Meditiamo i tesori della nostra fede. Non vi lascerò orfani: verrò da voi. Ancora un poco e il mondo non mi vedrà più; voi invece mi vedrete, perché io vivo e voi vivrete. In quel giorno voi saprete che io sono nel Padre mio e voi in me e io in voi (Gv, 14).
Terza Domenica dopo Pasqua
La dignità del popolo Cristiano.
Niente di più grande, di più alto sulla terra che i Principi della Santa Chiesa, che i Pastori stabiliti dal Figlio di Dio, e di cui la successione durerà tanto quanto il mondo; ma non crediamo che i sudditi di questo immenso impero, che si chiama la Chiesa, non abbiano anche la loro magnanima dignità. Il popolo Cristiano, in seno al quale si confondono in completa uguaglianza, sia un Principe che un semplice privato, sovrasta in luce e valore morale tutto il resto dell'umanità. Ovunque esso si estende, penetra la vera civilizzazione; poiché ovunque porta l'esatta nozione di Dio e del fine soprannaturale dell'uomo. Avanti a Lui arretra la barbarie, si cancellano le istituzioni pagane, per quanto antiche possano essere; un giorno vide anche la civiltà Greca e Romana rendergli le armi; e il diritto cristiano, scaturito dal Vangelo, sostituirsi da se stesso a quello dei Gentili. Numerosi fatti hanno dimostrato la superiorità che il battesimo imprime alla stirpe Cristiana; poiché non sarebbe ragionevole pretendere di trovare altrove la ragione principale di questa superiorità nella nostra civiltà, la quale non è stata che la conseguenza del battesimo.
Ma se la grandezza del popolo Cristiano è tale da esercitare il suo prestigio esteriore anche sugli stessi infedeli, che diremo di quello che la fede rivela in esso? L'Apostolo san Pietro, il Pastore universale, nelle mani del quale noi abbiamo visto deporre le chiavi del Pastore Divino, così definisce il gregge che è incaricato di pascere: "Ma voi siete stirpe eletta, sacerdozio regale, gente santa, popolo d'acquisto, affinché proclamiate le virtù di Colui che dalle tenebre vi ha chiamati alla sua meravigliosa luce" (1Pt 2,9).
Effettivamente è in seno a questo popolo che si conserva la verità divina; e mai vi si spegnerà. Quando l'autorità docente deve proclamare, con la sua infallibilità, una decisione solenne in materia dottrinale, per prima cosa fa appello alla fede del popolo cristiano, e la sentenza dichiarerà inviolabile ciò che è stato creduto "in tutti i luoghi, in tutti i tempi, e da tutti"[1]. Nel popolo cristiano, risiede quell'ammirabile principio della fraternità nelle intelligenze, in virtù del quale voi trovate la fede negli stessi dogmi tra le razze più diverse, anche se ostili le une alle altre; riguardo alla fede e per la sottomissione ai Pastori, non vi è che un popolo solo. Nel grembo di questo popolo, fioriscono le virtù più perfette, qualche volta le più eroiche; poiché esso è depositario, in gran parte, dell'elemento di santificazione che Gesù, con la sua grazia, ha riversato nella natura umana.
La testimonianza dell'amore.
Guardate anche con quale amore il Pastorato lo protegge e l'onora! A tutti i gradi della gerarchia è annesso il dovere di dare la propria vita per il gregge.
Questo sacrificio del Pastore per le sue pecorelle non è neppure un eroismo: non è che uno stretto dovere. Vergogna e maledizione a colui che indietreggia! Il Redentore lo qualifica con il nome di mercenario. Ma invece, come è bella e quanto numerosa questa schiera di Pastori che, da diciannove secoli, danno la vita per il loro gregge! Non vi è una pagina negli annali della Chiesa ove non risplendano i loro nomi, da quello di san Pietro, crocifisso come il suo Maestro, fino a quello dei Vescovi della Cocincina, del Tonkino e della Russia, i cui recenti martiri sono venuti a ricordarci che il Pastore non ha cessato di considerarsi come la vittima del suo gregge. Perciò noi abbiamo visto che Gesù, prima di affidare i suoi agnelli e le sue pecore a Pietro, ha voluto assicurarsi se egli lo amava più degli altri. Se Pietro ama il suo Maestro, amerà anche le pecorelle di lui, e saprà amarle fino a dare la sua vita per loro. È l'avvertimento dategli dal Salvatore che, dopo avergli affidato tutto l'intero gregge, finisce con il predirgli il martirio. Popolo felice è quello i cui capi non esercitano il loro potere che alla condizione di essere pronti a spargere per esso tutto il loro sangue!
Segni di rispetto.
