Nei secoli questa festività incluse anche la commemorazione del recupero da parte dell'imperatore Eraclio della Vera Croce dalle mani dei Persiani nel 628.
Nell'usanza gallese, a partire dal VII secolo, la festa della Croce si teneva il 3 maggio. Quando le pratiche gallesi e romane si combinarono, la data di settembre assunse il nome ufficiale di Trionfo della Croce nel 1963, ed era usato per commemorare la conquista della Croce dai Persiani, e la data in maggio fu mantenuta come Ritrovamento della Santa Croce, comunemente detta Invenzione della Croce.
Questa festa del mese di maggio non compare più nel calendario romano eccetto che a Gerusalemme, dove per la Diocesi è una festa mentre nella basilica della Resurrezione è una solennità.
I più anziani ricordano che, prima della riforma del calendario romano, questa festa si celebrava il 3 maggio. In realtà nel 1955 Papa Pio XII istituì la festa di San Giuseppe artigiano il 1° maggio, e dunque si spostò la festa dei Santi Filippo e Giacomo al 3 maggio. La festa della Santa Croce scomparve a causa di un rimaneggiamento liturgico (1969) che sopprimeva le feste doppie. Per questo rimase la memoria dei Santi Filippo e Giacomo e quella In inventione S. Crucis fu soppressa. Si conservò quindi la sola festa dell’Esaltazione della Croce il 14 settembre.
"La Chiesa ortodossa commemora ancora entrambi gli eventi, uno il 14 settembre, rappresentando una delle dodici grandi festività dell'anno liturgico, e l'altro il 1º agosto nel quale si compie la Processione del venerabile Legno della Croce, giorno in cui le reliquie della Vera Croce furono trasportate per le strade di Costantinopoli per benedire la città. In aggiunta alle celebrazioni nei giorni fissi, ci sono alcuni giorni delle festività mobili in cui viene fatto particolare ricordo della Santa Croce. La chiesa cattolica compie l'adorazione liturgica della Croce durante gli uffici del Venerdì Santo, mentre la chiesa ortodossa celebra un'ulteriore venerazione della Croce la terza domenica della Grande Quaresima. In tutte le chiese greco-ortodosse, durante il Giovedì Santo, una copia della Croce viene portata in processione affinché la gente la possa venerare."
Ma a Gerusalemme dove non lontano dal Calvario, nel 326, la Santa Croce fu trovata da Sant’Elena, madre dell’imperatore Costantino, ci si teneva a conservare il ricordo di questa ritrovamento “invenzione”. La data scelta per la commemorazione fu quella del 7 maggio. Infatti proprio il 7 maggio 351 “una enorme croce luminosa apparve nel cielo, sopra al Santo Golgota, e si estendeva fino al Monte degli Olivi.” (Lettera di San Cirillo di Gerusalemme all’imperatore Costanzo, 351). Questa data era già indicata, e se da una parte permetteva di restare nel tempo pasquale, congiungendo il mistero della Croce a quello della Resurrezione, dall’altra era anche vicina a quella antica. Inoltre essa consentiva di rifarsi a questa tradizione orientale riguardante la Croce: le chiese orientali infatti non hanno mai cessato di far memoria di questa apparizione nel cielo di Gerusalemme. Visto che quest’anno il 7 maggio coincideva con una festa armena, la memoria è stata spostata all’8 maggio.
Le celebrazioni a Gerusalemme iniziano la domenica pomeriggio con la processione quotidiana dei francescani nella basilica, ma contrariamente all’abitudine la processione, una volta giunta alla grotta di Sant’Elena, si ferma perché la comunità riunita possa cantare i primi vespri davanti alla reliquia della Santa Croce esposta nella cripta. Una cripta rivestita per l’occasione dei suoi più begli ornamenti, quella che di solito offre agli sguardi dei pellegrini un aspetto spoglio e in contrasto con il resto della basilica della Resurrezione. L’indomani la Messa, celebrata ugualmente nella cripta di Sant’Elena, si conclude con una processione solenne intorno all’edicola del Santo Sepolcro durante la quale il vicario custodiale porta la reliquia della Santa Croce. Le celebrazioni si svolgono in un’atmosfera pasquale, lontana però dall’effervescenza che regnava nella basilica a Pasqua e durante l’ottava. Una festa intima, insomma, una festa orante e molta gioia per tutti i fedeli.
