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lunedì 2 maggio 2022

Crisi nella Chiesa: R. Kaschewski, "Tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale" con Presentazione di Paolo Pasqualucci.

Preceduto dalla ‘Presentazione’ di Paolo Pasqualucci, pubblico l’importante studio del periodo 1980-82 elaborato dal prof. Rudolf Kaschewski (1939-2020), sulle variegate manipolazioni subite dai testi latini liturgici tradizionali utilizzati dagli artefici della Messa del Novus Ordo
Uno studio certosino da cui emerge con maggiore consistenza la gravità e lo spirito dei tagli e delle modifiche in termini di annacquamento quando non addirittura di cambiamento di senso delle formule del Messale riformato di Paolo VI rispetto al Missale Romanum tradizionale. Il saggio completo apparirà appena pronta la traduzione della seconda parte e, a breve, farà parte di un lavoro più esteso già in itinere
Michael Davies, con icastica efficacia che ben rispecchia l'analogia con quanto avvenuto con la Messa riformata del Novus Ordo, afferma: “nel nuovo rito anglicano della messa, quello del Prayer book del 1549, non troveremo affermate delle eresie, ma omesse verità di fede essenziali. Le omissioni, il “taciuto”, in liturgia è sempre grave, perché rinunciare ad affermare con completezza e chiarezza tutte le verità di fede implicate, può portare a un vuoto di dottrina nei sacerdoti e nei fedeli che nel futuro apre il campo all'eresia: in parole semplici oggi sei cattolico con una messa eccessivamente semplificata, domani senza saperlo ti ritrovi protestante perché la forma della tua preghiera non ha nutrito più la tua fede”.
Precedenti: Miti da sfatare: quanto del messale del 1962 viene effettivamente utilizzato nel messale post-Vaticano II? [qui]; “Tutti gli elementi del Rito Romano?” Un mito sfatato, Parte II [qui]; Gli oltrepassamenti franchi del NO perfino rispetto alle prescrizioni conciliari [qui]; La «Sacrosanctum Concilium» oltrepassa la «Mediator Dei» [qui]; Traditionis custodes e i rigurgiti della 'discontinuità' [qui]; I rischi connessi all'introduzione dei nuovi Messali (col connesso problema delle traduzioni effettuate con spirito modernista) [qui].  Elementi da unificare, insieme ad altri già individuati, per un lavoro organico più ampio e articolato.

Tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale
di Rudolf Kaschewsky

I - Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive

SOMMARIO - ‘Presentazione’ di Paolo Pasqualucci - Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive. Tabella : Panoramica delle Orazioni latine nel Nuovo Messale – Abbreviazioni della letteratura utilizzata – 1. Modifiche e variazioni neutrali – 2. Modifiche che tramite un lieve cambiamento di significato provocano la perdita della concretezza originaria – 3. Perdita della concretezza in favore di una fluidità sempre più grande – 4. Livellamento del rapporto tra l’uomo e Dio – 5. Verità nascoste: il peccato, il giudizio, la necessità dell’espiazione - 6. “Apertura al mondo” - 7. Allontanamento dalla sacralità – 8. Disprezzo nei confronti del carattere sacrificale – Indici : Index I; Index II - 9. La riformulazione delle Intercessioni nella liturgia del Venerdì Santo.
* *
Presentazione
di Paolo Pasqualucci

La Nuova Messa in volgare, costruita a tavolino dopo il Concilio Vaticano II grazie anche alla “consulenza” di esperti protestanti, al fine di consentire una maggiore partecipazione dei fedeli al rito trasformandolo in senso “comunitario”; al fine di improntarlo ad uno spirito cosiddetto “ecumenico” o di apertura ai non-cattolici e persino ai non-cristiani, si è servita anche dei testi tradizionali in latino che da tanti secoli intessono il rito romano antico, modificandoli ampiamente: rito il cui Canone risale ai tempi apostolici, secondo l’opinione costante dei Romani Pontefici. Questa manipolazione è per forza di cose passata inosservata presso la gran parte dei fedeli. Ma non possiamo e non dobbiamo ignorarla. Al contrario, dobbiamo renderla nota a tutti, in modo che il tradimento della fede che essa testimonia resti agli atti: non solo per documentare l’intenzione perversa che animava i responsabili del nuovo rito, ma anche per render i fedeli edotti della necessità di abbandonare un rito così manipolato, niente affatto in armonia con la bimillenaria tradizione liturgica della Chiesa.
Pertanto, si pubblica qui la traduzione italiana della prima parte del magistrale saggio (scritto tra il 1980 e il 1982) del professore tedesco Rudolf Kaschewski (1939-2020), che per l’appunto dimostra la frequente trasformazione degli antichissimi testi delle Orazioni incluse nella S. Messa domenicale e festiva, attuata in vari modi: con manipolazioni annacquanti o stravolgenti il testo originario, omissioni, tagli a passi dei Vangeli da leggere nelle chiese in quelle stesse Messe.
Nell’incipit del suo accuratissimo studio, il prof. Kaschewski si riallaccia ad una documentata denuncia delle trasformazioni e manipolazioni già fatta da mons. Georg May, teologo e canonista tedesco, professore di diritto canonico all’Università di Mainz, nato nel 1926, prelato pontificio (nominato protonotario apostolico sopranumerario da Benedetto XVI), in un suo libro che risale addirittura al 1975: Die alte und die neue Messe [L’antica e la nuova Messa], Düsseldorf, 1975. Mons. May esortava ad “un confronto letterale della Nuova Messa con la Santa Messa Cattolica”. Questo confronto il prof. Kaschewski lo ha fatto cominciando con l’indagare sulle “orazioni domenicali e festive”. Questo il quadro da lui messo a fuoco:
“L’analisi delle orazioni si articola su tre livelli: 1. Alcune orazioni sono state trasportate dal Missale alla Nuova Messa; tuttavia, già nel testo latino [come appare nel Nuovo Messale] sono state apportate modifiche molto tendenziose, che devono essere analizzate. 2. Si possono collazionare e confrontare da una parte le orazioni completamente cancellate e dall’altra quelle introdotte ex novo. 3. Infine, la “traduzione” in lingua vernacolare costituisce un vasto campo per un’indagine sua propria, a causa di una distanza dall’originale così totale da farsi beffe anche delle basi più elementari di ogni elaborazione filologica del testo. Ciò dimostra non solo che le (poche) orazioni trasposte immutate dal vecchio Missale al nuovo Messale latino, sono state tradotte reinterpretandole in parte in modo quasi grottesco; dimostra inoltre che le nuove orazioni latine sono state tradotte in modo da apparire talvolta spogliate anche dell’ultimo residuo delle credenze originarie“.(1)
Ma chi era il prof. Kaschewski? Mi sembra doveroso illustrare brevemente la sua notevole figura di studioso, pur disponendo solo di scarni dati.
Nato il 16 aprile 1939 a Colonia, morto il 4 dicembre 2020 a Sankt Augustin, presso Bonn, fu soprattutto “mongologo e tibetologo”. Eccezionale conoscitore delle lingue antiche, inclusi ebraico e arabo, si specializzò nelle antiche lingue mongole e tibetane, senza trascurare il cinese e l’antica cultura indiana. Ottenne anche il diploma in teologia cattolica nel 1963.
“Il suo campo specifico era costituito dai problemi connessi alle traduzioni di testi mongoli e tibetani (terminologia, sintassi), dal rapporto tra antiche e moderne traduzioni in lingua mongola, confrontate con la formazione delle traduzioni greche e latine dei Salmi ebraici (varianti al testo nei Commentari ai Salmi di Agostino); dai paralleli fra la Scolastica medievale cristiana e la Scolastica buddistico-tibetana”.(2)
Come si vede, uno studioso dall’eccezionale cultura e preparazione filologica, anche dal punto di vista del metodo, campo nel quale gli studiosi tedeschi sono sempre stati molto ferrati. Ma il prof. Kaschewski seguì attentamente anche la crisi apertasi nella Chiesa con il Concilio Vaticano II. Quest’aspetto della sua personalità fu illustrato nell’omelia tenuta dal P. Franz Schmidberger della FSSPX in occasione del suo funerale. Cattolico praticante, devoto padre di famiglia, il prof. Kaschewski, iniziatasi la devastante crisi postconciliare, si è subito distinto nella difesa della vera liturgia cattolica. Dal 1983 al 2009 redasse e pubblicò Una Voce-Korrespondenz, sezione tedesca della rivista mensile plurilingue della benemerita associazione internazionale Una Voce costituitasi nel 1966 per impulso di autorevoli personalità della cultura europea, dedita alla difesa e conservazione della Liturgia cattolica tradizionale. Egli vi si distinse per alcuni articoli scientificamente critici della nuova liturgia. Nel 1988, sostenne pubblicamente le Consacrazioni episcopali fatte da mons. Marcel Lefebvre senza mandato pontificio a fine giugno di quell’anno, unico rinomato intellettuale tedesco a farlo.(3)
Da parte mia voglio ricordare il valido contributo da lui offerto, in campo canonistico, con un breve ma incisivo articolo sul concetto dello stato di necessità, pubblicato nel numero di marzo-aprile 1988 di Una Voce - Korrespondenz, nel quale dimostrava, a mio avviso in modo inoppugnabile, come, proprio secondo il diritto vigente della Chiesa, la scomunica latae sententiae non potesse applicarsi a una consacrazione vescovile fatta senza mandato pontificio ma nella convinzione di trovarsi in stato di necessità.(4)
L’opera qui tradotta, come si è detto, costituisce la prima parte di uno studio sulle “tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale”. Lo studio si divide in due parti:
I. Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive; 
II. Le traduzioni in tedesco delle orazioni domenicali e festive.
Questa seconda parte, che non viene al momento pubblicata, si presenta più complessa da rendere in italiano, dedicata com’è alle traduzioni in tedesco delle orazioni. Tuttavia, anche qui emergono dati molto interessanti, non solo nel testo ma anche nelle tre Appendici, nelle quali il prof. Kaschewski raccoglie :
(I) le parole latine la cui traduzione letterale è stata eliminata (adorare, aeternus, arcanum, caelestis, devotio, gratia, maiestas, propitiatio, etc., per un totale di 100);
(II) le parole tedesche inserite nelle traduzioni, prive di ogni equivalente nel latino (pane [Brot] al posto di mysterium, sacramentum; pienezza dello Spirito [Fülle des Geistes]; tavola [Tisch]; Casa del Padre [Vaterhaus]; segno [Zeichen] nel senso di mysterium, etc., per un totale di 31);
(III) I 22 tagli apportati ai passi di Vangeli letti nelle Messe domenicali e festive. Ad esempio, di Matteo non vengono più letti: l’ammonimento sui falsi profeti; i Figli del Regno saranno gettati nelle tenebre esteriori, ove saranno pianto e stridor di denti; la tempesta sedata; indissolubilità del matrimonio; Cristo Figlio di Davide, etc.; --- di Marco, la moltiplicazione dei pani; --- di Luca, la profezia su Giovanni Battista; la parabola del seminatore; la cacciata di uno spirito maligno; la predizione della Passione; il pianto sopra Gerusalemme; la parabola del fico che mette i germogli, concludentesi con le parole “il cielo e la terra passeranno ma le mie parole non passeranno”, etc. ; --- di Giovanni, la guarigione del figlio di un dignitario di corte; fare la volontà del Padre per esser risuscitati l’ultimo giorno; “questo linguaggio è duro, chi lo può ammettere?”; chi è il principe di questo mondo; il c.d. “discorso d’addio” del Signore agli Apostoli (Giov 16, 23-30); etc.
I tagli e le omissioni erano, evidentemente, necessari per poter far leggere nelle chiese brani dei Vangeli m u t i l a t i, indispensabili al fine di confezionare l’immagine edulcorata, irenica, caramellosa e in definitiva del tutto falsa ed ingannevole del Cristianesimo che piace allo spirito neo-modernista affermatosi nel Concilio.
* * 
Il riferimento ai 22 tagli scoperti dal prof. Kascewski l’ho trovato diversi anni fa in Iota Unum di Romano Amerio, nel cap. XXXVIII, dedicato alla riforma liturgica. Nel § 288 Bibbia e liturgia, Amerio critica giustamente la pretesa conciliare di mettere tutti a contatto diretto, più ampio con la Bibbia (costituzione Sacrosanctum Concilium sulla liturgia, artt. 35, 51; costituzione Dei Verbum sulla Divina Rivelazione, artt. 22, 25), intendendosi con Bibbia soprattutto l’Antico Testamento, che infatti nella Messa Novus Ordo viene sempre letto in terza battuta, appesantendo enormemente e senza motivo la cosiddetta “liturgia della Parola” . Amerio annota che in tal modo si è capovolta l’impostazione secolare della Chiesa, volta sempre ad un lettura “ristretta” del Testo Sacro, comunque sempre mediata dall’interpretazione costruita nei secoli dalla Chiesa, diffusa già nella sua omiletica intessuta di citazioni bibliche.(5)

