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mercoledì 24 maggio 2023

Una testimonianza di Mons. Huonder: la grande ferita

Ne avevamo accennato qui. Di seguito il testo completo pubblicato in più parti sul sito della FSSPX.
Una testimonianza di Mons. Huonder:
la grande ferita


In una testimonianza ripresa dal canale YouTube Certamen, Mons. Vitus Huonder, già vescovo di Coira, spiega come si sia ritirato in una scuola della Fraternità San Pio X dopo aver lasciato la diocesi di cui era pastore e come da allora sia cambiato.
La prima puntata è intitolata: "Il cammino verso la Fraternità San Pio X".

La prima parte di questa testimonianza inizia riunendo le tappe della vita di Mons. Huonder associandole ai pontificati dei Pontefici sotto i quali ha vissuto, nonché alle traversie sorte dopo il Concilio Vaticano II.
Spiega anche perché, su richiesta di Roma, abbia stabilito contatti con la Fraternità mentre era ancora vescovo di Coira.

In una seconda parte, il presule spiega che i contatti con la Fraternità gli hanno permesso di approfondire le questioni teologiche coinvolte in questi avvenimenti e di dare uno sguardo nuovo agli ultimi ottant’anni di vita della Chiesa.
Ha queste parole molto forti: “Possiamo parlare di una retractatio, di una nuova valutazione della situazione della fede al tempo del Concilio e dopo. Mi è diventato più chiaro perché la Chiesa è arrivata dove si trova oggi (…) in una delle più grandi crisi della sua storia”.

In una terza parte, l’ex vescovo di Coira mette poi in discussione il Concilio e l’allontanamento dalla Tradizione che ne è seguito. A questo proposito loda l’atteggiamento di Mons. Marcel Lefebvre che “avrebbe dovuto essere ascoltato di più”, e nei confronti del quale c’è stata “una grave ingiustizia”.

Mons. Huonder parla in tedesco, ma la sua testimonianza è sottotitolata in francese e inglese.

Mons. Vitus Huonder è stato vescovo di Coira dal 2007 al 2019. Al termine del suo mandato, all’età di 77 anni, ha deciso di ritirarsi presso l’Istituto Santa Maria di Wangs, nel cantone di San Gallo, appartenente alla FSSPX.
Considerato ultraconservatore, Mons. Huonder è sempre stato noto per la sua linea vicina a quella dei lefebvriani.

Un video, diffuso a fine aprile 2023 dal canale YouTube Certamen DE, sembra confermare il riavvicinamento dell’ex vescovo di Coira alla Fraternità tradizionalista.
Il video, esplicitamente intitolato «Mein Weg zur FSSPX» (La mia strada verso la FSSPX), offre la visione del prelato sull’evoluzione della Chiesa negli ultimi decenni.

1. Il cammino verso la Fraternità San Pio X
Con lettera del 9 gennaio 2015 ho ricevuto la richiesta di avviare colloqui con i rappresentanti della Fraternità Sacerdotale San Pio X. Questa lettera era del Cardinale Gerhard Müller, allora Prefetto della Congregazione Romana per la Dottrina della Fede. L’obiettivo era stabilire un rapporto amichevole e umano con la Fraternità. D’altra parte, le questioni dottrinali della Chiesa dovevano essere affrontate. Si trattava di questioni relative ai documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965), nonché di questioni relative alle dichiarazioni romane degli anni precedenti. Una menzione particolare meritano le questioni relative alla liturgia, e più in particolare alla Messa romana autentica. Altri temi hanno riguardato la comprensione della Chiesa, l’ecumenismo, i rapporti tra Chiesa e Stato, il dialogo interreligioso e la libertà religiosa.

Questa missione ha dato luogo, dal 9 aprile 2015, a regolari contatti con la Fraternità, sia con i Superiori generali sia con altri rappresentanti. Queste relazioni e colloqui erano destinati in particolare ad aprire la strada al riconoscimento canonico della Fraternità.

Di particolare importanza è stato l’incontro del 17 aprile 2015 a Oberriet SG (Svizzera). Sono stati discussi diversi importanti argomenti teologici.
Come risultato di queste discussioni, ho scritto una relazione per la Commissione Ecclesia Dei del Vaticano. Nel corso dei contatti ho approfondito in particolare la biografia e gli scritti del fondatore della Fraternità, Mons. Marcel Lefebvre. Ho così preso sempre più familiarità con gli argomenti teologici, le preoccupazioni e gli obiettivi della Fraternità.