Con quale rispetto, quale considerazione, i Pastori trattano le pecorelle del Maestro! Se una di esse ha esercitato nella sua vita i caratteri che denotano la santità, fino al punto di meritare di essere proposta come modello e come spirito intercessore alla società cristiana, vedrete che, non solamente il Sacerdote, la cui parola chiama il figlio di Dio sull'altare; non solamente il Vescovo, le cui sacre mani sorreggono il bastone Pastorale; ma lo stesso Vicario di Cristo, s'inginocchierà devotamente davanti alla tomba e all'immagine di quel servo, o di quell'ancella del Signore, anche se umile è stato il suo stato sulla terra. Un tale rispetto per le pecorelle di Cristo, la gerarchia ecclesiastica lo testimonierà pure nel bambino appena battezzato, la cui lingua non si è ancora sciolta, che lo Stato non ha ancora annoverato tra i suoi cittadini, che forse prima della fine del giorno sarà già appassito come un fiore di campo. Il Pastore riconosce in lui un membro degno di rispetto di questo corpo di Gesù Cristo che è la Chiesa, un essere ricolmo dei doni sublimi che fanno di lui l'oggetto della compiacenza del cielo e la benedizione di tutti quelli che lo circondano. Quando nel sacro tempio è riunita la folla dei fedeli, e l'incenso si eleva sull'oblazione, e tutto intorno all'altare, il celebrante, che offre il Sacrificio, riceve l'omaggio di questo profumo misterioso che onora in lui il rappresentante di Cristo: il collegio sacerdotale vede poi avanzarsi verso di lui il turiferario, che viene a rendere onore a coloro che hanno i segni del carattere sacro; ma l'incenso non si arresta soltanto nel santuario. Ecco che il turiferario viene a mettersi di fronte alla folla dei fedeli, rendendo loro in nome della Chiesa quel medesimo omaggio che abbiamo visto rendere al Pontefice e ai sacerdoti; poiché anche il popolo fedele vive in Cristo. E ancora: quando noi vediamo che la spoglia mortale di un cristiano, fosse egli stato anche il più povero tra i suoi fratelli, è portata nella casa di Dio per ricevervi gli ultimi doveri, questi doveri sono ancora un omaggio. La Chiesa tiene a riconoscere ed onorare, fino all'ultimo momento, il carattere divino che la fede ha impresso anche nel più umile dei suoi figli. O popolo cristiano! come è giusto dire di te, ed a maggior ragione, ciò che Mosè diceva per Israele: "Non c'è infatti altra nazione sì grande, che abbia i suoi dei a lei così vicini, come il Dio nostro è presente a tutte le nostre invocazioni" (Dt 4,7). La terza domenica dopo Pasqua, nella Chiesa Greca, porta il nome di "Domenica del paralitico" perché vi si celebra, in maniera particolare, la commemorazione del miracolo che nostro Signore operò alla Piscina Probatica
Messa
EPISTOLA (1Pt 2,11-19). - Carissimi: Vi scongiuro a guardarvi, come forestieri e pellegrini, dai desideri carnali che fan guerra all'anima, e a vivere bene tra le genti, affinché, invece di calunniarvi, come se foste dei malfattori, giudicandovi dalle buone opere, glorifichino Dio nel giorno in cui li visiterà. Siate adunque, per riguardo a Dio, soggetti ad ogni autorità umana: Al re come a sovrano, ai governanti come a suoi delegati per giustiziare i malfattori ed onorare i buoni; perché questa è la volontà di Dio, che facendo il bene turiate la bocca all'ignoranza degli uomini stolti. Vivete pur da liberi, non facendo però della libertà un manto per coprire la malizia, ma come servi di Dio. Rispettate tutti; amate i fratelli; temete Dio, onorate il re. Servi, siate con ogni rispetto soggetti ai vostri padroni, non soltanto ai buoni e ai dolci, ma anche a quelli che sono intrattabili. Poiché questa è una cosa gradita a Dio in Gesù Cristo, nostro Signore.I doveri del cristiano.
"Il dovere di santificarsi si traduce per ognuno in obblighi concreti e adatti all'attuale situazione sociale di ciascuno di noi. La ragione d'insistere è specificata da san Pietro: il cristiano è come un forestiero, è un ospite di passaggio nel mondo non conquistato dal Vangelo. Bisogna lottare contro le forze del peccato, che s'insinuano anche fino a noi, e conservare pure in mezzo ai Gentili che vi si abbandonano, una condotta esemplare che imponga stima e rispetto.
Questo apostolato, prima di tutto detta ai cristiani con il suo buon esempio la condotta che devono tenere di fronte alle istituzioni umane. Il loro dovere sociale si riassume in quattro brevi frasi, che sono altrettante direttive generali per la vita: 1) trattare tutti gli uomini con il rispetto dovuto alla loro dignità di uomo; 2) amare coloro che ci sono fratelli nella fede; 3) temere Dio, con quel timore che è il principio della vera saggezza e il contrapposto dell'orgogliosa fiducia in noi stessi; 4) rispettare l'autorità regale rendendo a Cesare quel che è di Cesare. Finalmente un pensiero di fede guiderà il rispetto e l'ubbidienza dovuto ai superiori dai loro servi, e questa obbedienza cristiana darà loro diritto ai favori divini [2].
