia nasce la presunzione, che altro non serve che a preparare cadute. Dio permise che colui che doveva diventare il principe degli Apostoli cadesse in una colpa tanto grave ed infamante, e perché si formasse ad un ministero di indulgenza e per dare a tutti un’utilissima lezione.
In questo momento di addio Gesù ha un parlare penetrante: raccogliamo ancora qualche particolare delle sue parole.

La pace.
«Io sono la Via, la Verità e la Vita; aggiunge Gesù… Se mi amate, osservate i miei comandamenti; ed io pregherò il Padre é vi darà un altro Consolatore che resti con voi per sempre… Non vi lascerò orfani; tornerò a voi… Vi lascio la pace, vi do la mia pace, ve la do non come suol darla il mondo. Non si turbi il vostro cuore, né si spaventi… Se mi amate, vi rallegrerete certamente del mio andare al Padre, essendo il Padre più grande di me… Non parlerò ancora molto con voi, perché già viene il principe di questo mondo. Veramente non potrebbe nulla su di me; pure, affinché il mondo conosca che io amo il Padre e che opero come il Padre mi ha ordinato: alzatevi, andiamo» (Gv. cap. 14).

Gesù è la vite vera.
Continuando le sue celesti effusioni, il Salvatore si serve della preziosa immagine della vite per istruirci sul rapporto che la grazia divina ha stabilito fra lui e le anime. « Io sono la vera vite, egli proclama; il Padre mio è il coltivatore. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo taglierà via, e quello che porta frutto, lo poterà, perché frutti di più… Rimanete in me, ed io in voi. Come il tralcio non può da se dare frutto, se non rimane unito alla vite, così nemmeno voi, se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci; se uno rimane in me ed io in lui, questo porta molto frutto; perché senza di me non potete far niente. Chi non rimane in me sarà gettato via come tralcio e seccherà, e, raccolto, sarà buttato nel fuoco a bruciare… Non siete voi che avete eletto me, ma io ho eletto voi, e v’ho desti nati perché andiate e portiate frutti, e frutti duraturi» (Gv. 15, 1-6 , 16).

Promessa dello Spirito Santo.
Quindi parlò loro delle persecuzioni che li attendevano e dell’odio che il mondo avrebbe loro portato. Rinnovando poi la promessa fatta d’inviare lo Spirito consolatore, aggiunse ch’era meglio per loro che li lasciasse; ma qualunque cosa avrebbero domandato al Padre in nome suo l’avrebbero ottenuta. « Il Padre mio vi ama, avendo voi amato me e creduto ch’io sia uscito dal Padre. Partito dal Padre, son venuto nel mondo ; ora lascio il mondo e torno al Padre ! Gli dissero allora i discepoli: Ora conosciamo che sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi, e per questo crediamo che sei venuto da Dio. Rispose Gesù: Ora credete? Ecco, vien l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per la sua strada e mi lascerete solo; ma non resto solo, perché con me è il Padre » (Gv. 16, 27-32); «Tutti voi patirete scandalo per causa mia in questa notte, poiché sta scritto: Percuoterò il pastore e saran disperse le pecore del gregge. Ma risuscitato ch’io sia vi precederò in Galilea » (Mt. 26, 31-32).

La preghiera sacerdotale.
Invano Pietro si sforzò di protestare la sua fedeltà al Maestro, che, a suo dire, era più grande di quella di tutti gli altri. Avrebbe dovuto esser tale, perché egli formava l’oggetto d’una distinzione particolare; ma Gesù dovette ripetergli l’umiliante predizione. Poi, alzando gli occhi al cielo con una calma tutta divina, continuò: « Padre è giunta l’ora: glorifica il tuo Figlio, affinché anche il tuo Figlio glorifichi te… Io ti ho glorificato sulla terra compiendo l’opera che mi hai dato da compiere;… ho manifestato il tuo nome agli uomini che mi hai affidati nel mondo… Essi ora hanno riconosciuto che io sono venuto da Dio, e veramente hanno creduto che tu mi hai mandato. Prego per loro. Non prego per il mondo, ma per quelli che mi hai affidati, perchè son tuoi… Io già non sono più nel mondo; ma essi restano nel mondo, mentre io vengo a te. Padre santo, custodisci nel nome tuo quelli che mi hai affidati, affinché siano una cosa sola come noi. Finché io ero con essi, li conservavo nel tuo nome. Quelli che mi hai affidati li ho custoditi; e nessuno di loro è perito, tranne il figlio di perdizione, affinché sia adempiuta la Scrittura… Io ho comunicato loro la tua parola, e il mondo li ha odiati, perché non sono del mondo,, come neanch’io sono del mondo. Non chiedo che tu li levi dal mondo, ma che tu li guardi dal male… Né soltanto per questi prego; ma prego anche per quelli che crederanno in me, per la loro parola: che sian tutti una cosa sola come tu sei in me, o Padre, ed io in te, affinché il mondo creda che tu mi hai mandato… Padre, io voglio che dove son io, sian pure con me quelli che mi hai affidati, affinché vedano la gloria mia che tu mi hai data, perché tu mi hai amato prima della creazione del mondo. Padre giusto, il mondo non ti ha conosciuto ; ma io ti ho conosciuto e questi han riconosciuto che tu mi hai mandato. Ed ho fatto conoscere a loro il tuo nome, e lo farò conoscere ancora, affinché l’amore col quale mi hai amato sia in essi ed io in loro » (Gv. cap. 17).

