La festa liturgica dell'Arcangelo San Michele ricorre il 29 settembre, data indicata nel Sacramentario Leoniano e nel Martirologio Geronimiano. Dal 1970 la festa è unita a quella degli Arcangeli San Gabriele e San Raffaele. Per l'occasione riprendo un articolo di Silvio Brachetta. Vedi precedenti nel blog: qui - qui.
Nella prima Elegia duinese, Rainer Maria Rilke sostiene che «ogni angelo è tremendo», perché – dice di sé – «se uno di loro al cuore mi prendesse, io verrei meno per la sua più forte presenza». Non c’è possibilità di non essere schiacciati dall’intensità ontologica, dal vigore esistenziale dell’angelo, così come l’angelo sarebbe sopraffatto dall’infinita potenza dell’essere puro, da Dio. Ma né Dio vuole schiacciare l’angelo, né questi l’uomo, poiché la sopraffazione del Bene e dei buoni è cura amorevole dei più deboli.
Ogni angelo, poi, è come un universo, uguale a sé medesimo e assai diverso dagli altri. Pur di sostanza spirituale, semplicissima e indivisibile, l’angelo è smisurato – non infinito, poiché creato, ma incommensurabile, poiché di enorme perfezione rispetto all’uomo e alle creature materiali. L’angelo è l’indizio vivente secondo cui la provvidenza di Dio non vuole avere un controllo immediato del cosmo, ma mediato dalle creature: quanto ad alcune delle operazioni della sapienza, il sempiterno volere e la ragione della Ss. Trinità si effondono dalle prime sfere angeliche alle ultime – e poi da queste all’uomo – e dall’uomo alle creature animali, vegetali e inanimate.
I Sette Spiriti di Dio
Dionigi l’Aeropagita descrive i «nove cori angelici». Nella prima sfera, degli spiriti più prossimi all’eterna fiamma dell’amore, i serafini, i cherubini e i troni, ardono nella perfezione della scienza e somministrano la sapienza divina a tutto il creato. Le dominazioni, le virtù e le potenze della seconda sfera governano l’universo, mediante la scienza ricevuta da Dio, ad opera degli angeli superiori. Dalla terza sfera si muovono i principati, gli arcangeli e gli angeli, il cui ministero è quello del quale portano il nome: sono i messaggeri, tra Dio e l’uomo – mal’akh, in ebraico e ànghelos, in greco, si traducono con «messaggero» o «ambasciatore».
Tutta la Scrittura e la Tradizione contemplano l’opera di Dio, accompagnata sempre dalla presenza degli angeli. Il mistero degli angeli è persino maggiore di quello di Dio, non perché gli angeli siano più complessi o misteriosi, ma perché la Scrittura parla molto di Dio e meno degli angeli. È Dio che salva, non l’angelo. Dio creatore salva per mezzo dell’angelo-creatura e a Dio, quindi, va orientata per prima la nostra conoscenza.
Se dunque di Dio si può conoscere solo quello che la provvidenza ha voluto rivelare, tanto più dell’angelo (che è solo creatura) permangono alti misteri, per i quali vale il detto di Ludwig Wittgenstein: «Su ciò di cui non si può parlare si deve tacere». Ecco dunque sorgere un grande mistero, quando l’arcangelo Raffaele dice a Tobia: «Io sono Raffaele, uno dei sette angeli che sono sempre innanzi alla presenza della maestà del Signore» (Tob 12, 15). Perché l’arcangelo Raffaele compare nella prima sfera, quando invece l’Areopagita colloca gli arcangeli nella terza? E perché a Raffaele si aggiungono altri due arcangeli – Michele e Gabriele – anch’essi associati dai primi Padri della Chiesa a quelle «sette lampade di fuoco accese di faccia al trono, che sono i Sette Spiriti di Dio» di cui parla l’Apocalisse (4, 5)?
Forse una spiegazione viene proprio dal nome “arcangelo”, che si traduce come “capo degli angeli” (da àrchein, comandare). O forse alcuni arcangeli dimorano presso le schiere serafiche e cherubiche. Questo non è dato a sapere, poiché non è stato rivelato. E non è stato rivelato nemmeno il nome degli altri quattro Spiriti che, assieme a Michele, Gabriele e Raffaele ne condividono la dignità e l’ufficio. È vero che la Tradizione patristica restituisce quattro nomi – Uriele, Barachiele, Jeudiele e Selatiele – ma non sono nomi che provengono dalla Scrittura. Benché, dunque, la Scrittura sia solo una delle fonti della Rivelazione (assieme alla Tradizione), è però la fonte primaria e il fatto che alcuni nomi siano taciuti significa che è del tutto opportuno che lo restino fino alla consumazione dei tempi. La ragione la conosce solo Dio.
Figure centrali nell’opera della salvezza
Questo è il motivo per cui il 29 settembre è la festa liturgica dei tre soli santi arcangeli Michele, Gabriele e Raffaele: non si vuole escludere gli altri quattro – ai quali ci si può sempre rivolgere in preghiera – ma si vuole farne memoria, per via della loro missione del tutto peculiare nella storia della salvezza umana. San Gregorio Magno scruta questo mistero con sapienza nelle sue Omelie sui Vangeli. Il termine “angelo” – scrive San Gregorio – «denota l’ufficio, non la natura». Infatti, i santi spiriti dei cieli «sono angeli solo quando per mezzo loro viene dato un annunzio». Non solo, ma «quelli che recano annunzi ordinari sono detti angeli, quelli invece che annunziano i più grandi eventi son chiamati arcangeli».