La croce, già segno del più terribile fra i supplizi, è per il cristiano l'albero della vita, il talamo, il trono, l'altare della nuova alleanza. Dal Cristo, nuovo Adamo addormentato sulla croce, è scaturito il mirabile sacramento di tutta la Chiesa. La croce è il segno della signoria di Cristo su coloro che nel Battesimo sono configurati a lui nella morte e nella gloria. Nella tradizione dei Padri la croce è il segno del figlio dell'uomo che comparirà alla fine dei tempi. La festa dell'esaltazione della croce, che in Oriente è paragonata a quella della Pasqua, si collega con la dedicazione delle basiliche costantiniane costruite sul Golgota e sul sepolcro di Cristo (Messale romano).
La stessa evangelizzazione, operata dagli apostoli, è la semplice presentazione di "Cristo crocifisso" poi Risorto. Il cristiano, accettando questa verità, "è crocifisso con Cristo", cioè deve portare quotidianamente la propria croce, sopportando ingiurie e sofferenze, come Cristo, gravato dal peso del "patibulum" (il braccio trasversale della croce, che il condannato portava sulle spalle fino al luogo del supplizio dov'era conficcato stabilmente il palo verticale), sotto il quale Cristo Signore fu costretto a esporsi agli insulti della gente sulla via che conduceva al Golgota. Le sofferenze che riproducono nel corpo mistico di Cristo nella Chiesa lo stato di passione e morte del suo Salvatore e Capo, sono un contributo alla redenzione degli uomini, e assicurano la partecipazione alla gloria del Risorto.
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Omeliadi San Giovanni Damasceno
Il linguaggio della croce è follia per quelli che si perdono; per noi che ci salviamo, invece, potenza di Dio (1 Cor. 1, 18). L'uomo spirituale, infatti, "giudica ogni cosa" (1 Cor. 2, 15), mentre quello animale non accetta le cose dello Spirito (1 Cor. 2, 14). Follia è, infatti, quella di coloro che si rifiutano di credere e di riflettere sulla bontà e l'onnipotenza di Dio, indagando sulle realtà divine con le loro categorie umane e naturali, senza rendersi conto che tutto ciò che riguarda la divinità trascende la natura, la razionalità e la conoscenza. Se ci si domanda, infatti, il come ed il perché Iddio abbia creato dal nulla tutte le cose, e si cerca di scoprirlo con le sole facoltà razionali che la natura ci mette a disposizione, non si approda a nulla, giacché una scienza come questa è terrestre e diabolica. Tutto è semplice e lineare invece, ed il cammino è spedito per chi, condotto per mano, per cosi dire, dalla fede, va alla ricerca del Dio buono, onnipotente, vero, sapiente e giusto. Senza la fede, infatti, nessuno può salvarsi (cf. Eb 11, 6): è in virtù della fede che
tutte le cose, sia le umane che le trascendenti, acquistano significato e valore. Senza l'intervento della fede il contadino non ara il suo campo, il mercante non mette a repentaglio la sua vita, su di una piccola nave, fra le onde tempestose del mare; senza fede non si contraggono matrimoni né si porta a termine alcun'altra attività della vita. È la fede a farci comprendere come tutto sia stato creato dal nulla grazie alla potenza divina. Con la fede intendiamo correttamente ogni cosa, umana o divina che sia. La fede, insomma, è il consenso formulato senza riserve.
