La messa agli arresti domiciliari, giorni fa, del vescovo delle diocesi di Matagalpa ed Estelí, monsignor Rolando Álvarez – effettuata su indicazione di Rosario Murillo, da 5 anni la vicepresidente nonché moglie del dittatore del Nicaragua, Daniel Ortega – è stata solo l’inizio. Nel Paese dell’America centrale è infatti in corso una escalation anticattolica e antireligiosa che si fa sempre più violenta, ma che non ha avuto certo avuto inizio in queste ore.
Come infatti ricordato dal Washington Post, già all’inizio di questo mese in Nicaragua sono state chiuse sette stazioni radiofoniche appartenenti alla Chiesa cattolica; e tutto lascia intendere – a maggior ragione dopo che la conferenza episcopale nicaraguense ha rotto il silenzio a seguito dell’arresto Álvarez («se uno di noi soffre, tutti soffriamo con lui») – che le tensioni non potranno che inasprirsi, a danno della libertà religiosa.
Eppure i cattolici e i pastori, nonostante quello che rischiano, non sembrano affatto intenzionati ad abbassare la testa. Se n’è avuta conferma sabato scorso, con centinaia di nicaraguensi che hanno partecipato a una messa sotto la massiccia presenza della polizia dopo che il governo aveva proibito una processione religiosa a Managua, la capitale, dedicata a Nostra Signora di Fatima. Tale divieto è stato disposto ufficialmente per motivi di «sicurezza interna», ma il sapore repressivo della decisione è palese.
Tanto più che l’ordine è stato emanato dopo che venerdì monsignor Juan Antonio Cruz, osservatore permanente del Vaticano presso l’Organizzazione degli Stati americani, aveva espresso – rompendo giorni di silenzio costati critiche alla Santa Sede, da parte di più di un intellettuale latinoamericano – preoccupazione per la situazione del Nicaragua, esortando tutte le voci istituzionali a lavorare per «cercare vie di comprensione». Il divieto della processione disposto a livello governativo è una chiara risposta a tali parole.
Ciò nonostante, come si diceva, i leader della Chiesa hanno invitato i fedeli a partecipare alla messa. E questi si sono riversati a centinaia, pacificamente, in cattedrale. Secondo quanto ricostruito da Al Jazeera, il cardinale e arcivescovo cattolico nicaraguense Leopoldo José Brenes Solórzano ha detto che i fedeli si sono riuniti «con molta gioia, ma anche con molta tristezza» per «la situazione delle nostre parrocchie». Non c’è da dubitarne. Esattamente come non c’è da dubitare del fatto, già sperimentato altre volte sotto i totalitarismi del ‘900, che la Chiesa [quando non esce da sé stessa - ndr] è anche, se non soprattutto, un simbolo di libertà. - (Giuliano Guzzo - Fonte)
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