Una precisazione sul 'Commonitorium'
Negli ultimi anni, di fronte alle proposte di riforma e di cambiamenti (anche radicali) nella Chiesa, si è spesso citato un passo – oramai celeberrimo – del Commonitorium di san Vincenzo di Lérins. Questo testo sarebbe la prova che fin dall’antichità si era aperti alle novità e che, quindi, anche quelle proposte oggi sono del tutto normali e lecite.
Il problema è che chiunque abbia letto il Commonitorio nella sua integralità sa benissimo che il testo veicola invece l’idea opposta, talvolta in modo martellante: è un inno – se così si può dire – alla Tradizione della Chiesa, ad un’interpretazione patristica della Scrittura, al rispetto dei Concili Ecumenici dell’antichità e, in generale, di ciò che nella Chiesa è stato trasmesso sin dalle origini. Il passo che si cita spesso (Comm., XXIII) riguardo allo sviluppo dottrinale è un inciso che il santo introduce per evitare l’idea di totale staticità della dottrina che potrebbe ingenerarsi dalla lettura della sua opera. In altri termini, poiché il Lerinense è così martellante su Scrittura Tradizione, Padri, rispetto dell’antichità e sospetto delle novità, ritiene utile precisare che un qualche tipo di crescita dottrinale è possibile.
Si capisce, a questo punto, come sia sbagliato rappresentare san Vincenzo come una specie di “innovatore” ante-litteram. Anzi, il Commonitorio è stato scritto esattamente col fine contrario: spingere il lettore ad aderire alla Scrittura, alla Tradizione, ai Padri, all’antichità della Chiesa.
Se poi non si volesse o potesse leggere interamente l’opera (che nella sua integralità è difficilmente reperibile in traduzione italiana), propongo il riassunto che ne fece il medesimo san Vincenzo:
«Qual che sia la cosa, è ora il momento – alla fine di questo secondo Commonitorio – di ricapitolare ciò che abbiamo detto in ambedue. Abbiamo detto sopra che la consuetudine dei cattolici è sempre stata e tutt’oggi è quella di riconoscere la vera fede in queste due modalità: primo, per l’autorità della Sacra Scrittura; secondo, per la Tradizione della Chiesa Cattolica. Non che il canone scritturistico da solo non sia sufficiente per tutto questo, ma perché la maggior parte degli interpreti della Parola divina, confidando nel proprio giudizio, introducono varie opinioni ed errori. Per questo è necessario che la comprensione della celeste Scrittura si desuma secondo un’unica regola, cioè quella del senso che le dà la Chiesa, soprattutto in quegli articoli su cui si fonda tutta la dottrina cattolica. Abbiamo anche detto che nella Chiesa stessa si deve osservare sia il consenso dell’universalità [della Chiesa] sia quello dell’antichità, perché non veniamo strappati dall’integrità dell’unità [ecclesiale] verso lo scisma e perché non precipitiamo dalla fede antica nelle novità delle eresie.
Abbiamo anche detto che nella stessa antichità della Chiesa due aspetti sono da osservarsi rigorosamente e con premura: tutti coloro che non vogliano essere eretici devono aderirvi fino in fondo. Il primo, osservare ciò in antichità è stato decretato con l’autorità di Concilio Ecumenico da tutti i Padri della Chiesa Cattolica. Il secondo è che, se sorgesse qualche nuovo problema che non fosse in questo modo già stato affrontato, si deve ricorrere al giudizio dei santi Padri; solamente di quelli, però, che ai loro tempi e nei loro luoghi, siano rimasti nell’unità della comunione [ecclesiale] e della fede, mostrandosi in tal modo maestri credibili. Così, ciò che si trovasse essere stato osservato con unico parere e consenso, questo senza scrupolo lo si giudichi vero e cattolico sentire della Chiesa» (1)
Nessun commento:
Posta un commento