Tutte le opere ed i miracoli compiuti dal Cristo, dunque, appaiono manifestazioni grandiose, divine, straordinarie; la più strepitosa di tutte, però, è la sua venerabile croce. t grazie a questa, infatti, e non ad altro, che la morte fu sconfitta, il peccato del progenitore ricevette la sua espiazione, l'inferno venne spogliato, fu elargita la risurrezione; è stata la croce a guadagnarci la forza di disprezzare i beni del mondo e persino la morte, a prepararci il ritorno all'antica beatitudine, a spalancarci le porte del cielo; soltanto la croce del Signore nostro Gesù Cristo, infine, ha elevato l'umanità alla destra di Dio, promuovendoci alla dignità di suoi figli ed eredi. Tutto questo ci ha procurato la croce! Tutti noi, infatti, ricorda l'Apostolo, che siamo stati battezzati in Cristo, siamo stati battezzati nella sua morte (Rm. 6, 3). Tutti noi, battezzati in Cristo, ci siamo rivestiti di Cristo (Gal. 3,27). E Cristo, poi, è potenza e sapienza di Dio (1 Cor. 1, 24). Ecco, la morte di Cristo, cioè la croce, ci ha rivestito dell'autentica potenza e sapienza di Dio. La potenza di Dio, da parte sua, si manifesta nella croce, sia perché la forza divina, cioè la vittoria sulla morte, ci si è mostrata attraverso la croce; sia in quanto, allo stesso modo come i quattro bracci della croce si uniscono fra loro nel punto centrale, così pure, attraverso la potenza di Dio, si assimilano l'una con l'altra l'altezza e la profondità, la lunghezza e la larghezza: in altre parole, tutta la creazione, nella sua dimensione materiale come in quella invisibile.
La croce è stata impressa sulla nostra fronte come un segno, non diversamente dalla circoncisione per Israele. In virtù di questo segno, noi fedeli siamo riconosciuti e distinti dagli increduli. La croce è per noi lo scudo, la corazza ed il trofeo contro il demonio. È il sigillo grazie al quale l'angelo sterminatore ci risparmierà, come afferma la Scrittura (cf. Ebr. 11, 28). E lo strumento per risollevare coloro che giacciono, il puntello a cui si appoggia chi sta in piedi, il bastone degli infermi, la verga per condurre il gregge, la guida per quanti si volgono altrove, il progresso dei principianti, la salute dell'anima e del corpo, il rimedio di tutti i mali, la fonte d'ogni bene, la morte del peccato, la pianta della risurrezione, l'albero della vita eterna.
Questo legno davvero prezioso e degno di venerazione, perciò, sul quale Cristo si sacrificò per noi, deve giustamente divenire oggetto della nostra adorazione, giacché fu come santificato dal contatto con il santissimo corpo e sangue del Signore. Come pure si dovrà rivolgere la nostra devozione ai chiodi, alla lancia, agli indumenti ed ai santi luoghi nei quali il Signore si è trovato: la mangiatoia, la grotta, il Golgota che ci ha recato la salvezza, il sepolcro che ci ha donato la vita, Sion, roccaforte delle Chiese, e tutti gli altri... Se, infatti, ricordiamo con affetto, fra gli oggetti che son stati nominati, la casa ed il letto e la veste del Signore, quanto più dovranno esserci care, tra le cose di Dio e del Salvatore, quelle che ci hanno procurato anche la salvezza?
Adoriamo l'immagine stessa della preziosa e vivificante croce, di qualunque materia sia composta! Non intendiamo onorare, infatti. l'oggetto materiale (non sia mai!), bensì il significato ch'esso rappresenta, il simbolo, per così dire, di Cristo. Egli stesso, d'altronde, istruendo i suoi discepoli, ebbe a dire: Apparirà allora nel cielo il segno del Figlio dell'uomo (Mt. 24, 30), cioè la croce. Ed anche l'angelo che annunciò alle donne la risurrezione di Cristo disse: Voi cercate Gesù di Nazaret, il crocifisso (Mc. 16, 6). E l'Apostolo, da parte sua: Noi predichiamo, avverte, il Cristo crocifisso (1 Cor. 1, 23). Vi sono, infatti, molti Cristi e Gesù; uno solo, però, è il crocifisso. L'Apostolo, poi, non dice: "colui che è stato trafitto dalla lancia", bensì "il crocifisso". Dobbiamo, perciò, adorare il simbolo del Cristo: ovunque, infatti, si troverà quel segno, lì sarà presente il Signore stesso. La materia di cui è composta l'immagine della croce, invece, anche se fosse d'oro o di pietre preziose, non è più degna di alcuna venerazione, una volta scomparsa, per qualsiasi motivo, la figura originaria. Tutti gli oggetti consacrati a Dio, perciò, noi li veneriamo in modo tale, da riferire alla persona divina il culto che osserviamo per essi.
(S. Giovanni Damasceno, De fide orthodoxa, IV, 11)
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