Il computer rende evidente il mistero
della nostra anima immortale
C’è curiosità attorno a ChatGPT, un software di intelligenza artificiale che dialoga con gli umani in linguaggio corrente e sa produrre testi scritti. L’arrivo di questi programmi per computer è stato salutato da alcuni come il futuro, anche in molti campi professionali. A partire dal giornalismo. Però…
Luca Gammaitoni, su “Avvenire” (9/3), ha interrogato ChatGPT come se fosse un esaminando. Alla fine l’esaminatore è ammirato dalla capacità di dialogare di questo software, ma – dice – “quello che mi lascia stupito è la sua capacità di mentire senza alcun pudore”. In sostanza, è un programma che può essere utilissimo, ma non è infallibile.
Inoltre, anche se verrà perfezionato al massimo, sarà solo uno strumento prezioso per l’uomo, non sarà un pensiero in atto: “proprio come le informazioni accessibili su internet, da sole non hanno nessun valore. Le informazioni sono solo dati” e se non c’è capacità di interpretazione non c’è pensiero.
Ha fatto considerazioni analoghe, sul “New York Times”, Noam Chomsky, famoso linguista e scienziato. L’IA, ha spiegato, non è paragonabile alla mente umana che è “un sistema sorprendentemente efficiente e persino elegante che opera con piccola quantità di informazioni” e che – diversamente dall’IA – “non cerca di dedurre correlazioni brutali tra dati, ma di creare spiegazioni”.
In pratica – afferma Chomsky – l’IA potrà essere utile, ma l’intelligenza umana è ben altra cosa. Già. Ma cosa è precisamente?
Federico Faggin, definito “il più grande inventore italiano vivente” in quanto “padre del primo microprocessore”, è un genio della tecnologia e – dopo anni di ricerche – ha concluso che nell’uomo c’è qualcosa di irriducibile che la macchina non potrà avere mai. Il suo libro è intitolato appunto “Irriducibile” (Mondadori).
“Noi” spiega “siamo molto più di una macchina. Siamo esseri spirituali”. Nell’uomo c’è un mistero. I segnali elettrici o biochimici del cervello possono produrre altri segnali, spiega Faggin, ma non la coscienza: “la macchina non sente. Non risponde se non è stata programmata. Invece noi dobbiamo impegnarsi per trovare le risposte, dentro e fuori di noi. A partire dalla domanda principale: chi siamo?”.
Torniamo così all’inizio del pensiero filosofico e della nostra civiltà. Giovanni Reale, nel suo libro “Socrate” (La nave di Teseo), spiega che “tutto il pensiero di Socrate” consiste “nella ricerca di una precisa risposta all’enigma del dio di Delfi ‘Conosci te stesso’. E la risposta che dà Socrate è questa: ‘L’uomo è la sua anima’”.
È proprio con Socrate che la parola “anima” conquista il centro della scena: è “la concezione dell’uomo come psyché, intesa come espressione della personalità intellettuale e morale” (Reale).
Per Socrate la “cura dell’anima” è lo scopo della vita. Le virtù, un’anima buona, ecco il tesoro da conquistare, non il potere, la ricchezza o la bellezza fisica. Da qui Platone sviluppa l’idea di immortalità dell’anima e i suoi fondamenti metafisici.
Scrive Reale: “Si tratta di una tesi che ha segnato una pietra miliare non solo nella storia spirituale dei greci in particolare, ma anche nella storia dell’Europa in generale, e che ha addirittura determinato la specificità dell’Europa stessa e proprio in questo consiste quella ‘sapienza umana’ che Socrate aveva cercato per tutta la vita”.
Il cristianesimo ha dato compimento alla filosofia greca con la risposta alla domanda “cosa è l’anima?”, “chi sono io?”. L’Europa e la stessa civiltà occidentale nascono da qui.
Antonio Socci - Da “Libero”, 11 marzo 2023
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