“La disciplina della Chiesa in questa materia poggia sopra una qualità innegabile della Bibbia. La Bibbia è un libro difficile e contiene e celebra fatti che esigono molte cognizioni per essere riconosciuti nel loro significato morale e che riescono scandalosi alla comune degli uomini. Tali sono la meretrice di Osea, Oolla e Ooliba in Ezechiele, la gesta proditorie di Giuditta, l’incesto di Thamar, l’adulterio di Davide, gli sterminii dei herem […] Che difficile sia la Bibbia e per ragioni filologiche e per ragioni storiche e per ragioni morali, lo si può provare ad apertura di libro, e lo attesta di sé la Bibbia medesima. In Eccle., I, 8 si annuncia la difficoltà generale del linguaggio: “Cunctae res difficiles; non potest eas homo explicare sermone”. Ma II Petr., 3, 16 afferma in particolare la difficoltà di alcuni luoghi di san Paolo e in universale di tutta la Bibbia, sempre possibile a stravolgersi: “in quibus sunt quaedam difficilia intellectu, quae indocti et instabiles depravant sicut et caeteras Scripturas”.
Peraltro la prova perentoria che la Scrittura è difficile e non universalmente divulgabile, è data paradossalmente dalla presente riforma medesima. Essa invero ha fatto nei testi biblici quello che fu fatto per i classici latini nelle edizioni espurgate ad usum Delphini, ma che non fu mai osato per il sacro testo. La riforma ha infatti stralciato dai Salmi cosiddetti imprecatorii i versicoli che sembrano incompatibili colle vedute ireniche del Concilio, mutilando il sacro testo e sottraendolo per così dire furtivamente alla cognizione di tutti, chierici e laici. Ha inoltre espunto interi versicoli dai testi del Vangelo nelle Messe in 22 punti che toccano il giudizio finale, la condanna del mondo, il peccato”.(6)
E continuava Amerio, ribadendo una verità che oggi sembra essersi smarrita: “Per le difficoltà linguistiche e storiche, per la molteplicità dei sensi, teorizzata dalla teologia, e per il principio cattolico che la Chiesa possiede le Scritture e (a differenza della Sinagoga) anche il senso delle Scritture, la disciplina della Chiesa prescriveva che la Bibbia si porgesse al popolo di Dio per la mediazione del sacerdozio; che si discernessero le parti da divulgare e quelle da riservare; che in generale la cognizione del sacro testo avvenisse solo attraverso la liturgia, la catechesi e l’omiletica; che per testo ufficiale e autentico fosse ritenuta la sola Vulgata e su di essa si fondassero le traduzioni; e infine che le volgarizzazioni fossero tutte autorizzate e accompagnate da chiose interpretative secondo il senso della Chiesa. Questa disciplina è stata variata…”.(7)
Variata, con le disastrose conseguenze che sono sotto gli occhi di tutti.

* *
Le mutazioni nelle antiche preghiere liturgiche della domenica e dei giorni festivi nonché il significato sottilmente ammodernante delle novità introdotte, sono documentate in modo impressionante nel saggio del prof. Kaschewski. Ne offro qui una breve silloge.

La “nascita di Nostro Signor Gesù Cristo” diventa “la nascita del Redentore”. Tende di fatto a scomparire l’espressione antichissima: “Nostro Signor Gesù Cristo”. Così si attenua il concetto che il Redentore è nello stesso tempo il Signore, che un giorno verrà nella sua Gloria a giudicarci tutti. Gesù è il Redentore senza esser più il Signore.

“Signore Gesù, facci imitare la Tua Santa Famiglia” (forma antica) diventa: “Padre clementissimo, facci seguire l’esempio della Sacra Famiglia”. In questo, come in altri luoghi, si tende ad attribuire al Padre l’azione salvifica del Figlio, oscurando pertanto la nozione della S.ma Trinità.

“Omnipotens Deus” diventa “misericors Deus”.

“ I doni dei tuoi popoli” diventa “i doni del tuo popolo”.

“Tuo Figlio, l’autentica pietra angolare”, diventa semplicemente: “Tuo Figlio”. Scompare il “profondo simbolismo” secondo il quale Cristo è diventato la "pietra angolare”, che regge tutto l’edificio.

“Che Egli sottometta ad essa [ossia alla Chiesa] Principati e Potestà” : questa parte dell’antica orazione è stata semplicemente cancellata.

“Ci guidi e ci protegga”, diventa: “e diventi causa di ricompensa eterna per coloro che agiscono obbedendo alla Tua volontà”.

“Hai concesso ai Tuoi servi la grazia, nella confessione..” diventa: “dacci [la grazia] nella confessione..”. Il “tuoi servi” viene sostituito da un banale “noi”.

Nella “preghiera di benedizione” del Venerdì Santo, è stato omesso il riferimento alla passione; infatti, “che… la passione e la morte di Tuo Figlio… ha ottenuto” diventa “che…la morte di Tuo Figlio… ha ottenuto”.

Da notare in particolare questa variazione, ottenuta cambiando una sola parola: “affinché, per opera della Tua bontà paterna, noi diventiamo un cuore solo” (tua facias pietate concordes) diventa: “affinché noi diventiamo un cuore solo all’interno dello stesso amore” (una facias pietate concordes). Il mutamento di significato avviene passando da tua pietate a una pietate. Sottolinea il prof. Kaschewski: “mentre nel testo antico originale si intende la bontà paterna di Dio (attraverso la quale e in cui anche gli uomini devono essere uniti tra loro), nel nuovo testo è l’affetto reciproco che dovrebbe realizzare l’unità: il livellamento da una relazione verticale a una relazione orizzontale è qui particolarmente chiaro”.

Si è abbandonata la “richiesta di perdono per i nostri peccati” perché considerata troppo “generica”, idea del tutto assurda, osserva il prof. Kaschewski. Per cui: “e purificaci dalle macchie dei nostri peccati” diventa: “mostrandoci la vita nella verità e promettendoci la vita del Regno dei Cieli”.
 
“Ci hai salvati dal cadere nella morte eterna” diventa “ci hai salvati dalla schiavitù del peccato” – l’idea della “morte eterna” ossia della eterna dannazione del peccatore impenitente viene silenziata.

“Ci hai restaurati attraverso la sofferenza e la morte del Tuo Cristo” diventa “ci hai restaurati per mezzo della morte e risurrezione salvifica del Tuo consacrato”. La sofferenza di Cristo viene cancellata.
 
“disprezzare le cose terrene e amare quelle celesti” (terrena despicere et amare caelestia) diventa “valutare saggiamente le cose terrene e connettersi a quelle celesti” (terrena sapienter perpendere et caelestibus inhaerere): il compromesso con il mondo, l’infame “apertura” ai suoi falsi valori.

“Alla nostra pace eterna” diventa “alla vera pace e alla liberazione di tutti”.

“L’invocazione del Tuo Santo Nome” diventa “ l’invocazione del Tuo Nome”. Dall’invocazione del Santo Nome di Gesù scompare dunque il “santo”.
 
Le preghiere di intercessione per la conversione dei non-credenti di tutte le specie vengono trasformate in modo incredibile, facendo capire che non si vuole più convertire nessuno. Continua il prof. Kascewski:
“Se prima si pregava per “tutti i falsi maestri e scismatici” (pro haereticis et schismaticis) ora lo si fa eufemisticamente “per tutti i fratelli che credono in Cristo”. Pertanto, Dio non avrebbe più bisogno di “salvarli da tutti i loro errori” (eruat eos ab erroribus universis), ragion per cui si prega che Egli “raccolga e conservi” in una sola Chiesa “coloro che compiono la verità” (veritatem facientes)”. Osservo: cosa significhi “compier la verità” non si saprebbe esattamente dire. Comunque, è chiaro che questo “raccogliere e conservare” eretici e scismatici in uno con i cattolici “avviene a favore di una Chiesa che non può essere quella cattolica ma solo una Chiesa che non si può definire con maggior esattezza (una ecclesia)”.
Dell’azione del Demonio si vuol far perder ogni traccia:
“E mentre in passato le anime degli erranti erano considerate “ingannate dalle astuzie di Satana” (animas diabolica fraude deceptas), questo riferimento è ora del tutto assente; si afferma solo, in modo molto ottimista, che tutti sono stati “santificati” da un “unico battesimo” (quos unum baptisma sacravit)”.
Particolarmente grave lo stravolgimento delle preghiere di conversione per gli ebrei.
 
“La preghiera per gli ebrei non afferma più di chiedere la loro conversione (conversione), affinché “Dio Nostro Signore tolga il velo dai loro cuori” (Deus et Dominus noster auferet velamen de cordibus eorum). Tutto ciò è stato rimosso. Si è solo ribadito – di nuovo, in modo assai ottimista – che “Dio ha parlato a loro per primi” (ad quos prius locutus est). Ciò è assolutamente vero, ma gli ebrei non accettano il fatto decisivo che Cristo è il Messia, ed è per questo che dovremmo pregare affinché lo facciano!”.

Ovviamente, “non si prega più nemmeno per la conversione dei non credenti ma in generale “per tutti coloro che non credono in Cristo”, senza nominare la conversione. Il testo antico originale diceva : “affinché abbandonino i loro idoli e si rivolgano al Dio vivo e vero” (ut relictis idolibus suis convertantur ad Deum vivum et verum). Oggi, in un momento in cui sono già molti coloro che stanno introducendo idoli e testi pagani nel culto (e lo chiamano acculturazione del Vangelo), questa preghiera non viene più recitata ma si chiede, in modo più astratto, “che anche i non-credenti, illuminati dalla luce dello Spirito Santo, siano capaci di entrare nella via della salvezza” (ut luce sancti spiritus illustrati viam salutis et ipsi valeant introire), senza menzionare concretamente quali sono le conseguenze logiche e morali, ossia che ciò presuppone come condizione l’abbandono della loro religiosità pagana!”

L’illustre autore scriveva queste cose agli inizi degli anni Ottanta del secolo scorso, quarant’anni fa. La pratica perversa d’introdurre “idoli e testi pagani” nel nostro culto, solo occasionalmente e blandamente censurata, è andata tanto oltre da costringerci ad assistere alle oscene, blasfeme cerimonie pagane addirittura nella stessa Basilica di S. Pietro, tre anni fa, quando papa Francesco, con gran codazzo di dignitari ecclesiastici, sciamani e sciamane, fece celebrare, prendendovi parte, il culto dell’idolo andino ligneo detto Pachamama, nel silenzio complice, per non dire partecipe, della quasi totalità della gerarchia!
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1. Rudolf Kaschewski, Tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale, I, Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive; tr. it. di Antonio Marcantonio, pp. 1-2; da : Una Voce-Korrespondenz, Deutschland e.V., 10.Jahrgang, Heft 5 – September/Oktober 1980. Titolo dell’originale: Tendenzen in den Orationen des Neuen Missale, I – Änderungen im lateinischen Text der Sonn-und Feiertagsorationen. Si ringrazia la direzione di UVK-Deutschland per aver gentilmente autorizzato la presente traduzione. Il testo consta di un articolo di 35 pagine formato A4, preceduto da una ‘Premessa’ (Vorbemerkung) della Redazione della rivista, di una pagina.
2. Rudolf Kaschewski, de.wikipedia. org.
3. Ansprache zur Beerdigung von Herrn Dr. Rudolf Kaschewsky, 15. Dezember 2020 in St. Augustin/Bonn; gloria.tv/post-de.news.
4. Rudolf Kaschewski, Au sujet de la consécration épiscopale sans mandat pontifical, tr. fr. in Courrier de Rome (a cura di), La tradition ‘excommuniée’, Paris, 1989, pp. 51-57. Si tratta di una raccolta di articoli e saggi. L’identica tesi fu sostenuta nel 1995 dall’allora giovane canonista americano, P. Gerald Murray in una “tesina di licenza” in diritto canonico presentata alla Pontificia Università Gregoriana e approvata dai suoi professori. Il P. Murray, sempre in base al diritto canonico vigente, negava anche il “significato scismatico” attribuito da Giovanni Paolo II alla disobbedienza di mons. Lefebvre.
5. Romano Amerio, Iota Unum. Studio delle variazioni della Chiesa nel secolo XX, Riccardo Ricciardi Editore, Milano-Napoli, 19862, pp. 537-538. Ricordo che la numerazione dei paragrafi nel libro di Amerio è progressiva dall’inizio.
6. Op. cit., pp. 538-539. In nota, Amerio rinviava per l’appunto all’articolo del prof. Kaschewski, qui tradotto (UVK, 1982, n. 2/3). Si trattava tuttavia della seconda parte di esso, che speriamo di poter tradurre in un prossimo futuro.
7. Op.cit., p. 539. 
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UNA VOCE-KORRESPONDENZ
Editore: UNA VOCE Deutschland e.V.
10˚ Anno, Quaderno 5 — Settembre/Ottobre 1980

