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mercoledì 9 febbraio 2022

L'Auctorem fidei di Pio VI supporta il Novus Ordo di Paolo VI?

Nella nostra traduzione da OnePeterFive un interessante articolo di P. Kwasniewski che ci offre una sapiente lettura di come il magistero papale, nel corso dei secoli, ha disciplinato posizioni riformiste fuori dai canoni della retta fede, che coincidono con quelle  dei novatori conciliari e difese dai loro emuli odierni.   Qui l'indice dei precedenti articoli su Traditionis custodes e Responsa.

Alcuni sostengono che la Chiesa non possa promulgare riti difettosi, inutili o dannosi, citando Auctorem Fidei n. 78 e la Bolla di papa Gregorio XVI Quo Graviora n. 10. Coloro che maneggiano questi testi non si rendono conto della trappola in cui stanno cadendo.

Consideriamo più da vicino ciò che Pio VI condannò. Il Sinodo diocesano italiano di Pistoia (1786), sotto l'influenza del giansenismo e del razionalismo illuminista, aveva sostenuto che nell'ambito della disciplina della Chiesa,
bisogna distinguere ciò che è necessario o utile per mantenere i fedeli nello spirito, da ciò che è inutile o troppo gravoso che non conviene alla libertà dei figli della Nuova Alleanza, ma ancor più da ciò che è pericoloso o nocivo, perché induce alla superstizione e al materialismo.
Si noti che questa posizione conobbe una seconda e più vigorosa vita tra i riformatori liturgici degli anni Sessanta, i quali separarono “ciò che è necessario o utile conservare” da “ciò che è inutile o troppo gravoso” (es. il digiuno e l'astinenza imposti dal Messale in Quaresima) e intrapresero un'implacabile campagna contro elementi dell'antica liturgia considerati “dannosi o nocivi”, come pregare per la conversione dei giudei [vedi], proclamare che non c'è salvezza fuori della Chiesa [qui], accettare la dannazione di Giuda [per contro qui] e la minaccia dell'inferno, proponendo i cosiddetti santi leggendari e i loro leggendari miracoli, manifestando una "preoccupazione" per il peccato e un'enfasi eccessiva sul mondo a venire, incoraggiando la venerazione delle reliquie, e così via. [1]

Quando Pio VI continua a condannare i Pistoiesi, aggiunge che la loro opinione
comprende e sottopone all'esame prescritto anche la disciplina stabilita e approvata dalla Chiesa, come se la Chiesa che è retta dallo Spirito di Dio potesse stabilire una disciplina non solo inutile e gravosa per la permanenza della libertà cristiana, ma addirittura pericolosa e nociva e inducente alla superstizione e al materialismo, — falsa, temeraria, scandalosa, perniciosa, offensiva per le pie orecchie, ingiuriosa per la Chiesa e per lo Spirito di Dio da cui è guidata, perlomeno erronea.
Condanna anticipatamente la riforma del Bugnini, del Consilium e di Montini, che concordano strettamente con la base pistoiese. [2] Sarebbe quindi del tutto illogico e contraddittorio tentare di applicare Auctorem Fidei dell'anno 1794 - quando la liturgia difesa da Pio VI non era altro che il rito tridentino - al Novus Ordo del 1969, che Paolo VI intendeva in sostituzione del rito imperfetto e non più proficuo di Pio V. Pio VI fa appello alla verità oggettiva che la Chiesa non può sbagliare nell'approvare la sua liturgia tradizionale; quindi nell'approvare una liturgia non tradizionale, che si discosta dalla catena ininterrotta della trasmissione ecclesiale, è Paolo VI, non (ad esempio) l'arcivescovo Lefebvre, a scontrarsi con la condanna del suo predecessore.