Nel 2019, all’età di 77 anni, ho terminato il mio mandato di vescovo diocesano di Coira. Fu allora che ebbi l’opportunità di ritirarmi in un collegio della Fraternità. Questa decisione è stata valutata positivamente dalla Commissione Ecclesia Dei. Mi ha dato il permesso esplicito di farlo. Questo mi ha dato l’opportunità di conoscere meglio la vita interna della Fraternità e il suo operato. In questo modo, come Vescovo diocesano esperto, ho potuto confrontare la situazione di fede nella Fraternità con quella che esiste in una diocesi o parrocchia “normale”.
In tal modo, ho sperato di poter presentare delle relazioni pertinenti a Papa Francesco.

2. Le tappe di una vita
Per le discussioni con la Fraternità, l’esperienza di vita di un contemporaneo del Concilio è di grande importanza. Vorrei quindi iniziare dando una panoramica del mio passato.

Per me sono importanti i pontificati dei Papi che hanno segnato la mia vita. Perché è soprattutto una questione di Chiesa e di fede. Quali Papi ho incontrato? Quali Papi conosco? Essendo nato nel 1942, ricordo bene la figura alta e magra di Papa Pio XII. Ricordo anche le due canonizzazioni di allora di Pio X e di Maria Goretti.
Quando Pio XII morì nel 1958, avevo 16 anni. Questo papa godeva di grande prestigio. Ha guidato la Chiesa con saggezza e prudenza attraverso diverse situazioni difficili: la seconda guerra mondiale, il periodo del comunismo, le questioni etiche emergenti. Le sue encicliche e altri pronunciamenti sono ancora teologicamente fondamentali oggi. Dovremmo sempre farvi riferimento.

Ho poi vissuto il pontificato di Papa Giovanni XXIII (1958-1963). Fu sotto il suo mandato che fu pubblicato il Messale del 1962, che presentava il rito romano della Messa così come è usato oggi. Papa Giovanni indisse il Concilio Vaticano II, ne ordinò la preparazione e lo aprì nel 1962. Ho vissuto questo periodo da liceale.

La Chiesa conobbe un grande sconvolgimento con il pontificato di Paolo VI (1963-1978). È stato sotto questo Papa che sono stato ordinato sacerdote nel 1971. È il vero pontificato del Concilio, e quindi una svolta all’interno della Chiesa. Lo stesso Papa, in apparenza conservatore, era molto favorevole agli ambienti liberali e progressisti. Li ha favoriti.

L’introduzione della nuova liturgia della Messa nel 1969, con la costituzione apostolica Missale Romanum ex decreto Concilii Oecumenici Vaticani II instauratum, ha conferito a questo pontificato una particolare importanza.
Iniziò così il grande calvario della Chiesa, operato dall’interno. Sarebbe durato fino ad oggi. Negli ultimi decenni nulla ha portato alla dissoluzione dell’unità della Chiesa quanto il nuovo Ordo liturgico.

Il pontificato di Papa Giovanni Paolo I (1978) fu breve, mentre il regno di Papa Giovanni Paolo II (1978-2005) fu lungo. Possiamo chiamarlo il pontificato dell’attuazione e del consolidamento degli impulsi del Vaticano II. Ciò si riflette in particolare in numerose encicliche e altri scritti dottrinali, nella pubblicazione del nuovo Codice di Diritto Canonico (1983), come pure nell’elaborazione del Catechismo della Chiesa Cattolica (1992). In questo contesto, va sottolineata l’iniziativa del Papa per il cosiddetto incontro di Assisi (27 ottobre 1986). È stato un incontro di preghiera con i rappresentanti delle religioni del mondo. Per molti credenti, questo evento è stato un enorme shock. È stato accompagnato da una notevole perdita di fiducia nei capi della Chiesa e nella loro ortodossia.

Giovanni Paolo II è stato seguito da Papa Benedetto XVI (2005-2013). Nel 2007 mi ha nominato vescovo di Coira. Il suo è un pontificato di continuità, o comunque di volontà di continuità.
Papa Benedetto XVI ha percepito come pochi altri lo strappo creato nella Chiesa dal Vaticano II e dal periodo che ne è seguito. Ha cercato di ricucire questo strappo attraverso una teologia della continuità, soprattutto per quanto riguarda la liturgia. A tal fine, ha sviluppato quella che viene chiamata l’ermeneutica della continuità. Il suo pontificato è un pontificato di conciliazione, anche di tentativo di sanare una ferita.
Papa Benedetto XVI ha cercato di porre rimedio alle conseguenze negative del Concilio. A questo proposito, va evidenziato l’anno 2007, quello della lettera apostolica motu proprio Summorum Pontificum del 7 luglio dello stesso anno. Con questa lettera il Papa ha voluto restituire alla Chiesa la liturgia romana tradizionale. Allo stesso modo, ha revocato l’ingiusta scomunica di Mons. Lefebvre e dei vescovi della Fraternità che egli aveva consacrato. Ha riparato così in parte un’ingiustizia che gravava sulla Chiesa.

