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giovedì 5 ottobre 2023

La sinodalità contro la vera identità della Chiesa quale Comunione Gerarchica

Riprendo da MiL il testo della prolusione del Card. Burke al Convegno Internazionale "La Babele sinodale", tenutosi ieri a Roma, presso il Teatro Ghione a cura de La Nuova Bussola Quotidiana. L'intervento, in una sala gremita, è stato accompagnato da numerosi e calorosi applausi a scena aperta. Indubbiamente le parole del cardinale rappresentano un salto di qualità nella posizione ormai sempre più apertamente e chiaramente reattiva alla gravissima crisi odierna nella Chiesa, ormai non più eludibile. Mentre si va delineando una reazione di clero e di popolo sempre più determinata a non adeguarsi alla Babele sinodale. Sull'identità della Chiesa come comunione gerarchica richiamo questo mio vecchio scritto qui. Lo faccio perché dimostra come, con la sola espressione comunione gerarchica il card. Burke abbia corretto una delle devianze conciliari. L'intero testo, che ho scorso in fretta ed esaminerò con più attenzione, sperando di avere la possibilità di commentare e approfondire, è una vera e propria lectio magistralis
Qui l'indice degli articoli riguardanti il Sinodo sulla sinodalità.

La sinodalità contro la vera identità 
della Chiesa quale Comunione Gerarchica

Prima di tutto, vorrei ringraziare gli organizzatori di questo convegno, in particolare Riccardo Cascioli, e tutti i collaboratori della Nuova Bussola Quotidiana per averci dato oggi la possibilità di trattare di temi massimamente importanti per tutti noi, perché toccano al Bene più fondamentale della nostra comune Santa Madre, la Chiesa Cattolica, il Corpo Mistico di Cristo che solo è il Salvatore del Mondo. Vorrei ringraziare specialmente Padre Gerald Murray e Professore Stefano Fontana per le considerazioni essenziali che ci hanno presentato oggi. Hanno appena esposto in una maniera molto convincente, smascherato dovrei dire, gli errori filosofici, canonici e teologici molto diffusi oggi riguardo al Sinodo dei Vescovi e la sua imminente sessione intitolata “Per una Chiesa sinodale: Comunione | partecipazione | missione”.

Vorrei subito raccomandare alla Vostra lettura il libro di Julio Loredo e José Antonio Ureta, Processo sinodale: Un Vaso di Pandora. 100 domande e 100 risposte, [1]disponibile in italiano e in molte altre lingue. Lo studio sereno e profondo che sta sotto questo libro è un aiuto preziosissimo nell’affrontare la pervasiva confusione intorno alla sessione del Sinodo dei Vescovi che inizierà domani. Il professore Fontana diceva che: “La nuova sinodalità, considerata nelle categorie sue proprie di tempo, prassi e procedura, è il momento conclusivo di un lungo percorso che ha attraversato tutta la modernità.” Tirando la nostra attenzione alle fonti filosofiche della cosiddetta sinodalità, egli smaschera la sua mondanità. Ecco perché il nostro Signore Gesù Cristo che solo è il nostro Salvatore non sta alla radice e al centro della sinodalità. Ecco perché la natura divina della Chiesa nella sua fondazione e nella sua vita organica e duratura è trascurata e, in verità, dimenticata.

Lo Spirito Santo è molto spesso invocato nella prospettiva del Sinodo. Tutto il processo sinodale si presenta come un’opera dello Spirito Santo che guiderà tutti i membri del Sinodo, ma non c’è neanche una parola sull’obbedienza dovuta alle ispirazioni dello Spirito Santo che sono sempre coerenti con la verità della dottrina perenne e la bontà della disciplina perenne che Egli ha ispirato lungo i secoli. È purtroppo molto chiaro che l’invocazione dello Spirito Santo dalla parte di alcuni ha lo scopo il far andare avanti un’agenda più politica e umana che ecclesiale e divina. L’agenda della Chiesa e unica, cioè la ricerca del Bene comune della Chiesa, cioè la salvezza delle anime, la salus animarum che “in Ecclesia suprema semper lex esse debet”[2].