Nel Quo Graviora di Gregorio XVI vediamo all'opera la stessa dinamica.[3] Scritto nel 1833, neppure quarant'anni dopo Auctorem Fidei, il testo fa subito capire che il papa risponde ai cugini tedeschi degli eretici pistoiesi, che vede mossi da una «malvagia passione per l'introduzione di novità nella Chiesa». Descrive le loro opinioni:
Affermano che nella stessa disciplina odierna della Chiesa, nel governo e nella forma del culto esterno, senza dubbio ci sono molte cose che non sono adatte all’indole del nostro tempo, e che bisognerebbe cambiare quanto è nocivo all’incremento e al benessere della Religione Cattolica, senza che da ciò patisca danno la dottrina sulla fede e la morale. E così, mostrando zelo per la Religione, mettendo avanti un modello di pietà, fanno passare le novità, preparano le riforme, fingono la rinascita della Chiesa.
Suona stranamente familiare, vero? È proprio questa la retorica usata dalla fazione dell'Europa centro-settentrionale al Concilio Vaticano II, come la troviamo accuratamente documentata nell'opera di Roberto de Mattei (a completamento della documentazione fatta da Ralph Wiltgen in The Rhine Flows into the Tevere). [4] Continua Gregorio: «Sostengono che tutta la forma esteriore della Chiesa può essere cambiata indiscriminatamente» e «l'attuale disciplina della Chiesa poggia su fallimenti, oscurità e altri inconvenienti di questo tipo». Questi sentimenti, espressi senza sosta nel periodo dell'ultimo Concilio ecumenico, ne hanno plasmato l'attuazione, soprattutto nell'ambito della sacra liturgia. “Attaccano questa Santa Sede come se fosse troppo perseverante nelle usanze superate e non guardassero a fondo nel carattere del nostro tempo” – questo si diceva nel 1833, ma poteva anche essere il 1963!
Accusano questa Sede di diventare cieca alla luce delle nuove conoscenze, e di distinguere appena le cose che riguardano la sostanza della religione da quelle che riguardano solo la forma esteriore. Dicono che alimenti la superstizione, favorisca abusi e infine si comporti come se non si prendesse mai cura degli interessi della Chiesa cattolica col mutare dei tempi…. Né vogliamo discutere i loro errori riguardo al nuovo Rituale scritto in volgare, che vogliono più adattare al carattere dei nostri tempi.
È allo stesso tempo comico e tragico vedere i parallelismi tra la ribellione che Gregorio sta condannando e gli atteggiamenti progressisti che prevalevano nel Vaticano II, incoraggiati e premiati da un comprensivo Paolo VI. Sì, non era progressista come lo erano altri, e su alcune questioni era capace di riaffermare la dottrina tradizionale; tuttavia, lo stesso si può dire dei pistoiesi e dei tedeschi, che si appoggiarono cattolici su alcuni punti e giansenisti/protestanti su altri. Veniamo ora all'importante paragrafo 10, in cui evidenzierò le espressioni che vengono estrapolate dal contesto e gettate in faccia ai tradizionalisti:
Questi uomini [cioè i sedicenti riformatori] vogliono riformare dalle radici la santissima istituzione della Penitenza, criticano ingiuriosamente la Chiesa, e l’accusano di errore, quasi che, comandando la confessione annua, concedendo a certe condizioni le indulgenze per muovere alla confessione, permettendo la Messa privata e le celebrazioni quotidiane, abbia indebolito quell’istituto tanto salutare  [5] e gli abbia sottratto virtù ed efficacia. Quindi la Chiesa, che è la colonna e il sostegno della verità, e che si trova nel tempo ad essere ammaestrata dallo Spirito su ogni e qualsiasi verità, potrà comandare, concedere e permettere che essi degradino tutto a rovina delle anime, e a vergogna e pregiudizio del Sacramento istituito da Cristo?... Codesti Novatori, che manifestano tanto zelo nel promuovere la vera pietà del popolo, dovrebbero considerare che, diminuita o piuttosto tolta del tutto la frequenza ai Sacramenti, la Religione a poco a poco langue e alla fine perisce.
Come gli insegnanti non smettono di ricordare ai loro studenti, il contesto fa la differenza. Gregorio difende l'incapacità della Chiesa di smarrirsi nella direzione dei sacramenti perché la Chiesa, come pilastro e fondamento della verità, ha sempre insegnato e agito con coerenza su di essi. In altre parole, come con Pio VI, Gregorio non può concepire un buon cattolico che "riformasse completamente" qualsiasi cosa e quindi affermasse insolenti calunnie contro la Chiesa ritenendola errante nella sua disciplina antica. Paolo VI, al contrario, riteneva che il latino della liturgia fosse un ostacolo alla salvezza delle anime [qui]: per lui, questa consuetudine vecchia di 1.600 anni ridondava a “disgrazia e a detrimento” dei sacramenti.

