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mercoledì 7 luglio 2021

7 luglio 2021 - XIV Anniversario del Summorum pontificum

Oggi, 7 luglio 2021, ricordiamo l'anniversario - il 14° - della promulgazione del motu proprio Summorum Pontificum [qui], che de iure, pur con le resistenze che incontra de facto e nonostante le avvisaglie negative [qui e precedenti], ha sdoganato  come tesoro della Chiesa universale il Rito Romano Antiquior.
Vi rimando alla rievocazione della prima applicazione, dopo 39 anni, avvenuta il 14 settembre successivo a Santa Maria Maggiore.
Colgo l'occasione anche per richiamare questi precedenti: Resistere è questione di sopravvivenza [qui] e alcune considerazioni sulla sua applicazione [qui], per rafforzare la nostra consapevolezza. Si tratta di riflessioni già note ai lettori più assidui; ma è utile rispolverarle ogni tanto, visto che questo strumento consente una comunicazione immediata ed efficace, ma purtroppo sommerge in fretta i contenuti, anche i più significativi.

Nell'esprimere la gratitudine per questo immenso dono della Provvidenza, attraverso Papa Benedetto, ripropongo anche il testo che segue, tuttora attuale e da non dimenticare, consapevoli che la nostra "resistenza" si gioca tutta a partire dal fronte della Liturgia, culmine e fonte della fede, nella quale tutto confluisce e dalla quale tutto rinasce rinnovato.

Le seguenti citazioni di Benedetto XVI servono a confermare che la guerra in corso nella Chiesa Cattolica è proprio sulla liturgia.

Citazione 1: dal Summorum Pontificum, articolo 1:
Perciò è lecito celebrare il Sacrificio della Messa secondo l’edizione tipica del Messale Romano promulgato dal B. Giovanni XXIII nel 1962 e mai abrogato, come forma straordinaria della Liturgia della Chiesa.
:: La liturgia tradizionale non era stata mai abrogata.
:: Chiunque insinui il contrario mente.
:: Chiunque abbia proibito quella liturgia, ha commesso un grave sopruso.
:: Chi ancor oggi la ostacola, commette un grave sopruso.

Citazione 2, sempre dall'articolo 1:
Tuttavia il Messale Romano promulgato da San Pio V e nuovamente edito dal B. Giovanni XXIII deve essere considerato come espressione straordinaria della stessa “lex orandi” e deve essere tenuto nel debito onore per il suo uso venerabile e antico.
:: La liturgia tradizionale è espressione di tutta la Chiesa.
:: Deve essere tenuta nel debito onore, non nelle "riserve indiane".

Citazione 3: dall'articolo 2:
Per tale celebrazione secondo l’uno o l’altro Messale il sacerdote non ha bisogno di alcun permesso, né della Sede Apostolica, né del suo Ordinario.
:: La liturgia tradizionale è un diritto di tutti.
:: Non è una gentile concessione di un permesso.

Citazione 4: dalla lettera di accompagnamento del Summorum Pontificum:
Ciò che per le generazioni anteriori era sacro, anche per noi resta sacro e grande, e non può essere improvvisamente del tutto proibito o, addirittura, giudicato dannoso.
:: Dunque è condannabile anche l'atteggiamento deliberatamente tiepido nei confronti della liturgia "mai abolita", "sacra" e "grande".

Citazione 5: dalla Lettera ai vescovi riguardante la remissione delle scomuniche dei lefebvriani:
A volte si ha l’impressione che la nostra società abbia bisogno di un gruppo almeno, al quale non riservare alcuna tolleranza; contro il quale poter tranquillamente scagliarsi con odio... 
Le dolorose chiusure e i silenzi assordanti dei vescovi sono noti a tutti perché se ne torni a parlare. Mentre, nonostante alcune luminose aperture che ci allargano il cuore, molto resta ancora da pregare e "resistere" ed impegnarsi, Deo adiuvante,  per far conoscere e amare il nostro tesoro...

3 commenti:

  1. Che papa Benedetto potesse dire che l'uso più antico non era mai stato abrogato ( numquam abrogatam ) dimostra che la liturgia di Paolo VI è qualcosa di nuovo, più che una mera revisione della precedente, poiché ogni precedente editio typica del messale aveva sostituito ed escluso quella che la precedeva. Mentre ci sono sempre stati diversi "usi" nella Chiesa latina, questo sdoppiamento della liturgia di Roma è un caso di disturbo dissociativo dell'identità o schizofrenia.

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  2. LA DIVINA LITURGIA (II)