Premessa
Questo numero viene pubblicato in ritardo. I ritardi hanno spesso diverse cause, una delle quali, nel caso di UVK, è il fatto che i volontari che vi collaborano devono riuscire a conciliare il tempo da dedicare all’esercizio della loro professione quotidiana con quello necessario a creare gli articoli originali e le traduzioni, e quindi a volte non riescono ad essere puntuali. Non è raro che riviste scientifiche appaiano a intervalli irregolari. Tuttavia, anche il sesto numero di quest’anno è già in lavorazione e includerà ulteriori presentazioni del Congresso di UNA VOCE di quest’anno.
Per alcuni lettori, affrontare il saggio del Dr. Rudolf Kaschewsky all’inizio di questo numero rappresenterà un arduo compito. Ma un saggio di questo genere è estremamente importante, giacché mostra dettagliatamente le carenze del Nuovo Messale. Alcuni dei nostri lettori si sono rivolti al loro vescovo locale chiedendogli di autorizzare di nuovo la celebrazione della Messa antica e ricevendo l’insoddisfacente risposta secondo la quale, con la nuova, non sarebbe cambiato nulla di essenziale. A livello superficiale, molti dei nuovi testi suonano anche del tutto devoti: solo un esame più attento rivela le loro tendenze pericolose e “smitizza” la nuova liturgia tanto lodata dai suoi autori. Chiediamo quindi agli abbonati che trovano troppo noioso affrontare un argomento così difficile di continuare a sostenere in futuro il lavoro di UVK, poiché non esiste un’altra pubblicazione in cui articoli di questo tipo siano ospitati.
Si può notare una traiettoria discendente nella liturgia postconciliare: i testi latini di Roma, le ancor più discutibili “traduzioni in volgare” e la permissività mostrata da molti sacerdoti nella celebrazione della Santa Messa, che spesso si spinge fino al banale e al blasfemo.
[…]

Tendenze nelle orazioni del Nuovo Messale
di Rudolph Kaschewsky

I
Cambiamenti nel testo latino delle orazioni domenicali e festive


Nel suo libro Die alte und die neue Messe [L’antica e la nuova messa] (Düsseldorf 1975), G. May ha indicato con insuperabile meticolosità le carenze della nuova liturgia rispetto all’ Ordo Missae, e ha fatto allo stesso tempo notare che “bisognerebbe fare delle critiche serie” anche ad elementi del Proprium, ossia quella parte della Santa Messa che varia a seconda del giorno. [1] Ciò vale in particolare per le orazioni (preghiera ecclesiastica o preghiera del giorno, oratio, preghiera silente o preghiera dell’offertorio, secreta e preghiera finale, postcommunio), dato che sono gli unici testi che non sono tratti dalla Sacra Scrittura; naturalmente si potrebbero fare molte osservazioni sulle letture (selezione, omissioni, arrangiamento, traduzione). [2]
Le orazioni del Missale Romanum hanno subito una trasformazione che non solo è irritante per ogni credente dotato di raziocinio, ma non può nemmeno far rimanere tranquillo lo studioso di religione, visto il massiccio smantellamento del sacro che vi viene esercitato. Qui è opportuno raccogliere l’appello di G. May, ovvero “non accontentarsi delle lamentele generali! Bisogna realizzare un confronto letterale della Nuova Messa con la Santa Messa Cattolica!” [3]
Da qualsiasi parte si inizi, il risultato è ugualmente univoco e spaventoso. C’è solo da sperare che una sobria presentazione del materiale testuale possa aiutare coloro che hanno conservato una mente obiettiva e una giusta “maturità” ad avere una visione chiara della situazione. Si può realizzare un’analisi dei testi delle orazioni su tre livelli: 1. Alcune orazioni sono state trasportate dal Missale alla Nuova Messa; tuttavia, già nel testo latino sono state apportate modifiche molto tendenziose, che devono essere analizzate. [4] 2. Si possono compilare e confrontare da una parte le orazioni completamente cancellate e dall’altra quelle introdotte ex novo. — 3. Infine, la “traduzione” in lingua vernacolare (qui [nel testo originale di Kaschewsky — N.d.T.] in tedesco) costituisce un vasto campo di lavoro indipendente, a causa di una totale distanza dall’originale che si fa beffe anche delle basi più elementari di ogni elaborazione filologica del testo; ciò dimostra che non solo le (poche) orazioni che sono state trasportate immutate dall’antico Missale al nuovo Messale latino sono state in parte reinterpretate in modo quasi grottesco nella loro traduzione, ma anche che, nella traduzione stessa, le nuove orazioni latine sono talvolta state spogliate anche dell'ultimo residuo delle credenze originarie. 

Tabella
Panoramica delle Orazioni latine del Nuovo Messale
  • A 1 = ripresa senza variazioni dallo stesso giorno
  • A 2 = ripresa senza variazioni dal Missale antico, ma seguendo un altro formulario della Messa
  • B 1 = ripresa dallo stesso giorno, ma col testo modificato
  • B 2 = testo alterato mediante l’uso di un diverso formulario della Messa antica
  • C 1 = nuovo testo; uso di sacramentari e di versioni più antiche del Missale
  • C 2 = testo completamente rielaborato
  • O = Oratio (preghiera della Chiesa, preghiera del giorno)
  • S = Secreta (preghiera silente, offertorio)
  • P = Postcommunio (preghiera finale)
Alla fine sono elencate le preghiere del Venerdì Santo e della Veglia Pasquale (ad eccezione delle orazioni della Messa). Man mano che vengono trattate le nuove preghiere, si forniscono le nuove designazioni delle domeniche e dei giorni festivi. Le nuove “domeniche nel ciclo annuale” non corrispondono a domeniche specifiche dopo l’Epifania o dopo la Pentecoste (cambiano ogni anno). Perciò le preghiere di quelle domeniche, in quanto tratte dall'antico Missale, sono tutte contrassegnate con A 2 o B 2.

Sante Messe O S P
1ª domenica di Avvento  
2ª domenica di Avvento  
3ª domenica di Avvento
4ª domenica di Avvento
Immacolata Concezione 
Vigilia di Natale   
Natale, 1ª Messa   
Natale, 2ª Messa   
Natale, 2ª Messa  
Santo Stefano   
Sacra Famiglia [5]   
Solennità della Madre di Dio  
(Ottava di Natale)
2ª domenica dopo Natale  
Epifania   
Battesimo del Signore [6]   
2ª domenica del ciclo annuale   
3ª domenica del ciclo annuale   
4ª domenica del ciclo annuale   
5ª domenica del ciclo annuale   
6ª domenica del ciclo annuale   
7ª domenica del ciclo annuale [7]   
1ª domenica di Quaresima   
2ª domenica di Quaresima   
3ª domenica di Quaresima   
4ª domenica di Quaresima  
5ª domenica di Quaresima   
(Domenica di Passione)
6ª domenica di Quaresima  
(Domenica delle Palme)
Giovedì Santo   
(Messa crismale)
Giovedì Santo   
(Ultima Cena)
Veglia Pasquale (Messa)     
Domenica di Pasqua     
Lunedi dell’Angelo     
2ª domenica del tempo pasquale     
(Domenica in Albis)
3ª domenica del tempo pasquale   
4ª domenica del tempo pasquale     
5ª domenica del tempo pasquale     
6ª domenica del tempo pasquale 
Ascensione di Cristo 
7ª domenica del tempo pasquale 
Domenica di Pentecoste [8]   
Festa della Trinità   
Corpo di Cristo 
8ª domenica del ciclo annuale    
9ª domenica del ciclo annuale 
10ª domenica del ciclo annuale   
11ª domenica del ciclo annuale
12ª domenica del ciclo annuale     
13ª domenica del ciclo annuale   
14ª domenica del ciclo annuale    
15ª domenica del ciclo annuale 
16ª domenica del ciclo annuale
17ª domenica del ciclo annuale
18ª domenica del ciclo annuale
19ª domenica del ciclo annuale
20ª domenica del ciclo annuale 
21ª domenica del ciclo annuale
22ª domenica del ciclo annuale     
23ª domenica del ciclo annuale 
24ª domenica del ciclo annuale     
25ª domenica del ciclo annuale 
26ª domenica del ciclo annuale 
27ª domenica del ciclo annuale
28ª domenica del ciclo annuale   
29ª domenica del ciclo annuale 
30ª domenica del ciclo annuale 
31ª domenica del ciclo annuale
32ª domenica del ciclo annuale
33ª domenica del ciclo annuale
34ª domenica del ciclo annuale 
Giorno dell’Assunzione 
Festa di Cristo Re [9]
Ognissanti
C 1
C 1
C 1
A 2
A 1
A 1
A 1
B 1
C 1
A 1
C 2
B 1

C 1
A 1
C 1 + A 2
A 2
A 2
C 1
A 2
C 1
A 2
C 1
C 1
C 1
C 1
C 1

A 1

C 2

C 2

A 1
B 1
B 2
C 1

C 1 
C 1
C 1 
C 1
C 1
C 1
C 1
B 1 
A 1
A 2
A 2
B 2
A 2
 A 2
C 1
B 2
B 2
C 1
A 2
A 2
B 2
C 1
A 2
A 2
B 2
C 1
C 1
C 1
B 2
A 2
A 2
A 2
A 2 
A 2
C 1
A 2
 A 1
B 1
A 1
C 1
B 1
B 1
C 1
A 1
C 1
B 1
B 1
C 1
C 1
B 1
C 1

B 1
A 1
C 2
A 2
C 1
C 1
B 2
B 2
C 1
A 2
B 2
B 2
C 1
C 1

C 1

A 1

A 2

A 1
B 2
A 2 
B 2

A 2
A 2
A 1
C 1
C 1
A 2
C 1
B 1
A 1
C 1
C 1
B 2
A 2
C 1
C 1
B 2
B 2
A 2
A 2 
A 2
C 1
C 1
C 2
C 2
C 1
B 2
C 1
C 1
C 1
A 2
C 1
C 1
C 1
B 2
A 2
C 1
A 1
B 1
C 1
C 1
B 1
B 1
C 1
A 1
A 1
B 1
C 1
 B 1
C 1
B 1
 C 1

A 2
A 2
C 2
B 2
A 2
A 2
C 1
A 2
A 2
C 2
C 1
C 1
 A 2
A 2

A 1

C 1

C 1

A 1
C 1
C 1
A 2

C 1
C 1
C 1
C 1 + A2
C 1 
C 1 
C 1
A 1
A 1
C 1
C 1
A 2
A 2 
B 2
A 2
A 2
A 2
C 1
C 1
A 2
A 2
C 1
A 2
C 2
C 1
A 2
A 2
C 1
C 1
C 1
C 1
A 2 
B 2
C 1
B 2
A 2
A 1
B 1
C 1
Venerdì Santo: 
Reminiscere; Preghiere di intercessione 1b e 2a [10]: A 1
Deus, qui peccati; Preghiere di intercessione  1a, 2b, 3, 4b; preghiere finali: B 1
Preghiere di intercessione 4a e 5-9: C 2 
Notte di Pasqua:
2 preghiere della Veglia Pasquale della liturgia rinnovata del 1956 e 4 preghiere dell’antica liturgia del Sabato Santo: A 1
3 preghiere della Veglia Pasquale della liturgia rinnovata del 1956 e 2 preghiere dell’antica liturgia del Sabato Santo: B 1
1 nuova orazione: C 2

Solo le preghiere contrassegnate con A 1 (circa il 10%) sono state riprese invariate dallo stesso formulario della Messa. Tutte le orazioni contrassegnate con B costituiscono la base della nostra indagine. Le orazioni di nuova formulazione (C 1), basate su antichi sacramentari, e quelle completamente nuove (C 2), non possono essere qui trattate.

Queste modifiche, che riguardano solo la formulazione latina, possono essere classificate in otto gruppi tematici. Abbiamo numerato i passi modificati con le cifre consecutive dall’(1) al (68). In appendice c’è un elenco che fa riferimento ai numeri secondo Bruylants (ordinati in ordine alfabetico), che sono stati generalmente adottati negli studi liturgici. [11] A = testo originale, N = modifica nel Nuovo Messale.

Nelle note a piè di pagina facciamo riferimento alle menzioni, nella bibliografia su questo tema, all’orazione in questione; tali riferimenti ovviamente non sono completi, bensì hanno solo lo scopo di aiutare a comprendere ancor più chiaramente il significato originario di ciò che si intende nell’orazione. Tra parentesi aggiungiamo la nostra traduzione dei nuovi brani citati, poiché la traduzione ufficiale tedesca si discosta così tanto dal testo latino che spesso non è nemmeno possibile determinare quale espressione debba effettivamente riprodurre quali parole dell’originale latino. Per il resto, abbiamo sostanzialmente adottato la traduzione del testo antico di Schott per l’antica formulazione. 
 ____________________
[1] Op. cit., 220, p.3.
[2] Op. cit., p. 4.
[3] „Wo stehen wir?“ [A che punto siamo?] in: UVK 1980/1, p. 163.
[4] Questo punto è trattato dalla tesi di L. Weiß (Facoltà di teologia dell’Università di Friburgo, 1978): Die Orationen im Missale Romanum von 1970 [Le orazioni nel Missale Romanum del 1970]. Nonostante alcune incongruenze accidentali e il tentativo di sostenere senza eccezioni che le modifiche siano necessarie, giustificandole, questo testo costituisce un'eccellente raccolta di materiale.
[5] Antico: domenica nell’Ottava dell’Epifania (o 12 gennaio). Nuovo: domenica nell’Ottava di Natale (o 30 dicembre). 
[6] Due orazioni a scelta. 
[7] Per le altre “domeniche del ciclo dell'anno”, vedi dopo la Pentecoste. 
[8] Il lunedì di Pentecoste non c’è più nel Nuovo Messale!
[9] Antico: l’ultima domenica di ottobre, nuovo: la domenica anteriore alla prima domenica di Avvento.
[10] L’invito alla preghiera è contrassegnato con la lettera a, la preghiera con la b.
[11] In alcuni casi, sono state realizzate due modifiche (non direttamente correlate) di una stessa orazione: le abbiamo elencate separatamente, quindi due dei nostri numeri coincidono con un solo numero corrispondente di Bruylants.

