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giovedì 13 aprile 2023

L’uso della lingua latina nella liturgia cattolica

Il 7 marzo 1965 Paolo VI celebrava la prima messa NO. Il Messale del 1965 è soltanto la prima tappa delle successive riforme che sono andate oltre le prescrizioni conciliari. Nel 2008, durante il pontificato di Ratzinger è uscita una versione corretta della terza edizione. L'ultima, del 2020 [vedi] è una ulteriore versione corretta della terza edizione che pone ulteriori variazioni. Le revisioni e cambiamenti dei nuovi messali non risentono soltanto dell'adeguamento linguistico, ma del nuovo impianto teologico ed ecclesiologico conciliare calibrato sull'antropocentrismo [qui - qui]. Qui l'indice degli articoli su Latino, Lingua classica, sacra e vincolo di unità tra popoli e culture.

L’uso della lingua latina nella liturgia cattolica
di don Matthias Gaudron FSSPX [1]

Premessa del Traduttore
Nella sua opera apologetica del 1852 Réponses courtes et familières aux objections les plus réprendues contre la religion («Risposte brevi e abituali alle obiezioni più diffuse contro la religione»), scrive Mons. Louis–Gaston De Ségur (1820-1881): «Ai dogmi immutabili, occorre una lingua immutabile che preservi da ogni alterazione la formulazione stessa di questi dogmi […]. I protestanti e tutti i nemici della Chiesa cattolica gli hanno sempre duramente rimproverato l’uso del latino. Essi avvertono che l’immobilità di questa corazza difende meravigliosamente da ogni alterazione queste antiche tradizioni cristiane la cui testimonianza li schiaccia. Vorrebbero rompere la forma per raggiungere il fondo. L‘errore parla volentieri una lingua variabile e mutevole». Nel suo voluminoso libro Institutions Liturgiques (1878), dom Prosper Guéranger (1805-1875), abate benedettino di Solesmes, scrive: «L‘odio per la lingua latina è innato nel cuore di tutti i nemici di Roma: costoro vedono in essa il legame dei cattolici nell’Universo, l’arsenale dell’ortodossia contro tutte le sottigliezze dello spirito settario, l‘arma più potente del papato […]. La separazione dal latino, per un motivo inspiegabile, che non conosciamo, quasi sempre, anche ottenuta la dispensa del Sommo Pontefice, ha condotto allo scisma e alla piena separazione dalla Chiesa cattolica». Papa Pio XI (1857-1939), nella Lettera Apostolica Officiorum omnium (del 1º agosto 1922), scrive: «Infatti, la Chiesa, poiché tiene unite nel suo amplesso tutte le genti e durerà fino alla consumazione dei secoli […] richiede per sua natura un linguaggio universale, immutabile, non volgare». Nella sua bellissima Enciclica sulla liturgia Mediator Dei (del 20 novembre 1947), scrive Papa Pio XII (1876-1958): «L’uso della lingua latina, come vige nella gran parte della Chiesa, è un chiaro e nobile segno di unità e un efficace antidoto ad ogni corruttela della pura dottrina». Il 22 febbraio 1962, Giovanni XXIII (1881-1963) emanò la Costituzione Apostolica Veterum Sapientia, sullo studio e sull’uso del latino.
In questo documento, redatto dal grande latinista il Cardinale Antonio Bacci (1885-1971), si afferma: «Poiché in questo nostro tempo si è cominciato a contestare in molti luoghi l‘uso della lingua romana e moltissimi chiedono il parere della Sede Apostolica su tale argomento, abbiamo deciso, con opportune norme, enunciate in questo documento, di fare in modo che l’antica e mai interrotta consuetudine della lingua latina sia conservata e, se in qualche caso sia andata in disuso, sia completamente ripristinata […]. I medesimi Vescovi e Superiori Generali degli Ordini religiosi, mossi da paterna sollecitudine, vigileranno affinché nessuno dei loro soggetti, smanioso di novità, scriva contro l‘uso della lingua latina nell’insegnamento delle sacre discipline e nei sacri riti della Liturgia e, con opinioni preconcette, si permetta di estenuare la volontà della Sede Apostolica in materia e di interpretarla erroneamente».
Nel 1969, solamente sette anni dopo la promulgazione di questa Costituzione Apostolica, in una tristemente nota Allocuzione, Paolo VI (1897-1978) liquidò il latino con queste sconcertanti parole: «Non più il latino, ma il linguaggio parlato sarà la lingua principale della Messa. L’introduzione del vernacolare sarà certamente un grande sacrificio per quelli che conoscono la bellezza, il potere e la sacralità espressiva del latino […]. Stiamo divenendo come degli intrusi profani nella riserva letteraria della sacra espressione […]. Abbiamo ragione di rammaricarcene, quasi di rimanere sconcertati. Cosa metteremo al posto della lingua degli Angeli? Stiamo abbandonando qualcosa di valore inestimabile. Perché? Cosa c’è di più prezioso e di più elevato nei valori della nostra Chiesa»?

