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domenica 28 maggio 2023

Per una nuova insorgenza contro il regime delle emergenze rivoluzionarie

Indice degli articoli sulla realtà distopica.
Crisi usate per imporre transizioni rivoluzionarie

Da molto tempo, la nostra società sta subendo crisi, lacerazioni e conflitti sempre più numerosi, vasti e duraturi – siano essi spontanei o favoriti o provocati – i quali diventano l’occasione per avviare un processo sovversivo che solitamente progredisce lungo le seguenti quattro fasi.

Prima fase. Lo scoppio di una crisi permette alle autorità di proclamare uno stato di emergenza, ingigantito dalla propaganda mass-mediatica, che getta la popolazione nella paura e la spinge a esigere una soluzione immediata e rapida della crisi. Allora, le autorità se ne approfittano per convincere la cittadinanza a una obbedienza cieca e assoluta che la dispone a subire passivamente restrizioni e sacrifici sproporzionati, esorbitanti e rovinosi (spesso anche assurdi o contraddittori), che non sarebbero stati tollerati in condizioni normali.

Seconda fase. Questo stato di emergenza permette alle autorità costituite di avviare una mobilitazione generale della cittadinanza che – in nome della “solidarietà sociale” – sottopone ogni settore della vita civile a un controllo di sorveglianza e a un regime di repressione che possono diventare più rigorosi di quelli previsti per lo stato di guerra. Paradossalmente, la sorveglianza repressiva colpisce non tanto gli agenti esterni che distruggono la società, quanto quell’interni che la fanno sopravvivere. Chi osa eludere o addirittura opporsi alla mobilitazione è condannato come complice del nemico e finisce privato di molti diritti civili ed emarginato dalla società.

Terza fase. Questa mobilitazione vara una legislazione di eccezione, a volte applicata da poteri e tribunali speciali, al fine d’imporre alla società un comportamento uniforme mediante provvedimenti che impiegano forze, applicano metodi e usano mezzi drastici e liberticidi. Spesso questi provvedimenti sono non solo sproporzionati, assurdi e contraddittori, ma anche pericolosi e dannosi, perché esigono un costo psicologicamente, socialmente ed economicamente rovinoso. Ciò è dovuto al fatto che quei provvedimenti servono non a risolvere la crisi, ma a controllarla e a pilotarla per ottenere un risultato che appare chiaro solo nella fase successiva del processo.

Quarta fase. Questa legislazione impone alla società una serie di radicali cambiamenti che mirano a compiere una transizione epocale non solo nel settore economico-politico ma anche in quello psicologico-morale. Infatti, essa mira a suscitare una rivoluzione nella vita quotidiana della popolazione, costringendola a sostituire i modelli, stili e condizioni di vita “consumistici, sfruttatori e discriminatori” con quelli “sostenibili, liberatori ed egualitari”, i quali renderanno tutti felici obbligandoli a liberarsi da pregiudizi, superstizioni e legami

Una volta compiuto questo processo, le autorità proclamano che la crisi ormai risolta è stata fattore di progresso per la civiltà. Tuttavia, esse preannunciano l’arrivo di nuove crisi, finalizzate a mantenere la società in quella condizione di rivoluzione permanente che – come auspicava il Sessantotto – libererà sempre più la popolazione da tutti i pregiudizi, le superstizioni e i legami di dipendenza che rendono gli uomini infelici.

