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sabato 21 gennaio 2023

Può un vescovo limitare una "messa privata" nell'usus antiquior a un sacerdote con un ministrante?

Nella nostra traduzione da New Liturgical movement un articolo del Prof. Peter Kwasniewski su arbitrarie restrizioni alla Messa antica. Si entra in dettaglio perché con l'aria che tira ogni occasione sembra buona per aumentare le restrizioni ad libitum. Sul tema vedi un precedente specifico ricavabile dalle domande più salienti poste a un canonista qui
Penso sia importante mettere a fuoco alcuni dettagli. Vorrei ricordare che l’atto pubblico del culto è compiuto dalla Chiesa come azione di tutto il Corpo Mistico (in realtà la Consacrazione è Actio di Cristo compiuta dal sacerdote in persona Christi). La partecipazione del fedele, ancorché lodevole e commendevole per poter beneficiare delle Grazie del Santo Sacrificio, non è tuttavia elemento sostanziale dell’azione sacra: è dogma di fede che qualsiasi Messa, anche se celebrata dal solo sacerdote, è perfettamente valida e rende a Dio l’onore che Gli è dovuto, ed adempie perfettamente ai quattro fini che essa, come Santo Sacrificio, si prefigge: adorazione, propiziazione, ringraziamento, impetrazione.
Pur non essendo prevista nell'Antico rito la Messa sine populo, il codice del 1983 ammette come possibilità, in determinate circostanze, la celebrazione di una messa senza nessuno, che anche oggi i sacerdoti senza cura d'anime sono soliti celebrare....
Qui bisognerebbe notare che nel "Novus Ordo" (in linea col nuovo soggetto "Assemblea celebrante", in luogo di Cristo) è previsto un rito della Messa cum populo ed uno della Messa sine populo, come se quando il sacerdote (nella nuova veste di "Presidente" dell'Assemblea) si volge per il Dominus vobicum non si rivolgesse all’intera Chiesa militante, purgante e trionfante, ma solo ai fedeli fisicamente presenti... (M.G.) 
Qui l'indice degli articoli su Traditionis custodes e successivi.

Può un vescovo limitare una "messa privata"
nell'usus antiquior a un sacerdote con un ministrante?

In alcune diocesi, la Traditionis Custodes viene “applicata” con modalità che vanno ben al di là di quanto sarebbe richiesto dalla lettera della legge (così com'è; P. Réginald-Marie Rivoire nel suo magistrale trattato canonico ha dimostrato che è una cattiva legge e peggiore teologia; vedi anche il mio articolo sui neo-sacerdoti e il permesso di offrire l'usus antiquior). Accade anche quando i vescovi tentano di ridefinire la "messa privata" come una messa in cui sono presenti solo un sacerdote e un ministrante e nessun altro.

