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venerdì 11 marzo 2022

Perché Benedetto dovrebbe parlare

Nella nostra traduzione da The Lamp Magazine un interessante articolo di Matthew Walther. Qui l'indice degli articoli sulla questione dei 'due papi' a partire dall'abdicazione del 2013 e l'indice degli interventi di Joseph Ratzinger nella veste inedita e anomala di Papa-emerito. Qui l'indice sulla Traditionis custodes e sui Responsa.

Perché Benedetto dovrebbe parlare

Uno spettro infesta Roma, lo spettro del papa emerito. Qualunque siano i propri sentimenti per Joseph Ratzinger, bisogna ammettere che il suo caso è singolare. Quando nel febbraio 2013 annunciò le sue dimissioni dal «ministero per il governo della Chiesa», molti di noi presumevano che ciò che restava della sua vita sarebbe stato trascorso in silenziosa contemplazione come monsignor Ratzinger, un anonimo vescovo in pensione.
Questo non è successo. Invece la figura spettrale di Benedetto XVI continua a parlare (come espresso una volta dal cardinale Manning in un contesto diverso) con «la voce di un morto». Il papa emerito ha concesso interviste, alcune eccezionalmente lunghe; ha pubblicato libri [qui] e ha lasciato apporre il suo nome a dichiarazioni che affermano posizioni dottrinali e disciplinari tradizionali sulle questioni scottanti del momento (e di quelle dei primi anni '70) [vedi].
Più precisamente, ha continuato a vestirsi di bianco e ad insistere, oltre al suo titolo senza precedenti, sullo stile di "Sua Santità". Si incontra con i cardinali appena creati e sarebbe assurdo negare che la sua trattazione da libro-inchiesta sul celibato clericale fosse tutt'altro che un tentativo di assediare il clero progressista. Monsignor Gänswein accenna che l'ufficio petrino è in un certo senso indelebile, che in questo "stato di eccezione voluto dal cielo" una magia strana e inaspettata è stata attinta dal deposito della fede, biforcando il papato in "un ministero allargato, con un membro attivo e un membro contemplativo” [pontificato d’eccezione (Ausnahmepontifikat) -ndT - qui; vedi anche].

Molti fedeli saranno inclini a respingere le speculazioni di Gänswein come sciocchezze tortuose, spazzatura pseudo-mistica o (più caritatevolmente) come le parole devote di un collaboratore fidato che non può accettare che il grande compito del suo superiore sia giunto al termine. Ma una certa circospezione ed ambiguità pendono dalle stesse espressioni di Benedetto. Consideriamo i seguenti commenti dal suo Testamento spirituale1:
Certo un padre non smette di essere padre, ma viene sollevato da responsabilità concrete. Rimane padre in un senso profondo, interiore, in un rapporto particolare che ha responsabilità, ma non con i compiti quotidiani in quanto tali. . . . Se si dimette, rimane interiormente nella responsabilità che si è assunto, ma non nella funzione. . . si comprende che l'ufficio [ munus ] del papa non ha perso nulla della sua grandezza.
Questo è un buon monito del motivo per cui i precedenti ex papi viventi sono stati rinchiusi o esiliati su coste lontane. Che sia per saggezza o follia, l'abdicazione di Benedetto lo ha costretto a una posizione in cui senza dubbio preferirebbe non trovarsi: come arbitro supremo in una controversia sulla quale lui stesso deve sicuramente essere considerato l'autorità ultima, almeno in senso morale. Intendo ovviamente le sue stesse parole e le intenzioni più profonde del suo cuore nel 2007. Anche coloro che hanno una concezione del potere papale più esaltata della mia sarebbero sicuramente d'accordo sul fatto che si tratta del papa emerito vivente, e non di uno dei prefetti delle varie congregazioni romane, che è la guida più affidabile di ciò che egli stesso intendeva nel Summorum pontificum.

In realtà ci sono solo due possibili interpretazioni del Summorum pontificum. Una di queste è quella che chiamerò interpretazione “normativa” per il semplice motivo che fino a tempi molto recenti sembrava essere quella che aveva ottenuto la più ampia accettazione anche da parte di coloro che non l'avevano in simpatia. L'altra la chiamerò interpretazione del “romanzo”.

Per prenderle in ordine inverso, l'interpretazione del romanzo declina Summorum pontificum in termini strettamente giuridici. In questo senso, l'unica cosa stabilita da questo motu proprio era il permesso per l'uso diffuso dei libri liturgici più antichi, intrapreso nella speranza di conciliare la Fraternità San Pio X - revocabile in qualsiasi momento, per qualsiasi motivo - da Benedetto stesso o, dopo le sue dimissioni, da uno qualsiasi dei suoi successori. È sulla base di questa lettura, che sembra molto difficile fare i conti con varie frasi ( numquam abrogatam ) nel testo e con i suoi commenti successivi (“Le mie intenzioni non erano di natura tattica, riguardavano la sostanza della questione stessa”), che fu promulgata la Traditionis custodes.