Abbreviazioni della letteratura utilizzata
Bruylants = P. Bruylants: Les Oraisons du Missel Romain. 2 voll. Louvain 1952.
D = Tesi: Die Orationen im Missale Romanum von 1970. Presentata da L. Weiß. Facoltà di teologia di Erlangen 1978.
(Poiché le preghiere sono disposte secondo l’ordine del Missale, omettiamo il numero di pagina).
E = Ellebracht, Mary Pierre: Remarks on the Vocabulary of the Ancient Orations in the Missale Romanum. Nijmegen-Utrecht 1963.
GyE = Gypkens, Franz: Erlauschtes. Gedanken zur Postcommunio der Sonntagsmessen. Francoforte 1963.
GyR = Gypkens, Franz: Rostfrei. Zeitlose Gebete der Kirche. Betrachtungen zu Orationen der Sonn- und Feiertage des Kirchenjahres. Francoforte 1962.
K = Kirchgäßner, Ernst: Der Mensch schaut auf. Gedanken zu den Orationen der Sonn- und Feiertage. Paderborn 1960.
R = Reck, Franz Xaver: Das Missale als Betrachtungsbuch. Vorträge über die Meßformularien. 5 volumi. Friburgo in Brisgovia. 1909-1916.
Sch = Schorlemmer, Paul: Die Kollektengebete. Gütersloh 1928.
1. Riordini e variazioni neutrali
Pochi, pochissimi, cambiamenti nel Nuovo Messale mostrano o un tentativo di apportare un miglioramento stilistico oppure semantico preservando il significato originale, o nessuna tendenza particolare; tuttavia, questi cambiamenti sembrano spesso superflui e inappropriati.

Essi includono, ad esempio, semplici modifiche per motivi di ritmo della frase (cursus):

(1)
A imploramus … clementiam tuam (imploriamo la Tua misericordia)
N tuam … clementiam imploramus (la Tua misericordia imploriamo)

(2)
A ecclesia tua magna iam ex parte … (possa la Tua Chiesa vedere già in gran parte realizzata …)
N ecclesia tua magna ex parte iam

(3)
A largire supplicibus tuis (elargisci a noi che Ti supplichiamo la Grazia …)
N tuis largire supplicibus

(4)
A ut iis qui te auctore et gubernatore gloriantur, et congregata restaures et restaurata conserves (per rinnovare in coloro che si vantano di Te come loro creatore e guida ciò che hanno guadagnato e conservare ciò che è stato rinnovato)
N ut iis qui te auctorem et gubernatorem gloriantur habere, et grata restaures et restaurata conserves (per rinnovare ciò che è stato concesso e preservare ciò che è rinnovato per coloro che si vantano di averTi come creatore e sovrano)

(5)
A famulorum famularumque (i Tuoi servi e le Tue serve)
N famulorum (i Tuoi servi)
Questa modifica sembra strana: la nuova liturgia è abbastanza spesso ispirata al concetto dell’emancipazione del sesso femminile, quindi perché la riduzione qui alla mera forma maschile? Forse l’inclusione delle donne dovrebbe essere compito della traduzione nella lingua nazionale, dove (nella versione ufficiale) si dice “servi e serve”. 

(6) 
A per intercessionem Deiparae Virginis cum beati Joseph (per intercessione della Vergine Madre di Dio e di San Giuseppe) 
N Deiparae Virginis beatique Joseph interveniente suffragio (con l’aiuto intermediario …). suffragium è senza dubbio un'antica espressione che si riferisce all’intercessione dell'assistenza dei santi (E 172 s.), ma non si riesce a concepire alcuna ragione per cui sarebbe necessario sostituire la parola — peraltro molto chiara e ben nota — intercessio (intercessione). O si è forse ritenuto che il loro più astratto “aiuto” dovesse sostituire la concreta “intercessione”?

(7)
A meruimus auctorem vitae suscipere, Dominum Nostrum Jesum Christum (ci è stato permesso di ricevere l’autore della vita, il Nostro Signore Gesù Cristo) 
N meruimus Filium tuum auctorem vitae suscipere (ci è stato permesso di ricevere l’autore della vita, Tuo figlio) Questa modifica è dovuta al cambiamento (unificazione) di formule conclusive obbligatorie.

(8)
A tuis nobis succurre praesidiis (affrettaTi a venire in nostro aiuto con la Tua protezione)
N tuae nobis indulgentiae succurre praesidiis (… con la protezione che vi è nel Tuo perdono ...) L’accorrere in nostro aiuto da parte di Dio viene definito in modo più concreto: risulta in definitiva dalla misericordia divina, dal perdono dei nostri peccati. Tuttavia, ciò offusca in qualche modo la visione delle diverse forme di aiuto diretto (che certamente erano intese nella formulazione originale).

(9)
A sicut imaginem terrenae naturae necessitate portavimus (che inevitabilmente eravamo destinati a portare l’immagine della natura terrena)
N sicut imaginem terreni bominis naturae necessitate portavimus (che inevitabilmente eravamo destinati a portare l'immagine della natura terrena dell’uomo)

(10)
A credulitatis suae meritis (per i meriti della sua fede) 
N fidei suae meritis

 (11)
A novo semper foetu (costante nascita di nuovi figli) 
N nova semper prole

 (12)
A refulsit (brilla) 
N praefulsit 

* I numeri nelle note seguenti corrispondono al numero delle orazioni come indicato nel testo; la nota a piè di pagina è indicata da *. 

(10) Sostituire fides con credulitas non è sbagliato (né è necessario); secondo E (p. 28) credulitas corrisponde spesso a uno stile solenne. 
(11) Su foetus vedi Sch 88; riferimento a Gn 38, 4. La questione è se — come teme D — il pericolo di una comprensione “biologica” del feto sia reale. — R IV 263: i catecumeni sono chiamati foetus, “figli portati al mondo”, perché nati di nuovo da acqua e Spirito Santo.

 (13)
A conserva in nobis operam misericordiae tuae (conserva in noi l’opera della Tua misericordia) 
N conserva in nobis opus misericordiae

(14)
A nativitatem Domini Nostri Jesu Christi (la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo) 
N nativitatem Redemptoris Nostri (la nascita del nostro Redentore) 
Ovviamente Gesù è il nostro Redentore, ma perché evitare di continuare a chiamarlo “Nostro Signore Gesù Cristo”? Nelle due preghiere successive, l’invocazione è ora rivolta al Padre invece che al Figlio, con la stessa formulazione cui è ispirata la tendenza fondamentale del Nuovo Messale a insinuare l’idea che la redenzione sia opera del Padre. 

(15)
A ut quae … praecepisti (affinché ciò che … ci hai ordinato di fare)
N ut quae … Filius tuus praecepit (affinché ciò che … Tuo Figlio ci ha ordinato) Ma è proprio Gesù che viene qui invocato, poiché ha avuto compassione della nostra debolezza e “ci ha dato un evento santo”, cioè la Santa Messa*.

(16)
A fac, Domine Jesu, sanctae familiae tuae (Signore Gesù, facci imitare la Tua Santa Famiglia …)
N fac, clementissime Pater, sanctae familiae (Padre clementissimo, facci seguire l’esempio della Sacra Famiglia …)* 
La questione è se ciò non provochi la perdita della percezione delle peculiarità (proprietates) delle Tre Divine Persone: specialmente nella festa della Sacra Famiglia, il Figlio Gesù Cristo (con Maria e il padre putativo Giuseppe) è in primo piano.

(17)
A omnipotens Deus (Dio onnipotente)
N misericors Deus (Dio misericordioso)
Entrambe sono affermazioni basilari su Dio, ed entrambe spesso ricorrono insieme: Dio onnipotente e misericordioso! Viene però da chiedersi perché sia stata operata qui questa modifica: forse perché pensare alla misericordia di Dio è più confortante (e quindi più “ragionevole”)? A maggior ragione qui, dove si parla della grande opera richiesta e che solo l'Onnipotente può compiere.*

(13) Cfr. E 44 ss. (15) Su questa postcommunio cfr. GyE 294 s. - Questa preghiera non proviene dalla domenica “XXXII” dopo Pentecoste (come indica D), ma dalla 22ª. 
(16) GyE 29 ss. 
(17) GyE 26 ss.; Sch 97. — D dà al contrario, inavvertitamente, A misericors N omnipotens, probabilmente perché i nuovi testi tendono piuttosto a cancellare misericors.

(18)
A munera populorum tuorum (i doni del Tuo popolo) 
N plebis tuae oblationes (i doni del Tuo popolo)* 
populi si riferisce ai tanti (diversi) popoli, plebs significa “il” popolo di Dio: una sfumatura significativamente diversa. 

(19)
A Accepta … oblatio (accetta l’offerta; letteralmente: fa’ che sia quella che hai accettato) 
N Grata … oblatio (Ti sia gradita l’offerta) 
Il participio acceptus ha un carattere sacrificale specifico, come si evince dal verbo stesso (accipere, accettare), ma anche dal suo uso frequente nelle secretae.* Sostituirlo con grata non è sbagliato, ma nemmeno necessario! 
È quindi evidente che anche le modifiche, i riordini e le integrazioni cui non si vuole attribuire una tendenza negativa sono comunque quantomeno inutili, e a volte rappresentano anche un preoccupante slittamento di sfumature.
2. Modifiche che tramite un lieve cambiamento di significato provocano la perdita della concretezza originaria
Da un punto di vista semantico alcune espressioni destinate a sostituire quelle originali sono relativamente simili.
Pertanto, tali modifiche non solo sono superflue, ma non consentono nemmeno più di riconoscere chiaramente il significato particolare e concreto che si voleva affermare prima, ad esempio quando si sostituisce suscipe con il più generale intende placatus

(20)
A qui nova incarnati Verbi tui luce perfundimur (che siamo inondati dalla nuova luce del Tuo Verbo incarnato)
N dum nova incarnati Verbi tui luce perfundimur (mentre … dalla nuova luce)
Probabilmente si tratta solo di una variazione di stile. Tuttavia qui (che noi …) è più concreto ed esclusivo del più generico dum (mentre noi …).

(18) D non indica qui che si tratta dei secreta del giovedì della settimana D di Pasqua. — Cfr. E 49 e ss.
(19) Cfr. E 87.

(21)
A et pascitur et nutritur (viene pasciuto e nutrito) 
N renascitur et nutritur (viene fatto rinascere e viene nutrito) 
pascere, letteralmente “pascolare”, esprime con la massima chiarezza il fatto che il Signore ci conduce come un pastore dove viene preparato il cibo celeste.*

(22)
A a persecutione Aegyptiaca (dalla persecuzione degli egizi) 
N a persecutione Pharaonis (dalla persecuzione del faraone) 
Evidentemente, la preoccupazione che l’Egitto moderno potesse offendersi per l’antica formulazione ha provocato il cambiamento: invece il faraone, che potrebbe sentirsi offeso dalla nuova preghiera, non esiste più. Ci si chiede solo: ma questi sono veramente argomenti teologici?

(23) Qui la preghiera di intercessione per suddiaconi, accoliti, esorcisti, lettori, ostiari, confessori, vergini e vedove ha cessato di esistere dopo che gli ordini minori sono stati sommariamente aboliti con l’istruzione Ministeria Quaedam del 15 agosto 1972. Si registra quindi una mancanza di sensibilità per i compiti specifici e anche per le grazie particolari che devono essere richieste per i singoli stati. Pertanto si dice solo, in modo generico, et universa plebe fidelium (e per tutto il popolo dei fedeli).
3. Perdita della concretezza in favore di una fluidità sempre più grande 
Quanto è stato detto nelle sezioni precedenti a proposito delle modifiche relativamente insignificanti diventa molto più chiaro negli esempi seguenti. 

(24)
A Filium tuum, angularem scilicet lapidem (Tuo Figlio, l’autentica pietra angolare) 
N Filium tuum (Tuo Figlio) 
Il profondo simbolismo secondo il quale Cristo è diventato la “pietra angolare”, di supporto, viene semplicemente lasciato cadere.
Allo stesso modo, si ritiene che non ci si possa più aspettare che l’uomo moderno faccia scaturire il fuoco dalla pietra:
A productum e silice … ignem (il fuoco che abbiamo fatto scaturire dalla pietra)
N ignem (fuoco) 
Dove non si comprende più l’intreccio del mondo celeste con il mondo creato non c’è più spazio né per l’opera dell'ausilio divino in questa vita né per il governo spirituale della Chiesa sulla terra

(21) R IV 290.