Il Sinodo sulla “sinodalità” prosegue alcune prospettive diffuse nella Chiesa oggi ed evidenziate pure dalla recente ricostruzione della Curia Romana per la Costituzione Apostolica Praedicate evangelium. Essa insiste principalmente sulla missionarietà e sinodalità della Chiesa come gli “attributi”, i “tratti essenziali”[3] della vita ecclesiale e sembra far derivare da questa impostazione la struttura della Curia Romana. Ma, come professiamo nel Simbolo della Fede e come è stato insegnato nella Costituzione Dogmatica dell’Ecumenico Concilio Vaticano Secondo sulla Chiesa, Lumen gentium, la Santa Madre Chiesa è nei suoi attributi, nei suoi tratti essenziali, “una, santa, cattolica e apostolica”[4].

La confusione sulla teologia, sulla morale e persino sulla filosofia elementare in cui viviamo è alimentata da una grande mancanza di chiarezza nel vocabolario utilizzato, e questo probabilmente è intenzionale da parte di alcuni. Assistiamo a uno slittamento semantico di alcune parole o espressioni, che rende incomprensibile l'insegnamento della Chiesa su alcuni punti. Potrei citare l'espressione misericordia di Dio, per esempio. Ma a volte si introducono o si estremizzano nuove parole senza una chiara definizione, come nel caso della parola sinodalità. In questo caso della confusione sui tratti essenziali della Chiesa c’è il rischio di perdere l’identità della Chiesa, la nostra identità di membri del Corpo Mistico di Cristo, di tralci nella “vite vera” che è Cristo e della quale il Padre eterno “e l’agricoltore”[5].

Nel momento in cui questi concetti diventano centrali e non sono chiaramente definiti, si apre la porta a chiunque voglia interpretarli in modo da rompere con il costante insegnamento della Chiesa su questi temi.
Infatti, la storia della Chiesa ci insegna che la risoluzione delle peggiori crisi, come quella ariana, inizia sempre con una grande precisione nel vocabolario e nei concetti utilizzati.

Torniamo ai tratti essenziali della Chiesa proposti nella Praedicate Evangelium per capire meglio in che direzione il sinodo tende: missionarietà e sinodalità. Si tratta di due attributi in qualche senso conosciuti, ma la loro elevazione a tratti essenziali della Chiesa e, perciò, criteri fondamentali della ristrutturazione della Curia Romana – e ora con questo sinodo a tutta la Chiesa Universale – si presta ad ambiguità e a equivoci che devono essere riconosciuti e dissipati.

È giusto affermare che tutta la Chiesa è missionaria. Tutti i fedeli sono chiamati, secondo la loro vocazione e le loro doti personali, a dare testimonianza a Cristo nel mondo. Ma nel dare testimonianza a Cristo, i fedeli necessitano dell’incontro con Lui vivo nella Chiesa attraverso la Sacra Tradizione, che è dottrinale, liturgica e disciplinare. Necessitano buoni Pastori – il Romano Pontefice e i Vescovi in comunione con Lui, insieme con i sacerdoti, i principali cooperatori dei Vescovi, – che li guidino a Cristo e salvaguardino per loro la vita in Cristo, specialmente per l’insegnamento della sana dottrina e dei buoni costumi, e, in modo più perfetto e completo, per la Sacra Liturgia quale adorazione di Dio “in spirito e verità”[6]. È infatti l’insegnamento della verità e il Culto Divino “in spirito e verità” che fanno crescere la vita in Cristo di ogni fedele e di tutta la Chiesa. Come ci insegna San Paolo, nella Chiesa non siamo più “fanciulli in balìa delle onde, trasportati qua e là da qualsiasi vento di dottrina, ingannati dagli uomini con quella astuzia che trascina all’errore”, ma “agendo secondo verità nella carità, cerchiamo di crescere in ogni cosa tendendo a lui, che è il capo, Cristo”[7].