Nel 2013 Papa Francesco ha assunto la guida della Chiesa universale. Possiamo definire il suo pontificato, così come si sta delineando fino ad oggi, un pontificato di rottura.
È una rottura con la Tradizione. Ciò si riflette nel fatto che sopprime costantemente la Tradizione e i fedeli che vi sono legati. D’altra parte, compie atti che vanno chiaramente contro la Tradizione (ad esempio, atti di culto sincretici, come in Canada). Questa volontà di rottura si manifesta in particolare nelle due lettere apostoliche Traditionis Custodes (16 luglio 2021) e Desiderio Desideravi (29 giugno 2022). Con queste lettere il Papa vuole sradicare la liturgia romana tradizionale. Inoltre, si mostra un ardente difensore della cosiddetta religione universale. Per molti fedeli, questo è un ostacolo. Infine, per quanto riguarda la Fraternità, è importante la sua decisione sulla giurisdizione della confessione e sul potere di celebrare i matrimoni.

3. Una retractatio
Torniamo alla Fraternità San Pio X. I contatti con la Fraternità, lo studio della sua storia e l’approfondimento delle questioni teologiche mi hanno permesso di vedere con occhi nuovi. È uno sguardo nuovo sugli ultimi settanta, ottant’anni di vita della Chiesa.
Si può parlare di una retractatio, di una nuova valutazione della situazione della fede al tempo del Concilio e dopo. Mi è divenuto più chiaro perché la Chiesa è arrivata dove si trova oggi. La Chiesa si trova oggi – nel 2023 – in una delle più grandi crisi della sua storia. È una crisi interna alla Chiesa. Ha toccato tutti gli ambiti della vita della Chiesa: predicazione, liturgia, pastorale e governo. È una profonda crisi di fede.
Chi si immerge nello sviluppo e nella vita della Fraternità si scontra con la causa e le origini di questa crisi. Perché la Fraternità è, in un certo senso, figlia di questa crisi. Lo è nella misura in cui il suo fondatore ha voluto, creando questa istituzione, porre rimedio alla crisi e venire in aiuto della Chiesa. Soprattutto, teneva alla fede della Chiesa.
Si è preoccupato dei fedeli indifesi e abbandonati.
Dopo lo sviluppo del Concilio Vaticano II, molte persone sono diventate pecore senza pastore. Per Monsignore la ragione dell’agire era soprattutto la salvezza delle anime (CIC 1983 Can. 1752), nonché la conservazione della purezza della fede. Perché la fede è la via della salvezza. Non deve quindi essere falsificata.
È a partire da questo principio che la Fraternità e il suo fondatore devono essere considerati e giudicati! È in questo senso che mi ha parlato Papa Francesco quando ha detto: “Non sono scismatici”.

4. Causa della crisi
Passiamo alla domanda: qual è la causa della grave crisi della Chiesa? Come ho già indicato, la causa della grave crisi della Chiesa va ricercata nella sua evoluzione settanta o ottant’anni fa. Praticamente coincide con la mia vita finora.
A dire il vero: gli inizi della crisi risalgono al periodo precedente al Concilio Vaticano II. Ma il Concilio (1962-1965) e il periodo che seguì furono il punto di partenza di attacchi ufficiali – spesso silenziosi ma riusciti – al precedente magistero e alla prassi della precedente fede della Chiesa. Questi erano attacchi alla fede tradizionale. Questi attacchi furono lanciati da vescovi e teologi che non volevano rassegnarsi al rifiuto del modernismo. Né hanno accettato che la Chiesa si distaccasse da certe tendenze della vita della società.
Il risultato è stato un allontanamento dalla Tradizione, dall’autentico insegnamento della Chiesa, spesso inosservato, nascosto, criptato, sia nei documenti del Concilio che negli scritti e nelle decisioni del Magistero che ne sono seguiti. Qui sta la radice della crisi della Chiesa. Questo è anche il motivo per cui il fondatore della Fraternità, Mons. Lefebvre, non ha potuto seguire senza riserve le disposizioni e le decisioni dottrinali del Concilio, né le dichiarazioni ufficiali della Chiesa che hanno seguito il Concilio.
La sua posizione era oggettivamente fondata e pienamente conforme alla fede della Chiesa. Avrebbe dovuto essere ascoltato di più. Il procedimento contro di lui è stato una grave ingiustizia. Perché l’allontanamento delle autorità ecclesiastiche dalla Tradizione è facile da dimostrare.
Questa non è una percezione soggettiva ed emotiva dell’arcivescovo!

