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venerdì 27 maggio 2022

La virata woke di Macron passa per il ministero dell’Educazione

La Francia di Macron non da meno del Draghistan, una volta fallita la campagna di Zemmour [vedi]. Come tutti i tecnocrati al potere oggi, Macron ha chiesto di delegare all'OMS tutta la sovranità e il potere decisionale in materia sanitaria. La governance globale è in atto. E comincerà con la salute per poi continuare con la difesa, la giustizia, etc. Per il resto, cultura e identità nazionali a ramengo, come evidenzia ancora una volta l'articolo ripreso di seguito. Una deriva di non poco conto, una tendenza che, purtroppo, riguarda anche noi, costretti a subìre, umanamente impotenti, almeno finora. Indice articoli sulla realtà distopica e correlati.

Parigi. Venerdì scorso, il segretario generale dell’Eliseo, Alexis Kohler, si è presentato sulla scalinata del palazzo presidenziale per leggere la lista dei ministri scelti dal capo dello Stato francese, Emmanuel Macron, per il nuovo governo guidato da Élisabeth Borne. Un governo all’insegna della continuità, tra conferme, fedelissimi e pochissime novità rilevanti. Tranne una: la nomina dello storico di origini senegalesi e direttore del Musée de l’Histoire de l’immigration di Parigi Pap Ndiaye, adepto dell’ideologia woke, all’Éducation nationale, ossia al ministero dell’Istruzione francese.

«Un insulto alla memoria di Samuel Paty»
«Un ministro dell’Istruzione che odia la Francia, la République e la laicità. Che nei suoi scritti sostiene che in Francia ci sia un razzismo strutturale», ha commentato indignata la scrittrice e militante laica Fatiha Agag-Boudjahlat, non certo una pericolosa reazionaria, definendo la nomina di Ndiaye «un insulto alla memoria di Samuel Paty», il professore di storia e geografia decapitato per aver insegnato ai suoi alunni l’amore per la laïcité [qui - qui] . «È folle mettere un intellettuale che odia a tal punto la République al vertice di un ministero di vitale importanza come l’Istruzione, quello a cui è affidata la formazione del cittadino e la trasmissione dei valori repubblicani», ha aggiunto Agag-Boudjahlat.
A cosa si riferisce, in particolare, nelle sue accuse? A una serie di prese di posizione formulate da Ndiaye che c’entrano poco con la difesa dell’universalismo repubblicano e la battaglia per la laicità di cui Macron si è fatto portavoce fin dal primo giorno da presidente della Francia. Nel 2016, per esempio, accanto alla scrittrice Fred Vargas, Ndiaye partecipò a una delle cosiddette “riunioni non-miste”, ossia vietate ai bianchi, all’Università di Paris 8, per dissertare sulla condizione dei neri in Francia (sul tema, ha pubblicato un libro nel 2008, La condition noire. Essai sur une minorité française).

In Francia «esiste un razzismo strutturale»
Per capire qual è la posizione di questo ex allievo dell’École normale supérieure, fratello della scrittrice Marie Ndiaye, che nel 1991 ha potuto studiare all’Università della Virginia grazie a una borsa assegnatagli non per merito ma in nome della “discriminazione positiva”, basta andarsi a rileggere una recente intervista rilasciata al quotidiano Le Monde, in cui dice che in Francia «esiste un razzismo strutturale». Lo stesso, un anno prima, in un intervento su France Culture, dichiarò che «il ‘genio francese’ nasconde spesso un universalismo sciovinista di uomo bianco eterosessuale».
E come se non bastasse, nel 2021, assieme a Constance Rivière, ha pubblicato un rapporto, Rapport sur la Diversité à l’Opéra National De Paris, in cui puntava il dito contro l’eccessiva “bianchezza” dell’Opéra di Parigi, invocando maggiore diversità tra attori e ballerini.
Ogni dichiarazione o intervista, per Ndiaye, è un’occasione per puntare il dito contro l’occidente brutto, sporco e cattivo, per flirtare con chi milita per abbattere le statue in nome dell’ideologia decoloniale e per alimentare il discorso vittimista delle minoranze. «I neri non vogliono più pagare una tassa per il loro colore della pelle», dichiarò nell’estate del 2020 in un’intervista al quotidiano Le Temps. Sul wokismo negli Stati Uniti, ha detto che «la vera violenza è quella dei gruppi paramilitari fascisteggianti e non dei woke», e sulla diffusione nelle università francesi dell’islamogoscismo ha detto che «non corrisponde ad alcuna realtà».

La mossa politica dietro alla nomina di Pap Ndiaye
Scegliendo questo specialista dei Black Studies e della storia delle minoranze, Macron volta le spalle ai valori cardine della Repubblica francese. A maggior ragione, perché all’Istruzione, prima di Pap Ndiaye, c’era un fervente difensore della laicità come Jean-Michel Blanquer, che alla Sorbona, lo scorso autunno, aveva lanciato un pensatoio anti-woke, “Laboratoire de la République”, proprio per lottare con le derive provenienti da oltreoceano. «Pap Ndiaye, l’anti Blanquer all’Istruzione», ha commentato Les Echos. La nomina dello storico è anche una mossa politica in vista delle elezioni legislative del 12 e del 19 giugno: un clin d’oeil agli elettori della sinistra radicale che hanno intenzione di votare Jean-Luc Mélenchon (France insoumise) ma potrebbero cambiare idea facendosi abbagliare dalla virata woke impressa da Macron. - Fonte

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