Secondo il costante insegnamento della Chiesa, Cristo istituì l’ufficio Petrino perché tutti i Vescovi e, così, tutti i fedeli siano uniti nella fede[8]. Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione dogmatica sulla Chiesa, dichiarò: “Affinché lo stesso episcopato fosse uno e indiviso, [Gesù Cristo] prepose agli altri apostoli il beato Pietro e in lui stabilì il principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione”[9]. Così il Concilio definisce l’ufficio Petrino: “Il Romano Pontefice, quale successore di Pietro, è il perpetuo e visibile principio e fondamento dell’unità sia dei vescovi sia della moltitudine dei fedeli”[10].

La Curia Romana è lo strumento principale del Romano Pontefice nel suo servizio insostituibile alla Chiesa universale. Secondo le parole dei Padri conciliari: “Nell’esercizio del suo supremo, pieno e immediato potere sopra tutta la Chiesa, il Romano Pontefice si avvale dei dicasteri della Curia Romana, che perciò compiono il loro incarico nel nome e nell’autorità di lui, a vantaggio delle chiese e al servizio dei sacri pastori”[11]. Il Successore di San Pietro, tramite la Curia Romana aiuta i singoli Vescovi a compiere il loro fondamentale servizio che il Concilio descrive con queste parole: “Tutti i Vescovi, infatti, devono promuovere e difendere l’unità della fede e la disciplina comune a tutta la Chiesa, istruire i fedeli nell’amore di tutto il corpo mistico di Cristo, specialmente delle membra povere, sofferenti e di quelle che sono perseguitate a causa della giustizia (cf. Mt. 5, 10) e, infine, promuovere ogni attività comune a tutta la Chiesa, specialmente nel procurare che la fede cresca e sorga per tutti gli uomini la luce della piena verità”[12].

La missionarietà della Chiesa è il frutto di questa unità di dottrina, liturgia, e disciplina, è frutto del Cristo vivo nella Chiesa, nei membri del Suo Corpo Mistico di cui egli è il Capo. È Cristo solo che è annunziato e predicato a tutte le nazioni perché molti siano battezzati nel nome del Padre, del Figlio, e dello Spirito Santo. Ecco la missione della Chiesa affidata a lei per il Signore:

A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque e fate discepoli tutti i popoli, battezzandoli nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo, insegnando loro a osservare tutto ciò che vi ho comandato. Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo[13].

La missione di Cristo è anteriore ad ogni attività missionaria, al tratto di missionarietà. Infatti, la missionarietà è soltanto una manifestazione della presenza viva di Cristo nella Chiesa per fare “discepoli tutti i popoli”, Cristo che rimane sempre vivo nella Chiesa “fino alla fine del mondo”.

Sinodalità, in quanto termine astratto, è un neologismo nella dottrina sulla Chiesa. È risaputo che il Concilio Vaticano II ha voluto evitare i termini astratti di conciliarità e collegialità, che non si trovano nei testi conciliari. È da presumere che lo stesso Concilio avrebbe voluto evitare un termine astratto come sinodalità, se l’avrebbe conosciuto.

La tradizione canonica conosce l’istituto del Sinodo quale strumento per dare consigli ai sacri Pastori; non si descrive la Chiesa quale sinodale ma, invece, quale comunione gerarchica[14]. Sono i pastori nella comunione salvaguardata e promossa dall’Ufficio Petrino, cioè la gerarchia, che ha la responsabilità per la guida dottrinale, liturgica, e morale della Chiesa. Il Sinodo è un aiuto offerto ai pastori affinché loro possano compiere il loro servizio. Non mai e non può mai sostituire all’ufficio pastorale voluto e istituito da Cristo Stesso.