Ironia della sorte, il sacramento che è stato più duramente colpito e ha subito il declino più catastrofico nella Chiesa dopo il Vaticano II è stata la "santa istituzione della penitenza sacramentale". I radicali tedeschi condannati da Gregorio volevano rendere la penitenza più “significativa” liberandola dalla routine e dall'obbligo, cosa che si faceva quando ce n'era bisogno; e Gregorio predisse che la conseguente diminuzione delle confessioni avrebbe infine fatto languire e morire la religione. Questo è ciò che viene dai "fautori di nuove idee desiderosi di promuovere la vera pietà nelle persone" - o, comunque, ciò che pensano come "vera pietà". Quante idee negli anni '60 sono state avanzate sotto la bandiera della "libertà" e della "maturità" e "una fede personale viva" e così via? E quanti milioni di fedeli, con la ritrovata libertà e il presupposto della maturità mondana, hanno cominciato a svanire? Senza il modello e la pressione istituzionale non avevano più rapporti, nessun supporto.

In breve: Gregorio XVI potrebbe anche descrivere le ricadute liturgiche e sacramentali del Vaticano II, derivanti dallo stesso tipo di falsi principi di quelli da lui diagnosticati e condannati tra alcuni tedeschi del suo tempo. Lo stesso si può dire di Pio VI a proposito degli italiani del suo tempo di qualche decennio prima. Questi papi stanno difendendo come opera di Dio e solida testimonianza della Chiesa tutti i tradizionali riti liturgici che gli aspiranti riformatori dell'era illuminista criticano come difettosi e propongono con arroganza di riformulare o rinnovare. O questi papi hanno ragione sui riti tradizionali della Chiesa, e i riformatori del Novecento non sono migliori dei loro predecessori pistoiesi e tedeschi; o l'intera logica di Auctorem Fidei e Quo Graviora cade a pezzi. Non possono coesistere entrambi i modi.

Ora ammetto pienamente che Gregorio XVI nel Quo Graviora riafferma con forza l'esclusiva prerogativa del papa di assumere determinazioni sulla liturgia e sui sacramenti. Nella prospettiva tridentina, in cui la Chiesa deve riunirsi strettamente contro errori e depredazioni dall'esterno, ha senso che decisioni così gravi siano riservate alla Santa Sede, anche se per gran parte della storia della Chiesa non lo sono state. Tuttavia, come prima, Gregorio afferma questa autorità perché vede il ruolo del papa di proteggere e trasmettere ciò che la Chiesa già crede e fa — non perché voglia capovolgere le cose come vorrebbero fare i radicali. In parole povere, i papi non sono relativisti che pensano che vada tutto bene finché un papa lo firma, o nominalisti che pensano che se un papa dice che il bianco è nero, è nero; né sono volontari che pensano che se dichiara X buono, anche se è cattivo, diventerà improvvisamente buono, o viceversa.

Come disse una volta qualcuno su Facebook: “Il papa non ha il potere ontologico di decretare la tradizione non-realmente-tradizione, di decretare un'innovazione più o meno-tradizione, di decretare una distruzione e un'invenzione una riforma, o di decretare una discontinuità aperta, proclamata e lodata una continuità segreta. Può fare le cose con la forza ma non può far i modo che non siano quello che sono”. Su questo sono con Tommaso d'Aquino (contro Ockham): nemmeno Dio ha il potere di cambiare il passato o di violare il principio di non contraddizione.

