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domenica 16 aprile 2023

Dominica "in Albis" (vestibus) - Quasimodo geniti infantes

Continuiamo ad attingere ai tesori della nostra fede. 

Ricordiamo che per il Sacramentario gelasiano l'Ottava di Pasqua terminava con il sabato. Al tempo di san Gregorio Magno si trasferì la sua conclusione alla domenica: Dominica post albas sul Sacramentario gregoriano. La denominazione Dominica in albis è posteriore.
Riprendiamo le prime parole dell'Introito della Messa del giorno "Quasi modo geniti infantes". (vedi come si comporta il gregoriano con questo testo). Ogni Domenica è Pasqua, ma quella in Albis, Ottava (Octava Dies) di Pasqua, ci ricorda la gioia e la grandiosità dell'unica e solenne Domenica che ha portato e porta tutto il mondo cristiano alla Risurrezione di Cristo Signore. Parole rivolte ai neofiti che avevano appena ricevuto la Fede per esortarli a continuare a nutrirla. Essi (e vale per tutti noi), una volta finiti i festeggiamenti del loro ingresso pasquale nella Chiesa, depositavano le vesti bianche ([in] albis vestibus) "esterne" ricevute la Domenica di Pasqua col Santo Battesimo, iniziando la feriale (ma sempre gioiosa) vita cristiana nella quale bisogna continuare a portare le vesti bianche "interne".

Ogni domenica è una Pasqua
Abbiamo visto, ieri, i neofiti chiudere la loro Ottava della Risurrezione. Erano stati immessi prima di noi alla partecipazione del mirabile mistero di Dio Risorto e, prima di noi, dovevano giungere al termine delle loro solennità. Questo giorno è dunque l’ottavo per noi che abbiamo celebrato di Domenica la Pasqua, senza anticiparla al Sabato sera. Ci si ricorda la gioia e la grandiosità dell’unica e solenne Domenica che ha associato tutto il mondo cristiano in un medesimo sentimento di trionfo. È il giorno della nuova luce che cancella l’antico Sabato: d’ora in avanti, sarà sacro il primo dì della settimana. È sufficiente che per ben due volte il Figlio di Dio l’abbia marcato col suggello della sua potenza. La Pasqua è, dunque, per sempre fissata di Domenica; e, come è stato già spiegato più sopra, nella “mistica del Tempo Pasquale”, ogni Domenica è, d’ora in poi, una Pasqua.
Il nostro Divin Risorto ha voluto che la sua Chiesa così ne comprendesse il mistero, poiché, avendo intenzione di mostrarsi una seconda volta ai suoi discepoli, riuniti tutti assieme, ha aspettato, per farlo, il ritorno della Domenica. Durante tutti i giorni precedenti ha lasciato Tommaso in preda ai suoi dubbi; solamente oggi è voluto venire in suo soccorso, manifestandosi a questo Apostolo in presenza degli altri e obbligandolo a deporre la sua incredulità di fronte alla più palpabile evidenza. Oggi, dunque, la Pasqua riceve da Cristo il suo ultimo titolo di gloria, aspettando che lo Spirito Santo discenda dal cielo per venire a portare la luce del suo fuoco e fare, di questo giorno, già così privilegiato, l’era della fondazione della Chiesa Cristiana.