Molti si chiedono come mai nel giro di sette anni abbia potuto aver luogo un cambiamento di rotta così radicale… Nonostante il fatto che da oltre quarant’anni il latino sia caduto completamente in disuso nelle nostre chiese, un certo numero di cattolici, laici e sacerdoti, continua ad interrogarsi sulle ragioni che hanno spinto Paolo VI e i suoi successori ad eliminare la lingua sacra della Chiesa. Questo scritto, redatto in forma di domanda e risposta come i vecchi catechismi, offre al lettore le ragioni principali per cui per secoli la Chiesa cattolica ha utilizzato ininterrottamente il latino nella sua liturgia e perché sia stato un grave errore abbandonarlo.
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Bisogna celebrare la Messa in latino?
Come ci si tolgono i vestiti da lavoro per partecipare ad una cerimonia importante, allo stesso modo è più che mai conveniente che la lingua della sacra liturgia non sia quella della strada. La lingua volgare non è confacente all’azione sacra. In Occidente, il latino è stato per diversi secoli la lingua della liturgia. Ma anche negli altri riti della Chiesa (come quello della Chiesa orientale), e persino in numerose religioni non-cristiane, c’è una lingua sacra.

Anche i non–cattolici utilizzano una lingua sacra?
Poiché la lingua corrente si evolve, l’adozione della lingua liturgica sembra una costante dell’umanità. I greci scismatici utilizzano nella loro liturgia il greco antico; i russo utilizzano lo slavone. Ai tempi di Cristo, gli ebrei utilizzavano per la liturgia l’ebraico antico che non era più la lingua corrente, e né Gesù né gli Apostoli hanno mai condannato questa usanza. La stessa cosa avviene nell’islam, dove l’arabo letterario, (la lingua della preghiera) non è più compresa dalle folle, e in certe religioni orientali. Anche i pagani romani avevano nel loro culto delle formule arcaiche divenute incomprensibili al popolo.

Come può spiegarsi l‘uso universale di una lingua sacra nel culto divino?
L‘uomo ha naturalmente il senso del sacro. Egli comprende d’istinto che il culto divino non dipende da lui; che deve rispettarlo e deve trasmetterlo così come l’ha ricevuto, senza permettersi di sconvolgerlo. L’impiego di una lingua fissa e sacra nella religione è conforme alla psicologia umana, così come alla natura immutabile delle realtà divine-

I fedeli non comprendono meglio la Messa celebrata nella loro lingua?
La Messa contiene dei misteri ineffabili che nessun uomo può comprendere perfettamente. Questo carattere misterioso trova la sua espressione nell’impiego di una lingua misteriosa che non è immediatamente compresa da tutti (è anche per questo che certe parti della Messa dovrebbero essere dette a voce bassa). Al contrario, la lingua vernacolare dà l’impressione di una comprensione superficiale che, in realtà, non esiste. Le persone credono di capire la Messa perché viene celebrata nel loro lingua materna. In realtà, non sanno generalmente nulla sull’essenza del santo Sacrificio.

La funzione del latino è dunque quella di porre una barriera tra i fedeli e i santi misteri?
Non si tratta di edificare un muro opaco che mascheri tutto, ma, al contrario, di fare meglio apprezzare le prospettive. Per far ciò, occorre mantenere una certa distanza. Per penetrare un po’ nel mistero della Messa, la prima condizione è di riconoscere umilmente che si tratta di un mistero, di qualcosa che ci supera.

Se il carattere misterioso del latino è così benefico, occorre dissuadere i fedeli dall‘apprenderlo, e compatire quelli che lo comprendono?
L’impiego del latino nella liturgia mantiene il senso del mistero anche in quelli che conoscono questa lingua. Il solo fatto che si tratti di una lingua speciale, distinta della lingua nativa e dalla lingua della strada, una lingua che, di per sé, non è immediatamente compresa da tutti (anche se, di fatto, la si comprende), è sufficiente a conferire un certo distacco che favorisce il rispetto. Dunque, lo studio del latino cristiano dev’essere vivamente incoraggiato. Lo sforzo che richiede spinge il fedele ad innalzarsi verso il mistero, mentre la liturgia in lingua volgare tende ad abbassarsi al livello umano.

L‘impiego del latino non rischia tuttavia di lasciare certi fedeli nell‘ignoranza della liturgia?
Il Concilio di Trento (1563) impone al sacerdote l’obbligo di predicare spesso sulla Messa e di spiegarne i riti ai fedeli. Per di più, questi ultimi possono avvalersi di messalini in cui le preghiere latine sono tradotte in lingua volgare. In questo modo, essi possono accedere alle belle preghiere della liturgia senza che i vantaggi del latino vadano persi. L’esperienza prova sempre più che, nei nostri Paesi latini, la comprensione del latino liturgico (se non in tutti i suoi dettagli, ma almeno in modo globale) è relativamente facile per chi ne è interessato. Lo sforzo per l’attenzione richiesta favorisce la vera partecipazione interiore dei fedeli alla liturgia: quella dell‘intelligenza e della volontà. Al contrario, la lingua vernacolare rischia di incoraggiare la pigrizia e la superficialità.

