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giovedì 4 agosto 2022

L’americanismo come religione civile e la cultura Woke

Qui l'indice dei precedenti sulla realtà distopica.
Fabio Trevisan ha scritto una recensione molto intelligente del libro di Federico Rampini, Suicidio
occidentale
[qui] molto concentrato sulla origine americana della Cultura della cancellazione (Cancel culture) da vedersi appunto come suicidio occidentale. Nell’ultimo numero del “Bollettino di Dottrina sociale della Chiesa” il prof. John Rao, di New York, ha pubblicato un ampio saggio sul tema da cui traiamo l’estratto che pubblichiamo qui sotto. Invitiamo all’acquisto del fascicolo dal titolo “L’evangelizzazione delle Americhe, contro la Cancel culture” [qui]

La religione civile americanista
Che cosa esattamente proclamava l’americanismo? Ancora una volta, proclamava la tesi lockeana, nominalista, materialista, individualista stabilita in Inghilterra e in America come la sola protezione giusta ed efficace della tradizione occidentale; e anche come la sola veramente cristiana. Ma insisteva sulla necessità di accettare questa tesi non come tesi ma solo come ipotesi, avendo pragmaticamente dimostrato che proteggeva l’ordine sociale e la libertà religiosa e civile. Chiamarla apertamente una religione civile avrebbe allontanato i protestanti ancora credenti, che invece potevano accettarla come ipotesi pragmatica benedetta da Dio perché riuscita. Gli americanisti cercavano di convincere i nuovi arrivati che l’americanismo garantiva anche a loro una vita pacifica e la speranza di difendere le loro religioni e culture diverse in una maniera libera mai conosciuta prima.

Dall’inizio della scuola fino alla fine della vita, i fautori dell’americanismo insegnavano la bellezza della vita sotto l’egida della loro religione civile presentata come prammatica ma in realtà dogmatica e liturgica. La Dichiarazione di indipendenza e la Costituzione sono state presentate come Sacre Scritture. I Padri fondatori venivano dipinti come agenti di Dio, Washington come Cristo risorto nella cupola del Campidoglio, circondati da altri simboli e personaggi sacri; Jefferson e Lincoln posti su troni accompagnati da fiaccole eterne nei templi nella capitale. Gli americani andavano a vederli e facevano azioni pie davanti alle loro icone. E forse ancora di più davanti alla Statua della Dea spedita dalla Francia massonica per stare a guardia della Libertà americana nella baia di New York.

Più la religione civile americanista, pluralista e pragmatica guadagnava d’influenza, più la sua tesi nascosta otteneva tre cambiamenti nel comportamento delle religioni e culture pretese “libere”: la restrizione della loro attività dentro il “club-house” particolare; la dedizione della loro “libertà individuale” pubblica a scopi materialistici che non minacciassero il potere della oligarchia esistente; l’adulazione del sistema americano come il riparo più efficace della propria religione o cultura. Se qualsiasi gruppo o membro si fosse opposto allo sviluppo dell’individualismo e del materialismo lockeano sarebbe subito stato escluso in quanto non “integrato”. Verrebbe considerato “divisivo” e perciò un traditore.

Ogni confessione religiosa, ogni cultura, ogni individuo in America deve accettare l’ipotesi americanista perché questa è “la volontà dei Padri fondatori” espressa nelle Sacre Scritture dietro le quali stava la benedizione del Dio Eterno Vivente causa del successo del sistema. Se qualcuno rifiutasse di accettarla dicendo per non sottoporsi alla nuova fede basata sul nominalismo protestante naturalista, la risposta sarebbe che non si tratta di una questione di fede ma di una scelta puramente pragmatica efficacissima. Se tornasse ad obiettare che non ritiene che questa scelta pragmatica sia veramente di aiuto alla libertà individuale e al vero bene comune, essendo puramente materialista e funzionale ad una oligarchia, i sommi sacerdoti dell’americanismo accuserebbero questo cinico individuo di ateismo civile e tradimento, non solo del sistema redentore del 1776, “ultima e migliore speranza dell’umanità”, ma anche della sua religione e cultura propria. Altro che formula di esclusione solo contro gli argomenti religiosi e metafisici! Qui anche argomenti sociologici e storici vengono accusati di blasfemia contro l’ipotesi-tesi-religione civile, contro la “volontà dei Padri fondatori.