L’apparizione a san Tommaso
L’apparizione del Salvatore al piccolo gruppo degli undici, e la vittoria che riporta sull’incredulità di uno dei suoi Discepoli è oggi l’oggetto speciale del culto della Santa Chiesa. Quest’apparizione, legata alla precedente, è la settima. Per suo mezzo Gesù entra nel possesso completo della fede dei suoi discepoli. La sua dignità, la sua pazienza, la sua carità in questa circostanza, sono veramente quelle di un Dio. Ancora una volta i nostri pensieri, troppo umani, restano sconvolti alla vista di questa dilazione di tempo che Gesù accorda all’incredulo, di cui, invece, sembrerebbe dover rischiarare senza indugio lo sfortunato acciecamento, o punire la temeraria insolenza.
Ma Gesù è la suprema Sapienza e la suprema Bontà. Nella sua saggezza prepara, per mezzo di questa lenta constatazione dell’avvenuta sua Risurrezione, un nuovo argomento in favore della realtà del fatto; nella sua bontà conduce il cuore del discepolo incredulo a ritrattare, da se medesimo, il suo dubbio con una sublime protesta di dolore, di umiltà e d’amore.
Noi non descriveremo qui quella scena così mirabilmente raccontata nel Vangelo, che la Santa Chiesa metterà tra poco sotto i nostri occhi; ci applicheremo solo, nell’odierno insegnamento, a far comprendere al lettore la lezione che Gesù oggi dà a tutti, nella persona di san Tommaso. È il grande ammaestramento della Domenica dell’Ottava di Pasqua. È importante ch’esso non venga trascurato, poiché, più di ogni altro, ci rivela il senso vero del Cristianesimo; ci illumina sulla causa delle nostre impotenze e sul rimedio per i nostri languori. La lezione del Signore Gesù disse: “Poiché hai veduto, Tommaso, hai creduto; beati coloro che non han visto e han creduto!”. Parole piene di una divina autorità, consiglio salutare dato, non solamente a Tommaso, ma a tutti gli uomini che vogliono, entrare in rapporto con Dio e salvare le anime loro! Che voleva dunque Gesù dal suo Discepolo? Non aveva confessato, un momento fa, quella fede di cui ormai era convinto? Tommaso, del resto, era poi tanto colpevole per aver desiderato un’esperienza personale, prima di dare la sua adesione al più sorprendente dei prodigi? Era tenuto a rimettersi a Pietro ed agli altri, al punto di temere di mancare verso il suo Maestro, non fidandosi della loro testimonianza? Non dava prova di prudenza, lasciando in sospeso la sua convinzione, finché altri argomenti non gli avessero rivelato direttamente la realtà del fatto? Sì, Tommaso era un uomo saggio, un uomo prudente che non si fidava oltre misura; era degno di servire di modello a molti cristiani che giudicano e ragionano come lui nelle cose della fede.
E nondimeno quanto è grave, nella sua penetrante dolcezza, il rimprovero di Gesù! Con una condiscendenza inesplicabile, si è degnato di prestarsi alla constatazione che Tommaso aveva osato chiedere; adesso che il Discepolo si trova di fronte al Maestro risorto, e che esclama, con la più sincera emozione: “Mio Signore e mio Dio!”, Gesù non gli fa grazia della lezione che aveva meritata. Ci vuole un castigo per quell’ardire, per quella incredulità; e la punizione consiste nel sentirsi dire: “Perché hai veduto, Tommaso, hai creduto”.

L’umiltà e la fede
Ma Tommaso era dunque obbligato a credere prima di aver veduto? E chi può dubitarlo? Non soltanto Tommaso, ma tutti gli Apostoli erano tenuti a credere alla Risurrezione del Maestro, anche prima che fosse loro apparso. Non avevano vissuto tre anni insieme con lui? Non l’avevano visto confermare con numerosi prodigi la sua qualità di Messia e di Figlio di Dio? Non aveva annunziato la sua Risurrezione nel terzo giorno dopo la sua morte? E in quanto alle umiliazioni e ai dolori della Passione, non aveva, poco tempo prima, sulla strada di Gerusalemme, predetto che sarebbe stato preso dai Giudei, che l’avrebbero dato nelle mani dei Gentili, che sarebbe stato flagellato, coperto di sputi e messo a morte? (Lc 18,32-33).
Dei cuori retti e disposti alla fede non avrebbero avuto nessuna difficoltà a convincersene, appena saputo della sparizione del suo corpo. Giovanni non fece che entrare nel sepolcro, vedere i lenzuoli, e subito comprese tutto e credette fin da allora.
Ma l’uomo raramente è così sincero, e si ferma sul suo sentiero, quasi volendo obbligare Dio a prevenirlo. Gesù si degnò di farlo. Si mostrò alla Maddalena e alle sue compagne, che non erano incredule, ma soltanto distratte dall’esaltazione di un amore troppo naturale. Nel giudizio degli Apostoli, la loro testimonianza non era che il linguaggio di donne dall’immaginazione esaltata. Bisognò che Gesù venisse in persona a mostrarsi a quegli uomini ribelli, ai quali l’orgoglio faceva perdere la memoria di tutto il passato, che sarebbe bastato da solo ad illuminarli per il presente. Diciamo il loro orgoglio perché la fede non ha altro ostacolo che questo vizio. Se l’uomo fosse umile, si eleverebbe fino alla fede che trasporta le montagne.
Ora Tommaso ha ascoltato Maddalena ed ha sprezzato la sua testimonianza; ha ascoltato Pietro, e ha declinato la sua autorità; ha ascoltato gli altri fratelli suoi ed i Discepoli di Emmaus, e niente di tutto questo lo ha distolto dal poggiarsi solo sul suo giudizio personale. La parola altrui che, quando è grave e disinteressata, produce la certezza in uno spirito assennato, non ha più l’efficacia presso molte persone, appena si tratta di attestazione su cose soprannaturali. E questa è una grande piaga della nostra natura, lesa dal peccato. Troppo spesso, come Tommaso, noi vorremmo esperienze personali; e basta questo per privarci della pienezza della luce. Noi ci consoliamo come lui, perché siamo sempre nel numero dei Discepoli: – quest’Apostolo non aveva abbandonato i suoi fratelli: solamente non prendeva parte alla loro felicità. Quella felicità di cui era testimonio non risvegliava in lui che l’idea della debolezza: e provava un certo gusto a non condividerla.