Esempi recenti di crisi rivoluzionarie
Il processo tendenzialmente totalitario sopra descritto si è già sviluppato più volte in pieno regime democratico. Difatti, almeno dagli anni Sessanta in poi, si sono succedute o accavallate molte crisi di lunga durata che, spesso, da provvisorie sono diventate definitive. Tra queste crisi, ci limitiamo a ricordarne le seguenti.
  1. Crisi suscitata dalla sovrappopolazione, la cui emergenza avviò la transizione alla politica governativa antinatalista e anti-familiare.
  2. Crisi suscitata dalle lotte sindacali e da speculazioni internazionali, la cui emergenza avviò la politica economica e fiscale contro la proprietà e l’imprenditoria.
  3. Crisi suscitata dal terrorismo rosso, la cui emergenza accelerò la transizione al “compromesso storico” DC-PCI e ai “Governi di unità nazionale”.
  4. Crisi suscitata dalla immigrazione afro-asiatica clandestina, la cui emergenza ha avviato la transizione al tribalismo della “società multietnica, multiculturale, multireligiosa”.
  5. Crisi suscitata dalla infiltrazione islamica, la cui emergenza ha avviato la transizione a una cultura risacralizzata in senso anticristiano.
  6. Crisi suscitata dalla diffusione della pedofilia, la cui emergenza sta favorendo la transizione alla psico-pedagogia del pansessualismo.
  7. Crisi suscitata dall’inquinamento ambientale e dal riscaldamento climatico, la cui emergenza sta favorendo la transizione alla “ecologia della vita quotidiana”.
  8. Crisi suscitata dall’epidemia virale, la cui emergenza sta favorendo la transizione al controllo capillare e alla gestione globale della salute, del lavoro, degli spostamenti e della vita sociale.
  9. Crisi suscitata dal fallimento sia dello Stato assistenziale che di quello liberista, la cui emergenza sta favorendo la transizione a un regime di anarchia pilotata.
  10. Crisi suscitata dalla globalizzazione economico-politica, la cui emergenza sta preparando la transizione al great reset (“grande azzeramento”).
  11. Crisi suscitata dal dilagare della comunicazione elettronica, la cui emergenza sta favorendo la transizione al controllo e alla censura della libera informazione.
  12. Crisi suscitata dalla guerra tra Russia e Ucraina, la cui emergenza sta favorendo la transizione dalla “globalizzazione monopolistica” a quella “multipolare”.
  13. Crisi suscitata dalla chiusura o dall’esaurimento d’importanti fonti energetiche, la cui emergenza sta favorendo la transizione a una società dell’austerità (ossia della miseria indotta).
  14.  Crisi suscitata dalla caduta di credibilità e di efficacia della Chiesa, la cui emergenza sta preparando la transizione a una “riforma sinodale” che rivoluzionerà il governo ecclesiale consegnando il potere alle anarchiche “comunità di base” ma sotto il controllo di un Papato accentratore.
Come si vede, ognuna di queste crisi suscita una propria emergenza che giustifica una mobilitazione generale che impone una transizione capace di sovvertire un settore della vita civile. Ciò presuppone il dogma della “crisi risanatrice”, ossia la paradossale pretesa che un male possa essere risanato non da quegli agenti e fattori che sono capaci di contrastarlo, ma da quelle procedure che s’impegnano a favorirlo.

Verso la rivoluzione globale permanente
Stando così le cose, è prudente sospettare che molte delle crisi finora scoppiate siano state, se non causate, almeno aggravate e pilotate da quella galassia di potentati, autorità e istituzioni (soprattutto internazionali) che stanno tentando d’imporre ai popoli un nuovo regime globale, nella incertezza se far prevalere il modello del despotismo orientale o quello dell’anarchia occidentale.

I potentati occidentali stanno avviando quel grande azzeramento (“great reset”) che tenta di realizzare una grande transizione al fine d’imporre all’umanità un grande esperimento, consistente non in mutamenti settoriali e temporanei della vita economico-politica, ma in una globale e definitiva rivoluzione permanente che sovvertirà la stessa natura umana. Questo esperimento verrebbe tentato da una bio-politica che, applicando una “ingegneria sociale”, realizzerebbe una “mutazione antropologica” capace di violentare l’umanità per adattarla alle pretese della Rivoluzione, nella speranza di dissolvere l’umana natura per impedirle di essere fecondata dalla soprannaturale Grazia divina.

Questi potentati non hanno scrupolo di favorire crisi rovinose, aggravare conflitti laceranti e minacciare pericoli futuri che suscitano nella popolazione generale incertezza, insicurezza e paura, al fine di convincerla che non potrà mai più tornare a fare una vita normale. Come diceva lo slogan diffuso tre anni fa all’inizio della epidemia: “niente sarà più come prima!”