Cominciamo con una questione canonica preliminare. Se un vescovo si limita a spiegare ai suoi sacerdoti che questa sarà la sua politica, o se gli è stata comunicata in modo informale, allora non è né valida né legalmente applicabile, il motivo è dato da una serie di canoni:
Can. 49. Il precetto singolare è un decreto che direttamente e legittimamente ingiunge a una o più persone determinate di fare od omettere qualcosa, soprattutto per sollecitare l'osservanza della legge.
Can. 51. Il decreto deve essere emanato per iscritto, con le motivazioni almeno sommariamente espresse se si tratta di una decisione.
Can. 54. §1. Il decreto singolare la cui applicazione è affidata a un esecutore ha effetto dal momento dell'esecuzione; diversamente, dal momento in cui è reso noto alla persona dall'autorità di colui che l'ha emesso. §2. Il decreto singolare, per essere eseguito, deve essere reso noto con atto legittimo a norma del diritto.
Can. 55. Fermo restando il disposto dei cann. 37 e 51, quando una gravissima ragione si frapponga alla consegna del testo scritto del decreto, il decreto si ritiene intimato se viene letto alla persona cui è destinato di fronte a un notaio o a due testimoni, con la redazione degli atti, da sottoscriversi da tutti i presenti.
Ciò che si deduce da questi canoni è che il vescovo avrebbe dovuto mettere per iscritto una tale limitazione dei diritti del sacerdote e promulgarla adeguatamente. Se un vescovo intende vietare qualcosa a cui un sacerdote ha altrimenti diritto, deve emetterlo per iscritto, perché deve è il genere di prescrizione suscettibile di contestazione da parte degli interessati. Altrimenti, sarebbe solo una forma di bullismo: "Devi farlo perché lo dico io", senza traccia cartacea. Ora, nel caso in questione (in cui un vescovo tenta di ridefinire una messa privata), quale diritto di un sacerdote verrebbe violato?
Can. 906. Se non per giusta e ragionevole causa, il sacerdote non celebri il sacrificio eucaristico senza la partecipazione di almeno qualche fedele.
Si noti che Can. 906 normalmente richiede che ci sia “almeno qualche fedele”, che è volutamente a tempo indeterminato: potrebbe logicamente e legalmente includere più persone, anzi potrebbe includere una grande chiesa gremita fino alle travi. Questo vale per una Messa che un sacerdote senza impedimenti offre in qualsiasi giorno della settimana in qualsiasi luogo legittimo per qualsiasi motivo legittimo. Ciò includerebbe una Messa celebrata, per un motivo appropriato, in una cappella laterale, in una scuola o in un centro di ritiri, in una cappella della canonica, in una casa, ecc.

Ora, Papa Giovanni XXIII nel Codice delle Rubriche del Breviario e del Messale Romano del 1960 [vedi], n. 269 (e dopo di lui Paolo VI nell'enciclica Mysterium Fidei, nn. 32-33) rifiutava il termine “Messa privata” perché Messa per sua stessa natura è un atto sociale, anche se detto da un prete con un ministrante e nessun altro. Storicamente e giuridicamente, una “Missa privata” significava una Messa “priva” di solennità o cerimoniale – una Messa letta presso un altare laterale in contrasto con una solenne Messa conventuale. Solo più tardi e in modo informale ha acquisito il senso di “non ufficiale, non programmata, non pubblicizzata”. Tuttavia, possiamo ragionevolmente descrivere una Messa che viene celebrata su una proprietà privata (non in una proprietà diocesana) e non resa nota al pubblico, e senza fasti e circostanze, come una "Messa privata". [1] Non vi è alcuna regola canonica che vieti di farlo, né, per i motivi addotti, potrebbe bastare una semplice istruzione verbale di un vescovo.

(Sia chiaro su questo punto: qualsiasi implementazione di Traditionis Custodes che non sia formalmente affidato ad un scritto in modo da poter essere canonicamente valutato e contestato non è valido nel contesto e non può essere applicato.)

È arbitrario limitare i ministranti a uno solo. Non esiste una base canonica per un tale limite. Un prete poteva avere uno, due o tre ministranti, o quanti sembrassero convenienti. Allo stesso modo, è arbitrario specificare che può essere presente un ministrante ma non, diciamo, tre laici che stanno semplicemente assistendo e pregando. A meno che il ministrante non sia ordinato all'ordine minore dell'accolitato o insediato nel “ministero” dell'accolitato, il ministrante è semplicemente un laico che indossa una tonaca e una cotta e offre un po' di assistenza. Non ci sarebbe alcuna base oggettiva per il suddetto limite. Infatti, poiché il termine stesso “Messa privata” è da evitare secondo il Codice delle Rubriche del 1960 (n. 269), si potrebbe ritenere che qualsiasi politica formulata in termini di “Messa privata” sia teologicamente infondata, e quindi meritevole di essere ignorata.