Il Sinodo dei Vescovi si descrive quale “un’assemblea di Vescovi i quali … si riuniscono in tempi determinati per favorire una stretta unione fra il Romano Pontefice e i Vescovi, e per prestare aiuto con i loro consigli al Romano Pontefice stesso nella salvaguardia e nell’incremento della fede e dei costumi, nell’osservanza e nel consolidamento della disciplina ecclesiastica e inoltre per studiare i problemi riguardanti l’attività della Chiesa nel mondo”[15]. Padre Murray ci ha ricordati la natura del Sinodo dei Vescovi, secondo il citato canone 342 del Codice di Diritto Canonico.

Aggiungerei solo che, in modo simile, il Sinodo Diocesano si descrive quale “l’assemblea di sacerdoti e altri fedeli della Chiesa particolare, scelti per prestare aiuto al Vescovo diocesano in ordine al bene di tutta la comunità diocesana …”[16]. Il sinodo come istituto canonico si riferisce ad un modo solenne dei diversi modi per i quali tutti i fedeli, per la loro vocazione e con i loro doti, assistono i loro sacri Pastori ad adempire le loro responsabilità come veri maestri della fede. Il can. 212 del Codice di Diritto Canonico, avendo la sua fonte originale nell’insegnamento domenicale sulla correzione fraterna[17] provvede le norme che disciplinano il rapporto tra i sacri Pastori e i fedeli nella comunione gerarchica della Chiesa. L’istituto del sinodo, tra questi modi, è straordinario, richiedendo una preparazione lunga e adeguata e una celebrazione ben disciplinata per evitare i malintesi che possano facilmente, specialmente in una cultura del tutto secolarizzata e mondana, rendere il processo sinodale nocivo alla Chiesa.

Vorrei adesso condividere con voi alcune riflessioni che ho esposte ad altri venerabili confratelli del Collegio Cardinalizio, in occasione dell’incontro dei Cardinali, poco più di un’anno fa. Riguardano più direttamente la struttura della Curia Romana, ma sono collegate in maniera molto stretta al nostro argomento.

La missionarietà e la sinodalità come qualità, non “attributi” o “tratti essenziali”, della vita ecclesiale non cambiano la natura dell’Ufficio Petrino o del servizio prestato dalla Curia Romana al Successore di Pietro quale “principio e il fondamento perpetuo e visibile dell’unità della fede e della comunione”. Infatti, presuppongono l’Ufficio Petrino assistito dalla Curia Romana. Nella luce di questo, seguono delle osservazioni.

Primo. La Costituzione Apostolica insiste che la Curia Romana “è al servizio del Papa, successore di Pietro, e dei Vescovi, successori degli Apostoli”[18]. Ma il servizio della Curia Romana è al Successore di Pietro. Servendo il Romano Pontefice, la Curia Romana serve anche i Vescovi nel loro rapporto con il Papa. Non è realistico domandare che la Curia Romana serva tutti i Vescovi. Infatti, essi hanno le loro proprie Curie per aiutarli nel compimento delle loro responsabilità di veri pastori. In questo, si deve mantenere chiaro il servizio distinto del Successore di Pietro.

Allo stesso tempo, definire la Curia Romana a servizio dei singoli Vescovi rischierebbe una visione mondana della Chiesa nella quale le Chiese particolari sarebbero filiali o sussidiarie della Chiesa a Roma, tutti serviti dalla stessa Curia Romana. Sarebbe una distorsione del rapporto del Successore di Pietro con i Vescovi.

Secondo. Il termine dicastero, quale termine generico secolare, tratto dal Diritto Romano, per i vari uffici di diversa natura della Curia Romana non esprime sufficientemente l’aspetto della comunione gerarchica coinvolta nel trattamento di questioni dottrinali, liturgiche, educative, missionarie, ecc., e non esprime la reale differenza non di dignità (tutti i dicasteri sono giuridicamente pari), ma di materia e di competenza.