Quei potentati stanno costruendo un nuovo tipo di regime che, a differenza di quelli antichi, non viene logorato e distrutto da crisi o da conflitti interni o esterni, ma anzi se ne nutre e se ne rafforza, perché è fatto per galleggiare su una sorta di rivoluzione permanente controllata. Infatti, questo regime sopravvive non grazie al consenso popolare, ma grazie al dissenso che divide il campo avverso e alla incapacità degli oppositori di superare le crisi realizzando riforme credibili e fattibili.

Secondo lo studioso francese Lucien Cerise, nel suo opuscolo Gouverner par le chaos (Max Milo, Paris 2014), ormai le classi dirigenti della società hanno tradito la loro missione di proteggere l’ordine civile dalle periodiche crisi che lo mettono in pericolo. Le autorità politiche e sociali declinanti s’illudono di sopravvivere “governando mediante il caos”, mentre quell’emergenti sperano d’imporsi suscitando un “nuovo disordine mondiale”. Comunque sia, per tutti loro, come il vero nasce dal falso, il bene dal male, la vita dalla morte e la giustizia dall’ingiustizia, così la salvezza nasce dal caos.

Il regime globale già in costruzione usa una strategia solo apparentemente contraddittoria ma in realtà convergente verso un unico fine. Infatti, da una parte, alla base, si favorisce un decentramento fino all’anarchia che permette alle masse licenza sufficiente per soddisfarne le passioni disordinate e per farle sopportare i disagi di una società ingiusta; ma dall’altra, al vertice, si favorisce un accentramento fino alla tirannia che impone alle masse oppressione sufficiente per impedire che si ribellino al sistema vigente e (soprattutto) che tentino di restaurare l’ordine civile.

Crescente sfiducia nelle classi dirigenti
Nel 1792, volendo costringere i Francesi a mobilitarsi per difendere la Repubblica Giacobina dai nemici interni ed esterni, il dittatore Robespierre minacciò che chiunque disobbedisce al Comitato di Salute Pubblica è un “nemico del popolo” indegno di vivere. Nel 1920, volendo costringere i Russi a mobilitarsi per difendere la traballante Repubblica socialista sovietica, il plenipotenziario Trotzki minacciò che chiunque disobbedisce al Partito Comunista è contro il proletariato, quindi non ha diritto di vivere.

Analogamente, dal 2020 al 2022, volendo costringere gl’Italiani a mobilitarsi per superare un’emergenza sanitaria, due capi del Governo (prima Conte e poi Draghi) hanno minacciato: “Chi non si vaccina è fuori dalla società”. Di conseguenza, chi non aveva adempiuto agli obblighi della “solidarietà sanitaria” era condannato alla morte civile, perché gli veniva negata quella “tessera verde” che concedeva il diritto di circolare e lavorare, quindi di mangiare e di vivere.

Date queste premesse, domani un’analoga punizione potrà colpire chiunque, non avendo adempiuto agli obblighi dovuti alla “solidarietà sociale” – sia essa sanitaria o ecologica o energetica o sessuale o di altro tipo – imposta dal regime sulla base del “politicamente corretto”, perderà la tanto celebrata dignità umana e verrà condannato a morte.

Da molto tempo, dirigenti, autorità e istituzioni nazionali e internazionali si approfittano delle crisi in corso al fine di spaventare la popolazione, ricattarla psicologicamente e avvilirla moralmente, fino a sottoporla a regole, comportamenti e divieti non solo sproporzionati, prevaricatori e dannosi, ma anche giuridicamente illegittimi e moralmente illeciti.

Questa situazione ci pone il grave problema di capire quale credibilità e fiducia possiamo oggi concedere a quelle istituzioni politiche e a quelle classi dirigenti e professionali che si sono dimostrate così cedevoli alle imposizioni e ai ricatti del regime. La fiducia popolare nella classe docente forse non c’è mai stata, quella nella classe politica è sparita, quella nella classe giudiziaria è perduta, quella nel clero è in crisi; per giunta, le recenti vicende di politica sanitaria hanno gravemente compromesso perfino la fiducia nella classe medico-farmaceutica, la cui correttezza morale ormai dev’essere posta in dubbio e verificata.