La posizione dell’arcivescovo sul Concilio è chiaramente espressa in un incontro con Papa Giovanni Paolo II il 18 novembre 1978. È anche perfettamente corretta. In una lettera il presule riferisce quanto segue: “Per il Concilio ho detto [al Papa] che sarei pronto a firmare una frase come questa: ‘Accetto gli Atti del Concilio interpretati nel senso della tradizione’ .
L’ha trovata pienamente soddisfacente e del tutto normale”.

Anche l’atteggiamento dell’arcivescovo nei confronti della Sede di Pietro e del Vicario di Cristo è corretto. Così, afferma ad esempio: “È certo che il Papa è imbevuto di principi liberali... Se questo fatto ci vieta di seguirlo quando agisce o parla in conformità a questi errori, ciò non deve indurci a mancare di rispetto e nel disprezzo, se non altro in considerazione della Sede di Pietro che occupa. Dobbiamo pregare per lui perché affermi solo la Verità e lavori esclusivamente per l’instaurazione del Regno di Nostro Signore”.

5. Novus Ordo Missae 
La Fraternità Sacerdotale sarebbe, in un certo senso, figlia della crisi della Chiesa. Questo è quello che abbiamo constatato. L’abbandono della Tradizione si avverte più dolorosamente nel cambiamento del rito del santo sacrificio della Messa. Questo cambiamento era legittimo? Era questa l’intenzione del Concilio? Nella costituzione sulla liturgia Sacrosanctum Concilium, si dice della S. Messa: “Il nostro Salvatore nell’Ultima Cena, la notte in cui fu tradito, istituì il Sacrificio eucaristico del Suo Corpo e del Suo Sangue, onde perpetuare nei secoli fino al suo ritorno il Sacrificio della croce, e per affidare così alla sua diletta sposa, la Chiesa, il memoriale della Sua Morte e della Sua Resurrezione: sacramento di amore, segno di unità, vincolo di carità, convito pasquale, nel quale si riceve Cristo, l’anima viene ricolma di grazia e ci è dato il pegno della gloria futura” (47).
D’altra parte, la Costituzione mette in guardia contro le innovazioni: “Infine non si introducano innovazioni se non quando lo richieda una vera e accertata utilità della Chiesa, e con l’avvertenza che le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, da quelle già esistenti. Si evitino anche, per quanto è possibile, notevoli differenze di riti tra regioni confinanti” (23).
Nonostante ciò, ci è stato presentato un nuovo rito fortemente modificato, con una teologia della Messa altrettanto fortemente modificata.
Come già indicato, l’abbandono della fede eucaristica tradizionale si manifestò nel 1969 con la costituzione apostolica Missale Romanum ex decreto Concilii Oecumenici Vaticani II instauratum, e con l’introduzione del Novus Ordo Missae. Nello stesso anno, esaminando il nuovo Ordo della Messa, una commissione di esperti concludeva: “È evidente che il Novus Ordo non vuole più rappresentare la fede di Trento. Ora, è a questa fede che la coscienza cattolica è legata per sempre. Il vero cattolico si trova quindi intrappolato in un tragico dilemma dalla promulgazione del nuovo Ordo”. La commissione non è stata davvero presa sul serio. Una correzione del testo dell’introduzione nel Messale doveva risolvere questa difficoltà. Ma in realtà l’Ordo stesso rimaneva concepito com’era, cioè non rappresentava più pienamente la fede di Trento.
Ciò risulterà evidente, molto tempo dopo, nella lettera apostolica Desiderio Desideavi del 2022. Bisogna essere ciechi per non notare – nonostante certi termini, atteggiamenti di pietà e interpretazioni della celebrazione apparentemente cattolica – una concezione essenzialmente protestante della Santa Messa. La lettera fa riferimento al Concilio. Vuole quindi essere un’interpretazione della costituzione del Concilio. Ma il confronto non regge.