Terzo. Sembra giusto restaurare in qualche forma, almeno nella prossima fase attuativa della Costituzione Apostolica, la Congregazione per la Dottrina della Fede al posto primo fra tutte le Congregazioni della Curia Romana in virtù del suo compito di “aiutare il Romano Pontefice e i Vescovi nell’annuncio del Vangelo in tutto il mondo, promuovendo e tutelando l’integrità della dottrina cattolica sulla fede e la morale, attingendo al deposito della fede e ricercandone anche una sempre più profonda intelligenza di fronte alle nuove questioni”[19].

Quarto. Sarebbe importante nell’elenco delle qualità richieste negli Officiali e Consultori di mettere nel primo luogo la sana dottrina e la coerenza con la sana disciplina della Chiesa[20].

Non mi sembra necessario di entrare nel dettaglio per capire che il sinodo che si aprirà domani non è altro che un prolungamento diretto di ciò che è stato già evidenziato dalla Costituzione Apostolica Praedicate Evangelium. È quindi per lo meno singolare di dire che non si sa in che direzione andrà il sinodo, quando è così chiaro che la volontà è quella di profondamente modificare la costituzione gerarchica della Chiesa. Un processo simile è stato adoperato nella Chiesa in Germania per raggiungere lo stesso tanto nocivo scopo.

È frequentemente detto che l’insistenza sulla sinodalità della Chiesa non è altro che ricuperare una caratteristica ecclesiale sempre servata dalla Chiesa orientale. Ho contatti regolari con vescovi e sacerdoti orientali, sia cattolici che ortodossi, che mi hanno tutti detto che il modo in cui il sinodo è organizzato non ha nulla a che vedere con i sinodi orientali. Questo vale non solo per il posto dei laici in queste assemblee, ma anche più in generale per il modo in cui operano e persino per le questioni che affrontano. C'è confusione intorno al termine sinodalità, che si cerca artificiosamente di collegare a una pratica orientale, ma che in realtà ha tutte le caratteristiche di un'invenzione recente, soprattutto per quanto riguarda i laici.

Una tale modifica nella autocomprensione della Chiesa ha per ulteriore conseguenza un indebolimento dell’insegnamento in materia di morale, nonché di disciplina nella Chiesa. Non mi trattengo molto su questi punti, drammaticamente noti da tutti: la teologia morale ha perso tutti i suoi punti di riferimento. È urgente considerare l'atto morale nella sua totalità, e non solo nel suo aspetto soggettivo. L'imminente anniversario della pubblicazione di Veritatis Splendor può aiutarci in questo. Accolgo con favore e incoraggio le iniziative che ho visto su questo tema. I comandamenti del Decalogo sono validi e rimarranno validi come lo sono sempre stati in ogni epoca, semplicemente perché sono inerenti alla natura umana.

Visto tutto quello che ho osservato e che siamo approfondendo per il nostro Convegno di oggi, io, insieme ad quattro altri cardinali, le Loro Eminenze Card. Walter Brandmüller, Card. Juan Sandoval Íñiguez, Card. Robert Sarah et Card. Joseph Zen, ciascuno proveniente da diversi continenti, abbiamo presentato al Sovrano Pontefice, durante l’estate, dei dubia per chiarire un certo numero di punti fondamentali appartenenti al deposito della Fede che oggi vengono messi in discussione, specialmente nel proseguimento della cosiddetta sinodalità. Molti fratelli dell'episcopato e anche del Collegio cardinalizio sostengono questa iniziativa, anche se non sono nella lista ufficiale dei firmatari.

