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martedì 10 gennaio 2023

Da Rorate - Prima traduzione di pagine su 'Traditionis Custodes' dal nuovo libro di Gänswein

Nella nostra traduzione da Rorate Caeli, la prima pubblicazione delle pagine dell'arcivescovo Georg Gänswein sulla reazione di BXVI a Traditionis Custodes cui accennavamo qui.
Apprendiamo, in primo luogo, che il papa emerito ha avuto la prima notizia del documento, come ogni altro, il 16 luglio 2021, leggendola su L'Osservatore Romano. Seguono le sue considerazioni. Noto che in esse l'accento è posto sulla pacificazione e sui fedeli, pur non trascurando la centralità dell'Eucaristia per ogni rinnovamento; ma nessun accenno allo ius divinum di una liturgia impeccabile, quale l'antica... Ovvio che il testo si discosterà in alcuni termini, ma non nella sostanza, dall'originale italiano da cui è tratto e di cui non ci è dato disporre, se non per alcuni brevi brani già evidenziati (vedi link supra).
Intanto Bergoglio ieri ha ricevuto in udienza monsignor Georg Gänswein. Un incontro non straordinario essendo il segretario particolare di Ratzinger prefetto della Casa Pontificia. Ma dietro a cui alcuni osservatori hanno voluto leggere significati speciali proprio alla luce di alcune interviste e nelle anticipazioni del libro di cui stiamo parlando. Vedremo gli sviluppi... A questo indice potete trovare ogni possibile approfondimento.

Prima traduzione di pagine su 'Traditionis Custodes'
dal nuovo libro di Gänswein

Come ormai universalmente noto, l'arcivescovo Georg Gänswein ha scritto un libro dal titolo "Nient'altro che la verità: La mia vita al fianco di Benedetto XVI" (Piemme, 2023). Finora non è stata annunciata alcuna traduzione in inglese. Rorate ha avuto accesso a questo libro ed è lieta di presentare per la prima volta in inglese la sezione successiva, "Pacificazione interrotta" (pp. 288-291). 

Il 16 luglio 2021 Benedetto XVI ha scoperto, sfogliando L'Osservatore Romano nell'edizione pomeridiana, che papa Francesco aveva emesso il motu proprio Traditionis custodes sull'uso della liturgia romana prima della riforma del 1970. La materia era identica a quella del motu proprio Summorum Pontificum, da lui promulgato il 7 luglio 2007, e identica era anche la modalità di comunicazione, attraverso una lettera di accompagnamento per illustrare i contenuti del nuovo testo. Pertanto, il Papa emerito ha letto attentamente il documento, per comprenderne la motivazione e i dettagli delle modifiche.

Quando gli ho chiesto il suo parere, ha ribadito che il Pontefice regnante ha la responsabilità di decisioni come questa e deve agire secondo quello che considera il bene della Chiesa. Ma sul piano personale ha riscontrato un deciso cambio di rotta e lo ha ritenuto un errore, in quanto pregiudicava il tentativo di pacificazione compiuto quattordici anni prima. In particolare Benedetto ha ritenuto un errore vietare la celebrazione della Messa in rito antico nelle chiese parrocchiali, poiché è sempre pericoloso mettere all'angolo un gruppo di fedeli per farli sentire perseguitati e infondere in loro il senso di dover salvaguardare la loro identità a tutti i costi di fronte al "nemico".

Dopo un paio di mesi, leggendo quanto aveva detto papa Francesco il 12 settembre 2021 durante un colloquio con i gesuiti slovacchi a Bratislava, il papa emerito ha corrugato la fronte a una dichiarazione del papa: «Ora spero che con la decisione di eliminare l'automatismo del rito antico possiamo tornare alle vere intenzioni di Benedetto XVI e di Giovanni Paolo II. La mia decisione è frutto di una consultazione con tutti i vescovi del mondo fatta lo scorso anno”.

E ancor minore apprezzamento ha avuto per l'aneddoto raccontato poco dopo dal Pontefice: «Un cardinale mi ha raccontato che due neo sacerdoti sono venuti da lui chiedendogli di studiare il latino per poter celebrare bene. Lui, che ha il senso dell'umorismo, rispose: "Ma ci sono tanti ispanici nella diocesi! Studia lo spagnolo per poter predicare. Poi, quando avrai studiato lo spagnolo, torna da me e ti dirò quanti vietnamiti ci sono nella diocesi, e ti chiederò di studiare il vietnamita. Poi, quando avrai imparato il vietnamita, ti darò il permesso di studiare anche il latino." Così li ha 'bloccati', riportandoli con i piedi per terra".