(25)
A ut et vitae nobis praesentis auxilium et aeternitatis efficiant sacramentum (perché ci portino aiuto per la vita presente e siano mezzi di santificazione per l’eternità) 
N ut etiam aeternitatis nobis fiant sacramentum (che diventino per noi anche mezzi di santificazione per l’eternità)* 

(26)
A subiciens ei principatus et potestates (che Egli sottometta ad essa — ossia alla Chiesa — Principati e Potestà)
N — — (Questa parte dell’antica orazione è stata cancellata senza alcuna sostituzione.) Non si riconoscono neppure gli effetti concreti del sacrificio offerto per noi qui sulla terra, cioè il fatto che ci può “purificare e proteggere”; invece, si parla solo della “ricompensa eterna” nell’aldilà come compimento della volontà divina: 

(27)
A gubernet et protegat (ci guidi e ci protegga) 
N atque tuam exsequentibus voluntatem fiat causa remunerationis aeternae (e diventi causa di ricompensa eterna per coloro che agiscono obbedendo alla Tua volontà)* 
Analogamente, non si vuole più ammettere che le offerte possano “continuare a infondere in noi la pace”: 

(28)
A et pacem nobis semper infundant (e infondano sempre in noi la pace)* 
N — — (Questa parte dell’antica orazione è stata cancellata senza alcuna sostituzione.) Il fatto che Dio specificamente “possa operare con grazia efficace” viene modificato con un indefinito “inclinarsi”, il che può significare più o meno la stessa cosa, ma rimuove senza alcun motivo l’aspetto dell’“operare” di Dio. Manca anche la riverente invocazione al “Nostro Signore”: 

(25) Per esprimere vita nel senso di “vita terrena” cfr. E 59. Su questa preghiera vedi R V 304 (anche per la nostra “vita mortale”). 
(27) protegere, soprattutto nell’Antico Testamento: “coprire, fare scudo” (Sch 108). — gubernare “geovernare,, guidare", es. Sap 14, 3.6., Is 48, 17 (Sch 89). 
(28) infundere „infondere“: Sch 92. 

(29)
A et dignanter operare: ut, quod passionis Filii tui, Domini nostri, mysterio gerimus … consequamur (e concedici misericordiosamente che … diventi nostro ciò che compiamo celebrando la Passione di Tuo Figlio Nostro Signore)* 
N ut quod passionis Filii tui mysterio gerimus … consequamur (affinché ciò che compiamo celebrando la passione di Tuo Figlio … diventi nostro) 
Nei testi moderni, con tutto l’ottimismo infondato — e a volte addirittura pericoloso — sulla possibilità di ottenere la salvezza, manca d’altro canto il coraggio di confessare che le verità concrete ci sono già state date attraverso la rivelazione: 

(30)
A ut qui dedisti famulis tuis in confessione (hai concesso ai Tuoi servi la grazia, nella confessione …) 
N da nobis in confessione (dacci [la grazia], nella confessione …)* 
Anche piccoli dettagli come il sostituire “Tuoi servi” solamente con “noi” sono degni di nota. 

Anche la preghiera dopo la comunione della 2ª domenica di Avvento riguarda cose concrete (vedi sotto, n. 50): perché non si ama più ciò che è celeste, bensì ci si aggrappa solamente ad esso? 

(31) Il riferimento alla sofferenza di Cristo è stato semplicemente omesso anche nella “preghiera di benedizione” del Venerdì Santo:
A qui passionem et mortem Filii tui … recoluit (che … la passione e la morte di Tuo Figlio … ha ottenuto) 
N qui mortem Filii tui … recoluit (che … la morte di Tuo Figlio … ha ottenuto) 
Non solo la morte, ma anche la passione del Signore con tutta la Sua umiliazione ci mostra l’entità dei nostri peccati. A che scopo cancellarla allora e proprio in questo giorno?

Né è più opportuno combattere per Cristo come Re, e i redenti non hanno più alcuna speranza, un giorno, di “regnare con Cristo” — immagine maestosa dell’esaltazione promessa (cfr. Ap 20, 4; 22, 5):

(29) Dignanter deriva da dignari: è un'espressione di speciale riverenza (E 199).
(30) GyR 103 ss.

(32)
A ut qui sub Christi Regis vexillis militare gloriamur … in caelesti sede iugiter regnare possimus (servire sotto lo stendardo di Cristo Re … regnare con Lui sul trono celeste per sempre) 
N ut qui Christi Regis universorum gloriamur oboedire mandatis … in caelesti regno sine fine vivere valeamus (obbedire ai comandamenti di Cristo Re dell’universo … vivere con Lui senza fine nel regno dei cieli)* 
Ciò è legato al fatto che è stato cancellato tutto ciò che potesse ricordare anche lontanamente le strutture gerarchiche: 

(33)
A pro universis ordinibus …, ab omnibus tibi gradibus fideliter serviatur (per tutto il clero: che tutti i gradi Ti servano fedelmente) 
N pro ministris tuis …, ab omnibus tibi fideliter serviatur (per tutti i Tuoi servi: affinché Tu sia servito fedelmente da tutti) 
4. Livellamento del rapporto tra l’uomo e Dio 
 Ciò risulta dalla cancellazione esplicita di una parola chiave dalle orazioni, cioè la pietas. Questo termine può sia attribuirsi direttamente a Dio (nella gran maggioranza dei casi), sia designare la bontà paterna di Dio; è usato come sinonimo di misericordia, “misericordia”, e clementia, “bontà” (E 47 ss., Sch. 104). Ma la pietas può anche esprimere la risposta dell'uomo a Dio, nel qual caso è di solito da tradurre con “pietà” (aggettivo pius “pio”). Entrambe le aree semantiche, però, hanno in comune il senso di un’intima dedizione: da una parte Dio si piega con grazia, nella sua bontà paterna, dall’altra l’uomo guarda a Dio con cuore umile e pio. Perché questo rapporto fondamentale doveva essere cancellato in modo così palese? 

 L’esempio seguente mostra come l’essenza di un’intera orazione può essere completamente invertita cambiando una sola lettera: 

(32) Il nostro “stendardo” (il vexillum caduto) è in realtà la Croce di Cristo, santificata dal Suo Sangue. Vedi E 178; GyE 171 ss. (su questa postcommunio) chiarisce molto bene il testo: “Non aspiriamo ad alcun regno basato sulla prevaricazione. Il “con Lui” qui è essenziale … Questo è il nostro trono: poter rendere grazie!” 

(34) 
A tua facias pietate concordes (affinché, per opera della Tua bontà paterna, noi diventiamo un cuore solo)* 
N una facias pietate concordes (affinché noi diventiamo un cuore solo all’interno dello stesso amore)
Mentre nel testo originale si intende la bontà paterna di Dio (attraverso la quale e in cui anche gli uomini devono essere uniti tra loro), nel nuovo testo è l'affetto reciproco che dovrebbe realizzare l'unità: il livellamento da una relazione verticale a una relazione orizzontale è qui particolarmente chiaro.

La pietas viene completamente cancellata nel seguente esempio:

(35) 
A praesta in nobis religionis augmentum: ut quae sunt bona nutrias, ac pietatis studio … custodias (accresci la nostra vita religiosa; fa’ che il bene si rafforzi e si conservi … con zelante bontà paterna) 
N praesta ut in nobis, religionis augmento, quae sunt bona nutrias, ac, vigilante studio, … custodias (affinché, attraverso la crescita della vita religiosa, Tu permetta al bene di rafforzarsi e lo conservi con vigile zelo)* 
È chiaro a tutti che con la sostituzione della bontà paterna col vigile zelo è stato operato uno stupefacente livellamento… Pertanto, la parola pia è stata cancellata anche nella risposta con cui l’uomo si rivolge a Dio: 

(36)
A pia devotione gerimus (ciò che facciamo con pia devozione; Schott: ciò che compiamo nella pietà sacrificale) 
N gerimus devotione frequenti (quel che facciamo con devozione frequente)* 
Di conseguenza, il ruolo rappresentato dal santo obbligo dinanzi a Dio di servirLo in modi a Lui graditi viene logicamente sostituito da un’espressione poetica ma non vincolante: 

(34) Sull’espressione pietas cfr E 47 ss., Sch 104 (“L’amore paterno di Dio”). — R V 31 sottolinea a tal proposito che “alla mensa del Signore tutti i cuori sperimentano l’unico e medesimo amore di Dio”.
(35) E e Sch (vedi numero precedente) — Su questo K 163: Dio come “pienezza del bene tutto intero”. Su questa orazione vedi anche GyR 121 ss.
(36) D sottolinea qui in termini elogiativi che il “termine generale” pia è stato sostituito dal più vincolante frequenti; cosa c'è di più “vincolante” in frequenti? — Sch 104: pius caratterizza il rapporto dell’uomo con Dio. — E 49. 

(37)
A tibi etiam placitis moribus dignanter deservire concedas (concedici di essere degni di servirTi anche con condotta gradevole) 
N Christi bonus odor effici mereamur (che meritiamo di essere trasformati nella dolcezza di Cristo)* 
È strano il fatto che il testo originale chieda di essere redenti dal peccato e di essere soggetti al dominio estremamente clemente di Dio, mentre quello nuovo sottolinea che ogni creatura è liberata da ogni servizio (servitus); a quanto pare alcune persone si sentono oggi infastidite dall’espressione “sottomettersi”: 

(38)
A ut cunctae familiae gentium peccati vulnere disgregatae eius suavissimo subdantur imperio (che tutti i popoli, divisi dalla calamità del peccato, si sottomettano al Suo mite dominio)
N ut tota creatura, a servitute liberata, tuae maiestati deserviat ac te sine fine collaudat (che ogni creatura, liberata da ogni schiavitù, serva la Tua maestà e Ti lodi senza fine)* 
5. Verità nascoste: il peccato, il giudizio — e la necessità dell’espiazione 
Nemmeno la tanto fervida richiesta di perdono dei peccati è mantenuta; si diffonde invece un “ottimismo sulla salvezza” piuttosto spensierato: 

(39)
A nosque a peccatorum nostrorum maculis emunda (e purificaci dalle macchie dei nostri peccati)
N qua nobis et vita ostenditur veritatis et regni caelestis vita promittitur (mostrandoci la vita nella verità e promettendoci la vita del Regno dei Cieli)* 
Dunque non si vuole più accettare che la causa della divisione dei popoli sia in definitiva il peccato (cfr. n. 38 supra). Dove il peccato non è più preso sul serio, non c'è bisogno di chiedere aiuto nella nostra debolezza: 

(37) Si tratta (nel testo originale) della facoltà, estremamente necessaria, di fare qualcosa di gradito a Dio, riconoscendo la nostra impotenza. Su questo, si vedano le riflessioni in GyR 72 ss. — deservire si riferisce all'attività cultuale (1 Cor 9, 13, Ebr 13, 10): Sch 81.
(38) D sottolinea qui in termini elogiativi (come nel caso di tutte le orazioni modificate della festività di Cristo Re) che “termini desunti dal linguaggio militare e dalla politica dell’uso della forza sono stati sostituiti da altri”. Ma com’è povero un tempo in cui possono sorgere tali incomprensioni sulla regalità di Cristo! — K 223 si riferisce proprio al significato estremamente contemporaneo di questa richiesta “che tutti i popoli si sottomettano al Suo mite governo”; la Sua “mite sovranità” è anche il tema principale delle spiegazioni in GyR 193 ss. 
(39) D nota qui con apprezzamento che “la richiesta generica di perdono dei peccati è stata abbandonata”. Ma cosa c’è di “generico” nell’indispensabile richiesta del perdono dei nostri peccati? — Su peccata cfr. Sch 102, su questa secreta R I 148 f. 

(40)
A et sit nostrae fragilitatis subsidium (e sia un supporto per la nostra fragilità) 
N et nostrae caritatis augmentum (e l’incremento del nostro amore)* 
Quindi anche ogni riferimento alla giustizia di Dio, sul cui sentiero dobbiamo tornare, turba; probabilmente è sufficiente “partire” e nulla più:

(41)
A ut in viam possint redire iustitiae (affinché possano tornare sul cammino della giustizia) 
N ut in viam possint redire (affinché possano tornare sul cammino)* 
Anche dove viene menzionata la schiavitù del peccato, viene semplicemente cancellata la terribile (ma innegabile) verità della possibile punizione, della “morte eterna”; probabilmente essa “non è più ragionevole per gli uomini di oggi”:

(42)
A perpetuae mortis eripuisti casibus (ci hai salvati dal cadere nella morte eterna) 
N eripuisti a servitute peccati (ci hai salvati dalla schiavitù del peccato)* 
Perciò non è più opportuno nemmeno implorare sempre di più la misericordia di Dio; eppure il concetto di “grazia” che viene introdotto, se correttamente inteso, include (anche) questa misericordia; perché dunque non chiamare le cose semplicemente con i loro nomi (specifici)?

