I miei propositi durano poco. Mi ero ripromesso seriamente – anche dietro consiglio di amici che mi invitavano alla prudenza – di non occuparmi più dell’augusto Personaggio infelicemente regnante. L’attualità, tuttavia, continua a provocarmi in modo irresistibile. L’ultima occasione, sia pure un tantino decantata, mi è fornita da un’indiscrezione circa il suo intervento in apertura dell’assemblea generale dell’italica associazione patriottica. Nel pomeriggio di lunedì 24 maggio, rispondendo alle domande dei presuli a telecamere spente, il de quo si è lasciato andare ad anticipazioni sul futuro della Messa tradizionale. Sarebbe ormai pronto, dopo una laboriosa stesura, un provvedimento di riforma restrittiva del Summorum Pontificum, con il quale si dovrebbe ripristinare, almeno per i sacerdoti che vogliano imparare, la precedente disciplina dell’indulto, cioè di un permesso speciale concesso dai vescovi caso per caso [qui - qui]. Mi è subito venuto da domandarmi se non si trattasse della solita miccia accesa a bella posta per mettere in subbuglio il mondo tradizionalista e spingere i più esasperati a passi di rottura, ma la mossa sembra davvero imminente.
Ciò che realmente preoccupa l’attuale gerarchia, formatasi in buona parte negli anni Settanta, è la crescente diffusione, attestata in modo inequivocabile dalle risposte al relativo questionario inviato alle diocesi [qui], del venerando Rito romano, ricevuto nella sostanza dagli Apostoli. Perciò la volontà della maggior parte dei vescovi è di frenarla il più possibile, come si è visto nell’ostruzionismo al motu proprio di Benedetto XVI [qui]. La concessione di nuovi permessi – si vocifera – sarà gestita, alla Congregazione per il Culto Divino, da un sottosegretario aggiunto di freschissima nomina, anche episcopale, docente nel pensatoio della cosiddetta riforma liturgica e aspramente avverso alla vera Messa [qui]. Tutto pare dunque predisposto perché i sacerdoti diocesani siano impossibilitati a celebrarla o, per lo meno, dissuasi dal cominciare. Se però certi prelati professassero sul serio la fede cattolica, si renderebbero agevolmente conto di non avere affatto l’autorità di proibire l’offerta del Santo Sacrificio nella forma stabilita dalla Tradizione; di conseguenza si guarderebbero bene dal reiterare l’inaudito abuso di potere perpetrato da Paolo VI.
Il capo del partito avrebbe poi confidato di non riuscire proprio a capire come mai siano sempre più numerosi i giovani sacerdoti che desiderano celebrare la Messa in latino, anziché mettersi a studiare la lingua dei migranti per accoglierli. Una prima risposta è così ovvia da apparire banale: ammesso che tocchi a noi imparare l’idioma di chi viene a vivere nel nostro Paese, piuttosto che il contrario, le lingue da apprendere sarebbero davvero tante: da quale cominciare? Una seconda risposta, invece, va più in fondo alla questione: molti giovani sacerdoti, evidentemente, hanno scoperto che è ben più benefico e sensato usare il rito che ci è stato trasmesso dall’Antichità cristiana, anziché uno creato a tavolino alla fine degli anni Sessanta del secolo scorso. A trarne vantaggio non è soltanto – come vorrebbero i detrattori – il senso estetico (cosa, comunque, non certo di poco conto), ma anche la coscienza sacerdotale del ministro, l’esercizio della sua mediazione tra Dio e il popolo, la crescita nella fede e la partecipazione fruttuosa del popolo medesimo… e tantissimi altri aspetti.
Certo, tutto questo va in senso diametralmente opposto agli scopi perseguiti da quanti, ormai da sei decenni, lavorano alla protestantizzazione della Chiesa Cattolica, ma è intrinsecamente connaturale alla vera essenza della Chiesa stessa e all’intima identità del sacerdote. Possono pure tentare, da bravi marxisti, di violentare la realtà in base alla loro ideologia, ma la realtà, prima o poi, riprende inevitabilmente il sopravvento. Se questo è innegabile a livello umano, a maggior ragione vale per la Chiesa, che è un’istituzione divina; essa esiste da un po’ prima di loro e durerà altresì ancora un bel po’, tal quale l’ha voluta Gesù Cristo, non gli pseudoteologi cui si ispirano. Ogni struttura eretta artificialmente in funzione di un’ideologia è destinata all’implosione; ogni impianto rivoluzionario, essendo costitutivamente contro-natura, contiene in sé i germi della propria dissoluzione. Le oasi autentiche della Tradizione, invece, posseggono il segreto che le fa persistere in ogni tempesta, dato che sono fondate su quella Roccia che non sarà mai scossa.