Questa oligarchia è diventata sempre più globale dal 1914 in poi, ancor più dopo la vittoria degli Stati Uniti nella Seconda guerra mondiale nel 1945, sotto il nome di “pluralismo”, sempre più armata di mezzi tecnici e mediatici per imporre la sua volontà baconiana e prometeica, ora è la forza storica che spinge a favore del “trans-e-postumanismo” ammantando tutto ciò con una retorica moralista, scientista e umanitaria. Sempre più “corporativa” – una miscela delle burocrazie capitalistiche e collettiviste, da Google al Partito Comunista Cinese – questa ormai è apertamente anti-cristiana e anti-naturale.

Usando il “World Economic Forum” e molte altre organizzazioni internazionali pubbliche o private, visibili o segrete, è questa oligarchia pluralista che ha strumentalizzato la “pandemia” e che promuove la cultura “woke” negli Stati Uniti e in tutto l’Occidente.

Questa oligarchia, ormai globale ma con salde radici nella vicenda statunitense e con una profonda matrice ideologica nell’americanismo, sta costruendo quello che Louis Veuillot (1813-1883), redattore del quotidiano l’Univers, aveva già previsto nel 1859, assieme ai suoi colleghi de La Civiltà Cattolica allora molto critica dell’americanismo: un “Impero del Mondo” fedele alla libertà illuminista, sempre più composto da una umanità libertine e incapace di immaginare una cultura elevata. Un Impero del Mondo dove è impossibile che un uomo veramente libero (della libertà classica) e con forti radici culturali-religiose possa trovare riparo.

Ma perché vorrebbe cambiare luoghi e climi? Non ci sarebbero più luoghi o climi diversi, o curiosità da nessuna parte. L’uomo troverà dappertutto la stessa temperatura moderata, le stesse abitudini, le stesse regole amministrative, e, infallibilmente, la stessa polizia prendendo la stessa cura di lui. Dappertutto lo stesso linguaggio verrà parlato, le stesse bayadères balleranno lo stesso balletto. La vecchia diversità sarà una memoria della vecchia libertà. Tutto verrà fatto ad immagine della città principale dell’Impero e del mondo.

La resistenza americana all’americanismo
Certo, c’è stata in America una resistenza a tutto questo e qualche membro del mondo letterario, straniero o indigeno, ha sempre avuto il senso di quello che si stava sviluppando negli Stati Uniti. Nella prima parte dell’Ottocento, la rozzezza del materialismo crescente nella società americana, e la convinzione dell’America di essere una nazione “eccezionale” con un messaggio di evangelizzazione per il mondo, colpivano scrittori come l’inglese Charles Dickens (1812-1870), che in Martin Chuzzlewitt (1842) esprimeva una critica molto pungente; in Edgar Allan Poe (1809-1849) che si lamentava della “aristocrazia di dollari” e di “una forma di governo molto ammirevole dal punto di vista dei cani”; in T.S. Eliot (1888-1965) e Ezra Pound (1885-1972), di cui una frase, detta dopo la sua liberazione da una clinica psichiatrica dove era stato imprigionato dai suoi persecutori, è citata sopra.

C’è stata, dall’inizio, anche una critica basata sul problema religioso. Alexandre de Toqueville (1805-1859), nella sua Democrazia in America (1835/1840), esprimeva paure per il futuro degli Stati Uniti se la base cristiana fosse venuta a mancare. Poi, nel 1863, durante la Guerra civile, una coalizione di undici confessioni protestanti di sette Stati del nord parlarono del conflitto come una punizione per il “peccato originale” del Paese – appunto, quello dell’omissione del nome e potere di Dio nella Costituzione americana. Volevano un emendamento per correggere questa mancanza al tempo di Lincoln, ma sono riusciti ad ottenere solo la frase “In God We Trust” sulla moneta nazionale.

Nei primi del Novecento, accademici e saggisti cristiani come Irving Babbit (1865-1933) e Paul Elmer More (1864-1937), tutti e due promotori del “Nuovo Umanismo”, erano molto più dettagliati nella loro critica. L’immoralità che More lamentava “non era quella ovvia dell’oscenità o del soggettivismo, ma una falsificazione della natura umana” che ha buttato via “la filosofia della religione come si è sviluppata durante duemila anni nella tradizione della cristianità”, quindi distruggendo l’intelletto e confermando un ordine sociale “sottomesso alla teoria del flusso incessante, con nessun principio di giudizio ad eccezione del piacere cangiante dell’individuo, fratricida come conseguenza ultima”. Babbit, in Che Cosa è l’Umanismo (1895) e Democrazia e Direzione (1924), ha indicato due fonti del naturalismo americano ottimista e falso: il meccanicismo baconiano prometeico e il sentimentalismo individualista di Jean-Jacques Rousseau (1712-1778) di cui non abbiamo avuto spazio per illustrare l’importanza nella costruzione dell’ideologia americanista. (John Rao - Fonte)

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