Oggi è apparso un articolo in Il Giornale dal Vaticanista Fabio Marchese Ragona sui dubia sottoposti a Papa Francesco. Alla fine dell’articolo, egli cita i commenti sui dubia di “due padri sinodali” che ha intervistato. Cito il commento:

Siamo molto dispiaciuti, i tempi della Chiesa non sono quelli di questi confratelli! Non possono dettare loro l’agenda al Papa, causando peraltro ferite e minando l’unità nella Chiesa. Ma ormai ci siamo abituati: vogliono soltanto colpire Francesco[21].

Questi commenti rivelano lo stato di confusione, errore, e divisione che permea la sessione del Sinodo dei Vescovi che comincerà domani. I cinque dubia trattano esclusivamente la perenne dottrina e disciplina della Chiesa, non un’agenda del Papa. Non trattano dei “tempi” passati. Il linguaggio è molto rivelatore della mondanità della visione. Poi, non trattano della persona del Santo Padre. Infatti, per la loro natura sono un’espressione della dovuta venerazione per l’Ufficio Petrino e il Successore di San Pietro.

Questi commenti sembrano riflettere un errore fondamentale recentemente espresso dal nuovo Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede in una intervista che egli ha dato a Edward Pentin del National Catholic Register. Durante l’intervista egli ha dichiarato che, oltre il deposito della Fede, il Romano Pontefice ha un “vivo e attivo dono” che risulta in quello che egli definisce “la dottrina del Santo Padre”[22]. In più, egli accusa quelli che fanno critica di questa “dottrina del Santo Padre” di eresia e schisma[23].

Ma la Chiesa non ha mai insegnato che il Romano Pontefice ha un dono speciale per costituire una propria dottrina. Il Santo Padre è il primo maestro del deposito della fede che è in se stesso sempre vivo e dinamico. Così insegna la Costituzione Dogmatica de Divina Revelatione “Dei verbum” del Concilio Ecumenico Vaticano II:

La Sacra Tradizione e la Sacra Scrittura costituiscono un solo sacro deposito della parola di Dio affidato alla Chiesa. Aderendo ad esso tutto il popolo santo, unito ai suoi Pastori, persevera costantemente nell’insegnamento degli Apostoli e nella comunione, nella frazione del pane e nelle orazioni (cf. Atti 2, 42 gr.), in modo che nel ritenere, praticare e professare la fede trasmessa, si crei una singolare unità di spirito tra Vescovi e fedeli[24].

Si deve riflettere sulla gravità della situazione ecclesiale quando il Prefetto del Dicastero per la Dottrina della Fede accusa di eresia e schisma quelli che chiedono al Santo Padre di esercitare l’Ufficio Petrino per salvaguardare e promuovere il depositum fidei.

Ci viene detto che la Chiesa che professiamo, in comunione con i nostri antenati nella fede fin dai tempi degli Apostoli, di essere una, santa, cattolica e apostolica, deve ora essere definita dalla sinodalità, un termine che non ha storia nella dottrina della Chiesa e per il quale non esiste una definizione ragionevole. Si tratta ovviamente di una costruzione artificiale, più simile a una costruzione umana che alla Chiesa costruita sulla roccia che è Cristo (cfr. 1 Cor 10,4). L'Instrumentum laboris della prossima sessione del Sinodo dei Vescovi contiene certamente affermazioni che si discostano in modo impressionante e grave dall'insegnamento perenne della Chiesa. Prima di tutto, dobbiamo riaffermare pubblicamente la nostra fede. In questo, i vescovi hanno il dovere di confermare i loro fratelli. I vescovi e i cardinali di oggi hanno bisogno di molto coraggio per affrontare i gravi errori che provengono dall'interno della Chiesa stessa. Le pecore dipendono dal coraggio dei pastori che devono proteggerle dal veleno della confusione, dell'errore e della divisione.

