Un vescovo sotto assedio, impossibilitato a dire messa nella sua cattedrale, assedio solo parzialmente interrotto quando al mattino è sceso in strada con il Santissimo, per quaranta minuti, e si è posto in ginocchio di fronte alla polizia del regime di Ortega. L’ennesima tappa della persecuzione del Governo del Nicaragua alla Chiesa cattolica è andata in scena ieri a Matagalpa e ha visto come protagonista il vescovo più esposto e coraggioso nelle denunce contro chi attenta alla libertà religiosa: mons. Rolando José Álvarez, vescovo di Matagalpa e amministratore apostolico di Estelí.
Il presule, ieri mattina, è uscito in strada con il Santissimo Sacramento e ha chiesto a gran voce che la polizia sandinista ponesse fine all’assedio contro di lui. Il vescovo ha chiesto alla polizia di allontanare gli ufficiali dalla porta della curia e di far entrare fedeli e sacerdoti. Una volta in strada in strada, mons. Álvarez si è messo “in ginocchio solo davanti a Dio”, sfidando la polizia, che lo tiene forzatamente all’interno della curia e non permette a nessuno di passare davanti all’edificio.
“Ci auguriamo che le forze dell’ordine permettano una vita normale al popolo fedele”, ha detto mons. Álvarez, chiedendo che fosse consentito alla popolazione di partecipare alla messa, nel pomeriggio. Cosa che invece non è stata possibile. Se, durante la mattinata, gli agenti hanno evitato di intervenire contro il vescovo, pur sottraendosi alla sua volontà di abbracciarli, consentendo anche a due sacerdoti di incontrare il vescovo all’interno della sua abitazione, nel pomeriggio gli è stato impedito di uscire di casa per celebrare l’eucaristia.
La Conferenza episcopale del Nicaragua esprime vicinanza al vescovo e si dichiara aperta a collaborare con le autorità «per prendersi cura di questo grande bene universale […] così costruiamo quella Civiltà d’Amore, di cui papa san Giovanni Paolo II ci ha sempre parlato». Prosegue poi il comunicato firmato da monsignor Carlos Herrera e dal cardinale Leopoldo Brenes: «Data la situazione in cui vive il nostro fratello nell’ episcopato […] vogliamo esprimere la nostra fraternità, amicizia e comunione episcopale con lui, poiché questa situazione tocca i nostri cuori come vescovi e Chiesa nicaraguense. Se un membro soffre, tutti soffriamo con lui (1Cor 2,26)». Il comunicato è stato rilasciato domenica 7 agosto, quattro giorni dopo che monsignor Álvarez ha lasciato la curia col Santissimo Sacramento davanti a una postazione di polizia che circondava l’area impedendo di svolgere l’Eucarestia.
Ieri monsignor Álvarez ha celebrato la messa dalla reclusione, «Sono indagato, non so per che cosa», ha denunciato, aggiungendo poi che «la paura paralizza, la disperazione ci auto-seppellisce e l’odio è la morte del cuore» e ringraziando quanti gli sono vicini con le preghiere anche attraverso i media. Ha poi affermato di «mantenere la gioia, la forza e la pace interiore continuando a mostrare al mondo la sua capacità di dialogo, armonia, comprensione, riconciliazione, amicizia, fratellanza, libertà e pace» e ribadendo la sua «fiducia che il Signore riporterà la pace in Nicaragua».
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