    2. E, ad onta di quanto pare, questo non è ancora il punto degno della maggiore attenzione.
    L’atto di culto all’Eterno non vive pienamente se non è illuminato a dovere dalla luce e dalla coscienza della Maestà Divina. Se la Liturgia non è connotata sempre e profondamente da quella coscienza, per la parte in cui vi entrano gli uomini, decade.
    Mentre parrebbe che sia proprio quella coscienza a scomparire oggi.
    È evidente che molti oggi non si sentono più davanti alla Maestà di Dio. Del Creatore ne hanno fatto una sorta di compare col quale si può scherzare e si può usare lo stile della bettola. Il primo che ha osato sbandierare il «trionfalismo» a proposito di culto dovuto a Dio evidentemente non aveva una idea della Maesta di Dio.
    È bene risentire qualcosa dell’Antico Testamento.
    Ecco la preparazione al Decalogo sul Sinai: «Una densa nube copriva il monte e si udì un suono di tromba fortissimo e tutto il popolo che era nell’accampamento tremava… Il monte Sinai fumava tutto, perché il Signore vi era sceso in mezzo al fuoco e quel fumo saliva come quello di una fornace e tutto il monte fortemente tremava. Il suon della Tromba si faceva sempre più forte…» (Esodo 19, 16 segg.). L’effetto di tale manifestazione fu tale che «tutto il popolo avvertiva i tuoni e i lampi e il suon della tromba e mirava il monte fumare e a tal vista tremava, ne ardiva accostarsi. E disse a Mosè: parla tu e noi ti ascolteremo; ma non ci parli Iddio, perché non si debba morire» (Esodo, 20, 18 segg.). Si trattava solo di una manifestazione! La Legge morale mosaica è confermata nel Nuovo Testamento (Matteo V, 17 segg.); la legge rituale no (Atti 15, 28 segg. etc.), ma Dio resta; il rapporto di creatura con Lui, anche se siamo elevati all’ordine soprannaturale, non è affatto eliminato; le cose che ci mettono di fronte a Lui ed a Lui solo vita, morte, dolore, giudizio, Inferno, Paradiso, restano e sono terribilmente serie!
    La legge dell’«amore»! Certo ma la Legge dell’amore farà sì che l’adorazione al Padre sia condotta e vivificata da un motivo ben più alto di quello del timore; non sposta affatto i termini della legge divina.
    Proprio nella Divina Liturgia ancor oggi — e così sarà sempre — cantiamo nel salmo 8: «Allorquando i tuoi cieli io contemplo, che sono opera delle tue mani, la luna e le stelle che vi ponesti, che è mai l’uomo perché te ne ricordi?» (vv 4-5). Nel salmo 47: «Popoli tutti, battete le mani, levate a Dio clamori di gioia. Poiché Dio è l’Eccelso, il Tremendo, il Re sommo su tutta la terra… Ché di tutta la terra è Re Iddio inneggiate con arte, inneggiate. Poiché regna Iddio su le genti e si asside sul santo Suo trono» (1 segg.). Nel salmo 62: «Solo in Dio avrai la pace, o anima mia, da lui la mia salvezza... Non son che un soffio i figli dell’uomo, menzogna, i mortali. Posti sulla bilancia tutti insieme, va su come un soffio. Non confidate in violenze e rapine, non ve ne invanite» (1 - 21). Il salmo 76 è un peana di gloria trionfale, che termina così: «Fate voti al Signore Dio vostro, rechino doni al Tremendo tutti all’intorno. A Lui che toglie ai grandi il respiro, che terribile è ai re della terra» (12). L’inno del solenne plenilunio si apre così: «Acclamate a Dio, potenza nostra, fate plauso al Dio di Giacobbe» (LXXXI, 1). Il cantico della creazione nel salmo 103 si snoda in una sublime visione di potenza e di adorazione: tutte le cose create vi partecipano con un impressionante lirismo. Il salmo 109 e tutto un inno alla Maestà e Bontà di Dio.

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  3. ... segue
    Ed ecco l’ultimo Salmo, il 150°: «Lodate Iddio nel Tempio Suo santo, lodateLo nel suo firmamento. LodateLo nei Suoi portenti, lodatene la Eccelsa Maestà». Non c’è davvero posto per quelli che depravano il culto del Signore in nome di un temuto trionfalismo!
    A questo punto sarebbe opportuno (e lo consigliamo vivamente a chi ci legge) risentirsi il mirabile discorso col quale Dio nel libro di Giobbe risponde alle querele ed alle piccinerie umane (C. 39-41). Le movenze di questo sublime parlare sembra mozzino al piccolo uomo il respiro. Parliamo continuamente della Parola di Dio, ma la verità è che non la si intende neppure. Se si avesse la umiltà necessaria per aprirle le porte della intelligenza, molti si diporterebbero ben diversamente.
    La questione la si enuclea così.
    La Incarnazione, che ci ha avvicinato Dio, il Sacrificio del Figlio di Dio che ci ha sostituiti nella riparazione prendendo il posto nostro, la sublime dottrina di famigliarità con Dio, quale in tale quadro ci ha insegnato l’Evangelo, la legge della carità, la appartenenza conseguente al Corpo Mistico, non autorizzano nessun uomo a distruggere il rispetto che si deve a Dio. L’amore non esclude il rispetto, il rispetto è sostanza dell’amore. In Dio perfettissimo, amore, giustizia, maestà e tutte le perfezioni si identificano, proprio perché assolutamente complete; il fatto che la nostra piccola intelligenza deve capire per gradi e pertanto fare delle distinzioni non autorizza a far scelte come questa: amore sì, maestà, no! In verità quando si oblitera la Maestà, che resta dell’amore? Lo vediamo anche troppo e non possiamo che piangerne!
    Noi siamo convinti che occorre rimettersi in ginocchia, adorando la Maestà di Dio e che qui sia il punto, come già abbiamo espresso, di tutta la questione.

    (card. G. La divina Liturgia oggi. Lettera Pastorale al Clero, 1977)

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