Sappiamo bene che per i guardiani della rivoluzione i sacerdoti indipendenti che celebrano la Messa di sempre in virtù del motu proprio sono come sabbia tra i denti: quell’esecrabile rito che non sono riusciti a estirpare del tutto va assolutamente relegato nelle riserve indiane. Chiusi nelle gabbie dello zoo o nei recinti del circo, gli animali esotici non fanno paura a nessuno, rappresentano anzi una simpatica attrazione; sparsi ovunque e mescolati indistintamente, invece, diventano serio motivo di preoccupazione. Il “contagio” – questo sì – va accuratamente circoscritto e tenuto sotto controllo, specie se aumentano a dismisura i fedeli che, disgustati dagli oltraggi all’Eucaristia divenuti prassi obbligatoria, si riversano nelle chiese in cui si celebra la Messa tradizionale e, giunti là, scoprono un mondo nuovo – o, meglio, ritrovano l’eredità di cui erano stati arbitrariamente privati e tenuti all’oscuro. La serena gratitudine che il sacerdote legge nei loro sguardi è un’esperienza impagabile, per non parlare della gioia che prova egli stesso nel sentirsi realmente strumento del Redentore, cosa di cui prima doveva faticosamente convincersi a dispetto delle apparenze contrarie.
Tutto questo, il capo, non riesce proprio a comprenderlo, ma è semplicemente la realtà: l’evidente, solare, invincibile realtà. Per amor di Dio, qualcuno del suo entourage lo informi che noi, una volta riscoperto il tesoro che ci appartiene, non ce lo faremo togliere mai più; si metta l’anima in pace (ammesso che lo possa, con tutte le nefandezze che l’opprimono). Questo non significa però – come egli probabilmente spera – che ci porremo fuori della comunione ecclesiastica con un atto di aperta disobbedienza. No, non saremo così sciocchi da fargli un favore del genere. Agiremo di nascosto, clandestinamente, se necessario, ma non ci piegheremo per alcun motivo al mondo. Se ci toglierete le chiese, cari vescovi, celebreremo nelle case dei fedeli, come abbiamo già fatto l’anno scorso per tre mesi, quando le avete chiuse. Se ci sospenderete lo stipendio, saremo sostentati dal Popolo di Dio, come ai tempi degli Apostoli. Se ci denuncerete all’autorità civile, andremo gioiosamente al martirio, come in ogni epoca gloriosa della Chiesa… ma non potrete fermarci. Voi avete il denaro e il potere; noi abbiamo la fede e la grazia.
Più vi accanite contro di noi, più date segni di debolezza, confermando la percezione che la situazione vi sia sfuggita di mano. Dovete farvene una ragione: per i veri cattolici siete diventati ininfluenti. Essi scelgono ormai autonomamente le proprie guide là dove il loro sensus fidei fiuta che possono fidarsi. Sì, non c’è bisogno che me lo ricordiate: so bene che ciò non è conforme alla costituzione apostolica della Chiesa, ma la colpa è tutta di voi Pastori, che avete smesso di guidare e nutrire il gregge, anzi lo avete consegnato ai lupi. Non ignoro neppure che spesso incauti cercatori incappino in cattivi maestri che, accecati dall’orgoglio, fanno il gioco del nemico, spingendo i fedeli a privarsi dei Sacramenti per ragioni speciose; ma, anche in questo caso, la colpa è tutta vostra, che continuate a cianciare di ascolto e non date retta a nessuno. Vorrei rassicurare questi ultimi rammentando loro che non è nostro compito stabilire chi sia il papa e che, qualora sia eretico, solo Uno può giudicarlo. Partecipare alla Messa celebrata in comunione con un prelato materialmente eretico non è peccato, finché il delitto di eresia non sia stato dichiarato; in ogni caso, non si può essere in comunione con qualcuno che, di fatto, sia fuori del Corpo Mistico.