La fede tiepida
Tale è anche ai nostri giorni il cristiano imbevuto di razionalismo. Egli crede, ma perché la sua ragione gli dà come una necessità di credere: crede con la mente, non col cuore. La sua fede è una conclusione scientifica, non una aspirazione verso Dio e verso una vita soprannaturale. Perciò, quanto è fredda e impotente questa fede! Come è ristretta e incomoda! come teme sempre di progredire, credendo troppo! Vedendola contentarsi così facilmente di verità “diminuite” (Sal 11), pesate sulla bilancia della ragione invece di volare ad ali spiegate, come la fede dei santi, si direbbe che ha vergogna di se stessa. Parla sottovoce, ha paura di compromettersi; quando si mostra all’esterno è sotto la livrea delle idee umane, che le servono di passaporto. Non è lei che si esporrà ad un affronto per dei miracoli che giudica inutili e che non avrebbe mai consigliato a Dio di operare. Tanto per il passato che per il presente, ciò che le sembra meraviglioso, la spaventa: non ha avuto già sforzi sufficienti da fare, per ammettere ciò che è strettamente necessario di accettare?
La vita dei santi, le loro virtù eroiche, i loro sublimi sacrifici, tutto questo la agita. L’azione del cristianesimo nella società, nella legislazione, le sembra ledere i diritti di quelli che non credono; e intende rispettare la libertà dell’errore e la libertà del male; e non si accorge neppure più che il cammino del mondo ha trovato il suo ostacolo, da quando Gesù Cristo non è più Re sulla terra.