Ma vorrei concludere esortandovi alla preghiera per implorare l’aiuto del Cielo contro tutte le potenze, umane e preternaturali, che sognano della distruzione della Chiesa. Non prevalebunt![25] Sappiamo che il bene è sempre tenuto in considerazione agli occhi di Dio e sarà giustamente ricompensato, così come il male sarà punito. Molti giovani ne sono consapevoli e cercano di vivere, con il sostegno dei Sacramenti, un'autentica vita di Fede, Speranza e Carità, cioè una vita sempre più pienamente in Cristo con un cuore sempre più dato, insieme con il Cuore Immacolato di Maria, al Suo Sacratissimo Cuore. Questo è chiaramente il vero futuro della Chiesa, l'unico che porterà veramente frutto (cfr. Mt 7,15-17).

Oggi i buoni cristiani devono essere pronti a subire il martirio bianco dell'incomprensione, del rifiuto e della persecuzione, e talvolta il martirio rosso dello spargimento di sangue, per essere testimoni fedeli di Cristo e i Suoi “collaboratori della verità”[26]. Sebbene la confusione attuale sia particolarmente grande, persino storicamente significativa per non dire inedita, non possiamo credere che la situazione sia irreversibile. Come ho appena ricordato, le porte dell'inferno non prevarranno contro la Chiesa. Il Signore ha promesso di rimanere con noi nella Chiesa “fino alla fine del mondo”[27]. Egli non mente. Egli è sempre fedele ai Suoi promessi. Possiamo sempre confidare nel Signore vivo per noi nella Chiesa. E certamente non dobbiamo mai abbandonare il Signore ma rimanere con Lui nella Chiesa che è il Suo Corpo Mistico. Dobbiamo sempre rimanere tralci sicuramente inseriti nella Vite che è Lui. Tuttavia, siamo costretti a constatare che molte anime prendono la strada della perdizione a causa di questa confusione, per cui dobbiamo pregare molto e agire per dissiparla al più presto possibile.

Invochiamo la Beata Vergine Maria, in particolare nel suo Cuore Immacolato, San Giuseppe Protettore della Santa Chiesa, i Santi Apostoli Pietro e Paolo, e tutti i santi, affinché ciascuno di noi rimanga fedele a Cristo e alla Sua Chiesa, Una, Santa, Cattolica, ed Apostolica, la Santa Romana Chiesa; e affinché la Chiesa stessa, senza macula ne ruga, possa uscire al più presto dall’attuale stato di confusione e divisione per abbreviare questi tempi in cui il rischio di perdizione delle anime è grande. Salus animarum “in Ecclesia suprema semper lex esse debet”.