L'interpretazione normativa sembrerebbe porre la questione della cosiddetta “forma straordinaria” al di fuori dell'ambito della mera normativa. Ciò che Benedetto sembrava sostenere nel 2007 era che il diritto di celebrare la Messa e gli altri sacramenti secondo i libri più antichi apparteneva intrinsecamente ai sacerdoti come parte del patrimonio della loro ordinazione. Si tratta di un'affermazione dottrinale più che disciplinare o giuridica, e che ha animato i fedeli per quasi un decennio e mezzo man mano che il numero delle parrocchie che offrivano la Messa tradizionale cresceva esponenzialmente insieme alle vocazioni alle varie organizzazioni approvate. La logica apparentemente inesorabile del Summorum pontificum ha continuato a svolgersi in una direzione con la celebrazione dei riti della Settimana Santa precedenti al 1955, la creazione di nuovi propri [qui] per la Messa tradizionale e la quasi-regolarizzazione della FSSPX.

Queste due posizioni non sono conciliabili. Una di esse deve essere vera e l'altra falsa. O tutti i discorsi su come "Ciò che le generazioni precedenti ritenevano sacro rimane sacro e grande anche per noi" era retorica ornamentale e Benedetto era davvero rivolto solo alla FSSPX (come affermano l'arcivescovo Roche e altri); oppure egli lo stava sostenendo per sempre. Per quanto ne so, è lui la persona più adatta a rispondere alla domanda e quindi a districarci dal dilemma attuale.

Questa domanda binaria, vista alla luce della successiva  normativa, non esaurisce le difficoltà sollevate dal Summorum pontificum (Questo per non parlare dell'interpretazione massimalista di tale legislazione in luoghi così remoti come Costa Rica e Hamilton, Ontario). Molti di noi si sono già chiesti come l'insistenza di Benedetto sul fatto che «non ci sia contraddizione tra le due edizioni del Messale Romano” si possa conciliare con ciò che i “liturgisti” professionisti ci ripetono, dopo una grata tregua di alcuni anni, sulla dimensione orizzontale allargata della Messa e sulla nuova teologia dell'assemblea e così via; gli appelli emessi dal vescovo di Chicago e da molti altri affinché i tradizionalisti siano catechizzati alla luce di questi sviluppi rafforzano solo la sensazione che o Benedetto fosse in torto nel 2007 o che vari prelati lo siano oggi.

Infine, c'è la questione del “mutuo arricchimento” delle due “forme” del rito romano, come le definì Benedetto. Io stesso posso pensare a due mezzi attraverso i quali tale arricchimento è avvenuto: la celebrazione della Messa con i libri del 1970 in una maniera che sarebbe stata almeno esteriormente riconoscibile ai cattolici di una generazione precedente — con l'antico Canone della Messa designato come “Preghiera eucaristica I” ad esclusione degli altri, l'Ordinario in latino, il canto gregoriano, la Comunione amministrata in ginocchio e sulla lingua, e così via, e l'offerta della Messa tradizionale negli ambienti parrocchiali ordinari.

La cosiddetta “riforma della riforma” era iniziata in molti luoghi molto prima del 2007, ma, con una manciata di eccezioni, con grande vigore in contesti in cui la Messa tradizionale sarebbe stata celebrata anche dopo il Summorum pontificum. Un caso più interessante presenta la celebrazione della Messa tradizionale in luoghi diversi dagli oratori o dalle cappelle ad essa riservate, da parte di sacerdoti che non sono membri delle varie organizzazioni approvate. Tali celebrazioni non solo animano la vita liturgica di quelle parrocchie e cattedrali, e portano quella che un tempo era stata una voce o un lontano ricordo davanti agli occhi dei comuni fedeli (l'ho visto portare le lacrime agli occhi di uomini e donne che credevano che fosse svanito dalla faccia della terra); attirano anche più strettamente coloro che sono legati all'Antico Rito nella vita ordinaria della Chiesa, ponendo un freno alla mentalità esclusivista e (oserei dire) a volte rigida che a volte tradisce le note teologiche di ciò che monsignor Ronald Knox chiamava "entusiasmo".

L'interpretazione più comune della Traditionis custodes sembra rendere non solo insostenibile ma assurda sia l'insistenza di Benedetto sulla non contraddizione, sia il suo appello all'arricchimento reciproco. Non può esserci tale arricchimento perché ci viene detto che esiste una sola espressione “unica” del Rito Romano (la questione dei libri liturgici dell'Ordinariato o del Rito Mozarabico in queste discussioni in qualche modo è sempre convenientemente tralasciata). Non è solo lecito ma salutare per i vescovi vietare la celebrazione della Messa ad orientem e altre pratiche (compreso l'uso della tonaca) [aspetti peraltro meramente esteriori - ndT] che sono fonte di indicibile corruzione. Tali contagi non devono essere introdotti nello spazio igienico occupato dal nuovo rito irreformabile.

