La società liquida, quindi, deve essere progressista semplicemente perché non può tollerare la “conservazione” di forme e istituti di altre epoche, perché ciò incepperebbe il vorticoso processo di valorizzazione capitalistica. Pensiamo un po’ alla pubblicità. Negli anni ’70 una famosa azienda (la San Giorgio, se non ricordo male) mostrava l’immagine di una lavatrice presa a grosse martellate da nerboruti uomini, a dimostrazione della sua indistruttibilità e affidabilità. Oggi, nell’epoca dell’obsolescenza programmata, una pubblicità del genere sarebbe “immorale”, laddove “morale” è l’invito al continuo cambiamento del bene.
Ma torniamo alla famiglia. La società liquida iper capitalistica ricorda un po’ il dio crono che mangia i suoi figli: deve divorare continuamente le sue stesse creature, altrimenti rischia di perdere il potere. Il capitalismo della liquidità vede quindi nella famiglia un istituto da “superare”, in quanto essa, per sua stessa natura, tende a “conservare” il patrimonio ricevuto in eredità. Patrimonio parentale, culturale, e immobiliare. All’epoca della famiglia “tradizionale” ci si incontrava ogni giorno, almeno una volta, intorno alla tavola; si osservavano rigide regole educative, e guai a metterle in discussione; vigeva il sacro rispetto delle persone anziane; i genitori, divenuti vecchi, erano accuditi nell’ambito delle relazioni parentali; si partecipava, insieme, ai vari rituali della vita: nascita e battesimo, funerale, prima comunione e cresima, fidanzamento, matrimonio, visita parenti, “doveri” vari; i bambini, che non dovevano intromettersi nelle faccende dei “grandi”, crescevano rispettando tappe ben precise, dopo i dieci anni i maschietti cominciavano a diventare ometti (quindi basta frignare), le femminucce (un po’ prima) signorine. Ciò implicava una responsabilizzazione del minore che tendeva a comportarsi infatti da ometto o da signorina. In famiglia i genitori raccontavano episodi della loro vita passata, di quando erano giovani, di come si faticava la vita, insomma trasmettevano un legame con il passato, cosa che permetteva ai giovani di sentirsi parte di un processo. Ricordo nostro padre che ci raccontava le tante vicende della sua vita (fidanzamento, guerra, difficoltà…), così come nostra madre che ci raccontava di quando andava al torrente per lavare i panni, di come ricamava e cuciva, di come faceva all’amore (non l’amore) con nostro padre…
La famiglia era dunque quel contenitore all’interno del quale si riproduceva, sempre all’interno dei cambiamenti che la storia continuamente produce, quella sostanziale continuità che permetteva di sentirsi parte di una “tradizione” (parola aborrita dai “progressisti”). Anche la scuola faceva la sua parte, altrettanto la chiesa, ma la famiglia non era mai considerata di intralcio al processo educativo, al contrario rappresentava la garanzia che l’educazione, sia civile che religiosa, in essa trovasse il migliore garante.
Non è che qui voglia fare l’apologia del passato, ma solo mettere in evidenza come la famiglia rappresentasse il fulcro della vita sociale, l’asse educativo che consegnava agli impegni civili le nuove generazioni.
Ma il capitalismo che si evolveva verso nuovi rapporti sociali, che sempre più ponevano in essere la mobilità e il superamento delle “vecchie” forme, non poteva consentire che il mondo cambiasse intorno a una famiglia che rimaneva sostanzialmente stabile. Ecco perché, un po’ alla volta, il pensiero “progressista” cominciò a denigrare la famiglia come luogo dell’arretratezza e della permanenza di valori dissonanti con le nuove esigenze della vita moderna che chiedeva dinamicità, flessibilità, trasgressione e critica della tradizione. La famiglia, nel pensiero “progressista”, diventava quindi quel luogo di “merda”, come un’euforica Cirinnà dichiarava nel suo sguaiato cartello.
Così un po’ alla volta la famiglia “tradizionale", grazie anche ai modelli veicolati da cinema e spettacolo, si è radicalmente destrutturata, sfaldata, sfiduciata, demonizzata. Nella critica “progressista” la famiglia è diventata il luogo per eccellenza dove si consumano le violenze più atroci. (Certo non si nega che nella famiglia queste a volte ci siano, ma non la si può dipingere come luogo di tortura, perché così non è). Operazione ben riuscita. Ora, addirittura, si tratta di cancellarne addirittura la memoria, inventandosi famiglie di vario assortimento, così che tutto diventa famiglia e niente in sostanza più lo è. Famiglia liquida per una società liquida.
Parlare di famiglia naturale è grave bestemmia, la famiglia deve essere aperta, allargata, principalmente scombinata. Comunque sia non deve più essere considerata la prima e fondamentale “agenzia educativa”. Agenzie educative sono tv e social, e poi quella scuola sempre più condizionata dallo spirito del tempo “progressista”. Non a caso il mondo “progressista” ha dedicato (e dedica) grande attenzione alla scuola, riuscendo a modificarla nella sua natura e missione. In essa da tempo ormai si registra, in parallelo al decadimento della “vecchia” funzione didattica, il sopravanzare della funzione educativa “sociale” (vedere, per capire, le linee guida della nuova educazione civica) basata sull’imposizione ossessiva di temi divenuti cavalli di battaglia del ideologia “woke”: ecologismo radicale anti-umano (con tanto di colpevolizzazione sul riscaldamento climatico); immigrazionismo (con tanto di ideologica appendice multiculturalista); temi “etici” (dall’aborto all’eutanasia); genderismo (genitore 1 e 2, carriera “alias”, propaganda per la autocertificazione di genere, cioè ognuno decide a quale sesso appartenere…). Temi intorno ai quali impazzano progetti che ormai relegano le discipline nell’armadio dei ferrivecchi.
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