Chiesa sinodale
di Don Francesco Cupello
C’è un po’ di apprensione in giro per la celebrazione del Sinodo dei Vescovi. Sono andato allora a leggermi l’ Instrumentum Laboris [IL], per rendermi personalmente conto se davvero tale apprensione abbia ragion d’essere. E devo dire che in effetti tale preoccupata attesa dell’evento ecclesiale ha qualche fundamentum in re.
Innanzitutto va detto che se è un Sinodo sulla sinodalità, non sarebbe lecito parlare già da ora di Chiesa sinodale, perché tale connotazione della Chiesa contiene già la risposta alla domanda sulla sua natura. Faccio solo un esempio per far capire meglio il concetto: nella Chiesa ortodossa il Santo Sinodo occupa un posto centrale, ma soltanto per la sua funzione deliberativa in campo dottrinale, liturgico e morale. Non per questo però la Chiesa ortodossa è una Chiesa sinodale, perché l’autocefalia delle singole Chiese ortodosse si contrappone alla sinodalità, ove la prima è l’indipendenza di una Chiesa dall’altra, e la seconda è il camminare di pari passo e tempo di tutte le Chiese. Perciò la centralità del Sinodo nella Chiesa ortodossa non fa di essa una Chiesa sinodale, come dimostrato dall’ultimo Concilio panortodosso, cui non hanno partecipato alcune Chiese, come per es. quella russa.
Se pertanto per Chiesa sinodale si intende la Chiesa che riconosce solo al Sinodo l’autorità di decidere in materia di dottrina, culto e morale, l’autorità del Papa sarebbe ridotta a quella di un Presidente della Repubblica come quello italiano o a quella di un Sovrano come il Re d’Inghilterra. E con ciò la vecchia questione del conciliarismo sarebbe bell’e aperta e il Papa rischierebbe di diventare soltanto una figura rappresentativa, togliendo a lui le chiavi affidategli da Cristo. Tanto per fare un esempio, al Papa non verrebbe riconosciuta l’autorità di opporsi alle decisioni di un Sinodo, che si pronunciasse a favore del sacerdozio femminile o al matrimonio tra due persone dello stesso sesso. In sintesi: togliamo potere al Papa e i giochi sono fatti.
Nessuno ricorda quando Paolo VI disse chiaro e tondo a Ginevra davanti al Consiglio Ecumenico delle Chiese: Io sono Pietro? E a un Pietro con le chiavi affidategli da Cristo la Chiesa non può assolutamente rinunciare.
Il sospetto perciò che con CHIESA SINODALE si intenda CHIESA LA CUI AUTORITA’ RISIEDE ESCLUSIVAMENTE NEL SINODO, è più che fondato. E se questo è il disegno, occorre tenere ben aperti occhi e orecchie.
Quando per es. al n. 2 dell’IL si parla di “esperienza di Chiesa di ciascun Continente”, non si sottintende che ogni Continente ha la sua Chiesa, che tale è a pieno titolo, e quindi ampiamente indipendente dalla Chiesa di Roma?
E quando al n.4 si parla di “Chiesa che ha causato sofferenze per gli abusi sessuali, di potere, di coscienza, economici e istituzionali”, non si fa di essa una istituzione puramente umana?
E quando al n.6 si parla della “Chiesa come custode della varietà delle espressioni liturgiche e delle tradizioni teologiche”, non si intende subdolamente togliere ad essa ogni autorità di intervenire in tali ambiti?
Occorre infatti precisare: se per varietà delle espressioni liturgiche si intendono i secolari diversi Riti della Chiesa, nulla da obiettare, ma se si intendono i diversi “gusti” nella previa libertà di farsi ognuno la propria liturgia, allora siamo del tutto fuori strada.
Qui si parla anche di “uniformità che schiaccia”: se un Rito con regole uguali per tutti e ovunque è uniformità che schiaccia, la confusione e il relativismo in campo liturgico sono più che garantiti.
Sempre al n. 6 si parla di “interrogativi condivisi” e di “tensioni condivise”.
Ora gli interrogativi sono sempre leciti, anzi sono positivi, perché sono uno stimolo a risolvere i problemi e a cercare la verità. Le tensioni hanno invece una connotazione negativa, perché sono un tirare la corda ognuno dalla propria parte, il che può far arrivare a una rottura; come si può dunque dire che esse possono diventare “fonti di energia”? Le tensioni semmai causano spreco di energie.