(40) fragilitas „fragilità“: Sch 88. — È la debolezza di cui dobbiamo sempre essere consapevoli (per proteggerci dalle sconfitte): R II 187. 
(41) D sottolinea in termini elogiativi: “Grazie a questa modifica, la richiesta può ora riferirsi, in senso più pieno, a Cristo, che è la Via della Vita”. Ma chi mai, pregando, potrà comprendere via “cammino” in questo senso? Piuttosto, si nota chiaramente la tendenza a eliminare le parole che designano esigenze concrete per promuovere al loro posto un’interpretazione vaga o quantomeno astratta (e quindi in definitiva non vincolante): Certamente Cristo è “il” cammino, ma — come mostra il contesto — ci si riferisce qui agli erranti che si sono allontanati dalla via della giustizia; essi dovrebbero riguadagnare concretamente l’unica retta via (una vita fatta di rettitudine). Come mostra E 39, ciò è espresso chiaramente in questa orazione proprio dal termine iustitia. — K 114 ss. R I 482 ss. GyR 88 ss. 
(42) D cataloga questa orazione tra quelle "immutabili". — Sulla “caduta nella morte” così come è intesa da questa orazione (Sir 28, 30) cfr. Sch 77. La morte eterna è l’effetto del peccato grave: R I 464. — Anche: K 110. GyR 85 ss.

(43)
A multiplica super nos misericordiam tuam (perciò donaci la tua misericordia in misura ancora più ricca) 
N gratiam super nos indesinenter infunde (e continua a riversare su di noi la grazia) Il tentativo di rendere plausibile questa modifica è interessante.* 
 ertanto, anche le omissioni apparentemente insignificanti diventano sorprendenti: 

(44) 
A Suscipe … propitius (accetta … propizio)
N suscipe (accetta)*
Ma esiste anche il caso in cui sul credente è caricata la colpa degli altri. In una situazione del genere chiediamo a Dio di toglierci questo peso. Il nuovo testo si accontenta di dire che dobbiamo fare pace tra noi:

(45)
A non gravemur externis (affinché la colpa di nessun estraneo possa pesare su di noi)
N fraterna dimittere studeamus (che ci sforziamo di perdonarci fraternamente)*
In nessun giorno dell’anno la gravità dei peccati e l’atrocità delle sofferenze del Signore da essi causate sono portati così chiaramente davanti ai nostri occhi come nel Venerdì Santo. E anche nelle orazioni di quel giorno, i riformatori hanno cancellato il pensiero dell’amara sofferenza che ha preceduto la morte di Gesù e la Sua stessa morte sostituendolo con il riferimento (anticipato) alla risurrezione, che ci ha liberati da ogni peso opprimente: 

(43) D: “Mentre nella versione antica si richiede la pienezza della misericordia di Dio (nei confronti dei nostri peccati), il nuovo testo pone l’accento sulla grazia incessante. Allo stesso tempo, in questo modo si evita il fraintendimento di un aumento quantitativo del dono della grazia di Dio”. Abbiamo già visto che non si crede più davvero che la misericordia di Dio sia necessaria. Il pensiero di un “aumento”, “moltiplicazione” della grazia è del tutto concepibile e anche biblico. A questo proposito Sch 97 fa riferimento a 1 P 1, 2. Cfr. K 114 ss., RI 162 s. GyR 133 fornisce un’ottima interpretazione: il grado della misericordia di Dio non può essere accresciuto, “ma possiamo certo renderci più ricettivi ad essa … La preghiera non cambia Dio, ma noi”. 
(44) Propitius è uno dei termini latini più antichi per designare l’atteggiamento dell'uomo verso l’alto, espressione del rapporto naturale degli uomini dei tempi antichi con Dio protettore (cfr. E 142, che segue E. Norden); la parola ricorre nel 75% di tutti i casi con concedere, respice e suscipe. Sch 108 cita una gran quantità di brani biblici in cui propitius si trova all’interno di preghiere. — Su questa secreta: R IV 301.
(45) Anche qui D si esprime in termini elogiativi: il nuovo testo “abbandona la formula non gravemur externis, di difficile comprensione, e si riallaccia a una richiesta del Padre Nostro”. Ma qui è in gioco il peso della responsabilità che a volte (per le proprie trasgressioni) si porta anche per gli altri: R V 155. 

(46)
A qui Christi tui beata passione et morte nos reparasti (ci hai restaurati attraverso la sofferenza e la morte del Tuo Cristo) 
N qui nos Christi tui beata morte et resurrectione reparasti (ci hai restaurati per mezzo della morte e risurrezione salvifica del Tuo consacrato)* 

(47)
A qui passionem et mortem Filii tui devota mente recoluit (che ha celebrato la passione e la morte di Tuo figlio con pia celebrazione) 
N qui mortem Fili tui in spe suae resurrectionis recoluit (che in questa cerimonia ha celebrato la morte di tuo figlio nella speranza della sua (= del popolo) risurrezione) 
Solo coloro che visualizzano la sofferenza inevitabile del Signore possono cogliere l’intera portata del peccato. Non è quindi solo liturgicamente inappropriato, ma anche psicologicamente sbagliato evitare la sofferenza e pensare frettolosamente solo alla risurrezione*: si tratta di un chiaro adattamento allo spirito dei tempi, che psicologi e sociologi seri definiscono, dimostrandone l’esistenza, “incapacità di soffrire” e ricerca del “godimento senza sforzo”. E non possiamo celebrare questa celebrazione nemmeno con “cuore devoto” (devota mente) (n. 47). 
Certo, la gioia della risurrezione è del tutto appropriata per la domenica di Pasqua. Ciò che è significativo, tuttavia, è che mentre il pensiero della sofferenza è stato chiaramente soppresso nei giorni — appunto — della sofferenza, il pensiero della gioia è stato qui notevolmente aumentato rispetto al testo originale: 

(48)
A paschalibus gaudiis immolamus (tra le gioie pasquali che offriamo …) 
N paschalibus gaudiis exultantes offerimus (con il giubilo della gioia pasquale offriamo …)* 

(46) Sul termine passio nelle orazioni vedi E 46, Sch 101.
(47) Sant’Ignazio di Loyola consiglia espressamente a coloro che fanno gli esercizi spirituali di evitare ogni pensiero di cose gioiose, come la Risurrezione, quando meditano sulla passione e morte del Signore: cfr. la traduzione di H.U. von Balthasar (Einsiedeln 1962), p. 52.
(48) R IV 290. — D ha catalogato questa secreta tra quelle “immutate”. 

(49)
A vota nostra, quae praeveniendo aspiras, etiam adiuvando prosequere (continua ad accompagnare con il Tuo aiuto i propositi che la Tua grazia generosa ci ispira) 
N da nobis quaesumus, ut qui resurrectionis dominicae solemnia colimus per innovationem tui spiritus in lumine vitae resurgamus (concedi, Ti preghiamo, che noi che celebriamo la risurrezione del Signore possiamo risorgere alla vita per mezzo del rinnovamento del Tuo Spirito)* 
Qui il pensiero della risurrezione sostituisce addirittura la richiesta dell’aiuto di Dio. Ma siamo autorizzati ad essere così sicuri della nostra risurrezione? 
6. “Apertura al mondo”
Si è già parlato molto delle gravi incomprensioni e degli abusi morali, dogmatici e liturgici sorti per via di questa parola d’ordine, e non sorprende che questo fatale sviluppo abbia trovato la sua strada anche nella liturgia delle orazioni; affermazioni come quelle di Rm 12, 2, secondo cui non dobbiamo conformarci “a questo mondo”, che si possono riscontrare in tutta la Rivelazione, sono scrupolosamente trascurati. 

(50)
A terrena despicere et amare caelestia (disprezzare le cose terrene e amare quelle celesti) 
N terrena sapienter perpendere et caelestibus inhaerere (valutare saggiamente le cose terrene e aggrapparsi a quelle celesti)

(49) D loda il fatto che la “formula generale” usata fino ad ora sia stata sostituita da una pasquale! — Ci è stato certamente promesso di “risorgere alla luce della vita”, ma si può cancellare il presupposto necessario, cioè che anche noi adempiamo ai comandamenti e ai “voti” che Dio ha radicato in noi, con il Suo aiuto, che dev’essere implorato? Tutto ciò che può significare vota nostra è articolato in dettaglio in R I 426 (pii desideri, preghiere, voti — anch’essi vengono da Dio (praeveniendo aspiras). Importanti osservazioni sui giusti “desideri” si trovano anche in GyR 79 ss., a proposito di questa orazione. Votum era sinonimo di “preghiera” già nel IV secolo: E 121. Vedi anche Sch 122. K 102 ss. R I 424 ss.
(50) Sull’opposizione tra terrena e caelestia si veda 1 Cor 15, 39-58, specialmente 47 ss., in cui per “cose terrene” si intende l’esatto opposto della risurrezione: corruzione, impudicizia, debolezza; ma come può aiutare qui il mero “valutare saggiamente”? Non è necessario un netto allontanamento (despicere)? GyE 15 afferma molto chiaramente a proposito di questa preghiera: “Con molta durezza, senza alcun eufemismo, si afferma come dev’essere un cristiano dopo la Santa Comunione: uno che disprezza le cose terrene e ama quelle celesti. Cosa significhi ciò non può essere spiegato da persone che non comprendono l’amore intimo di Cristo. Al massimo ne potrebbe essere autorizzato un santo, se non solo Cristo stesso. Da Lui viene l’affermazione: “Chi non rinuncia a tutto ciò che ha, non può essere mio discepolo” (Lc 14, 33). Inoltre R I 44: “Preghiamo almeno per la grazia di poter disprezzare le cose terrene!" Cfr. Sch 118. 

La “saggia valutazione” si adatta invece ai tiepidi che non vogliono perdersi le cose terrene, ma è questa la determinazione senza compromessi richiesta dal Signore?* 

(51)
A sic transeamus per bona temporalia, ut non amittamus aeterna (affinché possiamo passare attraverso i beni temporali in modo da non perdere quelli eterni) 
N sic bonis transeuntibus nunc utamur, ut iam possimus inhaerere mansuris (affinché possiamo utilizzare i beni transeunti in modo tale da poterci aggrappare anche a quelli permanenti)* 
Qui anche l’espressione propriamente religiosa “ciò che è eterno” è sostituita dal termine comune “permanente”. 

L’apprezzamento delle cose terrene è anche, indirettamente, il motivo per cui non ci è più nemmeno permesso chiedere aiuto per la nostra debolezza: vedi sopra, n. 40! Naturalmente, tutto questo ha a che fare con il cambiamento di direzione che c’è alla base: l’offuscamento della dicotomia tra il “mondo” e la meta eterna e l’euforico ottimismo universale nei confronti della salvezza affondano le loro radici nel tentativo di risolvere, cancellandola, la tensione caratteristica della religione tra il “già” e il “non ancora”. Così, in un caso preghiamo per un accrescimento della nostra pietà, nell’altro diamo per scontato che esista e chiediamo solo che in essa si alimenti la bontà: vedi sopra, n.36.

Da un punto di vista grammaticale, questo “già” al posto di “non ancora” si esprime nel tipico passaggio dal gerundio al participio:

(52)
A oblatio tuo nomini dicanda (il sacrificio da consacrare al Tuo Nome) 
N oblatio tuo nomini dicata (il sacrificio consacrato al Tuo Nome) Si può comprendere dove vada a parare questa modifica apparentemente minore solo se si considera da una parte l’intenzione originaria del gerundio in questo punto e dall’altra come si giustifica la nuova versione.*

(51) Colpisce il fatto che il (nuovo) Messale tedesco sia qui tradotto allo stesso modo del testo latino antico (che anche D critica). — È proprio il possesso dei beni terreni che spesso fa dimenticare ai loro proprietari Dio e l’eternità: R II 68 ss. GyR 112 ss. K 148 ss. Su aeternus come termine utilizzato nelle orazioni, vedi E 21 ss. e Sch 74.
(52) D: “La nuova versione elimina la preoccupazione per il fatto che il sacrificio vero e proprio debba ancora essere compiuto e esprime semplicemente il pensiero: questi doni Ti sono consacrati”. — Sul significato speciale del gerundio dicanda: “Queste preghiere si riferiscono alla santa azione che si compie hic et nunc”: E 47. — R II 63. 

Naturalmente, la rimozione della tensione tra il “qui e ora” e l’eterno è accompagnata da uno slittamento dal piano verticale a quello orizzontale. Questo processo è realizzato a volte molto abilmente, in modo che l’errore contenuto nella nuova versione non appaia in modo lampante, ma possa essere invece inteso in senso conforme a quello corretto con l’aiuto di un’interpretazione (inverosimile); per la recitazione di una preghiera genuina — che, legittimamente, comincia direttamente con la sua formulazione — è fuorviante evitare parole che rendano inequivocabile il riferimento all’aldilà; lo abbiamo già visto nell’esempio n. 35. Dunque si evita di chiedere la nostra “pace eterna” e si parla invece diplomaticamente di “vera pace”, lasciando penetrare allo stesso tempo un po’ di “teologia della liberazione”:

(53) 
A ad nostram perpetuam pacem (alla nostra pace eterna) 
N ad veram omnium pacem et libertatem (alla vera pace e alla liberazione di tutti)
Certo, è sempre giusto pregare per la “vera” pace, ma che cos’è? Non facciamo di nuovo finta che ciò sia qualcosa di indefinito, qualcosa che dev’essere indagato. La Chiesa ci ha spiegato in modo molto specifico in che modo bisogna intendere l’aggettivo “eterna” riferito alla pace. 
 7. Allontanamento dalla sacralità
Laddove si propaga un riorientamento verso ciò che è mondano, si fa naturalmente fatica ad aggrapparsi al concetto di numinoso, di sacro, di mistero, cioè a quei contenuti che costituiscono l’essenza profonda della religione ma sfuggono completamente alla mente illuminata del razionalista! È significativa la cancellazione di alcuni termini fondamentali e insostituibili: mysterium, mirabile (meraviglioso), sanctus, gratia (grazia). 