Prima del 1958, il termine " missa privata ", quando era usato dalla Santa Sede, portava con sé diverse valenze di significato: condizioni di privacy, mancanza di solennità o musica, ecc.[2] Posso solo presumere che un vescovo oggi potrebbe usarlo nel senso di Messa " sine populo ", poiché la distinzione esiste nei testi del Novus Ordo. [3] Questo concetto non esiste, invece, per l'usus antiquior, ed è quindi inapplicabile.

Poiché l'attuale legislazione non definisce la "messa privata", un vescovo potrebbe sostenere che spetta a lui fare distinzioni (usando la nozione spesso citata erroneamente del vescovo come "responsabile della liturgia" della sua diocesi), anche se la contro-argomentazione sarebbe che tali distinzioni sono praeter legem ed esulano dall'autorità del vescovo. Un vescovo che proibisce la Messa Antica va semplicemente contrastato. I sacerdoti dovrebbero continuare a offrire la Messa. Se necessario, affermare che “il Padre offrirà una Messa privata alle 8:30 nella cappella della scuola. Le porte della cappella saranno aperte durante questa celebrazione privata della Messa”.

Per inciso, se un vescovo si azzardasse a proibire ai sacerdoti di recitare da soli la Messa antica, il loro divieto sarebbe del tutto nullo. Ai sensi del can. 906 (e questo è un cambiamento rispetto al can. 813 nel codice del 1917), un sacerdote è autorizzato a celebrare la messa senza un ministrante o nessun altro per una "giusta e ragionevole causa". [4]Questo è stato a lungo inteso canonicamente per includere semplicemente il grande bene, per sé e per la Chiesa, del sacerdote che celebra la Messa quotidiana.

Quindi, tenendo conto di tutte le rinunce, ipoteticamente in una diocesi in cui un vescovo ha tentato di limitare le "Messe private" a un sacerdote e un inserviente, sarebbe lecito per un sacerdote celebrare una Missa sine populo senza un inserviente (cioè una Missa solitaria) per una “giusta causa” di cui al can. 906 (quale causa più giusta del perseguire la santità e l'onore di Dio secondo la sana tradizione rituale della Chiesa?), ma in modo tale che alcuni fedeli si trovassero lì contemporaneamente per un motivo estraneo (diciamo, ad esempio, fossero riuniti per pregare il Rosario). In tal caso, tutto sarebbe canonicamente corretto e la sentenza del vescovo – già errata per altri motivi – non troverebbe neppure materia cui applicarsi. - Fonte 
 [Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio] 
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[1] O'Connell elenca diversi tipi di messe private. 
[2] Cfr . McManus, Manuale per le nuove rubriche (Baltimora: Helicon, 1960), 106.
[3] “L'edizione rivista del Messale Romano, promulgata da Papa Paolo VI nel 1969, presentava due forme dell'Ordine della Messa: l' Ordo Missae cum populo e l' Ordo Missae sine populo …. L'Ordinamento Generale del Messale Romano del 1970 trattava della prima di queste forme di celebrazione della Messa ai numeri 77–152, e della seconda ai numeri 209–231. Quest'ultima sezione iniziava con la spiegazione: "Questa sezione dà le norme per la Messa celebrata da un sacerdote con un solo ministrante che lo assista e dia le risposte". Nell'edizione del 2002 riveduta e ampliata dell'Ordinamento generale, il termine Missa cum populo rimane come intestazione delle informazioni fornite ai numeri 115-198, ma l'altra sezione (numeri 252-272) parla di Missa cuius unus tantum minister participat (Messa alla quale partecipa un solo ministrante). In corrispondenza di quest'ultima forma, il Messale presenta l' Ordo Missae cuius unus tantum minister participat (Ordine della Messa a cui partecipa un solo ministrante)” ( fonte ). 
[4] Padre Zuhlsdorf ne ha un po' di più qui: https://wdtprs.com/2016/12/ask-father-can-priests-say-the-tridentine-mass-alone-without-a-server/.
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