Al n. 7 si parla di “una Chiesa in cui regna perfetta comunione tra tutte le differenze che la compongono”; tutte? Quindi anche le differenze dottrinali! E per quelle differenze si cita il passo di Ap 7,9-10; ma qui si parla di diverse nazioni, tribù, popoli e lingue, non di differenze; si equivoca tra i termini differenza e distinzione.
Per intenderci faccio l’esempio della Ss. Trinità, nella quale le Persone divine sono uguali, non sono cioè differenti, ma sono distinte, come magistralmente recita lo stupendo Prefazio della Solennità della Ss. Trinità. La differenza implica il concetto di non uguaglianza, mentre la distinzione non esclude l’uguaglianza, per cui, per es., un uomo nero africano è uguale nella natura a un uomo bianco e biondo svedese, ma i due sono distinti per le diverse caratteristiche somatiche.
Definire perciò differenze le distinzioni all’interno della apocalittica moltitudine immensa composta da tutti i popoli, tribù, nazioni e lingue, non è corretto e comporta il rischio che a quella immensa moltitudine, che è la Chiesa trionfante, si ritenga possano appartenere tutte le Chiese della terra, con le loro distinzioni, che vengono dette differenze, che addirittura sono mantenute, come a dire che in Cielo le differenze tra le varie Chiese vengono ratificate, e se lo sono in Cielo, tanto più lo sono sulla terra.
Il sospetto che dietro a tutto questo ci sia l’intenzione di omologare tutte le Chiese cristiane, quindi anche le eretiche, per far passare l’idea che la Chiesa cattolica non è l’unica vera Chiesa di Cristo, non sembrerebbe del tutto infondato.
D’altra parte la condanna dura contro il “proselitismo” di Papa Francesco, che lo ha definito una grossa sciocchezza, e i suoi rimproveri a coloro che si impegnano nella conversione dei cristiani non cattolici alla vera Chiesa di Cristo, arrivando a riprendere duramente una signora cattolica, che gli presentava due persone da lei convertite dal protestantesimo al cattolicesimo, la dice lunga su tutto ciò.
Al Sinodo sulla sinodalità si vuole forse insinuare l’idea che è solo la sinodalità, intesa come cammino fatto insieme con Cristo e verso Cristo, ciò che fa di ogni Chiesa una vera Chiesa, talché una Chiesa evangelica o una Chiesa anglicana non è meno Chiesa della Chiesa cattolica? Se le differenze tra una Chiesa e l’altra, che talora consistono in vere e proprie eresie, vengono mantenute, come si dice in questo n. 7, anche nell’aldilà, vuol dire che tali eresie non sono più tali.
Al n. 15, ultime 3 righe, si dice che una Chiesa sinodale sa accettare i necessari cambiamenti di regole, strutture e procedure. Nessuno sente odore di conciliarismo? Questo può essere denominato ora sinodalismo, idea ecclesiologica che teorizza la superiorità del Concilio, o del Sinodo, sull’autorità del Pontefice romano, come ho più sopra già accennato.
Il sospetto che i tanti gesti e parole di Papa Francesco volti a desacralizzare quanto più possibile la persona del Papa, siano propedeutici alla relativizzazione della autorità papale su tutta la Chiesa, se non al suo svuotamento, per ridurre il Pontefice a un mero simbolo o rappresentante dell’Autorità della Chiesa che risiede soltanto nel Santo Sinodo, come avviene nella Chiesa ortodossa, non sembra del tutto infondato.
Qui si parla anche di Chiesa che deve essere capace di accettare i necessari cambiamenti di regole, strutture e procedure. Ma chi stabilisce quali sono i cambiamenti da fare e chi e come stabilisce che sono necessari? Cambiare poi le strutture? E quali? E chi ha il potere di deciderlo e imporlo a tutti?
Altrettanto si dica delle procedure.
Quando poi al n. 16 si dice che «il compito dell’Assemblea sinodale sarà aprire la Chiesa tutta all’accoglienza della voce dello Spirito Santo», viene spontaneo da osservare che sembrerebbe che sia da 20 secoli che la Chiesa è aperta a quella voce, altrimenti non sarebbe sopravvissuta, nonché domandarsi se certe voci all’interno del Sinodo non pretendano di identificarsi con la voce dello Spirito.
