venerdì 16 luglio 2021

Esce oggi «Traditionis Custodes» - (Custodi di 'quale' tradizione?)

Le 'voci' erano notizie. Archiviato il «Summorum Pontificum». Esce oggi «Traditionis Custodes» (Custodi di  quale tradizione?) e va subito al sodo: Sull'uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970. Di seguito le prime osservazioni a caldo, quelle di immediata evidenza. Di fatto la celebrazione del Rito Romano antico non è più un diritto ma una concessione (mal) tollerata. Ma l'idea di fondo è quella di farla finita al più presto con ogni critica al Concilio, alla quale Benedetto XVI aveva dato una sorta di spazio liturgico. E, già con la soppressione dell'Ecclesia Dei [qui], si erano tarpate le ali alla coesistenza di un mondo tradizionale «ufficiale». Leggo solo ora la Lettera di accompagnamento [qui]. L'intenzione di cancellare il Rito antico emerge esplicita  e rancorosa.  Il testo (da approfondire) contiene contraddizioni: ad esempio dove ricorda che anche San Pio V abrogò riti di non provata antichità(1). Di fatto intenderebbe abrogare un rito vecchio di secoli ma soprattutto risalente, nell'impostazione, alla prima tradizione apostolica. Questo non regge. Purtroppo sono troppe le cose che non reggono e che non ingoiamo ma subiamo come sentinelle non mute ma impotenti umanamente.
Precedenti quiqui - qui - qui - qui. A proposito di Altare del Sacrificio su cui si perpetua il mistero della nostra Redenzione, un segno inquietante da non dimenticare [qui].

Esce oggi «Traditionis Custodes» - (Custodi di  'quale'  tradizione?)