Vita di fede
È per coloro la cui fede è così debole e così vicina al razionalismo, che Gesù, alle parole di rimprovero indirizzate a Tommaso, aggiunge quella insistenza che non lo riguarda esclusivamente, ma che mira a tutti gli uomini, di tutti i secoli: “Beati quelli che non hanno veduto e hanno creduto!” Tommaso peccò per non essere stato disposto a credere. Noi ci esponiamo a peccare come lui se non coltiviamo nella nostra fede quella espansione che di tutto la fa partecipe e la porta a quel progresso che Dio ricompensa, con un flusso di luce e di gioia nel cuore.
Una volta entrati nella Chiesa, il nostro dovere è di considerare tutto, d’ora in avanti, dal punto di vista soprannaturale; e non temiamo che questo punto di vista, regolato dagli insegnamenti della sacra autorità, ci trascini troppo lontano. “Il giusto vive di fede” (Rm 1,17); è il suo continuo nutrimento. In lui, se resta fedele al Battesimo, la vita naturale è trasformata per sempre. Crediamo, dunque, che la Chiesa avrebbe avuto tante cure, nell’istruzione dei neofiti, che li avrebbe iniziati attraverso tanti riti, i quali non respirano che idee e sentimenti di vita soprannaturale, per abbandonarli, poi, fin dall’indomani, senza rimorso, all’azione di quel pericoloso sistema che pone la fede in un cantuccio dell’intelligenza, del cuore e della condotta, per lasciare agire più liberamente l’uomo secondo la sua natura? No, non è cosi.
Riconosciamo dunque insieme con Tommaso il nostro errore; confessiamo insieme con lui che fino ad ora non abbiamo ancora creduto con una fede abbastanza perfetta. Come lui diciamo a Gesù: “Voi siete il mio Signore ed il mio Dio; e spesso ho pensato ed agito come se voi non foste stato, in tutto, il mio Signore ed il mio Dio. D’ora in avanti crederò senza avere veduto: poiché voglio essere del numero di quelli che voi avete chiamato beati”.
Questa Domenica, detta ordinariamente “Quasimodo”, nella Liturgia porta il nome di “Domenica in Albis” e, più esplicitamente, “in albis depositis”, perché oggi i neofiti ricomparivano in Chiesa con gli abiti usuali. Nel Medio Evo la chiamavano “Pasqua Chiusa”, per esprimere, senza dubbio, che l’Ottava di Pasqua finiva in questo giorno. La solennità di questa domenica è così grande nella Chiesa che, non soltanto appartiene al rito del “doppio maggiore”, ma non cede mai il suo posto a nessun’altra festa, di qualsiasi grado essa sia.
A Roma la Stazione si tiene nella Basilica di S. Pancrazio, sulla via Aurelia. I nostri predecessori non ci hanno insegnato nulla circa i motivi che hanno fatto scegliere questa Chiesa per la riunione dei fedeli nella giornata odierna. Forse ebbe la preferenza per la giovane età di quel martire di quattordici anni, a cui è dedicata, in rapporto a un certo confronto con la gioventù dei neofiti, che oggi formano ancora l’oggetto della materna preoccupazione della Chiesa.

Messa
EPISTOLA (1Gv 5,4-10) Carissimi: tutto ciò che è nato da Dio trionfa nel mondo, e la vittoria che trionfa nel mondo è la nostra fede. E chi è che vince il mondo, se non colui il quale crede che Gesù è Figliuolo di Dio? Questi è appunto quel Gesù Cristo che è venuto con l’acqua e col sangue, non con l’acqua soltanto, ma con l’acqua e col sangue. E lo Spirito è quello che attesta che Cristo è verità. Sono infatti tre che rendono testimonianza in cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito Santo ; e questi tre sono uno solo. E son tre che rendono testimonianza in terra: lo spirito, l’acqua e il sangue; e questi tre sono una sola cosa. Se accettiamo la testimonianza degli uomini, ha più valore la testimonianza di Dio. Or questa testimonianza, che è la maggiore, Dio l’ha resa in favore del suo Figliuolo. Chi crede nel Figlio di Dio ha in sé la testimonianza di Dio.
Merito della fede
L’Apostolo san Giovanni, in questo brano, esalta il merito ed i vantaggi della fede; ce la presenta come una trionfatrice che mette il mondo sotto i nostri piedi: il mondo che ci circonda e quello che è dentro di noi. La ragione che ha condotto la Chiesa a scegliere per oggi questo testo di san Giovanni s’indovina facilmente quando si vede lo stesso Cristo raccomandare la fede, nel Vangelo di questa Domenica. “Credere in Gesù Cristo – ci dice l’Apostolo – è vincere il mondo”; chi dunque sottopone la sua fede al giogo del mondo non possiede la vera fede.

Crediamo con cuore sincero, felici di sentirci bambini in presenza della verità divina, sempre disposti ad accogliere premurosamente la testimonianza di Dio. Questa divina testimonianza si ripercuoterà in noi, se ci sentiremo desiderosi di ascoltarlo sempre di più. Giovanni, alla vista dei lenzuoli che avevano avvolto il corpo del Signore, si raccolse in se stesso e credette; Tommaso, che aveva, in più dell’altro, la testimonianza degli Apostoli che avevano veduto Gesù Risorto, non credette. Non aveva sottoposto il mondo alla sua ragione, perché la fede non era in lui.
VANGELO (Gv 20,19-31) In quel tempo: giunta la sera di quel giorno, il primo dopo il sabato, ed essendo, per paura dei Giudei, chiuse le porte di quel luogo dove i discepoli erano adunati, Gesù venne e stette in mezzo a loro e disse: Pace a voi. E ciò detto mostrò loro le mani ed il costato; e i Discepoli gioirono a vedere il Signore. Disse loro di nuovo Gesù: Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anch’io mando voi. E detto questo alitò sopra di loro e disse: Ricevete lo Spirito Santo. Saran rimessi i peccati a chi li rimetterete e ritenuti a chi li riterrete.