Grazie per la Vostra attenzione. Che Dio benedica Voi e le Vostre case sempre, e che la Vergine Madre di Dio, San Giuseppe, i Santi Pietro e Paolo, e tutti i Santi Vi guidino e Vi salvaguardino la via.
Raymond Leo Cardinale Burke 
_______________________ 
 [1] Julio Loredo e José Antonio Ureta, Processo sinodale: Un Vaso di Pandora. 100 questioni e 100 risposte (Roma: Associazione Tradizione Famiglia Proprietà, 2023).
[2] Can. 1752.
[3] Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 811.
[4] “… unam, sanctam, catholicam et apostolicam”. Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, “Constitutio Dogmatica Lumen gentium de Ecclesia”, 21 Novembris 1964, Acta Apostolicae Sedis 57 (1965) 11, n. 8. [LG]. Traduzione italiana: Enchiridion Vaticanum, Vol. 1, Documenti del Concilio Vaticano II (Bologna: Edizioni Dehoniane Bologna, 1981), p. 135, n. 305. [EV1].
[5] Gv 15, 1.
[6] Gv 4, 24.
[7] Eph 4, 14-15.
[8] Cf. Mt 16, 18-19; Lc 22, 31-32; Gv 21, 15-19.
[9] “Ut vero Episcopatus ipse unus et indivisus esset, beatum Petrum ceteris Apostolis praeposuit in ipsoque instituit perpetuum ac visibile unitatis fidei et communionis principium et fundamentum”. LG 22, n. 18b. Traduzione italiana: EV1, p. 159, n. 329.
[10] “Romanus Pontifex, ut successor Petri, est unitatis, tum Episcoporum tum fidelium multitudinis, perpetuum ac visibile principium et fundamentum”. LG, 27, n. 23a. Traduzione italiana: EV1, p. 169, n. 338.
[11] “In exercenda suprema, plena et immediata potestate in universam Ecclesiam, Romanus Pontifex utitur Romanae Curiae Dicasteriis, quae proinde nomine et auctoritate illius munus suum explent in bonum Ecclesiarum et in servitium Sacrorum Pastorum”. Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, “Decretum Christus Dominus de pastorali Episcoporum munere in Ecclesia”, 28 Octobris 1965, Acta Apostolicae Sedis 58 (1966) 676, n. 9a. Traduzione italiana: EV1, p. 337, n. 588. 
[12] “Debent enim omnes Episcopi promovere et tueri unitatem fidei et disciplinam cunctae Ecclesiae communem, fideles edocere ad amorem totius Corporis mystici Christi, praesertim membrorum pauperum, dolentium et eorum qui persecutionem patiuntur propter iustitiam (cfr. Matth. 5, 10), tandem promovere omnem actuositatem quae toti Ecclesiae communis est, praesertim ut fides incrementum capiat et lux plenae veritatis omnibus hominibus oriatur”. LG 27-28, n. 23b. Traduzione italiana: EV1, p. 169, n. 339.
[13] Mt 28, 18-20.
[14] Cf. LG 25, n. 21b.
Traduzione italiana: EV1, p. 165, n. 335.
[15] “… coetus est Episcoporum qui … statutis temporibus una conveniunt ut arctam coniunctionem inter Romanum Pontificem et Episcopos foveant, utque eidem Romano Pontifici ad incolumitatem incrementumque fidei et morum, ad disciplinam ecclesiasticam servandam et firmandam consiliis adiutricem operam praestent, necnon quaestiones ad actionem Ecclesiae in mundo spectantes perpendant”. CIC-1983, can. 342.
[16] “… coetus delectorum sacerdotum aliorumque christifidelium Ecclesiae particularis, qui in bonum totius communitatis diocecesanae Episcopo dioecesano adiutricem operam praestant…”. CIC-1983, can. 460.
[17] Cf. Mt 18, 15-18.
[18] PE, p. 31, Art. 1.
[19] PE, p. 75, Art. 69.
[20] PE, pp. 38-39, Art. 14, § 3, e Art. 16.
[21] Fabio Marchese Ragona, “Cinque «dubia» sul Sinodo di Francesco. Dalla benedizione ai gay alle donne sacerdote: i cardinali conservatori scuotono il Vaticano”, Il Giornale, 3 ottobre 2023, 17. 
[22] “living and active gift … the doctrine of the Holy Father”. Edward Pentin, “Exclusive: Archbishop Fernandez Warns Against Bishops Who Think They Can Judge ‘Doctrine of the Holy Father’”, National Catholic Register, September 11, 2023.
[23] Cfr. Fino aIbidem.
[24] “Sacra Traditio et Sacra Scriptura unum verbi Dei sacrum depositum constituunt Ecclesiae commissum, cui adhaerens tota plebs sancta Pastoribus suis adunata in doctrina Apostolorum et communione, fractione panis et orationibus iugiter perseverat (cfr. Act. 2, 42 gr.), ita ut in tradita fide tenenda, exercenda profitendaque singularis fiat Antistitum et fidelium conspiratio”. Sacrosanctum Concilium Oecumenicum Vaticanum II, “Constitutio Dogmatica ‘Dei verbum’ de Divina Revelatione”, 28 Novembris 1965, Acta Apostolicae Sedis 58 (1966), 822, n. 10.
[25] Mt 16, 18.
[26] 3 Gv 8.
[27] Mt 28, 20.

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