C’è un aspetto che inquieta nello scontro mediatico fra monsignor Carlo Maria Viganò e il professor Roberto De Mattei, ed è l’eccessivo personalismo che sembra caratterizzare la vicenda. Mi spiego meglio. Non ci trovo nulla di scandaloso nel fatto che persone appartenenti allo stesso schieramento e che condividono determinate battaglie possano pensarla diversamente su dinamiche particolari o strategie. Stare dalla stessa parte, combattere la stessa buona battaglia, non deve significare l’omologazione o l’affermazione di un pensiero unico e molto spesso la divergenza, il confronto, la sana dialettica anche accesa può essere un valore aggiunto.
Ora va detto che il professor De Mattei avrebbe potuto confutare nel merito certe posizioni di monsignor Viganò da lui ritenute sbagliate: è suo diritto farlo ed è suo diritto spiegare perché a suo giudizio Viganò starebbe sbagliando nel portare avanti la sua battaglia contro quelli che definisce i fautori del “nuovo ordine mondiale”, da costruire anche grazie alla pandemia e alle politiche messe in atto per fronteggiarla (basta vedere quali progetti sono vincolanti per ottenere i fondi del Recovery per rendersi conto di come la salute sia l’ultimo dei problemi per i signori che governano a Bruxelles e di come anzi la crisi economica post pandemica sia stata sfruttata per raggiungere ben altri obiettivi). Invece no, il professor De Mattei ha preferito l’attacco personale, fino a sostenere che Viganò sarebbe manipolato da qualcuno che si sarebbe ormai sostituito a lui, che parlerebbe per suo conto e che in qualche modo avrebbe finito per renderlo completamente succube; al punto da non rendersi più conto di non essere lui a pensare e a parlare, ma di agire come manovrato da attori esterni ed occulti.
Questo perché, a detta di De Mattei, i testi di Viganò dell’ultimo periodo sarebbero molto diversi, addirittura antitetici, a quelli del passato per contenuti, stile, forma, linguaggi ecc. Non abbiamo elementi per smentire il professor De Mattei e non è compito nostro farlo. Però leggendo l’articolo con cui il direttore di Corrispondenza Romana ha aperto il “fuoco mediatico” contro l’ex nunzio apostolico negli Usa, ci ha colpiti un dettaglio non propriamente irrilevante. De Mattei esalta il Viganò che da segretario del Governatorato della Santa Sede rimise in sesto le finanze vaticane; elogia il nunzio per le coraggiose denunce contro la corruzione del clero americano, ed in particolare contro il corrottissimo cardinale Mc Carrick amico degli Obama e dei Clinton, e per aver accusato Bergoglio di non aver fatto nulla quando lui stesso gli portò le prove del coinvolgimento di Mc Carrick negli scandali sessuali.
Ma ecco che poi lo storico scrive: “Nelle dichiarazioni sempre più numerose da lui pubblicate il tono divenne ampolloso e sarcastico e i temi si allargarono ai campi teologico e liturgico, nei quali egli aveva sempre dichiarato di non avere competenza, fino a spingersi a considerazioni di geopolitica e filosofia della storia, estranee al suo modo di pensare e di esprimersi. Due temi cari ai tradizionalisti, quali la liturgia e il Concilio Vaticano II, divennero il suo cavallo di battaglia, in un quadro di filosofia della storia dominato dall’idea di un “gran reset”, che attraverso la dittatura sanitaria e la vaccinazione di massa avrebbe portato allo sterminio dell’umanità. Papa Francesco, generalmente indicato come “Bergoglio” sarebbe uno degli artefici di questo piano”.
E qui non può non nascere il legittimo sospetto che forse a De Mattei, autore di “Il Concilio Vaticano II. Una Storia mai scritta” [qui], abbia dato fastidio che Viganò sia andato ad invadere campi in cui l’illustre intellettuale cattolico è stato sempre una sorta di “nume tutelare” o se vogliamo di “leader incontrastato”: ovvero la critica al Concilio Vaticano II, una critica a 360 gradi indirizzata tanto ai progressisti, che hanno introdotto il “fumo di Satana” nella Chiesa, che ai conservatori che hanno fatto poco o nulla per impedirlo. Personalmente ho sempre concordato con De Mattei sull’idea che non si possa separare il Concilio dai suoi errori, come hanno tentato di fare sia Giovanni Paolo II che Benedetto XVI, e che il Concilio sia un grande errore da correggere. Ma ciò premesso non ritengo che possa essere riconosciuta all’esimio storico tradizionalista un’esclusività per ciò che riguarda la critica al Vaticano II.
Viganò negli ultimi tempi ha messo chiaramente in discussione il Concilio andando oltre le tesi dello stesso De Mattei ed evidenziando come il caos che ne è scaturito non sia stato affatto il frutto di errori d’interpretazione, ma di una precisa e lucida strategia studiata a tavolino. Non potendo i progressisti imporre la loro agenda riformista e rivoluzionaria hanno preferito inquinare i testi, riempiendoli di ambiguità e di contraddizioni affinché fossero facilmente interpretabili e quindi utilizzabili per poter cambiare la Chiesa dall’interno; proprio come sta facendo oggi Bergoglio partecipando alla costruzione di un nuovo ordine mondiale bastato sul migrazionismo, l’ecologismo integrale, l’intelligenza artificiale, la digitalizzazione, il distanziamento sociale, la soppressione dei luoghi di lavoro in favore di un’automazione sempre maggiore dei sistemi di produzione; finendo con la costruzione di una nuova specie umana libera da ogni identità, ad iniziare da quella sessuale con l’affermazione del gender, una specie umana liquida e perfettamente addomesticabile con la legittimazione di qualsiasi pulsione individualistica, per creare dei perfetti consumatori al servizio del mercato cosmopolita.
Alberto Melloni, storico e teologo ultra progressista scrisse di De Mattei che era “l’intellettuale più fine del tradizionalismo italiano”. E allora speriamo che in lui non alberghi la stessa “sindrome di Stoccolma” che in passato ha colpito parte della destra italiana, interessata non tanto ad affermare le proprie idee, ma ad ottenere legittimazione a sinistra.
Ma la sinistra ha il vizio antico di servirsi dell’avversario migliore per combattere il peggiore, per poi abbandonarlo quando ha finalmente raggiunto lo scopo (fu così per Gianfranco Fini elogiato a sinistra in chiave anti-berlusconiana e poi scaricato quando non più necessario alla causa). Ecco, il consiglio che ci sentiamo di dare allo stimatissimo De Mattei è di non cercare legittimazioni nel campo bergogliano per ritagliarsi un ruolo da leader indiscutibile e da interlocutore privilegiato del campo conservatore presentandosi come l’anti-Viganò. Non servirebbe a nulla se non alla stessa causa bergogliana che siamo certi il professore lepantino non intende certo favorire.
Americo Mascarucci - giornalista e scrittore - Fonte
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