Dio protegge davvero la Chiesa dalla promulgazione di riti sacramentali non validi: nessuno mette seriamente in dubbio la validità del Novus Ordo. Ma, come ha ripetutamente osservato lo stesso Ratzinger, l'attuazione del Novus Ordo ha sostituito lo sviluppo organico con “il modello della produzione tecnica” derivante da idee già condannate. [6] Per questo poteva dire che la soppressione della Messa in latino «ha introdotto una breccia nella storia della liturgia le cui conseguenze non potevano che essere tragiche». [7] Queste tragiche conseguenze previste furono proprio la ragione per cui Pio VI e Gregorio XVI condannarono ciò che accadeva allora.

Quindi la prossima volta che qualcuno cita questi documenti papali o altri simili contro il punto di vista tradizionalista, pensando di aver appena vinto il dibattito, si potrebbe rispondere strizzando l'occhio: “No, al contrario, supportano il nostro punto di vista e minano il tuo. Cos'altro ti aspetteresti dai papi che scrissero 175 anni e 136 anni prima dell'avvento della Nuova Messa? E se avessero potuto vivere per vederlo in qualche modo, possiamo star certi che avrebbero condannato i suoi artefici cento volte più ferocemente di quanto non abbiano fatto con i presuntuosi riformatori del loro tempo».
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Credito immagine: Getty.
[1] Alcuni di questi problemi sono già comparsi nelle riforme liturgiche anteriori agli anni '60, ma non hanno dominato fino al Consilium sotto Bugnini.
[2] Nel suo libro troppo costoso ma rivelatore Il sinodo di Pistoia e il Vaticano II: giansenismo e lotta per la riforma cattolica (2019), Shaun Blanchard riconosce candidamente (e celebra) i parallelismi tra quel concilio condannato e il Vaticano II, anche nell'area di riforma liturgica.
[3] Questa enciclica non va confusa con la più nota Quo Graviora del 1826, una delle tante encicliche papali di condanna della Massoneria.
[4] Cfr. Roberto de Mattei, Il Concilio Vaticano II: una storia non scritta (Loreto, 2012). Ho notato che pochissimi conservatori o fautori del "ressourcement" che difendono ad alta voce il Vaticano II si sono effettivamente presi la briga di studiare questo resoconto minuziosamente ricercato da un maestro storico che dimostra il dominio della teologia progressista al concilio. Se solo si preoccupassero, questo potrebbe temperare un po' il loro entusiasmo.
[5] Come avrete intuito, i pistoiesi e i loro cugini tedeschi ritenevano l' errore dell'antiquario : come i riformatori liturgici del XX secolo, sostenevano che la liturgia della Chiesa era divenuta corrotta e doveva essere liberata dai suoi “accrescimenti” e "riportato" a una forma precedente "più autentica", che curiosamente modellarono in gran parte fuori dalle loro stesse teste, come avevano fatto i protestanti prima di loro, e con disprezzo per gli elementi noti della liturgia primitiva che erano sopravvissuti nei riti tradizionali. Per questo Pio XII fece lo stesso collegamento che sto facendo io quando avvertì che il movimento liturgico subito prima del Vaticano II era stato in qualche misura compromesso «dall'archeologismo esagerato e insensato a cui diede origine l'illegittimo Concilio di Pistoia» ( Mediator Dei, 64).
[6] Johannes Bökmann, “Liturgiereform: Nicht Wiederbelebung sondern Verwüstung,” Theologisches 20.2 (febbraio 1990): 103–4 , citando il lavoro di Ratzinger nel libro Simandron—Der Wachklopfer. Gedenkschrift per Klaus Gamber (1919-1989).
[7] Joseph Ratinzger, Pietre miliari , trad. Erasmo Leiva-Merikakis (San Francisco, CA: Ignatius Press, 1998), 146-148.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

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