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lunedì 17 luglio 2023

Una precisazione sul 'Commonitorium' citato a sproposito da Bergoglio

Bergoglio ha parlato di tradizione in maniera ineccepibile, citando San Vincenzo di Lerins,  quando l'ha definita una "realtà viva". Poi, invece, ha ripetutamente richiamato la "felice formulazione" del lerinense, secondo cui la dottrina cristiana è "consolidata dagli anni, ampliata dal tempo, [e] raffinata dall'età". Ma oltre alla frase dilatetur tempore ("ingrandisce nel tempo"), San Vincenzo utilizza anche la suggestiva frase res amplificetur in se ("la cosa cresce in sé"). Sostiene quindi che ci sono due tipi di cambiamento: uno legittimo, un profectus, che è un anticipo, una crescita omogenea nel tempo (es. un bambino che diventa adulto). E uno improprio, che è una deformazione perniciosa, chiamata permutatio. Si tratta di un cambiamento nell'essenza stessa di qualcuno o qualcosa [vedi]. Una distinzione ignorata ma ineludibile per identificare un vero profectus fidei. così carente nell'insegnamento attuale. Queste le ragioni del testo che segue.

Una precisazione sul 'Commonitorium
oggi spesso citato a sproposito

Una modesta nota, che potrà sembrare un po’ pignola ma che in realtà vorrebbe esprimere una questione fondamentale.

Negli ultimi anni, di fronte alle proposte di riforma e di cambiamenti (anche radicali) nella Chiesa, si è spesso citato un passo – oramai celeberrimo – del Commonitorium di san Vincenzo di Lérins. Questo testo sarebbe la prova che fin dall’antichità si era aperti alle novità e che, quindi, anche quelle proposte oggi sono del tutto normali e lecite.

Il problema è che chiunque abbia letto il Commonitorio nella sua integralità sa benissimo che il testo veicola invece l’idea opposta, talvolta in modo martellante: è un inno – se così si può dire – alla Tradizione della Chiesa, ad un’interpretazione patristica della Scrittura, al rispetto dei Concili Ecumenici dell’antichità e, in generale, di ciò che nella Chiesa è stato trasmesso sin dalle origini. Il passo che si cita spesso (Comm., XXIII) riguardo allo sviluppo dottrinale è un inciso che il santo introduce per evitare l’idea di totale staticità della dottrina che potrebbe ingenerarsi dalla lettura della sua opera. In altri termini, poiché il Lerinense è così martellante su Scrittura Tradizione, Padri, rispetto dell’antichità e sospetto delle novità, ritiene utile precisare che un qualche tipo di crescita dottrinale è possibile.

Si capisce, a questo punto, come sia sbagliato rappresentare san Vincenzo come una specie di “innovatore” ante-litteram. Anzi, il Commonitorio è stato scritto esattamente col fine contrario: spingere il lettore ad aderire alla Scrittura, alla Tradizione, ai Padri, all’antichità della Chiesa.

Se poi non si volesse o potesse leggere interamente l’opera (che nella sua integralità è difficilmente reperibile in traduzione italiana), propongo il riassunto che ne fece il medesimo san Vincenzo:

«Qual che sia la cosa, è ora il momento – alla fine di questo secondo Commonitorio – di ricapitolare ciò che abbiamo detto in ambedue. Abbiamo detto sopra che la consuetudine dei cattolici è sempre stata e tutt’oggi è quella di riconoscere la vera fede in queste due modalità: primo, per l’autorità della Sacra Scrittura; secondo, per la Tradizione della Chiesa Cattolica. Non che il canone scritturistico da solo non sia sufficiente per tutto questo, ma perché la maggior parte degli interpreti della Parola divina, confidando nel proprio giudizio, introducono varie opinioni ed errori. Per questo è necessario che la comprensione della celeste Scrittura si desuma secondo un’unica regola, cioè quella del senso che le dà la Chiesa, soprattutto in quegli articoli su cui si fonda tutta la dottrina cattolica. Abbiamo anche detto che nella Chiesa stessa si deve osservare sia il consenso dell’universalità [della Chiesa] sia quello dell’antichità, perché non veniamo strappati dall’integrità dell’unità [ecclesiale] verso lo scisma e perché non precipitiamo dalla fede antica nelle novità delle eresie. 

