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venerdì 31 dicembre 2021

Piroette...

Otto punti significativi di Don Jean-Michel Gleize per chiedersi: come dovranno reagire le comunità Ecclesia Dei nei prossimi mesi? Dovranno rifiutarsi di obbedire al motu proprio di Francesco? Con una domanda ulteriore: in nome di cosa? Significativa l'immagine di Paolo VI che celebra per la prima volta la Messa riformata. Qui l'indice dei precedenti articoli su Traditionis custodes e Responsa.

Come dovranno reagire le comunità Ecclesia Dei nei prossimi mesi? Dovranno rifiutarsi di obbedire al motu proprio di Francesco? Ma in nome di cosa?
  1. L'attuazione del motu proprio Traditionis custodes continua inesorabilmente. Il 18 dicembre scorso, la Sacra Congregazione per il Culto Divino ha emesso una serie di chiarimenti, nella classica forma di "Responsa ad dubia". Undici risposte dissipano i dubbi. Le cose sono più chiare: la Messa tradizionale di San Pio V non è la norma del culto nella Chiesa cattolica. La Messa, intesa nel senso di rito universale e obbligatorio per tutta la Chiesa, è la Messa di Paolo VI.
  2. E anche la risposta delle varie comunità del movimento Ecclesia Dei sta diventando sempre più chiara. Qual è la risposta dei principali leader di queste comunità? La risposta della Fraternità di San Pietro (comunicato del 19 dicembre 2021) è che il motu proprio di Francesco "non si rivolge direttamente" a queste comunità. La risposta della Fraternità di San Vincenzo Ferrier (Messaggio di Natale del 23 dicembre 2021) è che questo motu proprio non può essere rivolto a queste comunità, il cui atto costitutivo riserva loro la celebrazione della liturgia tradizionale. Questo è tutto. Ed è pietoso. Di fronte a tali piroette, il disagio non fa che crescere.
  3. In una sola parola: le comunità Ecclesia Dei difendono la celebrazione della Messa tradizionale rivendicandola come un loro privilegio e facendo riferimento al motu proprio di Giovanni Paolo II. Agli occhi di queste comunità, questa è l’espressione giuridica della loro ragion d'essere.
  4. In tutto ciò che i rappresentanti di queste comunità dicono o scrivono nel tentativo di eludere le esigenze del motu proprio Traditionis custodes, non vediamo mai apparire quello che dovrebbe essere il vero argomento per la difesa della Tradizione e la ragione profonda dell’attaccamento all’Ordo missae del 1962. Questo vero argomento e questa profonda ragione sono quelli che la Fraternità San Pio X ha costantemente proposto fin dall'inizio: la nuova Messa di Paolo VI, il Novus Ordo del 1969, non può essere la norma del culto nella Chiesa Cattolica. In effetti, questa nuova Messa si allontana in modo impressionante nell’insieme come nel dettaglio dalla definizione della Messa stabilita dal Concilio di Trento. Ecco perché il Novus Ordo è essenzialmente cattivo, perché è un pericolo per la fede e promuove un ritorno all’eresia protestante. La Messa tradizionale, celebrata secondo l'Ordo del 1962, e prima di questa riforma di Paolo VI, deve quindi rimanere per difetto la norma del culto nella Chiesa, ad esclusione della nuova Messa celebrata secondo il Novus Ordo del 1969.
  5. Il peccato originale delle comunità Ecclesia Dei appare qui alla luce dei fatti, contro i quali non si può dare alcun argomento. Dal loro riconoscimento canonico nel 1988, queste comunità si sono astenute dal dichiarare pubblicamente e ufficialmente che il Novus Ordo di Paolo VI si allontana dalla fede cattolica e che la nuova Messa di Paolo VI è essenzialmente cattiva. Al massimo possono rivendicare una preferenza o un privilegio per la celebrazione della vecchia Messa. Ma questo a condizione che riconoscano la perfetta cattolicità e la bontà dei princìpi della nuova Messa. Questo è, infatti, ciò che afferma la terza delle risposte del recente documento della Congregazione per il Culto. Essa afferma chiaramente che “Nel caso in cui un presbitero al quale sia stato concesso l’uso del Missale Romanum del 1962 non riconosca la validità e la legittimità della concelebrazione [nel nuovo rito di Paolo VI], rifiutandosi di concelebrare, in particolare, nella Messa Crismale”, egli non può continuare a beneficiare della concessione fatta per la celebrazione della Messa nell’Ordo del 1962.
  6. Ma l’uso di un privilegio, per quanto esteso, si misura sempre con il rispetto del diritto comune – e questo è il diritto che cerca di garantire la comunione ecclesiale, in adesione alle riforme introdotte dopo il Concilio Vaticano II [Lo dice esplicitamente il n. 5 del motu proprio Ecclesia Dei afflicta del 2 luglio 1988]. Pertanto, la stessa ragione che ha portato Papa Giovanni Paolo II ad espandere la celebrazione della liturgia antica può portare i suoi successori – e di fatto porta Francesco oggi – a limitare questa celebrazione. L’argomento invocato dalla Fraternità di San Pietro e dalla Fraternità di San Vincenzo Ferrier cade quindi nel vuoto.
  7. Questo falso argomento è quello del liberalismo, che rivendica il diritto della verità a stare accanto all’errore, un errore che è anche ammesso e riconosciuto come alternativa possibile. Anche quando ha chiesto a Roma la possibilità di sperimentare la Tradizione, Monsignor Lefebvre non ha mai sostenuto che la nuova Messa di Paolo VI potesse rappresentare una possibile alternativa in materia di culto. Al contrario, si è sempre opposto chiaramente alla nocività fondamentale di questa nuova liturgia.
  8. Come dovrebbero reagire le comunità Ecclesia Dei nei prossimi mesi? Dovrebbero rifiutarsi di obbedire al motu proprio di Francesco? Ma in nome di cosa, se non in nome della fondamentale nocività della riforma di Paolo VI? I leader di queste comunità avranno finalmente il coraggio e la lucidità di denunciare l’Ordo 1969 per quello che è? Questa è la grazia che dobbiamo augurare loro, perché questa grazia rappresenta l’unica soluzione per coloro che vogliono perseverare fino alla fine nella fedeltà alla liturgia tradizionale.
Don Jean-Michel Gleize - Fonte

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