6. La liturgia romana autentica
La liturgia della Chiesa trasmessa fino al Vaticano II è in sostanza la liturgia romana autentica. È un fatto storico. Non possiamo negarlo, possiamo semplicemente ignorarlo.
Questa liturgia tradizionale è talvolta chiamata “Messa tridentina”, il che non è del tutto esatto. Papa Pio V non introduce un nuovo rito “tridentino”. Trasmette alla Chiesa il testo tradizionale del santo Sacrificio della Messa, purificato.
Nella bolla Quo primum del 14 luglio 1570, stabilisce in particolare, a proposito della celebrazione della santa Messa: “Nessuno… può essere obbligato a celebrare la Messa diversamente da come abbiamo stabilito. Nessuno può essere costretto a modificare questo Messale. Questa lettera non può mai essere revocata o modificata. Rimarrà per sempre in vigore nella sua massima estensione”.

Un papa successivo non può annullare tale disposizione. Gli è impossibile farlo, sia per l’antichità del testo liturgico, sia per il suo stesso oggetto. Perché questa istruzione non riguarda solo una disciplina mutevole, ma un deposito di fede, una verità di fede, diciamo, sotto forma di preghiera. La liturgia romana tradizionale è paragonabile a una confessione di fede. Non può essere modificata nella sua sostanza. Pertanto, non può nemmeno essere vietata.
Attraverso la sua bolla, Pio V non crea nulla di nuovo. Piuttosto, afferma la legittimità della pratica della fede in questa forma di liturgia. Conferma l’autenticità di questo deposito di fede. Tale bene non può mai essere tolto ai fedeli.
Quello che è successo dopo il Vaticano II, con l’abolizione intenzionale del rito tradizionale della Messa, è un’ingiustizia, un abuso di potere.

7. Tattiche di pressione
Due concetti sono stati decisivi nell’evoluzione della vita della Chiesa dopo il Vaticano II – e quindi nella crisi: l’obbedienza e il magistero vivente. Si possono unire in un’unica frase: l’obbedienza assoluta è dovuta al magistero vivente.
Una comprensione errata di questi due concetti ha portato, negli ultimi anni, a una deriva nella vita della Chiesa. In effetti, queste due nozioni sono state utilizzate come mezzi di pressione per l’accettazione delle novità. In passato i fedeli non sono stati sufficientemente iniziati all’ambito dell'obbedienza. Non è stata loro insegnata abbastanza l’importanza del Magistero e della Tradizione. Troppo spesso l’obbedienza è stata intesa in modo servile e sottomesso, come un cadavere.

Gli attacchi alla Chiesa e una concezione troppo ristretta dell’autorità papale, soprattutto a partire dal XVIII e XIX secolo, fecero sì che si conoscesse solo l’obbedienza assoluta, senza contraddizione. Questa obbedienza è stata instillata nei fedeli. Hanno così ceduto senza batter ciglio a quello che è stato presentato come un presunto necessario rinnovamento della Chiesa.

Di fronte a ciò, Mons. Lefebvre sottolineò durante un’udienza con Papa Paolo VI il 1° settembre 1976: “Vorrei mettermi in ginocchio e accettare tutto, ma non posso andare contro la mia coscienza”. Questo atteggiamento sarebbe stato impensabile all’epoca per molti fedeli. Non si osava farlo di fronte all’autorità ecclesiastica. Il ricorso alla coscienza non è stato sufficientemente spiegato. Lo svolgimento di questa udienza è anche molto rivelatore del modo in cui l’autorità era gestita all’epoca, e come viene gestita in parte ancora oggi! L’abuso di autorità (terrorizzando i fedeli) è sempre possibile. Ogni cattolico dovrebbe esserne ben consapevole.
L’altra nozione, quella del magistero vivente, è stata ed è spesso abusata per presentare nuovi insegnamenti che non sono radicati nella Tradizione. L’autorità papale, tuttavia, come ogni autorità ecclesiastica, è legata alla regola della fede. In questo senso, l’autorità ecclesiastica non determina ciò che si deve credere. Si fa carico del deposito della fede, lo custodisce, lo difende e lo trasmette. Questo è ciò che si intende per “magistero vivente”. Il magistero non può modificare arbitrariamente la fede e costringere all’accettazione.
È qui, nella regola della fede così come è stata trasmessa, che troviamo il criterio che ci permette di giudicare correttamente l’atteggiamento e l’azione di Mons. Lefebvre. Non ha fatto altro che quello che è dovere di un vescovo, anzi di tutti i fedeli: esaminare gli insegnamenti e gli atti dell’autorità ecclesiastica alla luce della regola della fede.

