mercoledì 16 agosto 2023

Il sacerdozio secondo padre Alberto Maggi / Confutazioni

Su certi articoli occorrono precisazioni più calibrate e complete, che purtroppo non sempre sono evidenziate dalle redazioni che li pubblicano.

Il sacerdozio secondo padre Alberto Maggi

Ho letto [qui] l'articolo di cui ho riprodotto il titolo. Quella dell'articolista, Domenico Condito, è certamente un'analisi interessante perché riconosce alla base della posizione di don Maggi gli effetti del Concilio Vaticano II (di cui però afferma un'interpretazione errata; invece le variazioni che hanno consentito la nuova pastorale deviata sono già presenti nei documenti conciliari non in una loro interpretazione errata) e l’ignoranza della dottrina scaturita dal Concilio di Trento (che invece si voleva oltrepassare). Dunque, secondo me, l'analisi va meglio calibrata e approfondita.
Scrive Maggi:
“Il sacerdote, nella cultura dell’epoca di Gesù, era quell’individuo che era chiamato ad avere una mediazione tra gli uomini e Dio, a cui le persone non potevano rivolgersi direttamente. Questa figura era l’unica che poteva offrire al Dio. Con Gesù la relazione degli uomini con Dio è possibile a tutti ed è immediata, non c’è più bisogno di sacerdoti perché siamo tutti sacerdoti. La Chiesa, con il Concilio Vaticano II, ha ripreso questa formulazione, dice che noi, Chiesa, siamo popolo sacerdotale, cioè tutti possiamo rivolgerci immediatamente e direttamente a Dio, senza la necessità di alcuna mediazione. Quindi non c’è bisogno di alcun sacerdote, perché siamo tutti sacerdoti”.
Afferma Condito
Per Maggi, quindi, la “formulazione” del sacerdozio regale, derivante dal battesimo per tutti i cristiani, sarebbe una novità del Concilio Vaticano II, ripresa da Gesù, e ne deduce che “non c’è bisogno di alcun sacerdote, perché siamo tutti sacerdoti”, annullando di fatto la distinzione tra sacerdozio “regale” e sacerdozio “ministeriale”. Una distinzione, quest’ultima, che il Concilio Vaticano II non ha mai messo in discussione, confermandone pienamente il valore, al contrario di quanto lascerebbe intendere Maggi.
Le affermazioni successive vanno inserite in un discorso più preciso (sul sacerdozio ordinato e battesimale et alia), soprattutto riguardo al concilio Vaticano II ma anche in relazione alle formulazioni che l'articolista cita come già presenti nella Chiesa (non solo tridentina come da lui definita); discorso che cerco di formulare di seguito. Poiché purtroppo problemi familiari mi impediscono di articolare ex novo con l'efficacia che vorrei le mie considerazioni ad hoc, riproduco considerazioni già pubblicate anni fa ma sempre valide perché fondate sul magistero perenne.

Dal mio libro sulla questione liturgica [qui]

" ...la liturgia non è né la festa della comunità né azione dell'assemblea, di conio conciliare, ma Azione teandrica (divino umana) di Cristo Signore che il sacerdote compie in persona Christi così come Lui stesso ce l'ha consegnata nell'ultima Cena fino alla fine dei tempi. Certamente c'è anche la partecipazione del credente col suo “sacerdozio battesimale”, ben distinto tuttavia sia in grado che in essenza, da quello ordinato (lo riconosce anche Lumen gentium, n.10, pur se occorre qualche distinguo)*. Elemento fondante e fondamentale, ontologico, che pare non essere chiaro, o forse peggio non vuole essere chiaro a chi, oggi, sembra negare la distinzione teologica ed escatologica tra i battezzati che partecipano al sacerdozio regale di Cristo, ed i battezzati consacrati col Sacramento dell’Ordine, i soli che, per mistero di grazia, partecipano invece al sacerdozio ministeriale di Cristo."

* Lumen gentium tuttavia, rispetto a Magnificate Dominum e Mediator Dei di Pio XII, introduce il solito baco conciliare che, alla fine, consente possibili deviazioni: "Il sacerdozio comune dei fedeli e il sacerdozio ministeriale o gerarchico, quantunque differiscano essenzialmente e non solo di grado, sono tuttavia ordinati l'uno all'altro, poiché l'uno e l'altro, ognuno a suo proprio modo, partecipano dell'unico sacerdozio di Cristo". Ognuno a suo proprio modo sembra metterli sullo stesso piano. Ed è così che la teologia neoterica può arrivare ad occultare il divario ontologico esistente tra il sacerdozio universale dei fedeli e quello sacramentale dei soli preti. Romano Amerio (Iota Unum) osserva che, nel misconoscere le essenze, tutto viene ricondotto a funzione di puro tipo umano. Dunque ecco riaffiorare il vizio di fondo più volte stigmatizzato introdotto dal concilio: l'antropocentrismo in luogo del Cristocentrismo [qui - qui].

