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giovedì 31 marzo 2022

Carità e suicidio sociale: una necessaria distinzione etica

Per assolvere a finalità di mero fiancheggiamento ideologico, tanto da parte di politici che di svariati fra gli organi istituzionali, anche d'indole giurisdizionale ordinaria e costituzionale, si auspica e si sancisce l'esistenza di “nuovi obblighi”, in ordine all'erogazione di prestazioni e di provvidenze assistenziali, in favore di soggetti assolutamente estranei al nostro Paese; il che mi richiama immediatamente alla mente un celebre passo dell’Aquinate: «Il necessario può essere di due specie. Primo, può trattarsi di un bene, senza il quale un dato essere non può sussistere. Ebbene, dare l'elemosina con tale necessario è assolutamente proibito: e cioè, nel caso che uno, trovandosi in necessità, avesse appena di che sostentare se stesso e i propri figli, o altre persone a lui affidate. Infatti dare l'elemosina con questo necessario equivale a togliere la vita a se stesso e alla propria gente» (Tommaso D’Aquino, Summa Theologiae, II-II, q. 32, a. 6).

L’assoluta analogia della nostra concreta situazione con quanto considerato da San Tommaso ci parrebbe particolarmente rilevare in un momento come quello presente, fra le altre cose, significativamente connotato dagli effetti della decisione politica di procedere al “fallimento guidato” del tessuto economico del nostro Paese, così come imperativamente si va attuando, nei fatti, attraverso la chiusura forzata delle attività produttive, dietro il fragile pretesto di potersi in tal modo sovvenire ad obiettive esigenze d'indole sanitaria.

Dunque, a fronte dell'accrescimento, su base ideologica, dell'entità del bisogno a cui sovvenire, così come direttamente determinata dall'artificioso ampliamento della platea dei beneficiari degli interventi caritativi, appaiono evidenti taluni dei conseguenti riflessi immediati che, in vario grado e vario modo, si riverbereranno sul capo di tutti noi, spogliandoci addirittura del necessario; ciò, tanto in ordine al corrispettivo decremento di quanto potersi corrispondere ai nostri concittadini più indigenti (o, comunque, resi tali dal legale impedimento di poter attendere alle loro consuete attività lavorative), quanto in quello dell'ulteriore aggravio delle spogliazioni fiscali da apportarsi a quel che ancora residua dei patrimoni dei privati, onde potersi far fronte, almeno in qualche misura, all'ovvio incremento delle voci d'uscita dei bilanci pubblici.

Non potendoci certo sostituire a quella volontà politica che, a seconda di una logica assolutamente democratica, è venuta ad imperativamente costringerci a doverci acriticamente piegare, a fronte delle esigenze relative alla realizzazione di un disegno sociale dal taglio assolutamente ideologico (e per tutti noi alquanto dannoso), ci sia almeno concessa una riflessione di carattere obiettivamente logico e morale.

Contrariamente a quanto ci vorrebbero indurre a credere, la sottrazione del necessario al cittadino costituisce, anche a seconda della riflessione dell’Aquinate, un’azione illogica ed intrinsecamente immorale; ciò, indipendentemente da quel vacuo ed astratto pretesto circa il “doveroso” esercizio di uno “spirito umanitario” il quale, nella migliore delle ipotesi, altro non riesce a rappresentare, se non una concezione assolutamente utopica. Del resto, come ben sappiamo, l’ “utopia”, parodia della realtà, ha per padre lo stesso Satana, parodia di Dio, il quale, per indurci al male, spesso ci spinge, appunto, alla ricerca di un utopico “bene impossibile”, con ciò distogliendoci dall’operare il “bene possibile”.

Sulla linea dei medesimi termini etici testé delineati, quindi, riterremmo debba valutarsi anche lo spirito che vale ad effettivamente animare l’azione di tutti quegli Stati che, come il nostro, pur nella provata indigenza di molti fra i loro “cittadini-figli”, ovvero del proprio reale “prossimo”, decidono di disporre, nel solco di concezioni politiche demagogicamente utopiche (e, dunque, di radice surrettiziamente satanistica), la gratuita elargizione di “prestazioni sociali” e di vari sussidi, in favore di “stranieri”, ovvero di soggetti a loro del tutto estranei, con ciò privando molti fra i propri cittadini dell’essenziale di quanto si riveli necessario alla consumazione di una decorsa esistenza … (Michele Gaslini) 

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