8. Assenza di pietas
Il Codex Iuris Canonici (CIC) non è un manuale di dogmatica o di morale. È, invece, una protezione per la dottrina della fede, per la vita della fede. Esso è destinato soprattutto alla salvezza dei fedeli. Ora, leggiamo già nel CIC del 1917, nella raccolta del diritto canonico vigente al tempo del Concilio Vaticano II, nel can. 23: “In caso di dubbio non si presume la revoca di una legge, ma le leggi successive devono essere rapportate alle leggi anteriori e, se possibile, riconciliate con esse”. Questo principio è stato ripreso anche nel Codice di diritto canonico del 1983 nel can. 21. Se tale principio vale per la giurisprudenza umana, per il diritto ecclesiastico positivo, tanto più deve valere per la predicazione dottrinale e per l’ordinamento della vita liturgica – per la tutela del diritto divino. Perché è in gioco direttamente la salvezza dei fedeli.

È in base a questo principio che dobbiamo giudicare tutte le novità e tutti i cambiamenti avvenuti nella Chiesa dopo il Concilio.
Fino a che punto c’è coerenza con l’insegnamento del passato? C’è in questo una pietas, una devozione e una stima, un rispetto per i Padri, per il passato della Chiesa, per la dottrina e la morale tradizionali. In materia di fede, non c’è scelta. Ciò che è posteriore deve concordare con ciò che è anteriore. La professione di fede deve essere conforme al Vangelo e agli altri testi rivelati. Le decisioni conciliari devono essere conformi alla professione di fede. Le decisioni conciliari successive devono essere coerenti con le precedenti decisioni conciliari vincolanti.
È proprio questa pietas che è mancata nel periodo conciliare e postconciliare. Come veniva trattato il patrimonio della Chiesa, le chiese e i loro arredi, i paramenti sacri, le persone legate alla Tradizione, i sacerdoti che, per motivi di coscienza, volevano restare fedeli alla liturgia tradizionale? Questo pesa ancora oggi sulla Chiesa!
Come sono diventati arroganti i teologi con i loro insegnamenti e nella loro illusione di tornare alle origini della Chiesa! Lo slogan era: “Con la Chiesa ora andrà tutto meglio. Siamo la generazione che porta una svolta positiva”.

Era praticamente lo stato d’animo che prevaleva in ampi circoli, uno stato d’animo che portava a guardare dall’alto in basso il passato, con disprezzo, sarcasmo e compiacimento, e che non esitava a disprezzare anche ciò che era sacro e intoccabile.

Dal pontificato di Paolo VI, abbiamo assistito ripetutamente a gravi attacchi alla dottrina e alla disciplina della Chiesa, che si fanno beffe della pietas. Il più grave è stato senza dubbio l’attacco alla liturgia della Messa. Ci siamo sbarazzati di quanto di più sacro c’è nella nostra fede senza pietas, senza rispetto.
Tuttavia, la Chiesa ha sempre conservato e trasmesso con la massima cura i testi sacri e gli insegnamenti liturgici. Ha apportato solo modifiche o aggiunte con grande riserbo e rispetto. A proposito del Santo Sacrificio della Messa, vale particolarmente il principio formulato dal Concilio Vaticano I a proposito dei poteri del Papa, ma che vale di per sé per ogni ministero ecclesiastico: “Lo Spirito Santo non è stato promesso ai successori di san Pietro… perché facessero conoscere, sotto la Sua rivelazione, una nuova dottrina, ma perché con il Suo aiuto custodissero santo ed esponessero fedelmente… il deposito della fede” (DS 3070).
Ci si potrebbe chiedere, dopo tutto quello che è successo, se ciò che è stato fatto fu un passo credibile? Era dettato dalla pietas?

9. Uscire dalla crisi
La Chiesa si trova oggi – nel 2023, vorrei tornare su questo – in una delle crisi più grandi della sua storia. È una crisi interna alla Chiesa. Ha toccato tutti gli ambiti della vita ecclesiale: predicazione, liturgia, pastorale e governo. È una profonda crisi di fede. Questo è ciò che abbiamo constatato. La domanda ora è come superare questa crisi. Diciamolo subito. C’è solo una via d’uscita dalla crisi: tornare ai valori e alle verità di fede che sono stati abbandonati, negletti o illegittimamente accantonati. Si tratta di fare il punto sull’evoluzione degli ultimi 70 anni e sottoporla a revisione. La Chiesa ha bisogno di un rinnovamento nel suo capo e nei suoi membri. Ha particolarmente bisogno di un rinnovamento della gerarchia, di un rinnovamento dell’episcopato e soprattutto di un ritorno alla vita sacramentale e liturgica. La vita sacramentale e il sacerdozio – cioè la gerarchia – sono infatti strettamente legati.