Da esperto del Vaticano II, Benedetto ha ricordato bene come il Concilio avesse invece insistito perché «nei riti latini si conservasse l'uso della lingua latina, salvo diritti particolari» (Sacrosanctum Concilium 36) e che tutti i seminaristi dovessero acquisire « quella conoscenza della lingua latina, necessaria per comprendere e utilizzare le fonti di tante scienze e i documenti della Chiesa» ( Optatam totius 13). Non a caso, nel motu proprio Latina lingua, Benedetto XVI aveva notato: "in tale lingua sono redatti, nella loro forma tipica, proprio per evidenziare l’indole universale della Chiesa, i libri liturgici del Rito romano, i più importanti Documenti del Magistero pontificio e gli Atti ufficiali più solenni dei Romani Pontefici."

Come è evidente nei suoi scritti, in particolare La festa della fede (1984) e Lo spirito della liturgia (2000), il teologo Ratzinger nei primi tempi fu favorevole alla riforma liturgica: questo argomento fu sempre tra i suoi preferiti, poiché lo riteneva fondamentale per la fede cattolica, e non a caso volle che la prima pubblicazione della sua Opera omnia fosse quella dedicata alla liturgia, anche se nel progetto era l'undicesimo volume.

Tuttavia, vedendo i successivi sviluppi di quella riforma, si rese conto delle differenze tra quanto voleva il Vaticano II e quanto invece operava il Consilium ad exsequendam Constitutionem de Sacra Liturgia (Comitato per l'attuazione della Costituzione sulla Sacra Liturgia), con la liturgia che diventa poi campo di battaglia per opposti schieramenti, in particolare facendo della celebrazione in latino il baluardo da difendere o il bastione da abbattere.

Benedetto si è particolarmente impegnato affinché la liturgia fosse celebrata nella sua bellezza, poiché è la celebrazione della presenza e dell'opera del Dio vivente, vedendo l'Eucaristia come il gesto di culto più basilare e più grande della Chiesa. Ai suoi occhi, ogni riforma della Chiesa doveva derivare dalla liturgia, poiché essa sola può incarnare un rinnovamento della fede che parta dal centro. E da teologo ha affermato: "Come ho compreso il Nuovo Testamento come l'anima della teologia, così ho compreso la liturgia come la sua ragion d'essere, senza la quale la teologia si estingue".

Forte di questa consapevolezza, con il Summorum Pontificum ha voluto rendere più agevole per un sacerdote celebrare con il rito antico, superando la necessità di riferirsi al Vescovo diocesano e affidando la competenza alla Commissione "Ecclesia Dei". Gli è sempre rimasto chiaro, però, che il rito era uno solo, sia pure con la compresenza dell'ordinario e dello straordinario. La sua unica motivazione era il desiderio di riparare la grande ferita che si era via via creata, volontariamente o meno.

Non è stata un'operazione svolta clandestinamente, come alcuni in malafede hanno sostenuto. È stata infatti la Congregazione per la Dottrina della Fede a occuparsi per prima del testo del motu proprio [Summorum Pontificum], con il coinvolgimento dei membri della feria quarta e dell'Assemblea plenaria. Benedetto seguiva costantemente l'andamento del testo attraverso gli aggiornamenti fornitigli dal cardinale prefetto Levada in occasione delle udienze e, dopo la pubblicazione, chiedeva regolarmente ai vescovi durante le visite ad limina come procedesse l'applicazione di quella normativa nelle loro diocesi, ottenendone sempre una percezione positiva.

Ecco perché a papa Ratzinger sembrava incongruo quel riferimento [di Francesco] alle sue “vere intenzioni”, poiché, come si legge in Luce del mondo, aveva voluto “rendere più facilmente accessibile la forma antica soprattutto per preservare il legame profondo e ininterrotto che c'è nella storia della Chiesa. Ciò che era considerato la cosa più sacra non può essere considerato del tutto sbagliato. Si trattava della riconciliazione con il proprio passato, della continuità interna della fede e della preghiera nella Chiesa”.

A Benedetto è rimasto misterioso anche il motivo per cui non sono stati resi noti i risultati della consultazione dei vescovi [quiqui; rilievi qui - qui - qui] fatta dalla Congregazione per la dottrina della fede, che avrebbe consentito una comprensione più precisa di ogni implicazione della decisione di papa Francesco. Parimenti, è risultato sorprendente, per tutto il lavoro analitico e approfondito svolto in precedenza, che si sia operato un trasferimento e uno sdoppiamento di competenze sulla materia dalla Dottrina della Fede [quiqui], contemporaneamente, al Dicastero per il Culto Divino e al Disciplina dei Sacramenti e a quella per gli Istituti di Vita Consacrata e Società di Vita Apostolica.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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