Basti qui ricordare i seguenti fatti recenti. L’antico giuramento etico d’Ippocrate non è più obbligatorio per esercitare la professione sanitaria; molti medici non valutano né agiscono più secondo la vecchia massima “in scienza e coscienza”, ma secondo conformismo, interessi e perfino ideologia; inoltre, gli ordini sanitari non si sono seriamente opposti alla legalizzazione di quelle pratiche criminali (aborto, contraccezione abortiva, sterilizzazione, fecondazione artificiale, trapianti ex vivo, eutanasia) che rischiano di coinvolgerli come complici.

Come sappiamo, una delle condizioni che permettono alla Rivoluzione di sottomettere la società civile si realizza quando un popolo – avendo perso la propria autentica rappresentanza politica e non trovando una credibile classe dirigente alla quale affidarsi fiduciosamente – rimane privo di guida e si arrende alla oligarchia impostagli dal nemico. Questo pericolo potrà essere evitato solo se la società civile riuscirà a emanare una nuova élite, prima che le forze rivoluzionarie riescano ad avvelenarne la radice, a soffocarne l’anelito, a spegnerne la fiamma sotto la cenere.

Tentativi d’insorgenza contro il regime
Tuttavia, per quanto la maggioranza della popolazione, lasciandosi ingannare dalla propaganda e intimorire dai soprusi, finisca col cedere alla Rivoluzione, rimarrà comunque una valorosa minoranza che conserverà saggezza di giudizio e volontà di reagire. Questa minoranza erediterà la missione di opporsi al regime che impone la gestione emergenziale del controllo e della repressione sociali.

La storia insegna che, per quanto sia abilmente propagandata e ferocemente imposta, alla fine la falsità viene smentita dalla evidenza del reale e deve cedere alla verità, come confermato dal fallimento dell’utopia comunista. Per giunta, essendo la falsità non solo menzognera ma anche causa di sciagure, quanto più un popolo ne subirà le conseguenze, tanto più si disilluderà dalle promesse ricevute, si disintossicherà dalla ideologia propagandata e si libererà dalle complicità contratte col potere.

A questo punto, il popolo perderà la fiducia non solo nei Governi e nelle istituzioni del regime, ma anche in quegli apparati burocratici e in quelle classi dirigenti e professionali che hanno giustificato le menzogne e favorito i soprusi imposti dal regime. Di conseguenza, il popolo tenterà non solo di resistere passivamente alle imposizioni del regime, ma anche di ribellarsi attivamente alla sua dittatura, animando una irrazionale e pericolosa reazione che susciterà un devastante conflitto sociale, facilmente strumentalizzabile dalle forze sovversive per indirizzare la rivolta non verso il risanamento e la ricostruzione politica ma verso una “guerra civile tra oppressi”. Ne deriverà un’anarchia che potrà offrire al regime un comodo pretesto per spaventare ulteriormente l’opinione pubblica allarmandola su una nuova emergenza (questa volta reale) e proponendole di salvare la pace sociale al prezzo d’imporre un regime ancor più oppressivo.

Oggi stiamo assistendo a un significativo esempio di una incipiente ribellione popolare rispettosa dell’ordine e della pace sociali. A partire dal 2020, in reazione alla politica sanitaria repressiva delle primarie libertà civili, sono spontaneamente sorte – e stanno tutt’oggi continuando – una serie di manifestazioni di pubblica protesta che costituiscono chiaro segnale ammonitore di una insofferenza che potrebbe crescere e maturare fino a diventare una insorgenza popolare organizzata.