La crisi, che si pensava avesse toccato il suo punto più basso negli anni ‘90, ha rapidamente raggiunto, negli ultimi dieci anni, un livello abissale che non si sarebbe mai potuto immaginare. L’anno 2007, con il documento Summorum Pontificum, è stato certamente portatore di speranza. Oggi dobbiamo riconoscere che si è trattato solo di un fuoco di paglia, spentosi molto in fretta, tanto che la crisi oggi è più grave che mai.
Dobbiamo qui aggiungere una parola di chiarimento sul motu proprio Summorum Pontificum, anzi sulla sua abrogazione, non fosse altro perché questo documento pontificio doveva assumere per me grande importanza nel dialogo con la Fraternità San Pio X.
L’allora segretario, Mons. Georg Gänswein, riferisce quanto segue: “Il 16 luglio 2021 Benedetto XVI ha scoperto su L’Osservatore Romano le informazioni tratte dalla pubblicazione di Traditionis Custodes sull’uso della liturgia romana tradizionale… Traditionis Custodes porta un chiaro cambiamento di direzione. Secondo lui si tratta di un errore, perché mette a repentaglio lo sforzo di pacificazione iniziato quattordici anni prima. Non è opportuno vietare la celebrazione della Messa secondo il rito tradizionale nelle chiese parrocchiali. Perché è sempre pericoloso mettere un gruppo di fedeli con le spalle al muro, farli sentire perseguitati, e creare in loro la sensazione di dover salvare a tutti i costi la propria identità di fronte al ‘nemico’”. Certo, tale questione non può essere ridotta a una semplice preoccupazione per la pacificazione, ma l’osservazione è interessante.

10. La grande ferita
Anche il titolo di questa registrazione deriva da informazioni di Mons. Gänswein su Papa Benedetto XVI, legate a una dichiarazione del defunto Summus Pontifex sulla Lettera Apostolica Summorum Pontificum sopra menzionata. Avrebbe poi voluto sanare la grande ferita che si era via via formata, volontariamente o no. Si legge poi: “Come risulta dai suoi scritti… il teologo Ratzinger era inizialmente favorevole alla riforma liturgica… Ma quando vide gli sviluppi che seguirono, vide la differenza tra ciò che voleva il Concilio e ciò che la Commissione costituzionale Sacrosanctum Concilium aveva raggiunto con la liturgia. Questo era diventato un campo di battaglia tra fronti opposti, facendo della celebrazione della liturgia latina un baluardo da difendere o una fortezza da smantellare”.

Il dialogo con la Fraternità mira anche a sanare una grande ferita – anzi, a contribuire a sanare una grande ferita. Perché sanguina ancora, sta sanguinando in questo momento. La Chiesa soffre più che mai di questa ferita. Questa si allarga. Diventa una pustola velenosa che immerge tutto il corpo in un terribile stato di febbre. In questo senso, Desiderio Desideravi (61) deve essere preso sul serio quando evoca la liturgia e il suo legame con l’unità della Chiesa:
«Per questo ho scritto Traditionis Custodes, perché la Chiesa, nella diversità delle lingue, elevi una sola e medesima preghiera che esprima la sua unità. Questa unità, come ho già scritto, vorrei vederla ristabilita in tutta la Chiesa di rito romano”.
Ma sorge la domanda se questo sia il modo in cui l’unità può essere ripristinata. Sopprimendo la liturgia autentica? – È di fatto illegittimo, perché questa liturgia fa parte, in forza della Tradizione, del tesoro della fede della Chiesa, e quindi rientra nel diritto divino.

11. Persecuzione interna alla Chiesa
Con le sue dichiarazioni, Papa Benedetto XVI ha fatto riferimento a un fatto che oggi purtroppo riguarda tutta la Chiesa e che deve figurare nella descrizione dell’attuale situazione ecclesiale: la persecuzione all’interno della Chiesa.
Come san Basilio Magno (+ 379) che si lamentava al tempo dell’arianesimo, anche noi oggi dobbiamo ammettere:
“Una persecuzione si è abbattuta su di noi, venerabili fratelli, e anche la più violenta delle persecuzioni. Si perseguitano i pastori perché si disperda il gregge: e la cosa peggiore è che le vittime non vivono le loro sofferenze con la consapevolezza di essere martiri, così come il popolo non venera i combattenti come martiri, perché gli stessi persecutori sono chiamati ‘cristiani’. La fedele osservanza delle tradizioni dei Padri è ora terribilmente punita come un crimine. Coloro che temono Dio sono cacciati dalla loro patria ed esiliati in luoghi deserti. Non sono i capelli bianchi ad essere rispettati dai giudici iniqui, né l’osservanza della religione, né il cammino secondo il Vangelo a cui si è rimasti fedeli dalla giovinezza fino alla vecchiaia... Vi scriviamo questo, sebbene voi già lo sappiate; non c’è luogo sulla terra dove le nostre disgrazie non siano già note” (Epistola 243).
Così dice San Basilio.