Ma Tommaso, uno dei dodici, soprannominato Didimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero adunque gli altri discepoli: – Abbiamo veduto il Signore. Ma Egli disse loro: – Se non vedo nelle sue mani i fori dei chiodi e se non metto il mio dito nel posto dei chiodi, e non metto la mia mano nel suo costato, non credo. Otto giorni dopo, i discepoli si trovavano di nuovo in casa e Tommaso era con essi. Venne Gesù a porte chiuse e stette in mezzo e disse: – Pace a voi. Poi disse a Tommaso: – Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani. Appressa la tua mano e mettila nel mio costato, e non essere incredulo, ma fedele. Gli rispose Tommaso esclamando: – Mio Signore e mio Dio! Gli disse Gesù: – Perché hai veduto, Tommaso, hai creduto; beati quelli che non han visto e han creduto. Gesù fece in presenza dei suoi Discepoli anche molti altri prodigi che non sono registrati in questo libro. Questi poi sono stati notati affinché crediate che Gesù è il Cristo, Figlio di Dio, e affinché credendo abbiate la vita nel nome suo.
La testimonianza di san Tommaso
Abbiamo sufficientemente insistito sull’incredulità di san Tommaso: ora è giunto il momento di rendere invece onore alla fede di questo Apostolo. La sua infedeltà ci ha aiutati a sondare la pochezza della nostra fede: che il suo ritorno ci illumini su ciò che dobbiamo fare per divenire dei veri credenti. Tommaso ha costretto il Salvatore, che contava su di lui per farlo divenire una delle colonne della sua Chiesa, ad essere condiscendente fino alla familiarità; ma, appena si trova in sua presenza, ne rimane soggiogato. Il bisogno di riparare con un atto solenne di fede l’imprudenza che ha commesso, credendosi saggio e accorto, si fa sentire in lui. Egli getta un grido; e questo grido rappresenta la protesta della fede più ardente che un uomo possa far udire: “Mio Signore e mio Dio!”. Rimarcate che egli qui non dice soltanto che Gesù è il suo Signore, il suo Maestro, che è proprio lo stesso del quale è stato Discepolo: tutto ciò non sarebbe ancora fede! Poiché non è più fede quando si può toccar con mano. Tommaso avrebbe avuto fede nella Risurrezione se avesse creduto alla testimonianza dei suoi fratelli; ma, adesso, non crede più semplicemente: egli vede, ne fa l’esperienza. Qual è dunque la testimonianza della sua fede? È che in questo momento egli attesta che il suo Maestro è Dio. Vede solo l’umanità di Gesù e proclama la divinità del Signore. Con un unico balzo la sua anima leale e contrita si è slanciata fino alla comprensione della dignità di Gesù: – Mio Dio – egli dice.

Preghiera
O Tommaso, dapprima incredulo, la Santa Chiesa onora la tua fede e la propone per modello ai suoi figli, nel giorno della tua festa. La confessione, che oggi hai fatto, viene a porsi da sé vicino a quella che fece Pietro quando disse a Gesù: “Tu sei il Cristo, Figlio di Dio vivente!” Per mezzo di questa professione di fede che ne la carne ne il sangue avevano ispirato, Pietro meritò di essere scelto per essere il fondamento della Chiesa; la tua ha fatto più che ripararne la colpa; essa ti rese, per un momento, superiore ai tuoi fratelli, che la gioia di rivedere il loro Maestro trasportava, ma sui quali la gloria visibile della sua umanità aveva fatto fino ad allora maggiore impressione che il carattere invisibile della sua divinità.

Preghiamo
Concedici, Dio onnipotente, di conservare nella vita e nelle opere il frutto delle feste pasquali da noi celebrate.
(da: dom Prosper Guéranger, L’anno liturgico. – II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p.  105-112)

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