Quando al n. 25 si dice che «la Chiesa valorizza la varietà senza costringerla all’uniformità», innanzitutto si dice una cosa ovvia, perché “vario” si contrappone a “uniforme” e quindi non ha senso costringere ciò che è vario a uniformarsi; in secondo luogo se si enuncia genericamente che la Chiesa valorizza le varietà, si sottintende per ciò stesso che essa valorizza anche le devianze, perché anche queste sono varietà. Ciò è confermato laddove si dice che nella Chiesa l’annuncio della salvezza «avviene in una grande diversità di contesti» e che «a nessuno viene richiesto di lasciare il proprio», anzi è richiesto di «incarnarvisi con maggiore profondità»: questa è una vecchia idea, anzi una fissa di Bergoglio; egli non fa distinzione tra l’essere in buona fede e l’essere nella vera fede. Uno può essere protestante in buona fede, ma non si può dire che sia nella vera fede. Per Bergoglio sembra che esista solo la buona fede, quindi ognuno si tenga la sua, anzi vi si rafforzi, dice lui. In questo modo il relativismo religioso è garantito: tutte le religioni sono uguali e altrettanto lo sono le Confessioni intercristiane. Questo relativismo spiana la strada alla Massoneria, secondo la quale le Religioni dividono, perché ognuna rivendica di adorare il vero Dio, arrivando a farsi guerra tra loro e considerarla santa, mentre è solo la fede in Dio che unisce, ma un Dio senza nome, un Architetto dell’Universo, che non ha bisogno di un Mediatore tra Lui e gli uomini, del quale nulla sappiamo e nulla possiamo dire, se no che Lui è l’Architetto dell’Universo e gli uomini sono i suoi muratori [maçons in francese, da cui massoni] nel costruirlo e come tali sono tutti fratelli, cioè frammassoni.
E questa è la vera sinodalità, cioè il camminare tutti insieme verso la fratellanza universale. D’altra parte Papa Francesco nella sua prima intervista con il giornalista ateo [o massone?] Eugenio Scalfari, disse che il Figlio di Dio si è incarnato per instaurare la fratellanza tra tutti gli uomini [vedi], non tenendo conto che nella nostra Professione di fede, il Credo niceno-costantinopolitano, noi professiamo che il Figlio di Dio si è incarnato propter nostram salutem. Per la Massoneria l’uomo non ha bisogno di essere salvato da niente e da nessuno, perché egli è collaboratore con il sommo Architetto nella costruzione dell’Universo e deve agire e finalizzare la propria vita A.G.D.G.A.D.U. [= ALLA GLORIA DEL GRANDE ARCHITETTO DELL’UNIVERSO].
Anche se certamente non è questo che si vuol dire nell’IL, quando però si vogliono mettere tutte le Religioni sullo stesso piano, certe affermazioni sono musica per le orecchie massoniche e canti allettanti di sirene dai quali molti sono irresistibilmente attratti. Un mio confratello sacerdote molto simpatizzante per la Massoneria, ripeteva continuamente, anche a me personalmente, che le religioni dividono [sottinteso quindi che vanno eliminate]. È morto poi 15 anni fa in concetto di piena adesione massonica, avendo persino ricevuto, con l’apposito rituale, il caratteristico grembiulino e quant’altro riservato ai massoni di alto rango, anche se va detto che c’è l’attenuante del dubbio se egli fosse totalmente compos sui, come fu riferito dai nostri Superiori ai competenti Organi della S. Sede, che chiedevano loro delucidazioni sul fatto.
Affermare genericamente che «la Chiesa è un corpo che valorizza le diversità (n. 25), senza fare le dovute distinzioni e riserve, comporta il rischio dell’omologazione delle dottrine e delle idee anche in contraddizione con i fondamentali dogmi della Chiesa.
Dicendo che l’annuncio a tutte le genti della salvezza offerta da Dio in Cristo, avviene in una grande diversità di contesti e che a nessuno è chiesto di lasciare il proprio, anzi è richiesto di «comprenderlo e di incarnarvisi con maggiore profondità» (n.25), si contraddice il Vangelo, si annulla il Primato di Pietro, si rende impossibile una vera definizione della vera Chiesa, se non si nega addirittura che essa possa esistere.
Ciò è ben dimostrato dalla sorprendente affermazione al n. 26, dove si dice che «la radicalità del Cristianesimo non è appannaggio di alcune vocazioni specifiche [perché poi “vocazioni”? (n.d.s.)], ma è la chiamata a costruire un modo diverso di intendere la relazione tra le figlie e i figli di Dio…»: qui, a parte l’insistenza sul modo diverso di vivere e testimoniare, manca il secondo termine della relazione, che sarebbe tra i figli di Dio e … (chi?).
Le mie sono solo riflessioni che faccio en passant, leggendo l’IL. Bisogna tenere bene aperti occhi e orecchie, come ho già detto, perché il pericolo del più totale relativismo dottrinale e della più totale confusione, è molto concreto. Fonte
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