Così fu per san Michele, Gabriele e Raffaele, ai quali fu affidato l’annuncio di grandi eventi: Michele fu il capitano delle schiere angeliche che fronteggiarono Lucifero; Gabriele portò l’annuncio a Maria della nascita del Salvatore; Raffaele curò la cecità di Tobia e rappresenta l’archetipo degli angeli custodi. San Michele, nella Scrittura, è una figura decisamente centrale, rispetto alle altre creature spirituali. Daniele lo presenta come il primo dei principi e il custode d’Israele. Al pari della Beata Vergine, Michele è spesso raffigurato con il dragone sotto i piedi, perché entrambi hanno una parte decisiva nella lotta contro i demoni. L’Apocalisse lo cita cinque volte con l’epiteto di «capo supremo dell’esercito celeste». Assai diffusa la venerazione di questo arcangelo, in Oriente e in Occidente, dove molti santuari e chiese gli sono dedicati. Il suo nome (Mi-ka-el, in ebraico “chi come Dio?”) corrisponde forse al grido di risposta al «non servirò» di Lucifero.
Grande spazio ha, nella Bibbia, anche la missione di san Gabriele (gabri-el, “forza di Dio”) che, molto prima dell’Annunciazione lucana, profetizza a Daniele l’avvenire del popolo d’Israele, dal ritorno in patria, dopo l’esilio babilonese, all’avvento del Messia. Dinnanzi alla Vergine, egli si presenta come colui che «sta al cospetto di Dio» (Lc 1, 19). Gabriele annuncia pure la futura paternità a Zaccaria, per cui sua moglie Elisabetta darà alla luce san Giovanni Battista. Il ministero di san Raffaele, come per gli altri due arcangeli, è anch’esso contenuto nel nome (rafa-el, “medicina di Dio”) e rappresenta la modalità con cui il Signore sovviene alle malattie carnali e spirituali degli uomini. Raffaele appare a Tobiolo in forma umana. Mangia e beve, ma dichiara anche che questa sua carnalità non è altro che apparenza. Pur essendo nominato solo nel libro di Tobia, Raffaele è comunque uno dei protagonisti della vicenda.
La differenza tra l’angelo e l’uomo
Delle gerarchie angeliche, descritte dall’Areopagita, san Tommaso d’Aquino offre un’acuta chiave di lettura teologica: «alla prima gerarchia spetta considerare il fine; alla gerarchia di mezzo, disporre universalmente le cose da fare; all’ultima, invece, applicare le disposizioni agli effetti, e cioè eseguire l’opera» (S.Th., I, 108, 6). Se insomma è vero, come afferma Matteo nel Vangelo (18, 10) che gli «angeli nel cielo vedono sempre la faccia del Padre mio [di Gesù]», alcuni angeli lo vedono con perfezione maggiore ed altri con perfezione minore. Questo accade non perché Dio sia parziale o ingiusto, ma perché la provvidenza ha disposto che non tutte le creature abbiano lo stesso grado di perfezione e, quindi, la stessa capacità introspettiva.
Per questo motivo, agli angeli dei tre cori più vicini alla maestà di Dio è dato di poter contemplare la sapienza con la perfezione maggiore, a quelli invece dei cori intermedi Dio ha concesso di poter disporre della creazione. Gli ultimi tre cori hanno un contatto diretto con gli uomini ed eseguono le opere della sapienza divina. Eppure nessun angelo è stato escluso dalla visione di Dio, nella misura in cui egli la può recepire, in quanto tutti i beati vedono Dio faccia a faccia. Gli angeli inoltre, afferma san Tommaso, conoscono in modo diverso: «gli angeli superiori hanno una conoscenza più universale della verità rispetto agli angeli di classe inferiore». Per quanto riguarda, invece, «la conoscenza di Dio in se stesso, il quale tutti gli angeli vedono nello stesso modo – nella Sua Essenza – non esiste distinzione gerarchica tra gli angeli».
San Bonaventura da Bagnoregio riconosce negli angeli «quattro attributi»: la «semplicità dell’essenza», la «distinzione personale», la «memoria, l’intelligenza e la volontà» e la «libertà dell’arbitrio» (Breviloquium, II, 6). La differenza con la natura umana è data dal fatto che l’uomo non è semplice nell’essenza, ma è composto da organi, nonché è costituito da una parte materiale (corpo) e da una spirituale (anima). Un’altra differenza concerne la minore perfezione e la mortalità. Bonaventura elenca, quanto agli angeli, altri quattro attributi associati ai primi: la «potenza nell’operare», lo «zelo nel servire», la «perspicacia nel conoscere» e l’«immutabilità, tanto nel bene quanto nel male, dopo la scelta». Qua si vede meglio la differenza uomo-angelo. L’angelo è più potente, conosce meglio ed è più zelante dell’uomo. L’angelo inoltre, con un unico atto della volontà, sceglie immediatamente il bene o il male – e tale scelta è definitiva poiché, conoscendo Dio per visione, sa esattamente cosa riceve o a cosa rinuncia. L’uomo, al contrario, a causa della propria imperfezione, nella scelta tra il bene e il male, decide parzialmente e ha del tempo per il pentimento.
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