Il punto centrale attorno a cui tutto ruota è la Riforma voluta dal Vaticano II. Il nuovo motu proprio non tiene in alcun conto la realtà ecclesiale di oggi e ignora l'affezione per il Rito antico cresciuta nel tempo - attraverso le occasioni per conoscerlo e viverne il mistero indicibile - anche tra molti giovani, non esclusi i seminaristi (di fatto è proprio questa la realtà da soffocare...). 
Dà per scontato che i predecessori (indulto di Giovanni Paolo II, a cui accomuna Benedetto XVI), "per promuovere la concordia e l’unità della Chiesa" abbiano esercitato la loro "paterna sollecitudine" verso "coloro che in alcune regioni aderirono alle forme liturgiche antecedenti alla riforma voluta dal Concilio Vaticano II". Benedetto XVI, col Summorum, avrebbe inteso «facilitare la comunione ecclesiale a quei cattolici che si sentono vincolati ad alcune precedenti forme liturgiche» e non ad altri... (2)
Afferma dunque che sempre nel solco del Summorum "a tre anni dalla sua pubblicazione, la Congregazione per la Dottrina della Fede ha svolto una capillare consultazione dei vescovi nel 2020, i cui risultati sono stati ponderatamente considerati alla luce dell’esperienza maturata in questi anni". [qui] Ed ecco i risultati:
Art. 1. I libri liturgici promulgati dai santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II, in conformità ai decreti del Concilio Vaticano II, sono l’unica espressione della lex orandi del Rito Romano.
Salta dunque perfino l'espressione delle "due forme" dell'unico Rito. Ci sarà molto da dire su questo e non solo...
Art. 2. Al vescovo diocesano, quale moderatore, promotore e custode di tutta la vita liturgica nella Chiesa particolare a lui affidata,[5] spetta regolare le celebrazioni liturgiche nella propria diocesi.[6] Pertanto, è sua esclusiva competenza autorizzare l’uso del Missale Romanum del 1962 nella diocesi, seguendo gli orientamenti dalla Sede Apostolica.
Salta la facoltà dei sacerdoti di celebrare senza alcuna autorizzazione; anche se di fatto accadeva soltanto in rarissime occasioni per effetto della viscerale avversione dei vescovi non arginata col rimanere nel vago senza una promozione più energica in tutte le diocesi. Avversione con la quale toccherà fare i conti in maniera ben più pressante, dal momento che di seguito vengono posti un'infinità di paletti strettoie e nodi scorsoi:
Art. 3. Il vescovo, nelle diocesi in cui finora vi è la presenza di uno o più gruppi che celebrano secondo il Messale antecedente alla riforma del 1970:
§ 1. accerti che tali gruppi non escludano la validità e la legittimità della riforma liturgica, dei dettati del Concilio Vaticano II e del Magistero dei Sommi Pontefici;
§ 2. indichi, uno o più luoghi dove i fedeli aderenti a questi gruppi possano radunarsi per la celebrazione eucaristica (non però nelle chiese parrocchiali e senza erigere nuove parrocchie personali);
§ 3. stabilisca nel luogo indicato i giorni in cui sono consentite le celebrazioni eucaristiche con l’uso del Messale Romano promulgato da san Giovanni XXIII nel 1962.[7] In queste celebrazioni le letture siano proclamate in lingua vernacola, usando le traduzioni della sacra Scrittura per l’uso liturgico, approvate dalle rispettive Conferenze Episcopali;
§ 4. nomini, un sacerdote che, come delegato del vescovo, sia incaricato delle celebrazioni e della cura pastorale di tali gruppi di fedeli. [e i nostri sacerdoti?] Il sacerdote sia idoneo a tale incarico, sia competente in ordine all’utilizzo del Missale Romanum antecedente alla riforma del 1970, abbia una conoscenza della lingua latina tale che gli consenta di comprendere pienamente le rubriche e i testi liturgici, sia animato da una viva carità pastorale, e da un senso di comunione ecclesiale. È infatti necessario che il sacerdote incaricato abbia a cuore non solo la dignitosa celebrazione della liturgia, ma la cura pastorale e spirituale dei fedeli.
§5. proceda, nelle parrocchie personali canonicamente erette a beneficio di questi fedeli, a una congrua verifica in ordine alla effettiva utilità per la crescita spirituale, e valuti se mantenerle o meno.
§ 6. avrà cura di non autorizzare la costituzione di nuovi gruppi.
E, per il futuro, nuovi argini:
Art. 4. I presbiteri ordinati dopo la pubblicazione del presente Motu proprio, che intendono celebrare con il Missale Romanum del 1962, devono inoltrare formale richiesta al Vescovo diocesano il quale prima di concedere l’autorizzazione consulterà la Sede Apostolica.
Art. 5. I presbiteri i quali già celebrano secondo il Missale Romanum del 1962, richiederanno al Vescovo diocesano l’autorizzazione per continuare ad avvalersi della facoltà.
Art. 6. Gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, a suo tempo eretti dalla Pontificia Commissione Ecclesia Dei passano sotto la competenza della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica.
Questo significa che il Rito antico sarà subordinato al diritto comune. E ciò potrebbe essere molto oneroso se, per esempio, si condizionasse l’autorizzazione a celebrarlo anche alla partecipazione a intervalli regolari alla nuova liturgia, oppure all’utilizzo del calendario della forma ordinaria, o del nuovo lezionario. Già il motu proprio è intervenuto sulle letture in vernacolo (peraltro ripetute regolarmente già fin da ora. Ma ripetute, non sostituite). Il tutto a discrezione dei vescovi diocesani, cui verrebbe affidata la gestione di questa “tolleranza”, e ai quali la Congregazione per il Culto Divino darebbe sempre ragione contro i preti, i fedeli e le comunità tradizionali. Mentre resterebbero sotto sorveglianza anche i vescovi conservatori.
Art. 7. La Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti e la Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, per le materie di loro competenza, eserciteranno l’autorità della Santa Sede, vigilando sull’osservanza di queste disposizioni.
Art. 8. Le norme, istruzioni, concessioni e consuetudini precedenti, che risultino non conformi con quanto disposto dal presente Motu Proprio, sono abrogate.
Mi fermo qui. Mi sento come sotto le percosse di un maglio maligno. Ma mi affido alla nostra tenera Madre e sono sicura che troveremo il modo di uscire anche da questa strettoia con l'aiuto dei nostri sacerdoti, ai quali assicuriamo la nostra costante preghiera. (Maria Guarini)
_______________________
1. Tragicomica l'ipocrisia del paragonarsi a Pio V, contraddetta nella logica e nei fatti: Pio V abrogò i riti meno antichi di 200 anni poiché erano sospetti di eresia ed innovativi, lasciando in vigore quelli più antichi (Ambrosiano, Mozarabico, Braghense, ecc.) che tuttora coesistono. Esattamente il contrario di quel che Francesco suggerisce e promuove giacché la Messa tridentina, che è il Rito Romano che Pio V non rifece, ma sfrondò e rese comune, risale ai tempi apostolici.
2. La citazione è tratta dal Motu Proprio Ecclesia Dei del 1988 e ad essa Bergoglio ha ritenuto di dover aggiungere quel «e non ad altri», che va nella direzione diametralmente opposta rispetto al Summorum Pontificum, che proprio anche a questi “altri” aveva voluto estendere la possibilità di godere delle ricchezze del Rito antico.

1 commento:

  1. Forse é giunto finalmente il momento di ammettere (tutti) che l'unica ancora di salvezza é la Fraternità di San Pio X.
    Che il Summorum pontificum non sarebbe durato in eterno era evidente. Era una concessione per pochi maltollerati che dovevano rimanere pochi, uno sgarbo di Ratzinger ai lefebvriani. Il Signore ha voluto così, e ha scombussolato i piani di costoro, ed é andata a finire con la rinascita di queste piccole isole di ortodossia e vocazioni. Ma doveva essere una cosa temporanea, perché non é possibile rimanere con un piede di là e uno di quà. Adesso che il popolo del SP é cresciuto é finalmente arrivato il momento di scegliere tra diventare modernisti o riconoscere che lo stesso SP senza Lefevre non ci sarebbe mai stato.
    L'unico che ha tenuto viva la tradizione cattolica senza guardare a motu propri, concessioni, giochetti di palazzo, senza rendere conto a nessuno che non fosse il Signore, anzi facendosi scomunicare per questo.

    RispondiElimina