Questa insorgenza non è fanatica, settaria e teleguidata come quella dello storico “Sessantotto”, alla quale è stata paragonata, ma anzi è ragionevole, sociale e spontanea. Di conseguenza, a differenza di quello vecchio, il “nuovo Sessantotto” non è stato favorito dai poteri culturali, mass-mediatici e politici; al contrario, esso è stato (ed è tutt’oggi) ostacolato da loro con tutti i mezzi. Infatti, il diritto alla contestazione viene benevolmente concesso dalle autorità ai violenti movimenti ecologisti, no-global e anarchici, ma viene invece negato ai pacifici movimenti che denunciano inganni e soprusi (non solo sanitari) del regime. I loro seguaci vengono trattati da fanatici, settari, velleitari e “complottisti”, vengono accusati di aggravare le crisi e d’impedirne la soluzione, si propone di condannarli alla morte civile, ad esempio rinchiudendoli in ospedali psichiatrici o in “campi di rieducazione” sul modello di quelli sovietici.

Purtroppo, proprio perché spontanea, finora questa insorgenza popolare ha dimostrato di essere ancora immatura e impreparata perché priva di princìpi solidi, di capi affidabili e di strategia efficace. Infatti, essa ha commesso errori e imprudenze che hanno favorito il regime nel suo impegno a ridicolizzare, demonizzare e isolare ogni opposizione. Basti considerare che quasi tutti i movimenti del dissenso hanno dimostrato confusione ideologica, debolezza morale, superficialità nell’analizzare la situazione, velleità nel proporre misure di risanamento, perfino permeabilità alla infiltrazione di agenti provocatori. Inoltre, dimostrando eccessiva ambizione, i promotori della insorgenza si sono illusi, a solo un anno dalla sua nascita, di poter ottenere un qualche risultato elettorale.

Per una vincente riscossa popolare
Se vuol davvero vincere, una insorgenza popolare deve passare dalla generosa spontaneità alla efficace organizzazione, in modo da diventare capace di compiere un’azione multiforme, capillare e profonda, cioè operando in vari settori, ambienti e livelli, al fine di risvegliare le forze dormienti della società, rianimare quelle intimorite e risanare quelle malate, al fine d’invertire la tendenza alla rovina e avviare la soluzione delle crisi.

Quest’azione dev’essere innanzitutto psicologica. Bisogna che le organizzazioni insorgenti ottengano credibilità, fiducia e prestigio presso la popolazione, al fine d’incoraggiare gli ambienti incerti e intimoriti a reagire alle pressioni, ai soprusi e ai ricatti; in pratica, bisogna restituire al popolo la perduta fiducia in sé stesso e nella propria missione.

Quest’azione dev’essere anche culturale. Bisogna che le organizzazioni insorgenti non si limitino a “diffondere contro-informazione” per denunciare falsità e soprusi, come oggi accade, ma s’impegnino anche e soprattutto a rianimare nelle coscienze quei perenni princìpi e valori morali, giuridici e politici insegnati dal diritto naturale e dalla dottrina sociale della Chiesa.

Parallelamente, l’azione dev’essere anche sociale. Bisogna che le organizzazioni insorgenti contattino quei ceti che sono stati o saranno presto danneggiati dall’emergenze e dalle transizioni imposte dal regime; inoltre, bisogna incoraggiare quelle classi produttive a riprendere la loro missione di risanamento socio-economico, disilluderle sulle vane promesse ricevute dalla politica statale, esortarle a liberarsi dai compromessi che le vincolano alle rappresentanze politiche e sindacali che le stanno tradendo vendendole al nemico.

Infine, l’azione dev’essere anche politica. Bisogna dapprima esortare i “corpi intermedi” a ritornare a svolgere i loro ruoli e ad adempiere alle loro responsabilità; poi bisogna collegare e coordinare le sacche di resistenza e i moti di opposizione al regime dotandoli di una vera rappresentanza sindacale, politica e istituzionale.

Se si realizzerà questo programma, la valentior pars della società potrà affidare il potere a una vera rappresentanza politica, ossia a quella componente saggia, libera e volenterosa della nazione che ancora è capace di lottare per il bene comune, al fine di restaurare nella vita civile il diritto naturale e cristiano.
Guido Vignelli . Fonte

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