L‘uso di una lingua sacra nella liturgia non introduce una frattura arbitraria tra la vita di tutti i giorni («profana») e la vita spirituale, mentre il ruolo del cristiano dovrebbe essere quello, al contrario, di dedicare tutto a Dio, anche la sua lingua quotidiana?
Per vivere dello spirito di preghiera in tutti le sue attività, bisogna sapere, in dati momenti, lasciare queste attività per dedicarsi solamente alla preghiera. Lo stesso vale per il latino: utilizzare, in certi momenti, una lingua sacra per prendere meglio coscienza della trascendenza di Dio, sarà un aiuto, e non un impedimento, alla preghiera di ogni istante.

Quali altre ragioni militano in favore dell‘uso del latino?
Ecco tre ragioni in favore dell’uso del latino:
  • La sua immutabilità (o, almeno, la sua grande stabilità);
  • Il suo impiego quasi bimillenario nella liturgia;
  • Il fatto che esso simboleggia e favorisce l‘unità della Chiesa.
Perché l‘immutabilità del latino è un vantaggio?
La fede immutabile richiede, come strumento proporzionato, una lingua che sia il più immutabile possibile, e che possa così servire da riferimento. Ora, il latino non è più una lingua corrente, e quindi non può più cambiare (o quasi). Al contrario, in una lingua corrente le parole possono subire assai rapidamente diversi cambiamenti notevoli di significato o di registro (ossia possono assumere una connotazione peggiorativa o ridicola che prima non avevano). L’uso di una lingua volare può dunque causare facilmente degli errori o delle ambiguità, mentre l’uso del latino preserva al tempo stesso la dignità e l’ortodossia della liturgia.

Perché l‘uso quasi bimillenario della lingua latina nella liturgia è un vantaggio?
Impiegata nella liturgia per quasi duemila anni, la lingua latina è stata come santificata. È corroborante poter pregare con le stesse parole usate per secoli dai nostri antenati e da tanti sacerdoti e monaci. Usando questa lingua percepiamo in modo concreto la continuità della Chiesa attraverso il tempo, e uniamo la nostra preghiera alla loro. Il tempo e l’eternità si congiungono.

Perché il latino simboleggia l‘unità della Chiesa?
Il latino manifesta non solamente l’unità della Chiesa attraverso il tempo, ma anche attraverso lo spazio. Favorendo l’unione con Roma (ha preservato la Polonia dallo scisma d’Oriente), il latino ha inoltre unito tra loro tutte le nazioni cristiane. Prima del Concilio Vaticano II (1962-1965), la Messa di rito romano era celebrata ovunque nella stessa lingua. I fedeli ritrovavano in tutti i cinque continenti la Messa della loro parrocchia. Oggi, questa immagine dell’unità è stata spezzata. Non c’è più nessuna unità nella liturgia: né nella lingua, né nei riti. Al punto che chi assiste ad una Messa celebrata in una lingua che non conosce fatica non poco a distinguerne persino le parti principali.

Come si può riassumere l‘utilità del latino?
La nostra Chiesa è una, santa, cattolica e apostolica. La lingua latina contribuisce, a modo suo, a ciascuna di queste caratteristiche. Mediante il suo genio (lingua imperiale), il suo carattere ieratico (lingua «morta»), e soprattutto con la consacrazione che ha ricevuto, insieme all’ebraico e al greco, sul titulum della croce [2], essa serve in maniera eccellente la santità della liturgia; grazie al suo uso universale e sovrannazionale (essa non è più la lingua di un popolo), ne manifesta la cattolicità; per mezzo del suo legame vivente con la Roma di San Pietro e con tanti Padri e Dottori della Chiesa (che furono al tempo stesso l’eco degli Apostoli e gli artefici del latino liturgico [3]), esso è il garante della sua apostolicità; e infine, tramite il suo uso ufficiale, esso è in effetti la lingua di riferimento sia del Magistero, del Diritto Canonico o della liturgia, e concorre efficacemente alla triplice unità della Chiesa: unità di fede, unità di governo e unità di culto.
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1 Traduzione di un estratto (pagg. 203-208) dall’opera Catéchisme catholique de la crise dans l’Église (Le Sel, Avrillé 2008), a cura di Antonio Casazza.
2 «Gesù di Nazareth, il re dei giudei; l’iscrizione era in ebraico, in greco e in latino» (Gv 19, 20).
3 Essi non forgiarono solo le sue orazioni, inni e responsori; il latino cristiano di per sé è, per molti tratti, un completo rinnovamento del latino classico.
Fonte

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