Laetificat juventutem meam
Il salmo 42 è quello del "Desiderio del Tempio di Dio"
Per questo, racconterà il papa Giovanni Paolo II negli ultimi anni della sua vita dove ogni cosa nel suo corpo si fece dolore, che tutto, "a quel punto", diviene canto, letizia, festa. Nell’originale ebraico infatti si parla del "Dio che è gioia del mio giubilo". E' un modo di dire semitico per esprimere il superlativo: il Salmista indica nel Signore la radice del gaudio supremo, la "fons" della gioia pura (e cioè senza stimoli mondani), che poi non è uno stato alterato, di eccitazione insensata: è precisamente la pienezza della pace.
La traduzione greca dei Settanta si è forse ispirata all'equivalente aramaico che indica la giovinezza e probabilmente accomuna tacitamente la gioia con la giovinezza - la giovinezza essendo uno stato temporale che non è lambito dal pensiero della morte, è immemore della decadenza, forse per questo: e ha dunque tradotto "al Dio che rallegra la mia giovinezza", introducendo così l’idea della freschezza e dell’intensità della gioia che il Signore dona. Il salterio latino della Vulgata, che è una traduzione fatta sul greco, recita perciò: "ad Deum qui laetificat juventutem meam".
In questa forma il Salmo veniva recitato ai piedi dell’altare, nella precedente liturgia eucaristica, quale invocazione introduttoria all’incontro col Signore.(nella foto un giovane sacerdote celebra secondo il rito antico ed eterno della Chiesa)
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