(54) 
A nativitatem Domini nostri Jesu Christi mysteriis nos frequentare gaudemus (ci rallegriamo nel celebrare di nuovo la nascita di Nostro Signore Gesù Cristo in una celebrazione pregna di mistero) 
N nativitatem Redemptoris nostri frequentare gaudemus (ci rallegriamo di celebrare la nascita del nostro Redentore)* 

(54) D ha catalogato questa postcommunio tra quelle riprese senza modifiche. — È impossibile qui analizzare l’intero contenuto dell'espressione fondamentale mysterium. Oltre al significato propriamente eucaristico, mysterium indica un fatto di “verità rivelata della fede” (E 67). Il momento eucaristico è in primo piano anche nell’attuale postcommunio: abbiamo celebrato la nascita di nostro Signore attraverso questi misteri eucaristici (nella Santa Messa) (E 70). Nel complesso si fa riferimento all’ulteriore bibliografia (elencata in E 70 nota 1), cfr Sch 98. — R IV 103. 

(55)
A adesto magnae pietatis tuae mysteriis, adesto sacramentis (sii presente nei misteri del Tuo grande amore, sii presente nel compimento dei sacramenti)
N adesto magnae pietatis tuae sacramentis (sii presente nel compimento dei sacramenti del Tuo grande amore)

(56)
A Ecclesiae tuae mirabile sacramentum (il meraviglioso mistero di salvezza della Tua Chiesa) 
N Ecclesiae sacramentum (il mistero della salvezza — o sacramento — della Chiesa)*

(57)
A et salutare tuum nobis mirabiliter operetur (affinché la Tua salvezza operi meravigliosamente in noi) 
N et salutare tuum in nobis potenter operetur (affinché la Tua salvezza operi potentemente in noi)*

(58)
A tui sancti nominis invocationem (l’invocazione del Tuo Santo Nome) 
N tui nominis invocationem (l’invocazione del Tuo Nome)*

(59)
A ut tua gratia largiente … in illius inveniamur forma (affinché con la Tua grazia noi … possiamo essere conformi a Lui) 
N at … in illius inveniamur forma (affinché noi … diventiamo come Lui)* 
Viene proprio da chiedersi a chi interessi qui che ciò non debba essere fatto per grazia di Dio! Una leggera deviazione che si rifà alla stessa tendenza si può osservare anche nel fatto che divinus “divino” è sostituito da caelestis “celeste”: 

(60)
A ut divinis vegetati sacramentis (animato dai sacramenti divini) 
N ut refecti caelestibus sacramentis (restaurato dai sacramenti celesti)* 

(56) Su mirabile nelle orazioni vedi Sch 96.
(57) Vedi nota precedente. — R I 60.
(58) Su nomen sanctum nelle orazioni Sch 99. — R IV 453 s.
(59) Su gratia nelle orazioni cfr. Sch 89, su largiri “donare” Sch 94: Oltre a gratiam, l’oggetto di largivi è indulgentiam, pacem e spiritum. — R IV 103: “Osserva l’alta grazia per cui si prega!”. 

Anche se si conserva un’espressione di questo tipo — qui sanctificatio “santificazione” —, si cancella però l'aggiunta di perpetua “eternamente”: 

(61)
A et saluti credentium perpetua sanctificatione sumenda concede (fa’ che il godere di essi, mediante la loro potenza sempre santificante, sia per la salvezza dei credenti) 
N et pro credentium sanctificationis incremento sumenda concede (fa’ che il godere di essi accresca la santità dei credenti)* 
Uno dei più grandi misteri della nostra fede è la realtà (e festività) della Santissima Trinità. Invece di chiedere, nella preghiera ecclesiastica della Sua festività, che la ferma fede in Essa ci protegga da ogni sventura, si menzionano in modo impersonale la “Parola di verità” e lo “Spirito di santificazione”: quale credente riesce più a capire che si tratta del Verbo come Figlio eternamente generato e dello Spirito Santo come terza persona della Divinità?

(62)
A quaesumus ut eiusdem (Trinitatis) fidei firmitate ab omnibus semper muniamur adversis (concedici di essere sempre al sicuro da ogni calamità in virtù della fede incrollabile in Essa (la Trinità) 
N qui Verbum veritatis et Spiritum sanctificationis mittens in mundum (che Tu hai mandato in questo mondo la Parola di verità e lo Spirito di santificazione)* Infine, anche il fatto che i giusti abbiano la speranza di regnare un giorno con Cristo appartiene alla sfera del soprannaturale ed è espressione del definitivo superamento di ogni male. Ma ora viene menzionato solo il vivere invece del governare — un degrado molto evidente; vedi sopra, n.32. 

(60) D accoglie con favore il fatto che vegetari sia stato sostituito, in quanto “potrebbe essere interpretato in senso biologico”. In realtà, l’espressione “nutrirsi” in senso spirituale è molto spesso utilizzata nelle orazioni in cui è presente vegetari: E 166. — L’aggettivo divinus rappresenta un’affermazione profondamente cristiana: sostituisce il genitivo Dei: E 64 s. — R I 149: “La potenza di Dio … deve conservare la vita di grazia e di virtù … e trasformare la vita di grazia in una vita di gloria!”. — GyE 46 ss.
(61) Su perpetuus Sch 103. — R II 81 spiega molto chiaramente “Dovrebbe significare entrambe le cose: in modo tale che Tu possa santificare sempre coloro che lo ricevono e che questi si sforzino sempre di santificarsi!”.
(62) Le parole qui omesse sono elementi particolarmente importanti e tipici del lessico delle orazioni. Su muniri cfr. Sch 98 ed E 174, su adversus Sch 74. — R IV 443: “Il forte scudo della fede ci coprirà contro tutti i nemici!”. (Ci sono anche maggiori dettagli su chi e cosa sono questi nemici.) — K 141 ss. GyR 103 ss. 
8. Disprezzo nei confronti del carattere sacrificale 
Anche la rimozione del carattere sacrificale della Santa Messa per un’enfasi unilaterale sul carattere della mensa è stata già più volte segnalata, anche se solo da May, L’antica e la nuova Messa, 61 ss., 64 ss. Tracce evidenti di questa tendenza si possono riscontrare anche nelle preghiere. Pertanto l’affermazione fondamentale secondo cui Gesù Cristo è Colui Che viene offerto nel Santo Sacrificio della Messa è sommariamente cancellata: 

(63)
A quem sacrificiis praesentibus immolamus ipse … Jesus Christus (Colui che immoliamo in questi sacrifici, Gesù Cristo) 
N ipse Filius (Egli, Tuo Figlio) Di conseguenza, non si parla più di “offerta”, ma di “nutrimento, cibo”: 

(64)
A Corporis … et Sanguinis … libamen renovati (rinnovato con l’offerta del Corpo e del Sangue) 
N Corporis… et Sanguinis … alimonia renovati (rinnovato nutrendosi del Corpo e del Sangue)* 
Non dovremmo più celebrare il sacrificio, ma la “festa della Pasqua” — e nella 2° domenica di Quaresima:

(65) 
A et ad sacrificium celebrandum subditorum tibi corpora mentesque sanctificet (e santifica i corpi e le anime dei Tuoi servi nella celebrazione del sacrificio) 
N et ad celebranda festa paschalia fidelium tuorum corpora mentesque sanctificet (e santifica corpo e anima dei tuoi fedeli per la celebrazione pasquale)* 
Il fatto che i “servitori” di Dio, letteralmente i “sudditi” (subditi), siano nuovamente chiamati “credenti” in modo un po’ meno impegnativo, lo menzioniamo invece solo di sfuggita. Si mantiene segreto il fatto che siamo in presenza di un’offerta divina concreta; è invece il nostro “servizio” il dono che offriamo: 

(64) D nota solo qui che il testo antico è “P 2. 7.”; ma non è la postcommunio della festività della visitazione di Maria, bensì quella della commemorazione (da celebrarsi nello stesso giorno) dei Santi Processo e Martiniano. — D sottolinea qui con apprezzamento che “libamen — termine del linguaggio del sacrificio — è qui sostituito dal più generale alimonia”: non solo ammette l’omissione dell'idea di sacrificio, ma la accoglie addirittura. Per libamen vedi E 140.
(65) R I 342 s. — D cataloga questa secreta tra quelle riprese senza modifiche. 
 
(66)
A huius oblationis hostiam (il compimento di questa offerta) 
N haec munera nostrae servitutis (questi doni del nostro servizio)* 
L’espressione della forma originale, con l’uso del genitivo, indica l’azione, mentre hostia significa l’offerta, cioè: “il dono che Ti offriamo qui e ora”. Nella nuova versione è grammaticalmente un genetivus inhaerentiae, ossia il genitivo che pronuncia un’identificazione: “questi doni che consistono nel nostro servizio, nella nostra disponibilità a servire”. Mentre in un’antica secreta (nel nuovo messale: offertorio) si dice che dalle offerte da presentare si tolgono anche le cose che ci servono da cibo, ora resta solo una specie di ringraziamento per il cibo “in questa vita transitoria”:

(67)
A qui in his potius creaturis quas ad fragilitatis nostrae subsidium condidisti tuo quoque nomini munera iussisti dicanda (hai decretato che da quelle stesse cose che hai creato per nutrire la nostra fragile natura si debbano prelevare anche le offerte da consacrare al Tuo Nome) 
N qui has potius creaturas ad fragilitatis nostrae subsidium condidisti (hai costituito queste cose proprio a sostegno della nostra fragile natura di creature)* 
Anche dove si parla ancora di sacrificio, l’idea non è più quella che Dio accetti il sacrificio, ma solo che Egli manifesti la Sua approvazione compiaciuta: 

(68)
A Suscipe, quaesumus, Domine, munus oblatum (ti preghiamo, o Signore, accetta il dono che Ti è stato offerto)* 
N Sacrificiis praesentibus, Domine, quaesumus, intende placatus (chinati compiaciuto, Signore, Ti supplichiamo, sulle offerte qui presenti)
Sorprende il fatto che la (nuova) traduzione tedesca abbia comunque mantenuto l’espressione “accetta”, che non esiste più nel nuovo testo latino — una fortunata incoerenza. Da notare anche il passaggio dal singolare al plurale: mentre il testo originale si riferisce a quell’unica “offerta presentata”, che nel sacrificio della Santa Messa non può essere altro che Gesù Cristo stesso, il plurale nel nuovo testo indica ovviamente i diversi “sacrifici” di coloro che sono qui “presenti”, significato che qui — nell’offertorio — non ha alcun fondamento. 

Ciò che sconvolge nella suddetta revisione delle nuove orazioni è il fatto che — a parte alcune eccezioni classificabili come “neutre” —, laddove i testi originali hanno subito modifiche, è stata introdotta una formulazione affievolita, annacquata, meno vincolante e meno impegnativa. Nemmeno una delle modifiche era davvero necessaria, quasi tutte sono dannose. Un’analisi delle orazioni delle messe feriali e delle messe dei santi, nonché una revisione critica della traduzione tedesca delle orazioni del Nuovo Messale sarà riservata ai lavori successivi.

(66) R IV 453 f.
(67) Munus significa (E 163 ss.) sia “dono” che “atto ufficiale”, dicare (E 138 s.) “riservare ritualmente a Dio”. — R V 304.
(68) Vedi nota precedente; da ciò ne consegue che munus non è semplicemente sinonimo di sacrificia (plurale!). — R V 393: “Preghiamo per i frutti della celebrazione sacrificale”. 

Indici 

L’Indice I associa la nostra numerazione ai numeri della preghiera in questione secondo Bruylants e allo stesso tempo riporta l’inizio della preghiera. L’Indice II procede invece in senso inverso, indicando anche in quali giorni (nel Nuovo Messale) si trovano le antiche (sia pur modificate) preghiere. 