La «Sacrosanctum Concilium» oltrepassa la «Mediator Dei»

Raffrontiamo il testo della Sacrosanctum Concilium, n.48 (1963) - la Costituzione Conciliare sulla Sacra Liturgia - con l'Enciclica di Pio XII sulla Sacra Liturgia Mediator Dei (1947), alla quale la Costituzione conciliare si rifà e cita espressamente. Non senza dover preliminarmente rilevare che il n.47 della stessa Costituzione, sulla "natura del sacrosanto mistero eucaristico, passa sotto silenzio sia il fine propiziatorio (espiatorio) del Sacrificio[1], che il termine transustanziazione, peraltro inopinatamente assente dall'intero documento.

Mediator Dei Sacrosanctum Concilium
"...Per non far nascere errori pericolosi in questo importantissimo argomento, è necessario precisare con esattezza il significato del termine «offerta». L'immolazione incruenta per mezzo della quale, dopo che sono state pronunziate le parole della consacrazione, Cristo è presente sull'altare nello stato di vittima, è compiuta dal solo sacerdote in quanto rappresenta la persona di Cristo e non in quanto rappresenta la persona dei fedeli. Ponendo però, sull'altare la vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime. A quest’oblazione propriamente detta i fedeli partecipano nel modo loro consentito e per un duplice motivo; perché, cioè, essi offrono il Sacrificio non soltanto per le mani del sacerdote, ma, in certo modo, anche insieme con lui, e con questa partecipazione anche l'offerta fatta dal popolo si riferisce al culto liturgico...."
48. Perciò la Chiesa si preoccupa vivamente che i fedeli non assistano come estranei o muti spettatori a questo mistero di fede, ma che, comprendendolo bene nei suoi riti e nelle sue preghiere, partecipino all'azione sacra consapevolmente, piamente e attivamente; siano formati dalla parola di Dio; si nutrano alla mensa del corpo del Signore; rendano grazie a Dio; offrendo la vittima senza macchia, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui, imparino ad offrire se stessi, e di giorno in giorno, per la mediazione di Cristo, siano perfezionati nell'unità con Dio e tra di loro, di modo che Dio sia finalmente tutto in tutti.

Dunque, la Mediator Dei distingue il momento in cui il Sacerdote offre la Vittima (momento culminante e unico) da quello in cui, dopo averla deposta sull'altare la presenta a gloria di Dio padre e per il bene di tutte le anime. È a quest’oblazione propriamente detta che i fedeli partecipano nel modo loro consentito.

Invece nella Sacrosanctum Concilium, che dice cose prese a sé molto belle e molto vere, la distinzione è stata omessa e la sua  mancanza fa perdere l'unicità dell'offerta del Sacerdote (Actio di Cristo) nel momento della Consacrazione... E non è una questione di poco conto. Non distinguere l'Azione del Sacerdote da quella del fedele (che può far sua ogni preghiera tranne che al momento della Consacrazione, appunto), non tiene conto della distinzione netta non solo per grado ma anche per essenza del Sacerdozio ordinato rispetto a quello battesimale dei fedeli...

La Mediator Dei afferma e conferma che il Sacrificio di Cristo è uno ed unico ed appartiene a Lui solo. E non è un caso che le parole "mysterium fidei" siano pronunciate al momento della Consacrazione del Calice e quindi del Sangue della Nuova ed eterna Alleanza qui pro vobis et pro multis effundetur (sarà sparso: è un futuro che diventa un eterno presente, la prefigurazione del Calvario nell'imminenza di quanto sarebbe accaduto); il Signore ci comanda di fare haec (questo) in sua memoria fino alla fine dei tempi. Anche le parole "mysterium fidei" appartengono a Cristo, che suggella così la sua Azione espiatrice e redentrice e qui non ci resta che adorare e accogliere. (Non posso far a meno di notare che stranamente nel NO quelle parole vengono messe in bocca all'assemblea e pronunciate ad alta voce in un momento in cui bisognerebbe solo adorare davanti al Sacrificio. E invece si parla addirittura dell'"attesa della tua venuta", inopinatamente richiamando la parusia proprio nel momento in cui il Signore si è fatto Realmente Presente: Presenza che dovrebbe essere accolta vissuta e adorata con maggiore consapevolezza e sacralità...)