Il Getsemani.
Questi gli slanci d’amore che traboccavano dal Cuore di Gesù nel Cenacolo. Poi tutti s’alzarono per incamminarsi al monte degli Olivi. Giunti nel luogo chiamato Getsemani, entrò nell’orto dove tante volte s’era ritirato con gli Apostoli a riposare. Ma in questo momento, sospesa nella natura umana la beatitudine che gli proveniva dall’unione con la divinità, una dolorosa angoscia assale la sua anima; e in tale stato rimarrà fino all’intero compimento del sacrificio, sopportandone tutto il peso e l’amarezza. Nel suo abbattimento, Gesù vuol fuggire gli sguardi dei discepoli, sente il bisogno di appartarsi. Prende allora con sè Pietro, Giacomo e Giovanni, i testimoni della sua gloriosa trasfigurazione; ma saranno essi più forti degli altri di fronte all’umiliazione del loro Maestro ? Le parole ch’egli loro rivolge mostrano bene quale improvviso mutamento sia avvenuto nell’anima sua ; egli, che fino a poco fa aveva avuto un sì calmo linguaggio, conservato così sereno il suo aspetto e così tenera la voce, ecco ora che cosa dice : « L’anima mia è triste fino alla morte : restate qui e vegliate con me» (Mt. 26, 38).

L’agonia.
Quindi li lascia, e, inoltratosi a un tiro di pietra da loro, faccia a terra. Gesù prega: «Padre, tutto ti è possibile; allontana da me questo calice, però non quello che voglio io, ma quello che tu vuoi » (Mt. 14, 36). Intanto un sudor di sangue bagna le sue membra e scorre fino a terra. Non è più tristezza o angoscia, ma l’agonia. In soccorso dell’agonizzante natura. Dio manda un Angelo, ma un Angelo che lo incoraggi a sopportare. Dio lo tratta come un uomo; e sebbene la sua umanità sia affranta, senz’altro conforto sensibile di quello d’un Angelo, si risolleva ed accetta nuovamente il calice che gli è stato preparato. Quale calice ! Tutti i dolori dell’anima e del corpo, tutto lo strazio d’un cuore; i peccati di tutta l’umanità sono divenuti suoi e gridano vendetta contro di lui; in più, l’ingratitudine degli uomini che renderà vano per molti il sacrificio ch’è pronto ad offrire. Bisogna che Gesù accetti ogni sorta d’amarezza, nel momento in cui sembra, per così dire, abbandonato alla natura umana; ma, senza che gli venga risparmiato nessun dolore, la potenza della divinità ch’è in lui lo sosterrà. Comincia a supplicare il Padre che non gli faccia bere quel calice; e finisce col dichiarare che non ha altra volontà che la sua.

La solitudine di Gesù.
Gesù allora si alza, lasciando sulla terra tracce del sudore di sangue che la violenza dell’agonia ha fatto colare dal suo corpo: sono solo le primizie del sangue redentore. Si alza e s’avvicina ai tre discepoli e li trova addormentati. « Come ? dice loro, non siete stati capaci di vegliare neppure un’ora con me ? » (Mt. 26, 40). Comincia l’abbandono dei suoi. Due volte torna nella sua solitudine a mormorare la stessa desolata e rassegnata preghiera; e due volte si trova di fronte alla stessa insensibilità da parte di quelli che aveva prescelti a vegliare vicini a lui. « Dormite pure e riposatevi; ecco l’ora in cui il Figlio dell’uomo sarà dato nelle mani dei peccatori »; e, raccogliendo tutte le sue forze, soggiunge: «Alzatevi, andiamo; ecco s’avvicina chi mi tradisce » (Mt. 26, 45-46).