Noi realizzeremo questo ideale del cristiano in grazia alla redenzione, sempre presente sull'altare. Ogni giorno essa ci ricorderà che il cristiano, essendo un altro Cristo, deve soffrire come lui per entrare nella gloria, e ci darà la forza di rassomigliargli.
VANGELO (Gv 16,12-22). - In quel tempo: Disse Gesù ai suoi discepoli: Ancora un poco e non mi vedrete; e un altro poco e mi vedrete; perché vado al Padre. Allora alcuni dei suoi discepoli dissero tra loro: Che vuoi dire con questo suo: Ancora un poco e non mi vedrete, e un altro e mi vedrete, e me ne vado al Padre? e ripetevano: Che significa questo suo un poco? non comprendiamo quello che voglia dire. Or Gesù, conosciuto che volevano interrogarlo, disse loro: Vi domandate l'un l'altro che cosa voglia dire quel mio ancora un poco e non mi vedrete; e un altro poco e mi vedrete. In verità in verità vi dico: piangerete e gemerete ed il mondo godrà: voi certo sarete in afflizione ma la vostra tristezza sarà mutata in letizia. La donna quando partorisce è in doglia, perché è giunta la sua ora; quando però ha dato alla luce il bambino, non ricorderà più l'angoscia, a motivo dell'allegrezza, perché è venuto al mondo un uomo. Così voi siete ora in tristezza; ma io vi vedrò di nuovo, e ne gioirà il vostro cuore, e nessuno vi toglierà la vostra gioia.Fiducia nella prova.
"Il Signore doveva allontanarsi, ma le sue parole agli Apostoli sembravano contraddittorie. Come poteva essere nello stesso tempo con il Padre Suo e con essi? Gesù, che leggeva nelle anime, comprese l'ansietà dei suoi. Senza dubbio, parlando così, pensava all'allontanamento momentaneo della passione e alla gioia della Risurrezione. Ma questa sparizione e questo ritorno erano, ai suoi occhi, il simbolo di un'altra partenza e di un altro ritorno: l'ascesa al Padre, nell'Ascensione, e la riunione con i discepoli, nell'eternità. Fino ad allora, gli apostoli dovranno lavorare e seminare, in mezzo alle lacrime, nell'assenza del loro Maestro. Ma che importano le tribolazioni del tempo? Non vi penseremo più quando l'uomo rinnovato, sarà stato dato a Dio; quando la Chiesa lo avrà lodato, quando il nuovo Adamo comparirà davanti al Padre con la posterità che avrà generato nel suo sangue. Per farci coraggio non dobbiamo altro che essere ben compresi delle visuali che ci offre il Salvatore. Un istante di angoscia, e poi la gioia senza fine, la cui pienezza non lascerà niente a desiderare, niente da imparare. Nessuna delle potenze create sarà capace di rapircela" [3].
O Dio, che mostri agli erranti la luce della tua verità, perché possano ritornare sulla via della giustizia, concedi a tutti quelli che dicono di essere cristiani di rigettare tutto ciò che è contrario a questo nome e di praticare ciò che è conforme ad esso.
______________________[1] San Vincenzo di Lerino, Commonitorium.
[2] A. Charue, Les Epîtres catholiques, p. 455. [3] Dom Delatte, Evangile de N. S. J., c. t. II, p. 277.
(da: dom Prosper Guéranger, L'anno liturgico. - II. Tempo Pasquale e dopo la Pentecoste, trad. it. L. Roberti, P. Graziani e P. Suffia, Alba, 1959, p. 145-150)
Dal mio Messalino del 1958 per questa domenica
RispondiEliminaLa speranza del ritorno di Cristo
Finora la Chiesa, nelle Domeniche precedenti, ha cantato la gioia profonda per la risurrezione di Cristo. Anche oggi acclama al suo liberatore divino (Introito, Alleluia, Offertorio). Però cominciano a risuonare i primi accenni alla prossima Ascensione. "Ancora un poco e non mi vedrete perché vado al Padre" (Vangelo). Gesù contempera la tristezza di questo annuncio, avverte: "Verrò io stesso a cercarvi, per darvi un posto nel regno del Padre mio.
A questo regno celeste, nostra patria definitiva, dobbiamo tendere, vivendo quali forestieri e pellegrini su questa terra (Epistola). Gesù viol provare la nostra lealtà e il nostro amore. Possano i erranti ricevere la luce della Verità e i cristiani vivere sempre secondo i principii della loro fede, per potere tutti glorificare Dio, nel giorno del suo ritorno (Orazione).