La missione di Cristoforo Colombo
nell'Enciclica Quarto abeunte seculo di Leone XIIII
L’epoca di Leonardo e Machiavelli
Leone XIII vede nella vicenda di Colombo un fatto provvidenziale, che va a compensare il disastro della Riforma protestante: «l’opera di quest’uomo, gloria della Liguria, sembra fosse particolarmente ordinata da Dio a ristoro dei danni che la cattolicità avrebbe poco dopo patito in Europa». Il Papa intende qui, «per quanto è lecito a mente umana», ricavare e «congetturare dagli eventi le vie della divina Provvidenza» che, da un lato, permette alla Cristianità di spaccarsi e frantumarsi e, dall’altro, crea le situazioni per cui la fede non abbia a spegnersi a causa della presunzione umana.
Tutto in Colombo, osserva Leone XIII, è omogeneo alla Provvidenza, nonostante i difetti della persona. Egli fa seguire ogni sua operazione con un atto legato alla fede. Dà spesso i nomi alle isole, ad esempio, legati alla sensibilità cristiana: San Salvador, Santa Maria, Dominica, Santa Cruz, San Juan, Trinidad, Santo Domingo. E inoltre prega di frequente, prende possesso delle nuove terre nel nome di Dio, fonda chiese, è assiduo nelle cerimonie religiose. In sintesi – questo è il cuore dell’enciclica – l’Ammiraglio fu del tutto sottomesso agli «alti decreti di quella mente eterna alla quale ubbidì». È, infatti, l’obbedienza e non l’assenza di difetti o di peccati, che rende autentico il cristiano.
Colombo non fu per nulla sganciato dai costumi e dalle suggestioni della sua epoca. Ridusse in schiavitù molti indiani, impartì ordini con estrema durezza e applicò pene severe nei confronti dei sottoposti. Per quanto molte delle accuse che mossero contro di lui fossero esagerate e costruite da alcuni dei suoi nemici (e per questo dubbie), è da scartare l’ipotesi di un Colombo ieratico e bonario. Fu invece un uomo risoluto, poco dotato della prudenza e della psicologia necessarie per il comando degli equipaggi e delle popolazioni. Come risoluto fu il pontefice Alessandro VI Borgia, che emanò ben cinque bolle per assegnare e suddividere le nuove terre tra Spagna e Portogallo. Alessandro VI è quello stesso Papa sotto cui il Savonarola fu condannato al rogo. L’uomo tra il XV e il XVI secolo, insomma, era un realista, un contemporaneo di Nicolò Machiavelli (1469-1527). Non che mancassero i sognatori e i visionari – come Leonardo da Vinci (1452-1519), per alcuni aspetti – ma il sogno e la visione dovevano essere ricondotti alla realtà sostanziale delle cose. Per questo, e solo per questo, da un periodo di crisi morale e religiosa, poté emergere il Rinascimento, nella tecnica e nelle arti.
Un medievale moderno
La fede di Colombo si può riassumere in questo suo giudizio: «Questo è ciò che poté operare l’eterno Iddio, nostro Signore, il quale dà a quanti camminano per la sua via, vittoria nelle cose che paiono impossibili». Ed era veramente impossibile sapere nel 1492 se, abbandonate a poppa le Colonne d’Ercole, l’esito della spedizione si sarebbe concluso con un successo o con la morte, dispersi nell’oceano. L’Almirante aveva fatto una specie di voto: qualsiasi guadagno fosse venuto dall’impresa si sarebbe dovuto spendere «nella riconquista di Gerusalemme».
La cosa piacque ai re cattolici. La liberazione del Santo Sepolcro e la conquista della Casa Santa era un pensiero ricorrente nel navigatore, poiché egli era portato a vivere la propria fede in maniera militante. O meglio, militante e mistica: alla Santissima Trinità egli attribuisce «l’idea prima – “ci ha messo in mente” – e poi la precisa concezione – “perfetta comprensione” – della possibilità di andare dalla Spagna alle Indie “passando il Mare Oceano a Ponente”».
Mentre, poi, molti fatti della sua vita rimangono oscuri o non provati a sufficienza dalla storiografia, la qualità di cristiano militante – al contrario – è «il solo tratto della sua personalità che non ammette discussioni, che ci appaia chiaramente». Paolo Emilio Taviani è dell’opinione che Colombo sia «non santo, ma defensor fidei». Tutto questo fa pensare ad un uomo figlio del Medioevo, in misura maggiore, piuttosto che a un moderno rinascimentale. Egli crede in molte cose, non solo in Gesù Cristo: crede nell’esistenza delle sirene, del Paradiso terrestre, delle suggestioni di Plinio, dei cinocefali, dei monoculi e dei popoli mostruosi di Erodoto. Pur essendo uomo d’esperienza, ritiene – secondo la prassi scolastica e aristotelica – di trovare il vero nell’autorità. Scrive il filosofo Tzvetan Todorov nel merito: «Colombo non ha nulla in comune con un moderno empirista: l’argomento decisivo è un argomento d’autorità non di esperienza». Egli, cioè, «sa in anticipo ciò che troverà; l’esperienza concreta non viene interrogata […] per la ricerca della verità, ma serve ad illustrare una verità che si possiede già prima». Persino la scoperta dell’America cade sotto questa logica: «egli non la scopre, la trova dove “sapeva” che avrebbe dovuto essere (cioè là dove pensava che si trovasse la costa orientale dell’Asia)».
Questo spiega molto. Nonostante l’evidenza, egli declina certe espressioni indigene alla sua convinzione di essere vicino al Catai. A lui non interessa comprendere il significato di una certa parola udita, ma usa quella stessa parola per difendere il suo convincimento. Al pari di un medievale, Colombo è poco interessato all’ambito degli humaniora (care agli umanisti), ma è molto attratto dalla natura, nei suoi generi e nelle sue specie – come fosse lo speziale di un’antica farmacia alchemica. Per questa sua attenzione ai fenomeni fisici e meteorologici, egli sa usare con grande maestria la forza dei venti per le vele. Ha molta meno attenzione verso l’antropologia e la psiche umana che, difatti, conosce male ed è fonte di continue mortificazioni e fraintendimenti. È dunque sorprendente questo suo paradosso, ovvero essere uno degli iniziatori della modernità, pur appartenendo all’antichità, per formazione e temperamento”.
Silvio Brachetta - Fonte
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