La cattura.
Mentre ancora parlava, improvvisamente l’orto è invaso da una folla di gente armata, provvista di fiaccole e guidata da Giuda. Il tradimento è consumato con la profanazione del segno dell’amicizia. « Giuda ! con un bacio tradisci il Figlio dell’uomo ? » (Le. 22, 48). Parole così terribili e commoventi avrebbero fatto prostrare lo sventurato ai piedi del Maestro; ma non ne era più il tempo; vile com'era, non poteva ormai far fronte alla soldataglia che egli stesso aveva capeggiato. Tuttavia, i sicari del grande sacerdote non potranno mettere le mani addosso a Gesù, prima ch’egli lo permetta: una sola parola uscita dalla sua bocca li ha gettati bocconi per terra. Poi Gesù li lascia alzare e, con la maestà d’un re, dice loro queste parole: « Se cercate me, lasciate andar via costoro » (Gv. 18, 8). « Siete venuti a prendermi con spade e bastoni; ogni giorno sedevo tra voi nel Tempio ad insegnare e non mi avete preso; ma questa è la vostra ora e l’ora delle tenebre ». E volgendosi a Pietro che aveva sfoderato la spada, gli disse: « Credi forse che io non possa pregare il Padre, che mi darebbe subito più di dodici legioni di Angeli ? Ed allora come s’adempirebbero le Scritture ? » (Mt. 26, 52-56).

Gesù davanti al Gran Sacerdote.
Ciò detto, Gesù si lascia catturare. Allora gli Apostoli, scoraggiati e presi da gran panico, si dispersero; neppure uno accompagna il Maestro, all’infuori di Pietro che si mette a seguirlo da lontano insieme ad un altro discepolo. Gli uomini che lo trascinavano gli fecero percorrere lo stesso cammino che Gesù fece la Domenica prima, quando il popolo gli venne incontro con palme e rami d’olivo. Attraversò il torrente Cedron, come sta scritto : « Nel viaggio si disseta al torrente, e per questo terrà alta la testa» (Sai. 109, 7).
Giunti ai bastioni di Gerusalemme, la porta s’apre davanti al prigioniero; la città, ancora avvolta nelle ombre della notte, non sa dell’attentato compiuto: solo domani saprà, al levar del giorno, che Gesù di Nazaret, il grande Profeta, è caduto nelle mani dei prìncipi dei sacerdoti e dei farisei. La notte è alta, il sole tarderà ancora molto ad apparire. I nemici di Gesù hanno progettato di consegnarlo nella mattinata al governatore Ponzio Pilato come perturbatore della quiete pubblica; frattanto vogliono giudicarlo e condannarlo per reato in materia religiosa. Infatti il loro tribunale, pur avendo diritto di discutere cause di tale natura, è incompetente ad emanare sentenze di pena capitale. Quindi Gesù viene condotto da Anna, suocero del sommo sacerdote Caifa, nella casa del quale s’era stabilito dovesse aver luogo un primo interrogatorio. Assetati di sangue, questi uomini trascorrono la notte senza riposare un istante. Mentre le loro guarnigioni operavano nell’Orto degli Olivi, essi contavano i momenti, incerti com’erano dell’esito della congiura.
Quando finalmente videro comparire la preda, gongolarono di gioia nel pregustare la soddisfazione delle loro brame crudeli.

A questo punto sospendiamo il doloroso racconto per riprenderlo domani, quando la corsa del tempo farà precipitare le ore, in cui avvennero gli augusti misteri che ci istruiscono e ci salvano. La giornata che abbiamo passata è colma dei benefici del Salvatore: ci ha dato in cibo la sua carne, ha istituito il nuovo sacerdozio, ci ha aperto il suo cuore con tenere effusioni d’amore. L’abbiamo visto, si, in preda alla debolezza umana, davanti al calice della sua Passione ma; l’abbiamo veduto anche trionfante di se stesso, perché ci voleva salvare. Ora lo vediamo tradito, incatenato, trascinato prigioniero nella città santa, per ivi consumare il suo sacrificio. Adoriamo ed amiamo il Figlio di Dio, che poteva salvarci con la più piccola delle sue umiliazioni; mentre è ancora all’inizio del grande olocausto che ha voluto accettare il suo amore per noi.

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