Il Personaggio si lamenta dei seminaristi che sembrano buoni, ma sono rigidi, qualcosa che nasconde grossi problemi. Che dire, allora, della vostra inflessibile rigidità mentale e comportamentale nei confronti di chi, non avendo ceduto all’indottrinamento, non si sottomette alla vostra dittatura? Essa non nasconde forse, molto spesso, grossi problemi di natura morale?… Circondarsi di pervertiti è dunque soltanto una strategia di potere che consente di tenere in pugno i propri collaboratori o è il conto da pagare alla cordata che ha deciso l’ascesa? Com’è possibile conoscere così a fondo certa gente senza essere del giro? Sete di potere e narcisismo patologico, d’altronde, sono perfettamente coerenti con quel tipo psicologico. Se poi giungono testimonianze in quel senso anche dalla diocesi di origine, il cerchio si chiude e tutto si chiarisce, compresa l’apertura ideologica alla peggiore delle perversioni e la scandalosa clemenza nei riguardi dei colpevoli di abusi su minori. Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei: se i tuoi amici son pederasti ed eretici…
Può tuttavia capitare che qualcuno esageri un po’ troppo e si sia costretti ad aprire un processo sulla vicenda del Preseminario, pur affidandolo a un magistrato italiano appartenente allo stesso circuito e appositamente cooptato. In tal modo si può circoscrivere l’inchiesta a qualche pesce piccolo su cui possa sfogarsi il pubblico sdegno, distogliendo l’attenzione dai pesci grossi della Curia, preservati anche nel caso MacCarrick. Qualora però un giornalista onesto decidesse di indagare fino in fondo, non mancherebbero persone bene informate. Due anni fa, prima che cadesse la mia ultima illusione sulla politica, avevo suggerito a un ministro un metodo semplicissimo per ottenere ascolto, riguardo all’immigrazione, dall’avversario d’Oltretevere. La sua risposta mi lasciò inizialmente spiazzato, ma capii ben presto che era perfettamente coerente con il gioco delle parti che pure quel governo aveva inscenato. Per il titolare degli Interni non sarebbe stato affatto difficile – come invece sostenuto dal collega – far pedinare certi personaggi nelle loro uscite notturne dalle mura leonine; il fatto è che, a quei livelli, vige la tacita quanto inviolabile regola che la lotta resti circoscritta alla ribalta del teatrino, senza scendere sul terreno dei vizi privati. Questi ultimi, prima o poi, finiranno comunque con l’essere svelati; allora chi salterà per primo?
Nella Chiesa terrena c’è chi serve Dio e chi serve il diavolo. Dio è infinitamente più potente del diavolo; perciò chi serve Dio non può non vincere e chi serve il diavolo non può non perdere: è una questione di semplice logica. Se cerchiamo sinceramente di servire Dio, abbiamo tutte le ragioni per attendere con fiducia la vittoria, cooperando attivamente con la Provvidenza. «Come abbiamo udito, così abbiamo visto nella città del Signore degli eserciti, nella città del nostro Dio: Dio l’ha fondata in eterno» (Sal 47, 9): questa è la nostra città, la nostra patria, la nostra casa e nessuno al mondo potrà mai espellercene, se non siamo noi ad escludercene da soli. Con immensa gratitudine verso Colui che ci ha ammessi al Regno dei Cieli, ci stiamo riappropriando delle ricchezze e della gioia legate alla nostra dignità di figli dell’Altissimo, concittadini della Gerusalemme di lassù. Abbiamo dalla nostra parte schiere di Angeli e di Santi che combattono con noi e per noi, mettendo in fuga le orde infernali. Arrendetevi, se non volete farvi trascinare laggiù. Convertitevi alla verità e tornate alla vera Chiesa, con la grazia del Signore Gesù Cristo, nostro Re.
Accipite iucunditatem gloriae vestrae, gratias agentes Deo, qui vos ad coelestia regna vocavit (Prendete in possesso la felicità della vostra gloria, rendendo grazie a Dio, che vi ha chiamato al regno celeste; dalla Liturgia).
Tutto ciò che accade e che ti porta avanti nel cammino è grazia, tutto.
RispondiEliminaDico che il gioco della preferenza è inevitabile; può essere cosciente o no, ma è inevitabile. Ed è autentico quando ti rimanda all’ultimo.
Se ti rimanda all’ultimo termine della realtà, ti rimanda a tutta la realtà, è universale: abbracci tutto il mondo.
Se abbracci quella cosa lì, abbracci tutto il mondo. Se, abbracciando quella cosa lì, non abbracci tutto il mondo, non è vera preferenza. In questo senso, la preferenza è come uno “stimolo” – diciamo così, perché non mi viene un’altra parola -, è lo stimolo più grande alla virtù, altrimenti non è vera preferenza, ma possesso che scardina.
Provate a pensare quante volte il popolo ebraico sbagliava. Se leggete il Deuteronomio, i profeti, i salmi, sono tutti pieni degli errori del popolo, eppure quel popolo è la preferenza di Dio. Perciò, essendo la preferenza di Dio, il mondo è stato salvato da quel popolo: con Cristo, generando Cristo. Il significato del mondo è scaturito da quel popolo
(L. Giussani, da “Affezione e dimora”)
Così Tu ci hai preferito.
Non per un privilegio ma per un mandato.
Non per accomodarci nel compiacimento e nell’orgoglio.
Ma per essere primizia di una universale convocazione.
Per arrivare ai bordi del mondo.
La tua preferenza come un peso leggero.
Per pura grazia, senza merito alcuno.
Questo non ci fa migliori, ma responsabili.
Così le nostre preferenze nutrono l’arduo cammino
che abbiamo avuto in sorte.
E confortano il passo.
Risplendono di Te, a illuminare il mondo.
La Grazia è trasparenza, non possesso.
Così Tu mi hai preferito.
Chissà perché?
(Franca Negri)