Abbiamo anche detto che nella stessa antichità della Chiesa due aspetti sono da osservarsi rigorosamente e con premura: tutti coloro che non vogliano essere eretici devono aderirvi fino in fondo. Il primo, osservare ciò in antichità è stato decretato con l’autorità di Concilio Ecumenico da tutti i Padri della Chiesa Cattolica. Il secondo è che, se sorgesse qualche nuovo problema che non fosse in questo modo già stato affrontato, si deve ricorrere al giudizio dei santi Padri; solamente di quelli, però, che ai loro tempi e nei loro luoghi, siano rimasti nell’unità della comunione [ecclesiale] e della fede, mostrandosi in tal modo maestri credibili. Così, ciò che si trovasse essere stato osservato con unico parere e consenso, questo senza scrupolo lo si giudichi vero e cattolico sentire della Chiesa» (1)

Questa può sembrare una nota arcigna da studente e fedele complessato. Vorrebbe, in realtà, essere un esempio concreto di come una reale comunione, un vero confronto tra le persone, tra i cattolici, non possa che avvenire sulla base dell’onestà e del confronto con la realtà (o, piuttosto, Realtà). Voglio dire, anch’io potrei andare a prendere alcuni passi del card. Martini che, opportunamente confezionati, sembrerebbero farne un epigono dei tradizionalisti. Ma sarebbe onesto a farsi? Veramente è così che si ritiene di fondare l’evangelizzazione? (Cristiano Andreatta)
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(1) Traduzione mia. L’originale latino è:
«Quae cum ita sint, iam tempus est ut ea, quae duobus his commonitoriis dicta sunt, in huius secondi fine recapitulemus. Diximus in superioribus, hanc fuisse semper et esse hodieque catholicorum consuetudinem, ut fidem ueram duobus his modis adprobent: primum diuini canonis auctoritate, deinde ecclesiae catholicae traditione. Non quia canon solus non sibi ad uniuersa sufficiat, sed quia uerba diuina pro suo plerique arbitratu interpretantes uarias opiniones erroresque concipiant, atque ideo necesse sit, ut ad unam ecclesiastici sensus regulam scripturae caelestis intelligentia dirigatur, in his dumtaxat praecipue quaestionibus quibus totius catholici dogmatis fundamenta nituntur. Item diximus, in ipsa rursus ecclesia uniuersitatis pariter et antiquitatis consensionem spectari oportere, ne aut ab unitatis integritate in partem schismatis abrumpamur, aut a uetustatis religione in haereseon nouitates praecipitemur. Item diximus, in ipsa ecclesiae uetustate duo quaedam uehementer studioseque obseruanda, quibus penitus inhaerere deberent, quicumque haeretici esse nollent: primum, si quid esset antiquitus ab omnibus ecclesiae catholicae sacerdotibus uniuersalis concilii auctoritate decretum, deinde, si qua noua exsurgeret quaestio, ubi id minime reperiretur, recurrendum ad sanctorum patrum sententias, eorum dumtaxat qui suis quique temporibus et locis in unitate communionis et fidei permanentes, magistri probabiles exstitissent, et quicquid uno sensu atque consensu tenuisse inuenirentur, id ecclesiae uerum et catholicum absque ullo scrupulo iudicaretur» (cap. XXIX, par. 41; il testo latino è ricavato da “The Commonitorium of Vincentius of Lerins”, edizione e commento a cura di Reginald Stewart Moxon, Cambridge, Cambridge University Press, 1915, pp. 119-121)

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