Sì, questa descrizione del santo Padre della Chiesa e Dottore può davvero essere applicata, quasi identicamente, all’attuale situazione ecclesiale.

I provvedimenti contro la liturgia tradizionale recentemente presi, con Traditionis Custodes, Desiderio Desideravi e le ordinanze che li hanno accompagnati, non sono altro che una caccia ai fedeli che giustamente riconoscono, in questa liturgia, il vero culto e l’origine della romanità della Chiesa. Il fatto che abbiano il diritto di ricevere i sacramenti in questa forma che si tramanda da secoli viene sfacciatamente ignorato.
È la stessa sfrontatezza che ha prevalso dopo il Concilio e che ha poi causato tante sofferenze.

12. Domanda al Papa
Vorrei fare una domanda al Papa. Sì, cosa vorrei chiedere al Papa se mi ricevesse? Vorrei chiedere al Papa perché toglie il pane ai figli.
Cosa lo spinge a lasciarli morire di fame? Cosa lo spinge a lasciarli perire?
Perché hanno diritto a questo cibo – insisto: a questo cibo – insisto: ne hanno diritto.
È il cibo di cui si sono nutriti i loro padri e che hanno tramandato loro. Non è la loro ricetta. Non l’hanno composta loro stessi, per così dire, a loro piacimento. L’hanno accettata da coloro che l’avevano fedelmente trasmessa.
Perché il Papa gliela toglie e li lascia morire di fame? Perché vuole amministrare loro con forza qualcosa che è loro estraneo?
Nostro Signore però ha detto: “Un padre di famiglia non dà al figlio una pietra quando gli chiede del pane, né una serpe quando gli chiede un pesce, né uno scorpione quando gli chiede un uovo” (cfr Mt 7,9 e Lc 11,11-12).
Ma qui non si tratta nemmeno che il Papa dia qualcosa, ma che lasci qualcosa ai suoi figli, qualcosa di vitale per loro: il santo Sacrificio della Messa dei Padri.

Quando Monsignor Lefebvre fu ricevuto in udienza da Papa Paolo VI nel 1976, fece la seguente richiesta: “Non sarebbe possibile autorizzare una cappella nelle chiese dove la gente possa pregare come prima del Concilio? Oggi permettiamo tutto a tutti: perché non concedere qualcosa anche a noi?”
Questo non era solo un desiderio stravagante all’epoca. Né si tratta oggi di qualche desiderio fantasioso. Riguarda la fede. È il bene più prezioso della nostra fede. Riguarda davvero il nostro cibo, il pane per sopravvivere.

Per questo ripropongo la domanda: perché il Papa toglie il pane ai figli? Cosa lo spinge a lasciarli morire di fame, a lasciarli perire?

13. Giustizia e gratitudine
Torno al 9 gennaio 2015, alla lettera romana che chiedeva di avviare colloqui con i rappresentanti della Fraternità San Pio X. Nonostante le circostanze avverse, ho adempiuto a questo mandato – e lo sto ancora adempiendo.
Concludo quindi con una richiesta rivolta alle autorità della Chiesa: chiedo giustizia per la Fraternità San Pio X. Lo studio della sua situazione esige questa richiesta.
La Chiesa dovrebbe scusarsi con questa società, come fa in altri casi. Questo è stato fatto anche in caso di tombe fantasma. Non si tratta qui di fantasmi, ma di persone vive, di anime che hanno diritto all’assistenza pastorale che la Chiesa ha concesso loro prima del Concilio, e che rimane un diritto permanente anche dopo.
Non è un privilegio o un indulto, è un diritto.

Converrebbe anche che le autorità ecclesiastiche, con queste scuse, esprimano la loro riconoscenza per l’opera compiuta dalla Fraternità, e la loro gratitudine senza riserve per quest’opera autenticamente cattolica. - Fonte

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