Come ho già detto, la maggior parte di questo risulterà insostenibile agli osservatori più imparziali, per non dire altro. Ma nonostante ciò, si sospetta che non pochi lettori – compresi, anzi forse soprattutto, coloro che simpatizzano per la mia enumerazione di queste difficoltà – risponderanno che un intervento dello stesso Benedetto sarebbe disastroso. Incentiverebbe (sostengono) l'equivalente per la Chiesa di una crisi costituzionale; incoraggerebbe speculazioni ancora più stravaganti di quelle stemperate da Gänswein. Peggio ancora, potrebbe suscitare una risposta inaspettata. Quest'ultimo timore va affrontato a testa alta. Sarebbe naturalmente doloroso apprendere che ci eravamo sbagliati, che gli altari maggiori fossero stati restaurati e risuonassero i Gloria e le candele splendessero svettanti nel buio, mentre lui sedeva, silenzioso e incompreso, educatamente disdegnando la nostra giovinezza e eccentricità. Se ciò accadesse, penso che la stragrande maggioranza accetterebbe una dura verità e continuerebbe facendo del suo meglio secondo le proprie ispirazioni. Alcuni si rifugeranno quasi certamente nei Riti Orientali (almeno fino a quando qualche nuovo meccanismo giuridico non impedirà tali trasferimenti); altri ancora abbraccerebbero lo scisma ortodosso. Una minoranza forse tenderebbe al sedevacantismo. Ma per un numero imprecisato la base semplicemente cadrebbe e la fede andrebbe perduta.

Tutto ciò suona piuttosto cupo, quindi dovrei essere chiaro sulle mie opinioni. Trovo molto difficile credere che, se richiesto, Benedetto direbbe che un'intera generazione di sacerdoti e laici si è semplicemente sbagliata. (In effetti, nelle interviste ha già offerto una confutazione più o meno esplicita dell'argomento secondo cui si era occupato strettamente della FSSPX: "Questo è proprio assolutamente falso! Per me era importante che la Chiesa fosse una cosa sola con se stessa interiormente, con il suo stesso passato; che ciò che prima era sacro per lei non è in qualche modo sbagliato ora.”), Sospetto piuttosto che la sua risposta sarebbe quella dell'interlocutore femminile di Prufrock: “Non è affatto ciò che intendevo; / Non è affatto così.

Ecco perché, con le ulteriori restrizioni alla Messa tradizionale che si vocifera per il Mercoledì delle Ceneri, ribadisco la mia tesi centrale che Benedetto debba parlare delle sue intenzioni, e che debba farlo inequivocabilmente, senza tener conto delle conseguenze. Un simile chiarimento da parte sua potrebbe non essere sufficiente per impedire ai nemici della vecchia Messa di realizzare i loro piani. E non avrebbe certamente alcuna forza giuridica evidente, anche se esporrebbe il presupposto centrale dell'altra parte come una finzione assurda. Ma sarebbe anche un momento di sublime chiarezza, e l'ultimo disperato compimento di quella continua responsabilità paterna a cui ha alluso.

Così il papa emerito si troverebbe nella posizione di Odino nell'ipotetica visione di CS Lewis di un tempo pagano della fine: “Vi hanno fuorviato. Non posso fare niente del genere per voi. La mia lunga lotta con le forze cieche è quasi finita. Muoio, ragazzi. La storia sta finendo".

Matthew Walther è editore di The Lamp. 
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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Nota di Chiesa e post-concilio
1. Benedetto XVI non corregge l’asserzione di Seewald (Ultime conversazioni di Benedetto XVI dopo le sue dimissioni) ma, facendo una distinzione tra la “funzione” e la “missione” del Papa, aggiunge una precisazione importante. Secondo Benedetto XVI
1. la “funzione” papale significa governare in atto la Chiesa universale ossia consiste nel potere di giurisdizione del Papa, svolgendo l’incarico, l’ufficio o il compito di Papa, tenendo “sotto controllo l’intera situazione” della Chiesa universale (p. 35); tale funzione può essere abbandonata tramite le dimissioni, se il Papa non ha più la capacità di fare tutto ciò. Invece 
2. la “missione”, ossia la vocazione e l’elezione del Papa, è simile al fatto di essere padre fisico, il quale è sempre padre e anche se, psicologicamente e moralmente, non riesce più a fare il padre egli resta ed è padre fisico per sempre, pur abbandonando le “responsabilità concrete”, ossia la “funzione” di padre morale (p. 38).

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