Solo successivamente: ce lo dice l'Unde et memores..., dopo che il Sacrificio è stato compiuto e dispiega i suoi effetti, possiamo, insieme al sacerdote, offrire noi stessi nell'offerta dell' "Hostia pura santa e immacolata, Pane santo di vita eterna e Calice di perpetua salvezza". Ma l'Agnello immolato è Risorto e ora siede glorioso alla destra del Padre (l'Unde et memores ci ricorda anche questo), e dunque possiamo insieme al sacerdote unire a quella di Cristo la nostra offerta e anche i frutti del Suo Sacrificio.

Nella SC questo forse è dato per scontato (?), ma nelle "cose sacre" che riguardano i fondamenti della nostra fede occorre serietà e precisione e anche completezza. Altrimenti, più che dar per scontato, alla fine si oltrepassa e si elide qualcosa di essenziale. Quel che è più grave, non è tanto la diluizione del ministero sacerdotale, che pure avviene, quanto la confusione del Sacrificio di Cristo (uno e unico e non confondibile) col nostro e della Chiesa tutta in Lui!

Quello che Mediator Dei e Sacrosanctum Concilium affermano è che i fedeli offrono insieme con il Sacerdote i propri voti e per mezzo del Sacerdote Cristo stesso, ma con la sottile e per nulla ininfluente distinzione con cui inizia il periodo. Non a caso, poi, la Mediator Dei dice: "Ponendo però, sull'altare la vittima divina, il sacerdote la presenta a Dio Padre come oblazione a gloria della Santissima Trinità e per il bene di tutte le anime".
Ponendo sull'altare la Vittima (il sacerdote depone l'oblata sul Corporale, chiamato anche sindone) è come se si ripetesse la deposizione dalla Croce e, come già detto, in quel momento si dispiegano gli effetti del Sacrificio già compiuto e quindi subentra anche la funzione della Chiesa con la sua Offerta dell'Hostia pura santa e immacolata, che include non solo il mistero della passione e morte, ma anche quello della Risurrezione e Ascensione, esplicitato nell'Unde et memores, Domine, nos servi tui, set et plebs tua sancta, eiusdem Christi Filii tu, Domini nostri, tam beatae passionis, nec non et ab inferis resurrectionis, sed in caelos gloriosae ascensionis: offerimus praeclare majestati tuae de tuis donis ac datis (non dal frutto della terra e del nostro lavoro)...
Mi sembra che l'oltrepassamento e l'oblio di una cosa così fondamentale, cioè del cuore della nostra Fede, sia un dato non trascurabile e tutto da recuperare.

E c'è di più... Dopo, nel Supplices te rogamus, il sacerdote chiede : jube haec perferri per manus sancti Angeli tui in sublime altare tuum, in cospectu divine majestatis tuae... ciò che si trova sull'Altare della terra viene portato all'Altare celeste per mezzo dell'Angelo Santo - in origine identificato con l'Arcangelo Michele nella sua funzione presso l'altare degli aromi che in Cristo Signore è unificato con l'altare del sacrificio -, mentre in epoca più recente lo si è identificato nel Signore stesso. E ancor di più, se anche si tratta di un Angelo - come è detto per i Sacrifici antichi e nella De Sacramentis - resta la sublime richiesta che sull'Altare del Cielo vengano portate, dopo la Consacrazione, haec (queste cose), cioè l'Offerta di Cristo e quella dei presenti e di tutta la Chiesa! E - prosegue la preghiera - "affinché quanti per questa partecipazione dell'Altare assumeremo l'infinitamente Santo Corpo e Sangue del Figlio tuo saremo riempiti di ogni grazia e benedizione del Cielo", che scende su di essi dal Trono dell'Altissimo.

Ora, che col Novus Ordo si perda tutta questa ricchezza e profondità, non può giungere anche fino a oltrepassare ciò che di più grande e sacro Cristo Signore ci ha consegnato: il Suo Sacrificio, in cui Egli si fa Realmente Presente e operante per la salvezza nostra e del mondo intero, 'passaggio' ineludibile sia per la Risurrezione che per il "Banchetto escatologico" in cui ci nutriamo del suo Corpo e del Suo Sangue Anima e Divinità. 

All'inizio (nell'immediato dopo-concilio e in parte tuttora) chi viveva/vive la celebrazione con la pre-comprensione cattolica poteva/può anche non farci caso e interiorizzare il dato di Fede genuino e quindi assimilarlo; ma, dopo? Quando si parla di iato generazionale (riconosciuto dallo stesso Benedetto XVI), cosa si intende se non questa a volte diluizione altre volte omissione, che alla fine diventa oblìo, soppressione - come in questo caso - di un elemento fondante della nostra Fede? 
Maria Guarini

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