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giovedì 9 marzo 2023

Umiltà del Verbo Incarnato modello della nostra

L’amor proprio
Terza parte

Umiltà del Verbo Incarnato
modello della nostra

di Don Curzio Nitoglia

Prima parte
Seconda parte
Terza parte
Quarta parte
Quinta parte
Sesta parte

Il Verbo Incarnato è l’esempio pratico della somma e infinita grandezza che ha voluto chinarsi sino all’infima bassezza. Infatti, in Gesù si trova l’unione più perfetta di questi due estremi (la Divinità infinita con l’umanità non solo creata, ma umiliata e sofferente), eppure l’unione di questi estremi, di per sé incompatibili, in Gesù risulta essere addirittura meravigliosa.

In san Paolo (Fil., II, 5) è divinamente rivelato: «Gesù, benché sussistesse nell’Essenza di Dio, non ritenne per Sé avidamente quest’eguaglianza con Dio, ma annientò Se stesso prendendo la forma di schiavo e facendosi simile all’uomo […]; Egli ha umiliato Se stesso, facendosi ubbidiente sino alla morte di croce».

L’attitudine del Verbo Incarnato, che unisce nella Persona divina del Figlio due nature infinitamente distanti: quella divina e quella umana, è l’esatto opposto di quella di Lucifero e dei Trans/umanisti, i quali, pur essendo semplici creature, vorrebbero eguagliarsi a Dio. Invece, al contrario, Gesù si è realmente annichilato.

Certamente il Verbo Incarnato è rimasto Dio consustanziale al Padre e allo Spirito Santo, tuttavia ha pure assunto realmente la nostra povera, finita, creata natura umana.
In questo senso Egli si è annichilito, annientato, umiliato.

Infatti, prendendo la natura umana si è fatto “schiavo”, proprio perché l’uomo, creatura di Dio, è servo del suo Padrone e Signore. Perciò, il Verbo divino ha assunto nella propria Persona infinita la natura di servo.

Così Egli ha umiliato Se stesso per darci un esempio, infatti, Gesù ci ha insegnato esplicitamente: “Imparate da Me che sono mite e umile di cuore” (Mt., XI, 29).

L’umiltà consiste nella dipendenza da Dio e dall’Autorità alla quale Egli ci confida; invece, l’orgoglio mira all’indipendenza assoluta da ogni superiore sia umano sia divino. Ora, il Verbo s’è incarnato per guarire il nostro orgoglio e s’è abbassato sino a farsi uomo, a nascere in una stalla e a morire sulla croce.

L’umiliazione, perciò, rende meritorie le nostre azioni, anche le più basse, a tal punto che queste, per quanto naturalmente sembrano inutili possono diventare fecondissime di meriti soprannaturali.

Il Verbo divino, con la sua Incarnazione, Passione e Morte ha reso utilissima la cosa più orripilante e naturalmente inutile: il dolore e la sua manifestazione estrema, la morte!
La morte di Gesù, a uno sguardo puramente umano e naturale, è stata la più vergognosa. Egli, con ciò, ha voluto farci capire che per entrare nel Regno dei Cieli è necessario l’abbassamento della morte.

Gesù ci sprona a tendere alle cose più grandi (il Cielo), ma a farlo umilmente, con la totale sottomissione alla volontà (anche se crocifiggente) del Padre, conciliando umiltà e magnanimità.

E’ l’insegnamento del Vangelo, ripreso da santa Teresina del Bambino Gesù, la maestra della piccola via dell’infanzia spirituale: “Chi si farà umile come questo bambino, sarà il più grande nel Regno dei Cieli” (Mt., XVIII, 1).

In san Giacomo (IV, 10) è divinamente rivelato: “Umiliatevi davanti al Signore, ed Egli vi solleverà”.

San Tommaso d’Aquino (In Epist. II ad Cor., XII, 7) spiega che «come la Carità è la radice di tutte le Virtù, così l’orgoglio è la radice di tutti i vizi, poiché esso è il desiderio disordinato della propria eccellenza; infatti, la si vuole, senza subordinarla a Dio. Così ci allontaniamo da Dio: ecco il principio di ogni colpa ed ecco il motivo per cui “Dio resiste ai superbi mentre dà la sua grazia agli umili” (Gc., IV, 6). Ora, essendovi negli uomini virtuosi il bene per il quale possono inorgoglirsi, Dio permette talvolta che i suoi eletti abbiano in sé qualche infermità, qualche difetto, e talvolta persino un peccato mortale che impedisca loro d’insuperbirsi, che li umili veramente, e faccia loro conoscere che con le proprie forze non possono reggersi e ancor meno perseverare».

Ecco come nei grandi santi si conciliano l’umiltà e la magnanimità: essi tendono verso opere grandi in mezzo alle prove e alle umiliazioni più cocenti.

Nella Madonna Santissima vi è qualcosa di simile. Ella è Immacolata, ma nel Magnificat canta che la sua anima glorifica il Signore perché Egli ha guardato la bassezza o l’umiltà della sua schiava, tuttavia Egli ha fatto in lei grandi cose.

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