Index I

N. utilizzato in questo saggio
1
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7
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55
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58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68

  Inizio dell'orazione

 Imploramus 
Omnipotens … multiplica 
Deus, a quo bona 
Adesto, Domine 
Propitiare, D., suppl. 
Placationis hostiam 
Deus, qui salutis  
Placare, quaesumus 
Deus, qui peccati veteris
Omnipotens s. Deus, cuius iud. 
Deus, qui ecclesiam 
Munera nostra, quaesumus 
Omnipotens et misericors Deus 
Da nobis, quaesumus 
Sumpsimus, Domine 
Quos caelestibus 
Praesta, quaesumus 
Suscipe, quaesumus, Domine, munera 
Accepta tibi sit 
Da nobis, quaesumus, omnip. D. 
Sacrificia, Domine, paschalibus 
Deus, cuius antiqua 
Oremus et pro omnibus episc. 
Deus, qui per Filium tuum   
Domine D. noster, qui in his 
Oremus dilectissimi nobis pro eccl. 
Haec nos oblatio 
Munera nostra quaesumus 
Suscipe, quaesumus, Domine, munus 
Omnipotens s. Deus qui dedisti 
Super populum tuum 
Immortalitatis alimoniam 
Omnipotens s. Deus, cuius spiritu 
Spiritum nobis 
Deus, virtutum cuius 
Corporis sacri 
Supplices te rogamus 
Omnipotens semp. Deus, qui in 
Oblata, Domine
Respice Domine, quaesumus 
Deus, qui errantibus 
Deus, qui in Filii tui 
Deus, qui omnipotentiam 
Suscipe, quaesumus, Domine, munera 
His sacrificiis 
Omnipotens et misericors Deus 
Super populum tuum 
Sacrificia, Domine, paschalibus 
Deus, qui hodierna die 
Repleti cibo 
Protector in te 
Oblatio nos, Domine 
Oremus et pro omnibus res publ. 
Da nobis, quaesumus 
Omnipotens semp. Deus, adesto 
Deus incommutabilis 
Devotionis nostrae 
Sanctifica, quaesumus 
Accepta tibi sit 
Augeatur in nobis 
Respice Domine munera 
Omnipotens s. Deus, qui dedisti 
Hostiam tibi 
Corporis sacri 
Haec hostia, Domine 
Sanctifica, quaesumus 
Domine D. noster, qui in his 
Suscipe, quaesumus, Domine, munus 
N. di
Bruylants

639
767
199
23
901
821
440 
819

757
334
698

164
1083
956
858
1126
12
176
1002
211
758
423
487
780
589
698
1128
774

637
758
1069
467
150
1103
785
723
981
336
364
418
1126
605


1002
350
970
911
727
763/764
164
754
232
469
1039
12
63
979
774
613
150
581
1039
487
1128
Index II 

N. di
Bruylants


Nel Messale antico

Il nostro n.
       
       Nel nuovo Messale

12
23

63
150
164
176
199
211

232

334

336
350
364
418
423

440

467
469
487
581
589
605
 613
637
639
698
723
727
754


757 
758
763/4
767

774
780
785
819
821
858
901
911

956
970
979
981
1002

1039 
1069

1083
 1103
1126
1128




1ª Messa di Natale
Giovedì dopo la 2ª domenica di Quaresima. Or. sup. pop.
2ª domenica dopo l’Epifania X Celebrazione del 2 luglio 
1ª Messa di Natale   176
2ª Messa di Natale
5ª domenica dopo Pasqua 
Notte di Pasqua: dopo la 2ª 
lettura
Fino al 1955: Venerdì Santo, Preghiera dopo la 2ª profezia 1º martedì della settimana di    Pasqua
3ª domenica dopo Pasqua    Domenica di Pasqua   
2ª domenica dopo Pasqua      10ª domenica dopo Pentecoste   Veglia Pasquale:    Consacrazione del fuoco
Ottava di Natale    (Circoncisione del Signore) 
 6ª domenica dopo Pentecoste   3ª domenica di Avvento   
 5ª domenica dopo l’Epifania     3ª domenica di Quaresima 
 6ª domenica dopo l’Epifania     5ª dopo la 2ª di Quar.   
 Festa di Cristo Re   
Festa di Cristo Re   
 3ª domenica di Avvento  
 2ª Messa di Natale 
 2ª domenica dopo l’Epifania   
 2ª domenica dopo Pentecoste   Veglia Pasquale: Consacrazione dell'acqua battesimale
Venerdì Santo: Intercessioni, 2 Venerdì Santo: Intercessioni, 3
Venerdì Santo: Intercessioni, 4
Sabato Santo (fino al 1955):  Preghiera dopo la 5ª Profezia 
Festa della Trinità  
Venerdì Santo: Intercessioni, 1
Festa di Cristo Re
2ª domenica di Avvento
Festività della Sacra Famiglia*
3ª Messa di Natale
5ª domenica dopo Pentecoste  
1ª domenica di ottobre —  Fest. d. Sacro Cuore di Gesù
Festività della Sacra Famiglia* 2ª domenica di Avvento
3ª domenica dopo Pentecoste  
11ª domenica dopo Pentecoste Mercoledì della settimana di  Pasqua
Festa della Trinità e 66 idem
Venerdì dopo il Mercoledì  delle Ceneri
22ª domenica dopo Pentecoste  2ª domenica di Quaresima    Domenica in Albis  
Mercoledì della Settimana   Santa
Venerdì Santo: 1ª preghiera
Venerdì Santo: 1ª preghiera   dopo la Comunione 
Venerdì Santo: 2ª preghiera dopo la Comunione 

S 19 e 59

O 4
  P   60
 P 36 e 64 
P 14 e 54
O 20
O 3
22

56

O 11

O 41
O 49
O 42
O 43
24

O 7

O 35
S 57
S 25 e 67
S 65
S 27
S 45
S 63
P 32
P 1
S 12 e 28
S 39
S 52
S


10
23 e 33
53
2

O 30 e 62
26
O 38
S  8
S  6
P 17
S 5
O 51

P 16
P 50
S 61
S 40

S 21 e 48
S 58  e 66
P 34

P 15
P 3
S 18 e 44
S 29 e 68

9
31 e 47

13 e 46 
idem

18ª dom. i. a,
31ª dom. i. a.
12ª dom. i. a.
idem
idem
10ª dom. i. a.
dopo la 3ª lettura
(a scelta)
Notte di Pasqua: 
dopo la 7ª lettura 
Lunedì dell’Angelo

15ª dom. i. a.
idem
14ª dom. i. a.
26ª dom. i. a.
idem

 idem (Solennità
della Madre di Dio)
22ª dom. i. a.
 idem
5ª dom. i. a.
2ª dom. di Quar.
6ª dom. i. a. 
3ª dom. di Quar.
idem
idem
idem
 idem
2ª dom. dopo Natale
14ª dom. i. a.
idem


idem
idem
idem, 9
Notte di Pasqua
pr. dopo la 4ª lett.
idem
idem
idem
idem
idem*
idem
24ª dom. i. a.
17ª dom. i. a

idem*
idem
15ª dom. i. a
10ª dom. i. a

Domenica di Pasqua
idem
2ª dom. i. a

33ª dom. i. a
Giovedì Santo Messa crismale
idem (2ª domenica di Pasqua)
32ª dom. i. a

A scelta Pregh. di apertura 
Preghiera di benedizione

Preghiera finale 
* In precedenza: la prima domenica dopo Natale; ora: la seconda domenica dopo l’Epifania
9. Le riformulazione delle Intercessioni nella liturgia del Venerdì Santo
Abbiamo già trattato le preghiere immutate e quelle modificate. In una breve digressione, vanno qui considerate alcune preghiere di intercessione che sono state completamente riformulate e dove il testo antico è stato quindi completamente abbandonato. Qui, anche i cambiamenti nelle intestazioni sono già molto significativi:
Nuova versione
1. Per la Santa Chiesa
2. Per il Papa
3. Per tutti i ministeri della Chiesa
4. Per i catecumeni
5. Per l’unità dei cristiani
6. Per gli ebrei
7. Per tutti coloro che non credono in Cristo
8. Per tutti coloro che non credono in Dio
9. Per i governanti
10. Per tutti i bisognosi
Versione antica
1. Per tutta la Santa Chiesa
2. Per il Santo Padre, il Papa
3. Per tutti i ministeri della Chiesa
5. Per gli studenti battesimali della Chiesa
7. Per l'unità della Chiesa
8. Per la conversione degli ebrei
9. Per la conversione dei non credenti
4. Per i governanti dei popoli
6. Per i bisogni della cristianità
Selezioniamo alcune delle intercessioni riformulate:

5. Se prima si pregava per “tutti i falsi maestri e scismatici” (A pro haereticis et schismaticis), ora lo si fa eufemisticamente “per tutti i fratelli che credono in Cristo” (N pro universis fratribus in Christum credentibus). Pertanto Dio non avrebbe più bisogno di “salvarli da tutti i loro errori” (A eruat eos ab erroribus universis), ragion per cui si prega che Egli “raccolga e conservi” (N congregare et custodire) in una sola chiesa “coloro che compiono la verità” (N veritatem facientes); quest’ultima, ovviamente, non dev’essere più “la Santa Madre, la Chiesa cattolica” (A sanctam matrem ecclesiam catholicam), ma una chiesa che non si può definire con maggiore esattezza (N una ecclesia).

E mentre prima le anime degli erranti erano considerate “ingannate dalle astuzie di Satana” (A animas diabolica fraude deceptas), questo riferimento è ora del tutto assente; si afferma solo, in modo molto ottimista, che tutti sono stati “santificati” da un “unico battesimo” (N quos unum baptisma sacravit).

6. La preghiera per gli ebrei non afferma più di chiedere la loro conversione (A conversione), affinché “Dio Nostro Signore tolga il velo dai loro cuori” (A Deus et Dominus noster auferet velamen de cordibus eorum); tutto ciò è stato rimosso, e si è solo ribadito — di nuovo, in modo assai ottimista — che “Dio ha parlato a loro per primi” (N ad quos prius locutus est). Ciò è assolutamente vero, ma gli ebrei non accettano il fatto decisivo che Cristo è il Messia, ed è per questo che dovremmo pregare affinché lo facciano!

Se originariamente si affermava che il Signore “non li esclude affatto dalla Sua misericordia” (A a tua misericordia non repellis), ma si chiedeva che “li tolga dalle loro tenebre” (A a suis tenebris eruantur), ora si ricorda invece solo la promessa di Dio ad Abramo (N promissiones tuas Abrahae). È del tutto appropriato ricollegarsi qui alla promessa profetica di Dio al Suo popolo eletto: il punto cruciale è però il fatto che gli ebrei devono essere liberati dalla loro “cecità” (A obcaecatione) e professare fedelmente il Messia.

7. Di conseguenza, non si prega più nemmeno per la conversione dei non credenti, ma in generale per “tutti coloro che non credono in Cristo”. Il testo antico originale diceva: “Affinché abbandonino i loro idoli e si rivolgano al Dio vivo e vero” (A ut relictis idolibus suis convertantur ad Deum vivum et verum). Oggi, in un momento in cui sono già molti coloro che stanno introducendo idoli e testi pagani nel culto (e lo chiamano acculturazione del Vangelo), questa preghiera non viene più espressa, ma si chiede — in modo più astratto — “che anche loro, illuminati dalla luce dello Spirito Santo, entrino nella via della salvezza” (N ut luce sancti spiritus illustrati viam salutis et ipsi valeant introire), senza menzionare concretamente quali sono le conseguenze logiche e morali, ossia che ciò presuppone come condizione l’abbandono della loro religiosità pagana! Il fatto che ne sia stata cancellata più volte la stessa idea indica in modo lampante quanto forte sia questa tendenza: laddove si diceva “che Dio li liberi dal culto dei loro idoli e li integri nella Sua Santa Chiesa” (A libera eos ab idolorum cultu et aggrega Ecclesiae tuae sanctae), gli innovatori — che guardano con sospetto all’idea dell’unicità della Chiesa — accettano ora con ottimismo “che coloro che non professano Cristo camminino dinanzi a Dio con cuore puro e trovino (così) la verità” (N ut qui Christum non confitentur coram te sincero corde ambulantes inveniant veritatem). È normale che anche le altre religioni affermino di sforzarsi di trovare la verità. Ma può il cristiano pregare per questa forma di trovare la verità, che si realizza manifestamente senza allontanarsi dagli idoli e senza riconoscere Cristo? Invece di pregare per questa genuina conversione dei non credenti, ci si limita a dire che “noi cristiani dobbiamo diventare testimoni sempre più perfetti dell’amore di Dio nel mondo” (N nosque perfectiores effice tuae testis caritatis in mundo). È vero — e la storia missionaria ne ha molti testimoni eroici — che l’esempio dell’amore del Signore tra i gentili produce il miglior successo missionario. Tuttavia, nella formulazione ora scelta, in cui non si menziona più la rinuncia al paganesimo, questo testo rafforza l’errore diffuso secondo il quale la missione non debba essere necessariamente l’annuncio della verità, ma solo un servizio sociale.
[Traduzione dal tedesco di Antonio Marcantonio]
______________________________
[1] Op. cit., 220, p.3.
[2] Op. cit., p. 4.
[3] „Wo stehen wir?“ [A che punto siamo?] in: UVK 1980/1, p. 163.
[4] Questo punto è trattato dalla tesi di L. Weiß (Facoltà di teologia dell’Università di Friburgo, 1978): Die Orationen im Missale Romanum von 1970 [Le orazioni nel Missale Romanum del 1970]. Nonostante alcune incongruenze accidentali e il tentativo di sostenere senza eccezioni che le modifiche siano necessarie, giustificandole, questo testo costituisce un'eccellente raccolta di materiale.

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